Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |       
Autore: _root    14/08/2017    2 recensioni
"[...]
Il quasi-supereroe in questione continuò: «Queste persone chiedono una festa! Ed è nostro preciso compito trovare la maniera di dargliela!».
A quel punto scattò qualcosa nella mente di Kuroo, che per un istante si vide incoronato dal già citato popolo della piscina, acclamato ed osannato come un salvatore.
«Hai ragione, bro», disse con tono solenne, appoggiando una mano sulla sua spalla, «non possiamo certo lasciare delusi questi poveri invitati. E sia. Facciamolo». Poi si voltò verso il sole che cominciava la sua parabola discendente, mostrando le spalle agli altri, ed aggiunse: «… Per loro»."
[accenni di KurooxKenma; BokutoxAkaashi; KageyamaxHinata; UshijimaxTendou]
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Karasuno Volleyball Club, Koutaro Bokuto, Nekoma, Tetsurou Kuroo, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Bros' party'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Kuroo Tetsurou si fermò ad ammirare il proprio lavoro con le mani sui fianchi. I tavoli con gli snack e le bevande erano pronti, lo stereo e le casse erano stati collocati in una safe zone e aveva passato la notte a creare una playlist semplicemente irresistibile. La piscina al centro risplendeva azzurrina ed emanava un leggero odore di cloro (dal momento che era stata appena pulita).
Il capitano della Nekoma sorrideva con un’espressione arrogantemente compiaciuta, nella sua posa trionfante e statuaria, ormai completamente dimentico del caldo e della sfacchinat–
«Kuroo! Smetti di fare la principessina e vienimi a dare una mano!».
«M-Maledizione, Bokuto! Sempre a far casino! Stavo avendo un mio momento, qui!», esclamò. «Fa’ rotolare quel fusto di birra e non rompere!».
Koutarou Bokuto riposò le braccia subito dopo aver varcato il cancello. I suoi capelli erano più argentei del solito, la maglia grigio scura madida di sudore. Sospirò sonoramente.
«Si può sapere perché la festa l’abbiamo organizzata entrambi ma sono io quello che deve fare tutti i lavori pesanti?».
«Ma è ovvio», ghignò il moro: «Perché questa è casa dei miei e ciò fa di me il solo e unico direttore dei lavori». Gli posò la mano sulla spalla, parlando soavemente: «Un giorno anche tu potrai godere di questi privilegi con qualcun altro, don’t mind».
«TSK», esclamò Bokuto in risposta, «invece di sparare cazzate mettiti una maglietta e dammi una mano!». In effetti, la reginetta-di-casa-Kuroo (per – palesemente – evitare di abbronzarsi a chiazze) era in soli shorts e infradito – non esattamente l’outfit ideale per chi si prepara ad un lavoro pesante… non che questa fosse comunque la sua intenzione.
Ad ogni modo, Bokuto pensò di essersi fatto sfruttare abbastanza, cosicché il capitano della Nekoma fu costretto a spostare e collegare il fusto dove aveva precedentemente posizionato le bevande.
 
 
Tutto era incominciato quando, in pausa dall’allenamento, Kenma aveva ammesso di non essere mai stato in una piscina in vita sua. Il discorso poi era virato sulle vacanze nei vari resort che avevano fatto nella loro vita gli altri componenti della squadra, e Kuroo si era lasciato imprudentemente scappare che non era mai stato in posti del genere perché i suoi avevano una casa in periferia con giardino e piscina. Esatto, imprudentemente, perché non appena venne fuori che il capitano aveva goduto per anni di una simile fortuna senza condividerla si scatenò una sorta di ammutinamento e la squadra pretese di essere invitata in tale oasi a godersi un giorno di ferie. Kuroo si maledisse in tutte le lingue che conosceva, ma ormai era troppo tardi per riparare alla svista. Quella banda di casinari…
Si passò una mano tra i capelli, pensando a come farla pagare amaramente ad ognuno di loro (li avrebbe stremati a furia di ricezioni, oh, se l’avrebbe fatto), quando notò lo sguardo interessato di Kenma. Era un evento così raro e fugace che probabilmente solo Kuroo era in grado di non lasciarselo sfuggire, conoscendolo da tanto tempo – e, soprattutto, avendo fatto del far sorridere Kenma un lavoro a tempo pieno.
Il ragazzo non aveva mai trovato motivo di divertimento o gioia in qualcosa che non fosse lui stesso a procurarsi, come, ad esempio, quando si comprava un nuovo videogioco. Negli anni Kuroo aveva imparato a leggere quell’espressione particolare, impercettibilmente eccitata ed impaziente. E, ovviamente, non si sarebbe lasciato sfuggire nessuna occasione per renderlo felice.
Il problema era che la prospettiva di stare in piscina per la prima volta con quei compagni di squadra non era molto allettante – e come dargli torto. Kenma non era certo basso come Yaku, ma non sapeva nuotare. E sebbene Kuroo fosse il primo a credere nella filosofia del “buttali in acqua, che poi imparano”, non intendeva nel modo più assoluto lasciare Kenma nelle mani maldestre di Yamamoto o, ancora peggio, in quelle scoordinate di Lev.
Propose dunque di invitare – com’è che si chiamava?, piccoletto, salti incredibili… ecco!,  Shouyou Hinata, che aveva un incredibile ascendente su di lui. Ma probabilmente il pel di carota avrebbe voluto portarsi dietro il suo alzatore, e allora sta’ sicuro che anche il capitano e il vice capitano li avrebbero seguiti a tutti i costi da bravi genitori… Nah, troppa gente.
