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Autore: Lady1990    14/08/2017    3 recensioni
[Questa storia è il seguito di "Nell", di cui si consiglia la lettura per un'adeguata comprensione.]
Sono trascorsi poco più di vent'anni dalla scomparsa di Ysril. Nell, dopo aver atteso invano il suo ritorno, ha lasciato la valle di Mesil e si è messo sulle sue tracce. In compagnia di Reeven, un improbabile ladro che somiglia in modo inquietante al suo amato demone, e altri compagni, dovrà scoprire cosa è successo a Ysril e salvarlo da una minaccia ancor più grande della guerra che incombe sul mondo intero. E se una strega arriva a complicare le cose, la missione non si profila certo una passeggiata.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nell guardò impietrito la vecchia, il cervello che saltava da una domanda all’altra a una velocità sconcertante, tanto da provocargli un capogiro. Che intendeva con “figlio mio”? Quella non era sua madre. Al massimo una bisnonna.
La paura si intensificò non appena la vide oltrepassare le sbarre della cella come se fossero fatte d’aria. I teschi appesi alla cintura dondolavano e cozzavano tra loro ad ogni passo, il rumore come di sassolini agitati in una scatola che rimbalzava sui muri e nello sterno di Nell.
“Stai tranquillo, non ti farò del male.” bisbigliò la strega, avanzando nella cella con studiata lentezza, quasi volesse dargli il tempo di elaborare la situazione e calmare il battito frenetico del suo cuore.
“Nell!” gridò spaventato Ysril, “Nell, che- cos’è questo odore? Ma che…” un ruggito si riverberò sulla pietra e sembrò scuotere le fondamenta stesse della terra, “Ze’hik, lurida schifosa, lascialo stare! Non provare a toccarlo o io ti giuro che-”
“Oh, taci.”
Le minacce del demone vennero zittite da un gesto secco della mano della vecchia. Le prigioni piombarono all’improvviso in un silenzio assordante, interrotto soltanto dal respiro accelerato di Nell, il quale avvertiva le ginocchia tremanti in procinto di cedere da un momento all’altro. Ma rifiutò di mettersi in una posizione ancora più vulnerabile di fronte a un essere di cui non conosceva il potere, non le avrebbe mai dato la soddisfazione di vederlo rannicchiarsi in un angolo come un coniglio. Raccolse tutto il coraggio di cui disponeva, purtroppo non molto, e si fece avanti.
“C-cosa gli hai fatto?” balbettò.
“Sta dormendo, non preoccuparti.” rispose la strega.
“Chi sei? E perché mi hai chiamato ‘figlio’?”
“Tra gli uomini sono conosciuta come la Sylmaran, tra i demoni come ze’hik, ed entrambi questi nomi significano ‘prima strega’. Sono stata la prima della mia stirpe.” spiegò paziente, fermandosi a soli un paio di passi da Nell, “Per quanto riguarda la seconda domanda, è semplice: sei uno dei miei figli. Non sei nato dal mio grembo, non sono tua madre in quel senso. Quando dico ‘figlio’ mi riferisco alla magia che scorre nelle tue vene. Tutte le streghe e tutti gli stregoni sono figli miei, discendono da me.”
Nell scosse la testa confuso: “Io non sono uno stregone.”
“Oh, mio caro, sì che lo sei.” ridacchiò la Sylmaran, “Il tuo potere non si è ancora sviluppato, ti è mancato un maestro e la pratica, ma è lì, dentro di te. Arde come un piccolo fuocherello, puro, incontaminato, in attesa di esplodere con la forza di un vulcano.”
“Il fatto che sappia compiere qualche incantesimo minore non fa di me uno stregone.” ribatté, respingendo in un anfratto remoto della coscienza il dubbio che la vecchia aveva instillato in lui.
Non era uno stregone, punto. Era figlio di un fornaio.
“Invece sì. Se tu non fossi uno stregone, non riusciresti a padroneggiare un incantesimo, nemmeno il più innocuo. È così e basta. Lo sapevi che la zia di tuo padre era una strega? La magia è sempre stata nella tua famiglia. Ha saltato varie generazioni, e alla fine è giunta a te.” il suo alito marcio invase le narici del ragazzo, che si ritrasse impercettibilmente.
