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Autore: Ayr    14/08/2017    4 recensioni
Mi hanno accusato di tradimento, ma sono solo una vittima innocente degli eventi, incastrata da qualcuno più furbo e spietato di me, che non ha avuto rimorsi nel coinvolgermi in tutto questo e nel far ricadere la colpa sul mio capo, su cui, ora, pende la lapidaria sentenza: verrò destituito dal mio incarico e cacciato da quella che fino a quel momento era stata la mia casa.
Verrò umiliato, un’ultima volta, la più terribile: mi verrà strappato tutto ciò che fino ad ora ho posseduto ed il mio unico compagno di una vita verrà distrutto. Una parte di me morirà inevitabilmente con lui, quando il Sigillo verrà spezzato e rimarrò spezzato anche io.
Non voglio essere ricordato in questo modo, non se ho anche la più remota possibilità di raccontare come siano veramente andate le cose, e di dimostrare la mia innocenza.
Narrerò la mia storia e lascerò che siano i posteri a giudicarla, nella speranza che qualcuno riesca a vedere come io sia stato solo una vittima ingenua di un enorme inganno ben architettato.
[La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul forum di EFP: ‘The Dragon’s Riders Contest!’]
[Steampunk fantasy (o almeno ci provo)]
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XII

«Evidentemente no, dal momento che sta volteggiando come una farfalla davanti al mio naso!» sbraitò Krugar. Era convinto di aver estinto quella minaccia, e non poteva credere ai propri occhi: Arandil si stava avvicinando con un sorriso sprezzante e tutta l’aria di voler restituire il favore all’orco.
«Lasciatelo a me» sibilò, un ghigno minaccioso e una scintilla omicida negli occhi. Voleva eliminare quell’elfo una volta per tutte e l’avrebbe fatto alla vecchia maniera: con un duello all’ultimo sangue.
«Checca, se hai il coraggio vieni ad affrontarmi! Da uomo a uomo!» lo provocò il pirata, e si lasciò cadere con la corda su uno spuntone di roccia.
Arandil sbuffò: non aveva alcuna intenzione di fornire uno spettacolo penoso e sanguinolento a quei pirati: zoppicava vistosamente e sarebbe risultato ridicolo, non riusciva a muoversi più così agilmente, la sua gamba sinistra rispondeva in ritardo e non come avrebbe voluto lui. Il proiettile aveva reciso il legamento e sarebbe occorso qualche mese perché guarisse, rimanendo sciancato per il resto dei suoi giorni.
Ma se non avesse accettato la sfida avrebbe fatto la figura del codardo e avrebbe perso la possibilità di affrontare Krugar senza tutto il suo armamentario, sarebbero stati solo loro due e le loro abilità.
Con un sospiro rassegnato, fece affiancare Krupfer allo sperone roccioso, che si protendeva quasi orizzontalmente sull’abisso. La superficie liscia e nera ricordava una distesa di ossidiana, ma quella pietra non rifletteva la luce e pareva, invece, ingoiarla e annullarla in una cupezza uniforme e desolante.
Il cavaliere atterrò malamente, la gamba offesa gli inviò una fitta e impiegò qualche secondo per riacquistare l’equilibrio. Krugar sorrise: ucciderlo sarebbe stato di una facilità disarmante, quasi gli spiaceva per lui.
Roteò la spada, la lama luccicava ancora del sangue di Ardrir e il filo scintillava letale sotto la luce inclemente del sole di mezzogiorno.
«Quella mezza calzetta si farà ammazzare» imprecò Adam tra i denti. Era rimasto sull’Andromeda, preferendo rimanere a guardare come si sarebbero svolti i fatti: se Arandil fosse morto sarebbe stata una liberazione; ma se invece fosse stato Krugar a soccombere, avrebbe dovuto trovare un modo per mettere da parte l’elfo ed evitare che ostacolasse il suo piano.
Arandil estrasse la spada che portava al fianco come simbolo della sua posizione, non l’aveva mai usata anche se si era premurato di tenerla sempre affilata e pulita. La lama emise un lamento strozzato, strappata a forza dal suo giaciglio in cui aveva riposato fino a quel momento.
«Pensi di potermi battere con quel puntaspilli?» lo provocò Krugar.
«Il maestro di spada ci ha insegnato che non importa la lunghezza dell’arma, ma l’uso che se ne fa. Anche un ago può essere letale se brandito nel modo giusto.»