Stava per ritirare la proposta quando i ragazzi – capitanati, ovviamente, da Taketora Yamamoto – fecero fronte comune e applaudirono la grande idea di invitare tutta la Karasuno. E con questo era evidente che puntassero alla presenza, in costume da bagno, della loro bellissima manager. Solitamente Kuroo era leader autorevole, ma si trovò alle strette e fu costretto a cedere, pur di realizzare il suo obiettivo – anche il maestro delle provocazioni, Tetsurou Kuroo, aveva un’anima pura, in fondo.
 
 
Di certo sarebbe stato impossibile organizzare una festa per così tante persone in poco tempo tutto da solo, così Kuroo decise di chiedere aiuto al complice perfetto per queste situazioni.
«Come sta il mio gufo preferito?».
«Gatto», rispose una voce spavalda, dall’altra parte del telefono, «a cosa devo il dispiacere?».
«Non fare così, Bokuto», rise il capitano della Nekoma, «ti ricordo che di solito sei tu a sfiancarmi con le tue richieste e io, da persona gentile quale solo, ti assecondo sempre… o quasi sempre», sogghignò.
Quando Kuroo si avvaleva di quel suo tono mellifluo, Bokuto sapeva che stava per essere intortato – spesso in qualcosa che non gli sarebbe piaciuto. Ma non aveva voglia di pensare a delle contromosse mentali (troppo sbattimento), l’importante era che non la facesse lunga.
Invece fu così entusiasta dell’idea da frantumare il timpano del moro.
«HEY HEY HEY! Dunque anche il super intelligente Kuroo a volte ha bisogno del mio preziosissimo contributo!». Gongolò, ma si interruppe all’improvviso e dal ricevitore si sentì un’altra voce, più lontana, e il tono di Bokuto si fece più remissivo: «È Kuroo! Sì, sì, arrivo! … D’accordo, ma… resta ancora dieci minuti!» – con chi stava parlando? – « … No, ma ascolta, è un’idea perfetta! Senti qua, Akaashi…» – ah, ecco – «Una festa in piscina da lui con la sua squadra e la Karasuno –»
«Wait!», lo interruppe, «Bokuto, almeno chiedimelo prima di invitare altra gente a casa mia!».
«Che?», ribatté il ragazzo dai capelli argentati: «Non esiste che organizzi una festa e non ci sia Akaashi!».
Kuroo sospirò, sorridendo: «Immagino sia nel pacchetto… D’accordo, d’accordo. Non so dove metteremo tutte queste persone, ma ci faremo venire qualche idea. Piuttosto, caro Bokuto…», il gufo non poteva vederlo, ma stava ghignando maliziosamente, «che fate ed Akaashi? Vi esercitate in qualche battuta, per caso?».
«EH –», esclamò dall’altra parte del cellulare, «c-certo! Ci stiamo allenando da ore… duramente…». Anche a distanza, sapeva che si stava passano la mano libera tra i capelli in modo impacciato.
“E bravo il mio Bokuto”, pensò sorridendo, mentre chiudeva la chiamata.
 
 
Ad ogni modo, tra un intoppo e l’altro, la festa si era organizzata. E, se ve lo steste chiedendo, sì, nella piscina dei genitori di Kuroo riuscirono ad entrarci tre squadre di pallavolo. Certo, non potevano sfidarsi ai 100 metri farfalla, ma per i propositi della festa lo spazio bastava e avanzava.
I ragazzi interagivano con naturalezza senza bisogno di supervisione, cosa particolarmente gradita ai due organizzatori della festa, che ogni tanto gettavano occhiate per controllare che ogni cosa fosse al proprio posto. Loro erano fieri leoni e quel giardino la loro savana. Comunque, fatta eccezione per un angolo depresso al tavolo delle bibite formato da Tanaka, Yamamoto, Inuoka e Shibayama (sul serio, come avrebbero potuto pensare che Shimizu avrebbe accettato di venire in quel covo di testosterone…?), gli altri si stavano rilassando e godendo a proprio modo la freschezza della piscina.
Kenma era in piedi dove l’acqua era più bassa, gli arrivava esattamente sotto il petto. Accanto a lui, Lev si ergeva pressoché asciutto – e la sua pelle dannatamente chiara rifletteva la luce del primo pomeriggio come un pannello solare! – e Hinata – cui l’altezza dell’acqua rappresentava già un problema – stava evidentemente mostrandogli qualche trucco per sentirsi a suo agio a nuotare.
«… e poi PO-POW!, e ZYUUN!, uno dopo l’altro, e vedrai che andrà tutto bene!», esclamò agitando le braccia.
Da dietro passò Kei Tsukishima: «Meno male che gliel’hai spiegato chiaramente, adesso è in una botte di ferro», e si immerse allontanandosi.
«M-ma! Sarai bravo tu, Tsukishima!!», ribatté Hinata, agitandosi nell’acqua come un pulcino di corvo.
Kenma ignorò lo scambio di battute e sospirò: «Ma tanto dopo oggi non credo andrò mai in piscina, non è proprio necessario imparare ora…», e meno male, perché così Hinata si distrasse ed evitò di saltare sulle spalle del proprio compagno di squadra. Un inquietante Kageyama osservava tutta la scena da sotto l’ombra del portico, bevendo dalla cannuccia in piccolo cartone di latte che con tutta probabilità si era portato da casa.
«Ma no!», sorrise Hinata: «Nuotare è bellissimo! E una volta che impari non puoi più dimenticartelo!».
«Ha ragione», gli fece eco Lev: «E poi potrai partecipare ai giochi in acqua o alle gare di tuffi!». Detto questo prese Hinata e lo caricò sulle spalle. Il pel di carota in quel momento acquistò una tale altezza che i suoi occhi brillarono e sicuramente lo sentirono esultare anche nelle case vicine.