“Non è vero. Mio padre me lo avrebbe detto.”
“Te l’avrebbe detto, se l’avesse saputo.” replicò con un sorriso indulgente.
Nell si immobilizzò, cercando di mantenere il controllo sulle proprie emozioni per non lasciar trapelare quanto le parole della vecchia lo avessero scioccato. 
“Anche alcuni sacerdoti sono stregoni, sebbene il loro potere sia limitato. Le mie figlie, invece, sono alquanto notevoli, e c’è un motivo: la magia proviene da me, che sono femmina, di conseguenza viene tramandata prevalentemente ad altre femmine, e così rimane forte. Il primo stregone fu un incidente, a dir la verità, e subito mi incuriosii, eccitata alla mera idea. Poi, con mio grande disappunto, vidi che era debole e me ne disinteressai. Gli stregoni che si sono susseguiti dopo di lui ereditarono il suo sangue, perciò nacquero altrettanto deboli. Ma tu, Nell,” sibilò, accostandosi di più al giovane, “tu sei speciale. Sei un maschio, eppure sei forte come una femmina, magicamente parlando. Rifletti su questo, se proprio non vuoi credermi: quelli che tu chiami ‘i doni di Ysril’ non avrebbero potuto durare così a lungo se non possedessi la magia. Un umano avrebbe dovuto ricevere continuamente l’energia per mantenersi giovane e bello, forte e in salute, senza sentire la fame o la stanchezza. Tu sei andato avanti più di vent’anni senza il tuo Ysril! Se fossi stato normale, a quest’ora dovresti dimostrare la tua età e avvertire il bisogno di mangiare e dormire. La verità è che hai fatto scorta dell’energia di Ysril, ne hai talmente tanta da poterti bastare per un altro secolo.” 
Nell, benché riluttante, dovette ammettere che il ragionamento non faceva una piega. Non conosceva le dinamiche tra streghe e demoni tranne qualche nozione di base, non sapeva ogni quanto le streghe sentissero il bisogno di nutrire la loro magia e quanto durasse l’effetto, ma non poteva accantonare la possibilità che in lui ci fosse un potere di cui ignorava l’esistenza, perché se metteva da parte la sua naturale diffidenza tutto quadrava. 
Le sue riflessioni vennero interrotte poco dopo dalla Sylmaran, che riprese a parlare imperturbata.
“È un onore poterti parlare faccia a faccia senza maschere. Ho atteso tanto questo momento. La tua nascita è stata predetta, sai? L’ho vista accadere millenni fa. Come ho visto lo splendido esemplare che saresti diventato, la tua unione con Ysril, il tuo risveglio e… la tua gravidanza.” confessò la vecchia con un ghigno enigmatico, “Un miracolo, aggiungerei. Se tu fossi nato in un’epoca anteriore, il tuo corpo non sarebbe mai stato in grado di procreare, non c’erano i mezzi e nessuno aveva ancora pensato a un metodo per ingravidare anche i maschi. Poi i tempi sono cambiati, la cultura e la società si sono evolute e tutto è divenuto possibile.”
“Che cosa stai dicendo? Non… non capisco.” esalò Nell e, mentre parlava, stranamente sentì gli occhi riempirsi di lacrime e un macigno depositarsi sul petto.
“Ti conosco da prima che i tuoi genitori ti concepissero e, nel corso della tua vita, ti ho seguito come un’ombra, vegliando su di te. Sono sempre stata al tuo fianco, in una forma o in un’altra.”
La Sylmaran gli scoccò un’occhiata intenerita. Allungò una mano e la posò delicatamente sulla sua guancia, carezzandolo come una madre. La sua testa arrivava giusto alle spalle di Nell, ma la statura bassa non faceva nulla per contrastare l’aura schiacciante che emanava, dando l’impressione di trovarsi al cospetto di un gigante.