In realtà quelle erano le parole che suo padre gli ripeteva costantemente, quando ancora nutriva speranze nei confronti del figlio e del suo futuro da guerriero, prima che Arandil gli confessasse il suo amore per il cielo e il vento e perdesse ogni stima nei suoi confronti, domandandosi cosa avesse sbagliato nella sua educazione.
«Inoltre, sai cosa si dice su chi porta le spade lunghe…» lo stuzzicò. Krugar avvampò e strinse con maggiore forza l’elsa della spada, quasi si fosse trattato del collo dell’elfo.
Arandil assunse la posizione di guardia, la caviglia che strillava di dolore, e aspettò l’assalto dell’avversario.
L’orco non si fece pregare e caricò con tutta la sua forza, l’elfo scattò, con sommo disappunto della parte lesa, e sgusciò lontano dalla portata dello spadone. Krugar si voltò in un tondo, tendendo la spada con una mano sola, nella speranza di sorprenderlo nel mezzo dello scatto, ma il Dragoron schivò, abbassandosi di colpo, e la lama ruotò sopra la sua testa in un sibilo raccapricciante.
L’elfo rispose con un montante che l’altro evitò, volgendo le spalle all’avversario. Arandil provò un’imboccata ma venne intercettata dalla spada dell’altro. Krugar girò, tornando a mostrare il proprio brutto muso, e replicò con una serie di assalti incalzanti.
«Colpire di spalle è da villani» lo rimproverò, «Non te lo hanno insegnato all’Accademia?»
Il Dragoron cedette di fronte alla forza dell’altro e scivolò di lato, sottraendosi al fendente diretto alla sua testa. La gamba non rispose immediatamente e riuscì a ritrarla all’ultimo; Fernecar baciò il polpaccio dell’elfo, lasciandovi il suo marchio: un sottile rigagnolo dorato brillò sul gambale di cuoio.
«Non sei più tanto atletico, adesso» gli fece notare l’orco, sprezzante.
«Nemmeno tu sembri tanto in forma, cacciare draghi è sfiancante» ansimò Arandil. La verità era che l’elfo era in una situazione più critica e disperata dell’orco: la gamba lesionata azzerava il suo vantaggio, non potendo più contare sulla propria velocità e agilità; i movimenti bruschi avevano riaperto la ferita sul petto e il giovane sentiva il sangue gocciolare e impregnare la stoffa. Krugar, invece, non aveva riportato ferite gravi e l’uccisione del drago l’aveva reso baldanzoso e feroce.
Un nuovo tondo che Arandil riuscì a parare all’ultimo, la forza si propagò dalla lama al suo braccio, facendolo tremare per lo sforzo.
Non poteva sperare di battere l’orco su quel piano, doveva puntare sull’astuzia e sull’imprevedibilità.
Cercava di rievocare gli allenamenti estenuanti all’Arena, quando lo costringevano a misurarsi con Gorgar il Titano un Ibrido alto il doppio di lui e largo il triplo, con le dimensioni del cervello inversamente proporzionali alla mole, ma ugualmente difficile da abbattere, soprattutto per uno scricciolo maldestro come lui. Aveva sempre detestato quegli scontri, in cui non faceva altro che saltare e schivare i fendenti dell’avversario, come una cavalletta impazzita. Grazie a quelle sessioni aveva imparato ad essere scattante e veloce, ma non a rispondere ai colpi del nemico. Aveva sempre odiato quelle sessioni stancanti e prive di utilità, almeno dal suo punto di vista: ogni volta che aveva provato a contrattaccare, si era ritrovato con le chiappe nella polvere e lo sguardo deluso del suo maestro ad avvilirlo.
Ridoppio, tondo, rovescio, era difficile elaborare una strategia e contemporaneamente tentare di contrastare gli attacchi serrati dell’avversario. I colpi di Krugar non erano poderosi, per quanto forti, segno che si stava divertendo con lui, lo stava stuzzicando e stava giocando con lui come il gatto fa con il topo.
Se avesse voluto dividerlo a metà ci sarebbe perfettamente riuscito con un unico, portentoso fendente, ma il pirata voleva umiliarlo e sconfiggerlo un poco alla volta, ridurlo in pezzi, un brandello dopo l’altro.
Tondo, e la risposta fu troppo lenta: un'altra parte di armatura si squarciò e un nuovo scintillio dorato baluginò sulla spalla destra dell’elfo.