«Osserva, Kenma, guarda come –»
«LEV».
Il giappo-russo si congelò seduta stante. Conosceva benissimo quella voce. Non aveva certo bisogno di voltarsi per vedere a chi appartenesse, ma lo fece comunque: Yaku – entrambi emisero un grido di terrore –, sebbene fosse solo la metà di Lev (contando anche Hinata, un terzo), non solo non era per nulla intimidito, ma l’ombra che lo riempiva completamente lo rendeva paurosamente minaccioso.
«Lev», riprese Yaku, «non ti pare che non ci sia spazio per lanciarlo? Finiresti per colpire qualcuno o fare male ad Hinata stesso». Il suo sguardo non ammetteva repliche e il gigante provvide immediatamente a rimettere in acqua un altrettanto atterrito piccolo corvo.
«Hinata, ricordati di mettere la crema solare. In acqua ci si abbronza molto più velocemente», disse gentilmente Sugawara, raggiungendo il gruppo e superandolo. Yaku lanciò un’ultima occhiata intimidatoria a Lev e poi seguì il ragazzo con il neo sotto l’occhio – ODDIO, la sua espressione ritornò inoffensiva nel giro di un nanosecondo, quel nanetto era inquietante!
Yaku e Sugawara si sedettero a bordo piscina, immergendo in acqua soltanto i piedi. Come delle mamme che si godono un istante di riposo mentre i propri figli giocano con i loro amichetti, i due si misero a chiacchierare indisturbati senza preoccuparsi di nascondere il fatto che stessero spettegolando sui propri compagni di squadra. Un placido Asahi Azumane nuotò verso di loro – probabilmente in cerca di qualche adulto con cui parlare – dopo essere stato lasciato da Nishinoya per la gara di tuffi appena inauguratasi. Evitò il gruppo di schiacciatori della Fukurodani che aveva improvvisato una pallavolo ad eliminazione – ma l’accortezza purtroppo non poté nulla contro la sua proverbiale sfortuna, poiché Saruki lo prese in pieno con una schiacciata troppo potente (in lontananza si sentì la risatina di Daichi). Meno male che la palla era di gomma.
«Asahi, questo me l’ha dato prima Kuroo, ha detto che lo puoi tenere a bordo piscina se ti serve», disse Sugawara. Sorridendo porse all’asso della Karasuno quello che si rivelò essere un posacenere – l’alzatore se la rise malignamente sotto i baffi.
Asahi non sapeva più che pesci pigliare: «Perché pensano tutti che sia un teppista…».
«Sarà colpa di quella tua voce da fumatore», suggerì Suga.
«O dal fatto che porti i capelli come un artista fallito», rincarò Yaku.
«O dal tribale che hai sul sedere –»
«COSA?», esclamò Yaku, malignamente interessato.
«S-suga, smettila di spargere la voce che –»
«Questa la voglio sentire», si intromise Tsukishima, accompagnato da Yamaguchi, interrompendo il debole tentativo di Asahi di difendersi. Solitamente il biondo non si concedeva mai di bighellonare con loro del terzo anno, perciò Suga non poté che essere contento del suo ingresso e decise dunque di buttare benzina sul fuoco.
«Puoi scommetterci!», sorrise strizzando l’occhio: «Anzi» – e il suo sguardo diventò sinistramente malizioso – «apriamo proprio una scommessa su quale natica si trovi e che forma abbia».
Asahi capì dagli sguardi dei ragazzi che ormai non l’avrebbero lasciato in pace facilmente e cercò disperatamente un modo per venirne fuori, quando vennero tutti distratti dall’inconfondibile e profonda voce di Daichi.
Si dà il caso che la gara di tuffi avesse attirato più partecipanti del necessario. Dopo lo strabiliante avvitamento di Kai, un salto sincronizzato-non-proprio-sincronizzato di Hinata e Kageyama, la bomba di Tanaka e la spanciata di Bokuto – spinto a tradimento dai propri compagni di squadra, Nishinoya aveva iniziato come suo solito a fare un casino tremendo annunciando i nomi improponibili dei tuffi che intendeva fare. Probabilmente sarebbe anche riuscito a portarlo a termine se non si fosse vantato della speciale tecnica che intendeva usare per alzare più acqua di tutti gli altri tuffi messi insieme. Invece, dopo una breve rincorsa e un salto molto elegante, fece appena in tempo a gridare: “SPLASHING THUNDER!”, che il capitano della Karasuno, l’affidabile Sawamura Daichi, afferrò l’elastico dei suoi pantaloncini arancio fluo ammonendolo con uno sguardo che ricordava spaventosamente le pitture europee dei cavalieri dell’Apocalisse.
«Noya, dacci un taglio. Ricordati che sei comunque un senpai», disse con calma, sorridendo – in un modo più minaccioso che altro.
Alla magica parola “senpai” il volto di Nishinoya si infervorò: «Ma proprio per questo, Daichi! Un senpai non deve limitarsi a mostrare le tecniche di pallavolo, ma anche in questi casi –»
Daichi ne ebbe abbastanza e lo lasciò cadere in acqua di faccia.
 
Poco distante Kuroo osservava tutta la scena con l’autorità di un bagnino, ridendosela sotto i baffi. Non era seriamente preoccupato del fatto che qualcuno potesse rompere qualcosa o creare qualche danno, ma vedere che i responsabili delle varie squadre sapessero tenere a stecchetto i propri “figli” quando oltrepassavano il limite era sicuramente di grande aiuto. La Karasuno poteva contare sui tre ragazzi del terzo anno, la sua Nekoma non presentava particolari problemi e la Fukurodani… be’, era un intero team di babysitters per Bokuto.