A quel punto, Nell osservò con occhi sbarrati l’aspetto della donna mutare. D’un tratto, innanzi a lui apparve Hodren, il monaco che lo aveva aiutato a Dun’har. Subito dopo mutò ancora e assunse le fattezze del capo della carovana di mercenari che lo aveva salvato dallo stupro, poi quelle del contadino che lo aveva assunto prima di cominciare il viaggio verso sud, e dopo quelle del predone che Nell aveva ucciso, la cui morte, pur segnandolo, lo aveva fortificato nello spirito. Quindi acquisì le sembianze della moglie del sarto della valle di Mesil, quelle di Phei, la balia di Selis, e quelle del novizio che aveva accolto Nell e Ysril al Grande Tempio, quando avevano avanzato la richiesta dell’ampolla della fertilità. E così via a ritroso, volti di persone che in varie circostanze aveva incrociato sul suo cammino e che, chi più chi meno, gli avevano fornito un supporto di qualche tipo, permettendogli di procedere lungo il percorso. Infine, l’aspetto della Sylmaran si modificò altre due volte: prima si tramutò in una donna di mezza età che Nell non aveva mai visto e dopo in niente meno che il capo della banda di ladri in cui si era imbattuto a Ferenthyr, quando aveva conosciuto Reeven.
“Suna…?” soffiò incredulo, “Perché lui? Non ha alcun senso.”
La strega rispose con la voce dell’uomo: “Beh, non ero esattamente lì per te.”
“Che vuoi dire?”
La strega si disfò del travestimento e tornò alle sembianze originali.
“Non sei l’unico pezzo importante del disegno, ci sono altri che devono giocare il loro ruolo. Io li ho protetti, ho vegliato come ho potuto senza influenzare troppo gli eventi. Ma non è questo il punto.”
“E qual è?”
“Non sei qui per caso. Il tuo fato era già stato inciso nel Libro della Vita. Tutto quello che hai vissuto, era già stato scritto. Eri destinato ad arrivare a Lankara, in cerca del tuo Ysril, e qui ti ho aspettato. Le tue scelte sono state predette tanto tempo fa, ogni tuo passo, ogni tuo pensiero. Ogni cosa.”
Nell faticava a respirare, non per l’olezzo nauseabondo che sgorgava dalle labbra della vecchia, ma per il peso delle rivelazioni che lo stavano sommergendo. Una parte di lui non voleva crederci. Era intollerabile l’idea che tutta la sua vita fosse già stata scritta, decisa, a sua insaputa. Non era che un burattino nelle mani del fato, e la Sylmaran andava a braccetto con esso. Non aveva alcuno scampo. Magari sapeva pure cosa avrebbe fatto di lì a un minuto, cosa avrebbe detto, cosa pensava. Mai si era sentito così impotente.
“Nell, non temere. Sei stato fondamentale, e lo sei ancora. Non ti verrà fatto alcun male.” lo rassicurò la strega.
“Non mi fido di te.” sputò con un rantolio strozzato, la gola ostruita da un groppo che non riusciva a scendere.
“Lo so.”
“Cosa vuoi da me? Perché non ci lasciate in pace?” l’aggredì, distanziandosi di qualche pollice dal muro nella foga, finché un altro quesito non gli balenò in mente, “E cosa ci fa una strega nel regno dei demoni?”
La Sylmaran sospirò e temporeggiò. Quando finalmente riaprì bocca, pronunciò ogni parola con attenzione.
“Figlio mio, i demoni sono parenti delle streghe. Il dio del Caos, Wall’khar, il cui seme mi ha fecondata mutando la mia natura originale, che era umana, è fratello gemello della dea Kanlaar, Signora del Buio e madre dei demoni. In sostanza, Ysril è un tuo cugino alla lontana.” 
“Che?! Ho sposato mio cugino?”
“Uhm, beh, non si può parlare propriamente di incesto, questo no.”
Nell boccheggiò scioccato, incapace di articolare una frase di senso compiuto, e la strega ne approfittò per proseguire: ne aveva di segreti da rivelare, attendeva da anni l’occasione di chiacchierare con lui e illustrargli tutta la verità, in maniera che capisse come mai presto sarebbe stato richiesto il suo sacrificio. Sperava davvero che Nell lo accettasse, che si schierasse dalla sua parte.