Dritto, e la gamba cedette, permettendogli di schivare il colpo che gli avrebbe aperto un sorriso sul collo.
«L’unico modo per abbattere una montagna è sgretolandone le fondamenta» le parole di suo padre gli rimbombarono nella testa. Era difficile intaccare la solidità di gambe ampie come tronchi d’albero e la fermezza di piedi lunghi come zattere, come quelli di Gorgar. Krugar, però, si era mostrato meno stabile, e nello scontro precedente era stato semplice farlo cadere…
Arandil si abbassò fulmineo e provò a spazzare la roccia sotto il contendente per sottrargli l’appoggio, ma l’orco aveva imparato la lezione e appena si accorse del movimento dell’altro, saltò. L’elfo fece in tempo a terminare la mossa per parare un fendente improvviso del pirata, calato dall’alto come l’ascia del boia. Era piegato in due per lo sforzo e la fatica faceva urlare i muscoli, la caviglia pulsava e bruciava, gli squarci che lo costellavano dolevano e la ferita al petto mandava fitte atroci ogni volta che si inspirava: sarebbe stato schiacciato dalla sua potenza e dalla sua forza, fallendo miseramente. Di nuovo.
Una nuova serie di colpi incalzanti lo fecero indietreggiare. Arandil inciampò, vide lo scintillio della lama sopra il suo volto e sentì l’aria solleticargli la nuca. I capelli ricadevano nel vuoto e si rese conto che la sua testa era sospesa sopra l’abisso. Deglutì e con un colpo di reni si sottrasse al precipizio, Fernecar morse la pietra, staccandone qualche briciola.
Con una capriola schivò il dritto dell’altro, e la ferita al petto si aprì definitivamente, mandando una fitta di lancinante dolore, simile a una pugnalata.
«Non c’è divertimento a combattere con te» lo provocò Krugar, aveva appoggiato la spada sulla spalla e osserva l’altro piegato in due dal dolore, ansimante e sudato.
«Senza quella tua ferraglia sputa-fuoco, sei impreparato, lento, incapace e debole!» l’orco si era stancato di giocare con l’elfo, l’aveva spossato abbastanza perché avesse i riflessi ancora più ritardati e i movimenti ancora più impacciati e imprecisi. Fino a quel momento, si era solo scaldato e aveva sondato le capacità dell’altro, trovandole imbarazzanti: nemmeno il cuoco di bordo armato di mestolo tirava di scherma così penosamente.
«Facciamola finita, tanto sappiamo entrambi quale sarà l’esito!» ringhiò alla fine, sollevando in alto Fernecar.
Quella volta Arandil non avrebbe fallito: era stato umiliato e coperto di vergogna troppe volte, per troppo tempo aveva fatto la figura dell’inetto e dell’incapace ed era stato oggetto delle derisioni e dei rimproveri dei suoi compagni e dei suoi superiori; era stanco di essere guardato solo con disapprovazione e pietà, come se non meritasse altro. Aveva anche lui un amor proprio e una dignità da difendere!
Con uno scatto, estrasse subitaneo un pugnale d’osso dallo stivale, la caviglia ululava di disperazione e il suo grido di protesta si propagò per tutta la gamba, ma Arandil lo ignorò. Nel momento in cui Krugar caricò il fendente, sgusciò sotto di lui e affondò il pugnale nel suo costato.
Il pirata si ritrasse, sconvolto, e fissò incredulo la lama che spuntava dal suo torace. Arandil approfittò di quel momento di esitazione per menare un tondo che aprì uno squarciò nella gola dell’avversario. Tutti i suoi muscoli urlarono, una fitta di sofferenza indicibile si irradiò dal petto e lo avvolse completamente, lasciandolo senza fiato. Le spade di entrambi caddero in un clangore agghiacciante.
L’orco si afferrò la gola e si portò una mano davanti al volto, incredulo: non riusciva a capire come quell’elfo menomato fosse riuscito a sconfiggerlo. Con un gemito strozzato e pietoso, Krugar si accasciò, il volto rimasto cristallizzato in un’espressione di sincero stupore. Denso sangue cremisi gocciolava dalla ferita, allargandosi in un lago ai sui piedi, in cui ricadde, immobile.
Arandil rimase a fissarlo, non riuscendo a credere nemmeno di lui di essere stato in grado di commettere quell’omicidio. Non si sentiva soddisfatto, sebbene, alla fine, fosse riuscito a portare a termine il suo incarico: Krugar era stato eliminato.