E, parli del diavolo – il capitano dei gufi riemerse dall’acqua proprio accanto a lui. Incredibile come quei capelli argentei riuscissero pressoché a stare ancora ritti.
Bokuto si eresse sul muretto con la sola forza delle braccia e, ancora gocciolante, si posizionò vicino a Kuroo: «Dunque è vero che i gatti non amano l’acqua», sorrise, mettendo le mani sui fianchi.
Il capitano della Nekoma non gli concesse più di una risatina in risposta e proseguì: «Divertente… sei riuscito a portare Akaashi in piscina?».
«Non c’è nulla che il qui presente fenomeno non riesca a fare!», esclamò Bokuto, scintillando d’orgoglio: «Anche se in realtà penso che ad Akaashi l’acqua piaccia parecchio, visto che è un bravissimo nuotatore… eccolo, è là! Akaashi!». Lo chiamò con un’enfasi toccante, ma l’alzatore della Fukurodani stava parlando con Tsukishima di non si sa cosa e non se ne accorse – o, conoscendolo, lo ignorò apposta – e il povero Bokuto sospirò con una tristezza infinita, facendo ciondolare le braccia come inanimate.
Kuroo rise sommessamente della scena e ne approfittò per occhieggiare Kenma – che al momento si era seduto sul bordo insieme a Yaku e Sugawara. «Non pensarci, bro!», esclamò poi, rinvigorendo l’amico: «Piuttosto, aiutami a capire se c’è bisogno di qualcosa», disse, osservando con attenzione l’intero giardino per capire/prevedere se ci fosse qualcosa che non andava.
«Amico, rilassati», sorrise il ragazzo dai capelli argentati, «tutti si stanno divertendo, la musica è una bomba, in cielo non si vede una nuvola… Cosa può andare storto?», concluse dandogli una pacca sulla spalla.
A Kuroo calò un’ombra tetra sul viso.
«Non puoi averlo detto davvero…», disse volgendosi verso Bokuto in una maniera per nulla inquietante che ricordava Samara di The Ring.
«… Cosa?».
«Lo sanno tutti che non bisogna dire che una cosa avrà successo prima che effettivamente riesca!».
«Ma…», Bokuto riuscì a restare serio per giusto due secondi, prima di iniziare a ridere: «Kuroo, non ci posso credere… sei così scaramantico? E dire che sei un gatto nero…!».
«Magari pensa a non tirarcela, stupido gufo! Io ti giuro, se succede qualcosa –»
 
Oh, povero Kuroo, pessimo tempismo.
Il capitano della Nekoma aveva in mente la minaccia perfetta con cui terminare la frase ad effetto, una minaccia bellissima, ma non fece in tempo a finire la frase che un insieme di esclamazioni concitate lo interruppe e – quel che è peggio – non coprì affatto il sinistro rumore di un tavolo che si rovescia.
Si voltò appena in tempo per registrare quanto era appena accaduto: una palla di gomma da piscina, scagliata alla velocità della luce, aveva impattato con la forza di un meteorite proprio contro una delle gambe del tavolo da esterni sopra cui erano posizionati gli snack, che ora riversavano sulle mattonelle.
Kuroo si voltò verso Bokuto: «… È colpa tua».
«Che?! Un missile come quello ti falcia il tavolo e la colpa è mia?».
No, la colpa non era di Bokuto – anche se avrebbe potuto evitare di sfidare la potenza del Fato. Nel momento immediatamente successivo allo sgomento generale si alzarono una marea di voci che cercavano di fare disordinatamente luce sulla questione:
«Ma cos’è successo?».
«Chi è stato?».
«Ma era una veloce quella?»
«Che forza!».
«Woah, avete visto che potenza?».
«Sì, d’accordo, ma chi è stato a –»
«HINATA!».
La voce di Daichi sovrastò le altre – come se non si fossero già accorti tutti del piccoletto che aveva iniziato a scusarsi ripetutamente, quasi che stesse recitando un mantra.
«Hinata, ma ti pare il caso di schiacciare così forte circondato da oggetti – e persone – fragili?».
«M-mi dispiace! Mi dispiace tantissimo! È che Kageyama mi ha fatto un’alzata perfetta e mi sono fatto prendere la mano –»
«Stupido Hinata!! Non cercare di darmi la colpa!», esclamò il moro, avvampando: «Se salti in modo così perfetto è chiaro che mi venga voglia di farti una veloce! Idiota!».
«Tsukki!», si inserì Kuroo, con un sorrisetto: «Fai pena! Eri così vicino e non sei nemmeno riuscito a murarlo!».
«Tsk! Non immaginavo che anche da fermo e in acqua riuscisse a saltare così in alto…!».
«Wow, quindi vuol dire che il piccoletto ha eluso il muro e ha mirato? Grandioso!», esultò Bokuto.
«Direi che invece di pensare a questo dovremmo concentrarci su che cosa mangeremo», fece notare Akaashi, che nel frattempo era uscito dalla piscina e si era avvicinato all’asso.
Tanaka e Nishinoya stavano già caricando Hinata sulle spalle per festeggiarlo – sotto gli sguardi di due impressionate Nekoma e Fukurodani – quando Daichi pensò fosse ora di prendere in mano la situazione. Non dovette alzare la voce né una mano per farsi ascoltare – la sua autorevolezza si imponeva da sola, si avvicinò semplicemente al gruppetto di corvi con le mani sui fianchi… sorridendo. E tutti si congelarono lì dove si trovavano.
«Questa è una giusta osservazione», iniziò, seguendo ciò che aveva detto Akaashi, «bisogna rimediare. Hinata, penso che tu sia stato molto fortunato che non si sia rotto nulla, ma ora il cibo resta inutilizzabile. Che ne dici di andare a ricomprarlo?» . Anche se suonava come una richiesta arrivava al cuore come un ordine irrevocabile.