“Già che ci sono ti fornirò le basi, male non fa. Dunque, devi sapere che, col passare delle ere, i demoni, in principio creature dell’Oltremondo, si riversarono sulla terra e crearono questa città in onore della loro madre, costruendola in modo che somigliasse a un grembo. Le diedero anche il suo nome, Kanlaar. In seguito, l’esistenza della città divenne di dominio pubblico fra gli esseri umani e alcuni ne parlarono in forma scritta. La scrittura non era che ai suoi albori, non esistevano le espressioni o l’ampio lessico di oggi, e tali testi, di difficile interpretazione, vennero tradotti e ritradotti spesso con delle imprecisioni. Un giorno un copista commise un errore ortografico, scrivendo ‘Laankar’ invece di ‘Kanlaar’. Laankar si tramutò poi in ‘Lankara’ a causa di un errore simile da parte di un secondo copista, e gli amanuensi che seguirono ereditarono la nuova dicitura. E così la città venne ribattezzata. I demoni più antichi che ancora respirano, tra i quali figura la regina Kunaar, continuano a riferirsi a questo posto con il nome della madre, ma i giovani sono stati influenzati dall’umanità e lo chiamano Lankara.”
La Sylmaran aprì le braccia indicando le prigioni nella loro interezza, come si fa quando si presenta al pubblico l’ultima meraviglia della natura.
“Questa non è che una minuscola parte. La città è enorme, più grande di qualsiasi altra gli umani abbiano mai eretto. Ed è anche molto popolata. Come sai, è protetta da una barriera, che in determinati frangenti può essere attraversata, ma solo da individui speciali o dagli stessi demoni. Fu Kanlaar a crearla, per salvaguardare la sua prole dai pericoli e tenerli al sicuro.” 
Nell immagazzinò le nozioni, ascoltando attento, finché la Sylmaran non batté il bastone a terra, come a sancire un cambio di argomento. 
“E ora veniamo al nocciolo, ossia perché mi trovo qui. Demoni e streghe sono sempre stati alleati, anche se non vanno molto d’accordo. Le streghe evocano i demoni per nutrire la propria magia, e ciò è possibile perché le essenze delle due stirpi sono complementari, due metà di un uno. Vale a dire che solo l’energia di un demone può nutrire una strega e solo una strega può accogliere il seme di un demone. Se il seme attecchisce, esso dà vita agli ibridi. È assai raro che questi sopravvivano, spesso muoiono prima di nascere, ma quando accade si dimostrano più forti e resistenti, pressoché imbattibili. Sono in grado di combattere il dominio di una strega e assorbire la loro magia, se lo desiderano. Certo, non è detto che ci riescano, dipende da quanto capace è la strega. A Lankara, attualmente, ci sono trentadue ibridi.” ghignò e i suoi occhi ebbero un guizzo sinistro, “E un altro è in arrivo. Il più potente di tutti. Colui che abbiamo atteso con trepidazione per innumerevoli anni. Egli ristabilirà l’equilibrio e riporterà la pace a lungo agognata, quella che c’era prima che Arrhan plasmasse l’umanità.”
“Cosa stai insinuando?”
La Sylmaran si avvicinò di nuovo al ragazzo e gli accarezzò i capelli con una mano scheletrica: “Nell, l’ibrido che stiamo aspettando è tuo figlio.”
Il biondo trattenne il fiato e spalancò le palpebre, le sopracciglia chiare si sollevarono in un chiaro segno di incredulità. Il suo corpo venne assalito da una scarica di brividi e le membra iniziarono a tremare. Strinse i pugni nel tentativo di mantenere il controllo, ma percepì dentro di sé la diga delle emozioni riempirsi di crepe. Presto lo avrebbero inondato e l’apparente freddezza di cui si era appropriato con tanto sforzo, fatica e sacrifici si sarebbe sgretolata sotto l’impatto.
“N-no… mio figlio è morto… Ysril lo ha seppellito…”
“La versione che ti è stata rifilata non è corretta.”
“Come sarebbe a dire?!”
“Calma, non c’è bisogno di agitarsi. Se ti può consolare, nemmeno Ysril conosce la verità.” 
“Allora che aspetti? Dimmela.” ringhiò, la mascella contratta e le labbra tese in una linea dura.