Era stremato e anche lui era prostrato sulla roccia, il petto che si alzava e si abbassa freneticamente, i muscoli scossi da fremiti incontrollati, spossati dalla fatica, e il respiro rotto, raschiante.
Un leggero tonfo alle sue spalle gli fece sollevare lo sguardo inebetito: Adam si era lasciato scivolare dalla corda, atterrando lieve ed elegante.
«Stai lontano da me!» gli intimò, ma la minaccia risultò piuttosto patetica dal momento che era piegato in due dalla fatica e dal dolore.
«Non voglio farti del male» rispose Adam, allargando le braccia per dimostrare che non portava con sé alcuna arma.
«Sei un traditore!» gridò Arandil, rialzandosi con un enorme sforzo e puntandogli la spada di Krugar contro il petto. Le gambe tremavano e non sapeva quanto ancora sarebbero riuscite a reggerlo.
L’accusa aleggiò nell’aria, pesante nella sua gravità.
«Non è come credi» si difese Adam, «Ho solo finto di voler condividere con lui quelle informazioni. Avevo bisogno di conquistare la sua fiducia, per distruggerlo dall’interno.»
Adam appariva convincente ma il suo piano sembrava fin troppo complicato ed elaborato, e l’elfo non riusciva ancora a credergli pienamente.
«Quale guadagno avrei ottenuto nel dirglielo?» gli domandò Adam.
«Un alleato, con cui sovvertire il sistema e rovesciare l’Impero» sputò Arandil.
«Mi credi davvero capace di un’azione simile?» lo guardò scettico l’altro.
L’elfo non sapeva più a cosa credere, non riusciva più a distinguere il vero dal falso: fino a qualche giorno prima aveva sentito con le sue stesse orecchie il piano di conquista e dominio del Dragoron, e quello stesso glielo stava smentendo tassello per tassello, sostenendo che fosse solo una copertura.
«Non so più chi tu sia davvero» mormorò, «Non riesco più a fidarmi delle tue parole. Sembravi così convincente quando parlavi con Krugar e mi hai attaccato.»
«Non ti sei accorto che ti ho salvato la vita più volte? E che sbagliavo volontariamente le stoccate?»
Arandil spalancò gli occhi: si spiegava lo strano atteggiamento che aveva tenuto quella volta, la sua esitazione e l’improvviso deterioramento delle sue tecniche di scherma.
«Tu mi stavi aiutando?» domandò.
«Stavo provando a tenere il piede in due scarpe, in realtà» sospirò l’altro togliendosi il cappello e passandosi una mano tra i capelli corvini, appena spruzzati d’argento, «Non volevo far saltare la mia copertura con l’orco, ma nemmeno farti del male…Sono pur sempre un Dragoron!»
L’elfo si stava pian piano convincendo, aveva abbassato l’arma, sebbene lo continuasse a fissare con sguardo circospetto.
Adam tirò un impercettibile sospiro di sollievo, Arandil sembrava aver abbassato la guardia nonostante il suo sguardo inquisitore non lo abbandonasse per un solo istante.
«Non ho mai voluto tradirvi, non ho mai pensato di farlo. I Dragoron sono l’unica famiglia che ho, l’unico luogo in cui non vengo giudicato per la mia origine e la mia provenienza; dove non vengo etichettato come “bastardo” e vengo guardato con disprezzo, ma dove sono valutato in base alle mie sole capacità, alle mie forze. Come potrei ingannare chi mi ha permesso di fare pace con me stesso?»
Detestava profondersi in questo genere di smielati sentimentalismi, ma se fosse servito a bruciare qualsiasi dubbio ulteriore dell’elfo, allora era disposto a fare la figura della checca sentimentale.
Arandil era esausto, non sarebbe riuscito ad affrontare Adam in condizioni ottimali, figurarsi in quello stato. Credergli risultava più semplice e conveniente: non aveva né la forza né la voglia per contrastarlo.
Lasciò cadere l’arma di Krugar, completamente svuotato e accettò le parole dell’altro. Quel duello e la sua conclusione avevano fagocitato ogni scintilla di energia, non sentiva più nemmeno il dolore ma solo un eco sordo e lontano, prevaricato dall’immensa stanchezza che attecchiva alle sue membra provate. Abbassò definitivamente la guardia e Adam ne approfittò.
«Mi dispiace» mormorò e con un calcio alla tempia, spedì Arandil nel mondo delle tenebre.

   
 
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