Hinata provò a ribattere, ma la verità era che si sarebbe appigliato a qualsiasi proposta pur di rimediare a ciò che aveva fatto – e non che comunque avesse molto potere persuasivo circondato da ragazzi che lo superavano di venti o trenta centimetri. Dunque preferì reagire energicamente ed accettare di buon grado, inchinandosi un paio di volte in tutte le direzioni.
Se da un lato questa scena così carina scaldò i cuori e rasserenò i ragazzi delle squadre, dall’altro lasciò insoddisfatto il loro senso di vendetta e di designare una vittima che non prendesse la punizione con così tanta sportività. Rare volte accade che un certo sentimento sia così uniformemente condiviso, e questo spettacolare quanto raccapricciante fenomeno si rivelò grazie ad un anonimo nella piscina che diede voce al desiderio di sangue di tutti:
«… per me dovrebbe andare anche Kageyama…».
«Che cosa?!», neanche a dirlo, l’interessato cadde dal pero.
«... effettivamente anche lui ha la sua parte di colpa!».
«Giusto!».
«Non fa una piega!».
«Sì!! Anche Kageyama!».
«KAGEYAMA! VOGLIAMO KAGEYAMA!».
Kuroo, dall’alto della sua postazione (quanto amava sentirsi sovrano nel caos) , in piedi vicino al bordo, con il sole leggermente alle spalle, si rivolse al proprio popolo nella piscina facendo cenno con le mani di calmarsi. Quando le voci si furono acquietate proclamò solennemente – con il suo solito sorrisetto che non presagiva niente di buono: «… Cari ospiti, so quanto vorreste veder punito Kageyama per il fatto che siamo improvvisamente rimasti senza cibo…».
«Ma se non ho fatto nulla!».                                                                                                                   
Kuroo lo ignorò e proseguì: «… ma non possiamo avventarci così sulla povera Karasuno. Lasciamo quindi che siano loro a scegliere cosa fare». Si udirono delle voci dalla Nekoma inneggiarlo sommessamente: «… che sovrano clemente!».
Dunque tutti i ragazzi arretrarono, in silenzio e in ascolto: Tobio Kageyama si trovò circondato dai propri compagni di squadra. Deglutì sonoramente, alzando lo sguardo su di loro, cercando pietà…
Ma stampati in volto avevano dei sorrisi così perversi che non lasciarono dubbi su quale sarebbe stata la loro decisione.
 
 
«Stupido Hinata…».
«Ancora, Kageyama? Mi sono già scusato un sacco di volte! Cosa vuoi di più?».
Camminavano da soli cinque minuti e l’alzatore non aveva ancora smesso di mugugnare maledizioni. Il rosso ovviamente si sentiva un po’ responsabile, ma questo non significava che avesse intenzione di subire più rimproveri del dovuto. Ora che il danno era fatto e si trovavano in missione insieme tanto valeva collaborare per finire più in fretta, no? Ovvio. E prima avrebbero comprato da mangiare, prima sarebbero potuti tornare in piscina. Con il suo pessimo senso dell’orientamento e predisposizione a farsi sfruttare non ce l’avrebbe mai fatta senza di lui! Dunque, dato che il moro continuava ad ignorarlo – camminava proteso in avanti come un predatore, cinque passi avanti a lui – lo superò in tre balzi e gli si parò davanti, più convinto che mai a cercare di fare pace.
«Insomma! Quante altre volte dovrai insultarmi per sentirti soddisfatto?».
Hinata gli sbatté a dieci centimetri dal viso i suoi grandissimi occhi nocciola e in essi c’era una vulnerabilità così sincera da essere disarmante.
Kageyama andò in ebollizione in meno di due secondi.
«… A-almeno altre cento!!», e corse via alla velocità della luce.
«Ma – ?! Fermo! Kageyama!!», Hinata lo seguì a ruota, urlando per la strada: «Se arrivo primo mi dovrai perdonare!!!».
 
L’esca della Karasuno diede al moro del filo da torcere, tant’è che – com’era prevedibile – arrivarono praticamente nello stesso istante. Meno male che il supermercato fosse facilmente riconoscibile e non si trovasse in qualche viottola secondaria, altrimenti i nostri eroi non ci sarebbero mai arrivati, presi com’erano dalla gara – senza senso.
«Ho… vinto io… Kageyama…», ansimò il rossiccio, riverso sulla schiena.
«Ma neanche… per idea… scemo di un Hinata…», gli fece eco l’alzatore, inginocchiato di fronte alla porta automatica.
«Sono arrivato primo… non dire stupidaggini!», esclamò in risposta – anche se sembrava stesse esalando l’ultimo respiro. Kageyama si voltò verso di lui e lo pietrificò con uno sguardo. Probabilmente non si era ancora ripreso dalla vicinanza agli occhioni di Hinata, oppure era semplicemente stordito per l’improvviso calo di zuccheri dopo la folle corsa sotto il solleone, fatto sta che probabilmente non sapeva bene cosa stesse dicendo quando dal nulla affermò: «Dobbiamo fare un’altra gara!».
«Che gara?», gridò Hinata alzando la testa, improvvisamente interessato – la fatica completamente dimenticata!
«A chi compra più snack in meno tempo!!», gridò Kageyama di rimando, completamente fomentato.
In quel momento uscì una vecchietta con appresso un trolley da cui spuntavano i lunghi gambi di due sedani. Si fermò un istante a guardarli – e certo non si premurò di nascondere che li stava pesantemente giudicando – e poi proseguì passetto dopo passetto.