“Il tuo caro maritino ordinò a Djibres di seppellire tuo figlio, questo sì, ma l’uomo disobbedì. Preferì eseguire uno scambio completo. Rapì un neonato dalla casa di due contadini e dopo lo sostituì con il tuo bambino. È stato doloroso per me assistere alla separazione, ma era necessaria. Era stato predetto che andasse così.” confessò con un sorriso triste, “Sai, sarebbe stato sufficiente accostartelo al petto e fargli ascoltare il battito del tuo cuore per innescare il suo. Gli ibridi sono una razza particolare, il loro organismo funziona in modo diverso. Il suo piccolo cuore è rimasto ibernato finché la contadina che aveva partorito il tuo Selis non se lo portò al petto per cullarlo un’ultima volta, convinta che fosse morto. E allora emise il suo primo vagito. La donna, spaventata dagli occhi rossi del pargoletto, ordinò al marito di liberarsene, poiché capì immediatamente, come solo una madre può, che quello non era il suo bambino. L’uomo lo abbandonò sulla soglia di un lontano orfanotrofio e la coppia, negli anni, si dimenticò di lui. Da quel momento me ne occupai io. Presi il posto della direttrice dell’orfanotrofio e crebbi tuo figlio, dandogli il nome di Reeven, che significa “messaggero del fuoco”. Lo protessi dal mondo esterno fino a quando non reputai giunto il tempo di mandarlo fuori, affinché imparasse a sopravvivere e si fortificasse attraverso le avversità. In seguito, mi trasformai in Suna e costruii una nuova identità per sorvegliare la sua maturazione, circondandomi di altri randagi per rendere la recita più credibile. La loro devozione e lealtà erano adorabili, Phyroe con i suoi complessi e il suo bisogno di una figura paterna, Utros con il suo pragmatismo e il sogno di una vita onesta, Qolton con il suo atteggiamento da orso scorbutico quando sotto la scorza dura non è che un cucciolo che brama una famiglia, e Benial con la sua stupida cotta. Un po’ mi è dispiaciuto ucciderlo alla fine.” sospirò, lo sguardo malinconico rivolto al passato, “Comunque, un giorno mandai Qolton a comprare da bere. Gli indicai un’osteria precisa, dove sapevo che avrebbe incontrato tuo figlio, che all’epoca gareggiava nelle lotte clandestine. E andò esattamente come pensavo, hanno legato subito. Il resto è storia.”
Guardò Nell con un sorriso gentile e comprensivo, aspettando che assimilasse la rivelazione. Il ragazzo non aveva una bella cera, pareva l’incarnazione di uno spettro.
“Non dovresti esserne sorpreso. Dentro di te hai sempre saputo chi era Reeven. E lui ha sempre saputo chi eri tu. Seppur a livello inconscio. Un ibrido riconosce sempre la propria madre, instaura un solido legame con lei nel suo grembo, un legame che non può essere spezzato nemmeno con la magia.” spiegò paziente, “Reeven è il frutto dell’unione fra il più potente stregone mai esistito e il più forte principe dei demoni.” dichiarò. 
“No… non ti credo. Stai mentendo.”
“D’accordo, facciamo un passo indietro. Ti sei mai domandato come mai nessuno, demone o strega, abbia tentato di fermare Ysril dall’unirsi a te? Eppure ormai dovresti sapere che i demoni hanno regole molto severe. Qualsiasi interazione intima con gli umani viene punita con la morte. Soltanto le streghe possono giacere con i demoni.” sottolineò, trapassandolo con un’occhiata grave, “Poi ti sei mai chiesto come mai nessuno abbia minacciato la vita di tuo figlio? O perché sei sopravvissuto quel giorno nella grotta, quando Radek venne sguinzagliato contro Ysril? O come abbia fatto Ysril a sopravvivere alla lotta?” circondò il volto pallido di Nell con le mani, cullandolo alla stregua di un bambino, “Tutti conoscevano la profezia, mio caro. Abbiamo lasciato che Ysril ti conquistasse e ti ingravidasse. Abbiamo lasciato che il vostro legame si rafforzasse pian piano e che il tuo potere si accrescesse assorbendo l’energia di Ysril, amplesso dopo amplesso. Ysril non ha mai intuito la tua natura, ed è stato un bene: sicuro di non correre pericoli, di avere il controllo della situazione, non si è fatto scrupoli a fornirti la sua energia, a riversarla in te trasformandoti nel potente contenitore che sei ora. E gran parte di quell’energia si è mischiata al tuo potere latente, plasmando una creatura semidivina, Reeven. Radek ha finto di voler uccidere Ysril, ha scelto di sacrificarsi per il futuro che era stato annunciato. Il suo compito era indebolire Ysril e separarvi, così che non solo noi potessimo riportarlo a Lankara e fiaccare il suo spirito in vista dei prossimi eventi, ma anche affinché tu, Nell, potessi scoprire te stesso, maturare e alimentare la tua magia affrontando le difficoltà.”
Nell inspirò ed espirò, la vista costellata da macchioline nere e la nausea a inondargli la gola di bile.
“Capisci? Era scritto che Ysril si unisse a te e che insieme avreste concepito Reeven. Siete la triade prescelta, gli eletti destinati ad essere immolati per il risveglio di Xion. Per il rituale c’è bisogno di un demone principe, lo stregone più potente mai nato e l’ibrido che con loro condivide il sangue, e per tale ragione veicolo di un potere inimmaginabile, in grado di nutrire la Bestia. Per questo sei qui, Nell. Per questo siete qui.” 
“Perché dovrei bermi tutte queste fesserie? Mi hai ingannato, più di una volta! Hai giocato con i miei sentimenti e la mia mente. Solo pochi giorni fa eri Hodren e mi hai ascoltato raccontare la mia storia simulando sorpresa.”
“Mi dispiace, ma non potevo rivelarmi a te, non ancora. Suvvia, non prendertela, in fondo ti ho condotto da Selis per un ultimo addio. Un piccolo regalo dopo tanto soffrire.”
Nell ammutolì, spiazzato e annichilito. I suoi pensieri vorticavano caotici, riproducendo disordinatamente la maggior parte delle frasi della vecchia, sentendole riecheggiare nelle orecchie e nella mente. Calde lacrime gli solcarono le guance, bagnando il suo viso e illuminando i suoi occhi. 
Si arrese. Non c’era più motivo di lottare, opporsi all’inevitabile, doveva soltanto accettare i fatti. Avvertiva nel profondo che le parole della Sylmaran erano vere. Era una consapevolezza inoppugnabile, anche se non poteva spiegarselo in maniera razionale. E, per quanto sconcertante, finalmente ora tutto aveva un senso. 
In particolare, finalmente comprendeva cosa fosse la sensazione che aveva provato con Reeven, l’attaccamento che aveva sviluppato nei suoi confronti, le emozioni che lo avevano assalito stando insieme a lui, emergendo dal fondale in cui le aveva relegate. Lo aveva riconosciuto inconsciamente fin da subito come parte di se stesso e di Ysril, e lo aveva amato senza rendersene conto. E Reeven, povero Reeven, anche lui lo aveva riconosciuto. Nella sua confusione, inesperienza e ingenuità, l’ibrido non aveva saputo distinguere l’amore romantico da quello filiale, ma il sentimento era sempre stato lì, forte e concreto, reale, un faro in mezzo all’oscurità a indicargli la strada di casa. 
E Nell… Nell lo aveva respinto.
Si portò le mani alla bocca e represse a stento singulti e conati, continuando a piangere in silenzio il figlio tanto voluto che non aveva mai abbracciato. Lo aveva ferito, allontanato, rifiutato, usato, ribellandosi all’istinto che invece gli gridava di prendersi cura di lui, non capendo perché lo provasse o da cosa scaturisse. 
Emise un gemito sofferente e si piegò sulle ginocchia, impossibilitato a restare dritto per il peso della colpa che gli gravava sulle spalle e sulla coscienza.
“Su, su, non disperare.” lo consolò la vecchia, “Presto sarà qui, sarete di nuovo insieme. Una delle mie figlie lo sta scortando proprio adesso oltre il portale. Tra poche ore lo riabbraccerai.”