I due avvamparono per la vergogna. Si scambiarono un’occhiata, si alzarono in silenzio ed entrarono nel supermercato – non fu necessario dirsi esplicitamente che quell’idea fosse una grandissima idiozia.
Il locale era abbastanza deserto.
Il commesso vicino all’entrata alzò leggermente gli occhi al loro ingresso, per poi tornare a sfogliare pigramente una rivista. All’interno l’aria condizionata era abbastanza alta e si sentiva dalla radio una qualche musica commerciale.
«Hinata», disse Kageyama, allungando una mano verso di lui, «tira fuori la lista».
Ah, già la lista! Dovete sapere che Kuroo, nella sua immensa bontà, aveva lasciato loro un elenco abbastanza fornito di ciò che avrebbero potuto – dovuto – prendere: non che non si fidasse, di suo… ma avendo visto Daichi e Suga scuotere velocemente la testa optò per quella soluzione.
Dunque, questa lista. Un foglietto di carta strappato da un’agenda a caso, con sopra qualche veloce scritta. Affidato ad Hinata. Hinata che aveva appena corso un isolato e mezzo alla massima velocità per raggiungere e sorpassare Kageyama.
Si accorse di non averlo in mano che ormai era già troppo tardi.
«Io… mi sa proprio che l’ho perso…», mormorò guardandosi attorno concitato, sperando quasi di trovarlo magicamente nei paraggi.
«Cosa? Ne sei sicuro?». Kageyama si fermò accanto a lui e il suo volto non prometteva clemenza.
«S-sì, non ce l’ho più! E adesso come facciamo?», si agitò il rosso, strattonandolo per la maglietta.
«Ah, non guardare me! Ma è possibile che tu non riesca a fare una cosa fatta bene?!», rispose il moro, sospirando seccamente.
«Ma guarda che se l’ho perso è per colpa della gara di corsa che hai iniziato! Devi darmi una mano, Kageyama!». Lo guardò ancora con quei grandi occhi, completamente persi; in più a quanto pareva non aveva intenzione di lasciarlo andare. Effettivamente l’alzatore dovette riconoscere che c’erano dentro entrambi: non importava che la lista fosse una responsabilità di Hinata, perché se fossero tornati a mani vuote avrebbe passato le sue stesse conseguenze. Coraggio, aveva fatto progressi negli ultimi tempi, poteva riuscire a fare – almeno un po’ – gioco di squadra.
Abbassò quei suoi intensi occhi blu sul piccoletto, sforzandosi il più possibile di essere cordiale: «A-allora… vediamo di… trovare una soluzione… insieme». Fu più forte di lui: sul finale distolse lo sguardo e arricciò le labbra, arrossendo leggermente – ma il più era fatto: ora che aveva stabilito un contatto sapeva di poter contare sull’entusiasmo di Hinata e sfruttare la sua velocità di esecuzione per riempire in breve tempo più cestelli riuscissero, sotto le proprie direttive. Aveva dato un’occhiata alla lista di sfuggita, ma era riuscito a memorizzarla quasi tutta; dunque prese Hinata – ancora esultante per la loro collaborazione – e dopo avergli affidato un cestello lo sguinzagliò tra gli espositori a fare razzia degli snack. Ovviamente gli aveva riservato le marche più note perché le riconoscesse facilmente (a sedici anni non era necessario che gli controllasse la spesa… vero? Vero?), mentre lui si sarebbe occupato contemporaneamente di quelle meno conosciute.
Entrambi presero incredibilmente sul serio la nuova soluzione e, anche se non si trattava più di una gara tra loro, erano concitati al massimo, tant’è vero che Hinata scattò velocemente di reparto in reparto senza farselo ripetere due volte, così eccitato e su di giri che veramente pareva non aver fatto alcuno sforzo fisico fino al minuto precedente.
Ad ogni modo, il piano di Kageyama avrebbe anche potuto avere successo se solo non si fosse dimenticato che l’incredibile intuizione del rosso fosse applicabile quasi esclusivamente alla pallavolo. La memoria visiva di Hinata non era così sviluppata come la sua perciò, anche se di nome conosceva certamente le marche che doveva cercare, non aveva che un’immagine confusa della loro confezione. Sì, d’accordo, molte firme è impossibile non conoscerle, specialmente per la quantità industriale di spot che ne fanno in giro, ma quando la mattina ti svegli all’alba per fare jogging, fai più di trenta minuti in bicicletta per arrivare alla tua scuola – dove passi praticamente anche tutto il pomeriggio ad allenarti – per poi tornare a casa la sera e ricominciare lo stesso tran tran – fatta eccezione per il giorno in cui giochi una partita in trasferta – quando lo trovi il tempo di guardare la televisione?! Ecco, dunque, no: Hinata non era al corrente delle pubblicità che andavano in voga. Per questo, nel tempo che servì a Kageyama per finire la ricerca nel primo espositore, fece tre volte il giro attorno al banco frigo dei gelati senza concludere nulla per il terrore di sbagliare.
Poi, senza perdersi d’animo, pensò che semplicemente poteva aver confuso la tipologia di cibo, e cambiò nuovamente zona, alla ricerca di un marchio che facesse chiarezza nella sua nube indistinta di forme e colori sgargianti… senza rendersi conto di starsi addentrando nel reparto Casalinghi&Bricolage, dove certamente non avrebbe trovato ciò che cercava… ma l’espressione assassina che Kageyama avrebbe certamente fatto nel caso del suo fallimento era talmente spaventosa all’idea da annebbiargli la vista e mandargli il cervello a mille eSBAM!
Hinata cadde all’indietro, perdendo l’equilibrio. Maledizione, aveva impattato contro qualcosa! Faceva malissimo! Sapeva di dover esitare prima di svoltare l’angolo…
«Che botta».
«Ehi, ma guarda chi si rivede~!».
Oh cavolo. Non aveva sbattuto contro una pila di scatole da sistemare o robe del genere: era una persona – solida come una montagna, per la miseria, ma pur sempre una persona!
Scattò in piedi mortificato al massimo: «M-Mi dispiace!! Scusami tanto, andavo veloce e non ho fatto caso a –»
Ma solo una volta alzato finalmente lo sguardo si rese conto di avere davanti a sé il capitano della Shiratorizawa, Ushijima Wakatoshi – rimasto completamente impassibile.
Hinata sentì lo stomaco chiudersi. Non sapeva minimamente cosa dire o cosa fare e l’ansia ebbe la meglio: «… Japan!», gli sfuggì, acuendo lo sguardo e assumendo una posizione di difesa istintiva.
Venne ignorato. Da dietro il ragazzo alto un metro e novanta sbucò un tizio dai pungenti capelli rossi, quel temibile centrale della Shiratorizawa – era impossibile dimenticarsi quel suo sguardo raccapricciante!
 «Tu sei il centrale della Karasuno, vero?», parlò il tizio inquietante.
«Hinata Shouyou», disse Ushijima con quella sua voce bassa, fissandolo intensamente.
«Sì, comunque, quello dei salti altissimi! L'esca, giusto?».
Appena Hinata registrò il commento si risentì e cercò di puntualizzare: «N-non sono solo –»
«Lui è la migliore esca», disse una voce decisa alle sue spalle: «Quella che è riuscita a portare a casa un sacco di punti durante la nostra partita».
Kageyama era comparso dietro di lui e stava osservando i due più grandi con uno sguardo di sfida.
«… E tu sei l’alzatore», continuò il ragazzo dai capelli rossi, bypassando completamente la provocazione: «Rilassati, non intendevo offendere nessuno!». Probabilmente la risata voleva essere cordiale, ma il suo suono era curiosamente sinistro.
«Kageyama Tobio…», parlò Ushijima: «Spero vi stiate allenando, perché in futuro non sarà così semplice vincere contro di noi».
Il rosso alzò gli occhi al cielo perso in qualche pensiero e sia Kageyama che Hinata evitarono di sottolineare che non era stato affatto semplice battere la Shiratorizawa, ma comunque. Trattennero il fiato e risposero con un cenno del capo; lo sguardo di Ushijima Wakatoshi li aveva inchiodati al loro posto, carico di tensione.
«Bene», disse poi il capitano, rompendo il silenzio: «Buona giornata, allora», e fece per congedarli.
In quel momento i nostri eroi sembrano rendersi conto finalmente che non si trovavano su un campo da pallavolo, ma in un supermercato in periferia durante una calda giornata di ferie. Nel reparto disinfettanti, cerotti, smalti. Senza la divisa della scuola o della squadra, ma in semplice t-shirt scura e pantaloncini corti. Una situazione completamene normale. Che stavano facendo lì–
Oh.
OH.
Gli occhi Kageyama ed Hinata fecero lo stesso percorso. Seguirono il braccio di Ushijima fino a ciò che teneva in mano, ed era un’inequivocabile confezione di–
«Che c’è?», chiese l’asso, notando i loro sguardi.
«NIENTE!», scattarono entrambi i ragazzi, rossi fino alle orecchie, cercando disperatamente qualcosa da dire per superare l’imbarazzo di trovarsi attaccati ad un dispenser della Durex.
«C-C-C-Che fate voi oggi d-d-di bello?!», esclamò Hinata improvvisamente, facendo guadagnare ancora più rossore a Kageyama: come se non fosse chiaro che cosa intendessero fare “di bello”…!
Ushijima parve sorpreso dalla domanda. Lanciò un’occhiata al ragazzo che lo accompagnava – che al momento si era allontanato canticchiando qualcosa nel suo classico modo inquietante – e poi rispose semplicemente: «Nulla di particolare. Probabilmente saremmo andati a vedere un film sul tardi. Per ora stavamo solo facendo la spesa».
L’ultima affermazione fece ricadere i nostri eroi nell’imbarazzo più totale – piano fallito, non solo non erano riusciti a portare il discorso su qualcos’altro che non fosse quello stramaledetto pacco di preservativi che Ushijima aveva appena messo nel cestello (in cui avevano il terrore di scoprire cos’altro ci fosse), ma Hinata andò ancora di più nel panico! Kageyama gli lanciò un’occhiata e sapeva benissimo che quell’espressione sconvolta significava che avesse il cervello completamente scollegato, ma nonostante ciò non riuscì a fermarlo prima che dicesse:
«B-Be’, allora, se non avevate programmi precisi allora venite con noi!».
Kageyama sbiancò.
«Siamo ad una festa in piscina a casa del capitano della Nekoma!», continuò Hinata, parlando a macchinetta – accidenti, bloccarlo adesso sarebbe stato estremamente scortese! E se poi quel gigante se la fosse presa con loro? I suoi pugni dovevano fare un male cane! Be’, avrebbe venduto cara la pelle, di sicuro era molto più veloce di quel colosso…
Mentre Kageyama pensava a questi scenari di morte Hinata continuò ad illustrare ad Ushijima come si stava svolgendo la festa e chi vi avesse preso parte.
«È praticamente qui vicino! Perché non venite con noi tu e…».
«… Satori Tendou».
«S-Sì, esatto».