Nell si irrigidì e il sangue gli defluì totalmente dal volto, mentre una contrazione gelida gli annodò lo stomaco.
No! Oh, no… se Reeven verrà condotto qui, morirà! Non posso… devo impedirlo! Non lo avranno, non lo permetterò!
“Non osare fargli del male, o giuro che la pagherai.” sibilò.
“Nell, non sono tua nemica.”
“Cosa vuoi da me? Perché mi stai raccontando tutte queste cose? Cosa ci guadagni?”
“La tua ostilità non mi piace. Sto cercando di aiutarti, ho risposto alle tue domande e ti ho fornito i pezzi mancanti, dovresti mostrare un po’ di gratitudine.”
“Perché invece non mi uccidi e basta? Perché inscenare questo teatrino? Compi il rituale, sveglia Xion e smetti di tormentarmi. Ne ho abbastanza di streghe, demoni o chi per loro. Sono stanco. Torna nel buco dal quale sei uscita e lasciami in pace!”
“Non sono io il nemico!” reiterò la Sylmaran, battendo il bastone.
“Ah no? Tutto mi porta a pensare il contrario.”
“Gli uomini sono il vero male, non capisci? Xion può liberarcene una volta per tutte. Hanno rovinato il mondo, sono mostri corrotti e crudeli che non hanno alcun rispetto per la natura e le sue leggi. Sono convinti di avere il diritto di governare sugli altri esseri, e per mantenere il potere sono disposti a compiere qualsiasi crimine e nefandezza. Dimmi, quanti individui abietti hai incrociato nell’arco della tua giovane esistenza? Potremmo partire dal principe Kwan, che ne dici? Te lo ricordi? E quante vite hai mietuto per difenderti? Quante ne hai sacrificate sull’altare dei tuoi ideali? Quanto dolore hai incontrato e quanta pena sei stato costretto a subire? Non meritano i doni di Arrhan, non meritano niente! O forse provi compassione per quella feccia? Sai meglio di molti altri quanto la fiducia e l’amicizia non sono che illusioni, sentimenti effimeri e mutevoli, caduchi, che ti si ritorcono contro quando meno te lo aspetti. Devono morire, tutti quanti, solo allora tornerà la pace. Tu, Ysril e Reeven ci aiuterete a ottenerla.”
Il ragazzo scrollò la testa, aggrappandosi al sottile filo di lucidità rimastogli. Digrignò i denti e si risollevò lentamente per fronteggiare la Sylmaran con rinnovata determinazione, germogliata come un fiore velenoso dall’angoscia, dall’odio, dalla rabbia e dalla paura. La trafisse con un’occhiata omicida e scandì ogni frase con un sibilo impregnato d’ira.
“Perché dovrei ascoltarti, ze’hik?” sputò quel titolo con palese disprezzo, “Perché dovrei darti corda? Sembra quasi che tu stia cercando di convincermi della bontà delle tue… oh. Adesso è chiaro. Affinché il rituale abbia successo, dobbiamo offrirci spontaneamente in sacrificio, non è così?” sorrise trionfante, per poi incupirsi, “Beh, scordatelo. Non accetterò mai. Sei pazza se pensi che ti lascerò uccidere mio marito e mio figlio senza fare niente! Potete torturarci in ogni modo, ma sappiamo entrambi che non ci ucciderete. Vi serviamo vivi. Non avete nulla con cui ricattarci. E che si fotta l’umanità, non me ne frega un accidente! La sola cosa che desidero è stare con la mia famiglia ed essere lasciato in pace. Perciò va’ pure, sterminali tutti, ma da noi non riceverai alcun aiuto.”
La strega si mostrò delusa e curvò le labbra raggrinzite in una smorfia amara: “Vorrei non arrivare a gesti estremi, Nell. Se collaborerete, non sarete costretti a soffrire inutilmente. Cadrete in un sonno profondo, neanche vi accorgerete di cosa accade. Se, però, vi opporrete, oltre che soccombere a un’atroce agonia e dare al mio cuore un grande dolore, sarà peggio per il vostro equilibrio mentale e allora desidererete essere morti. Non devi darmi una risposta adesso, riflettici. E parlane con Ysril. Ci sono ancora due giorni di attesa, nessuna fretta.”