«Ma qual è lo scopo di vedersi con le proprie squadre senza giocare a pallavolo?», commentò il capitano della Shiratorizawa. Ottimo, ottimo, il suo scetticismo cadeva a fagiolo, probabilmente non si sarebbe lasciato influenzare oltre dall’invito…
«Come qual è lo scopo?!», si ringalluzzì Hinata, improvvisamente: «Come si può essere uniti sul campo se non lo si è nella vita? Lo dice sempre Daichi: la squadra è una squadra anche fuori dal campo! O qualcosa del genere…». Oddio, ma perché Hinata era passato alla modalità “convincimento assicurato”? Si era forse dimenticato che il loro scopo non era portarsi dietro quei due?!
No, un attimo, Kageyama si conosceva bene, sapeva che non avrebbe resistito a dei discorsi sulla squadra e la pallavolo, che adorava; presto anche lui avrebbe finito per assuefarsi della sua più grande passione e ragione di vita fino a dimenticare chi fosse e perché si trovasse lì. Sapeva di non avere brillanti capacità sociali, d’accordo, ma doveva sforzarsi di tirare fuori il meglio e di tentare il tutto per tutto.
Dunque era arrivato il momento di salvare la situazione.
Si avvicinò ancora di più ai due, interrompendo Hinata. Ignorò il rossore che si stava espandendo sul viso, si schiarì la gola e iniziò:
«Be’, –»
 
 
Com’era prevedibile, alla fine Hinata e Kageyama ritornarono alla piscina accompagnati da Ushijima Wakatoshi e Satori Tendou. I due sembravano essersi pressoché ambientati, contro ogni aspettativa.
Certo, inizialmente vederseli davanti aveva procurato non poco scalpore – una volta capito chi fossero c’era stato un restringimento di chiappe collettivo; la Karasuno in particolare aveva assunto un’agguerrita posizione di difesa – fino a che Bokuto non si fu goliardicamente lanciato alla conoscenza di questi nuovi arrivati invadendo fin troppo il loro spazio personale, ristabilendo la giusta atmosfera. Kuroo ringraziò la sua buona stella di avere come bro tale prorompente portatore di felicità – be’, ok, quando venne il momento di conoscere Tendou i suoi istinti innati da rapace lo misero in posizione d’attacco, ma lì subentrò il capitano della Nekoma con la sua sopraffina e suadente arte oratoria. Si sentì inoltre un vero e proprio benefattore quando riuscì a portare nella conversazione perfino Daichi: anche se la Karasuno e la Shiratorizawa si erano affrontate in un tostissimo match, non significava che ora i capitani non potessero andare d’accordo tra loro. Daichi sembrò apprezzare velocemente questa stessa opinione, infatti, dopo un primo momento di incertezza, si dimostrò molto aperto e cordiale nei confronti di Ushijima – anche perché sicuramente non lo trovò terribile ai livelli di Tooru Oikawa, perciò…
Il vero problema al ritorno dei quattro, infatti, fu un altro.
«Come sarebbe a dire che di tutta la lista avete comprato solo… questo?!», sibilò Kuroo con un sorriso ben poco rassicurante, alzando ad altezza occhi una busta della spesa.
Incontrare il capitano e il centrale della Shiratorizawa aveva completamente cancellato dalle menti di Hinata e Kageyama il motivo per cui si trovassero al supermercato. Al momento di tornare alla festa, stralunati e confusi per aver invitato i due senza rendersene conto – né desiderarlo, si erano diretti alla cassa con solo ciò che Kageyama era riuscito ad arraffare dalla prima ispezione. Certo, era una busta bella fornita – ma non sarebbe bastata sicuro per tre squadre di pallavolo.
«P-possiamo spiegare –», iniziarono a scusarsi.
«Lasciamo perdere», sospirò, dicendo loro di non preoccuparsi con un cenno della mano. Daichi e Suga avevano provato ad avvertirlo, la colpa era solo sua. Di certo non avrebbe potuto immaginare che facessero un simile incontro in un supermercato…!
«Non demoralizzarti, bro! Ho avuto un’idea!», esplose Bokuto, al suo fianco: «Vorrà dire che ordineremo qualcosa da asporto e continuerà come festa notturna!». Gli diede una gioiosa pacca nella schiena per enfatizzare ancora di più l’ottima pensata.
«Bokuto…», sorrise pericolosamente Kuroo, «non hai proprio un briciolo di ritegno nello sfruttare casa mia?».
«Andiamo!», rise l’altro, allungandogli un’altra pacca. Ok, finalmente il gel dei capelli non reggeva più e i ciuffi argentati gli ricadevano sul viso un po’ ovunque – “finalmente” perché se fosse durato solo un altro po’ Kuroo avrebbe pensato che il suo bro avesse dei poteri sovrannaturali.
Il quasi-supereroe in questione continuò: «Queste persone chiedono una festa! Ed è nostro preciso compito trovare la maniera di dargliela!».
A quel punto scattò qualcosa nella mente di Kuroo, che per un istante si vide incoronato dal già citato popolo della piscina, acclamato ed osannato come un salvatore.
«Hai ragione, bro», disse con tono solenne, appoggiando una mano sulla sua spalla, «non possiamo certo lasciare delusi questi poveri invitati. E sia. Facciamolo». Poi si voltò verso il sole che cominciava la sua parabola discendente, mostrando le spalle agli altri, ed aggiunse: «… Per loro».



Angolo dell'autrice:
Questa fanfic è nata in un periodo di sclero pre-sessione estiva/laurea dalle menti malate delle mie bros, che mi hanno gentilmente costretta a scrivere qualcosa di comico. Non è il mio forte, siete stati avvisati. Mi sono presa parecchie licenze poetiche, come il periodo scolastico.
(Consigliato l'ascolto di questa canzone per capire che cosa ci ispira quando pensiamo a Kuroo e Bokuto: https://youtu.be/IQ_SrPpXb3E)
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: _root