Detto ciò, gli diede le spalle e si accinse a uscire dalla cella. Nell esitò solo un secondo prima di scagliarsi contro di lei con un ringhio rabbioso. Tuttavia, non fece in tempo ad afferrarla. In un attimo la Sylmaran attraversò le sbarre e subito dopo il ragazzo venne sbalzato all’indietro dalla barriera magica. La schiena cozzò contro la parete di pietra e il fiato gli venne strappato via dai polmoni, lasciandolo boccheggiante al suolo. Quando ritrovò la forza di aprire gli occhi, della vecchia non c’era traccia.

Noara cadde riversa sul terreno roccioso, le braccia tese sotto di sé a sorreggerla e i muscoli doloranti. 
Il portale si richiuse dietro di lei in un lampo di luce accecante. 
Ansimò e si concesse qualche minuto per regolarizzare il respiro, stremata dalla quantità di energia che aveva consumato per fare pochi passi oltre la barriera.
Reeven giaceva inerte accanto a lei, le orbite leggermente incavate e violacee, i muscoli più sottili e il corpo più magro rispetto ai giorni precedenti. Lo aveva quasi prosciugato.
Jemma era ridotta a uno stato pietoso, peggio della sua padrona, senza più la forza di volare o tenere gli occhi aperti.
La strega fissò con panico crescente le rughe sulle proprie mani. Si toccò il viso e lo scoprì invecchiato, rivelando la sua vera età. Grugnì frustrata e sbatté un pugno a terra. 
Non pensava che l’attraversamento del portale avrebbe richiesto un prezzo così alto, era stata stupida e avventata. Ora era troppo debole per sperare di muoversi rapidamente senza attirare l’attenzione, figurarsi trasportare un ibrido incosciente fino a Lankara e combattere contro un demone della portata di Ysril. Non ne sarebbe uscita viva. Tuttavia, non poteva neanche aspettare. Non c’erano rifugi sicuri nei paraggi e l’unica fonte di energia di cui disponeva reggeva a malapena l’anima coi denti. Regalarsi un ultimo pasto e uccidere Reeven sarebbe stato l’ideale, ma non se la sentiva di forzare la fortuna. L’ibrido era il suo asso nella manica, la leva con cui avrebbe ricattato Ysril per costringerlo alla resa; se se ne fosse privata, non avrebbe avuto alcuna chance di vittoria nelle sue attuali condizioni. La sola opzione ragionevole era resistere, conservare il potere residuo e sperare per il meglio.
Ah! Potrei attirare Ysril lontano dalla città, così eviterei di imbattermi in altri demoni! Ma come fare? Attendere di incrociarne uno per caso e convincerlo a riferire il messaggio? “Ysril, tuo figlio è nelle mie mani, raggiungimi o lo ucciderò”. Qualcosa di simile. Uhm.
Poteva funzionare. Sempre che il demone messaggero fosse più debole di lei e non la sgozzasse subito. Oppure poteva evocarne uno.
Sì, ovvio, a Lankara? Sei in territorio nemico, non montarti la testa, non avresti alcun controllo.
All’improvviso la sua magia guizzò sull’attenti, protendendosi in avanti come una fiera che si lancia sulla preda. Il fiato le si mozzò in gola e cadde prona sul terreno con un gemito spaventato. Quando alzò il capo, sbarrò gli occhi e si paralizzò.
La Sylmaran si stagliava a tre passi da Noara e la scrutava dall’alto con un sorriso accennato.
“Ben fatto, figlia mia. Sono fiera di te.” gracchiò appoggiandosi mollemente al bastone.
“M-Madre?” balbettò scioccata.
La vecchia si accucciò di fronte a lei e le accarezzò i capelli: “Shh, tranquilla. Sei confusa, lo capisco, e presto ti darò tutte le risposte. Ma ora andiamo, dobbiamo portare Reeven al sicuro.”
“Come-”
“Pazienza, figlia, pazienza.” la blandì con un tono a metà tra il severo e l’indulgente.
Noara deglutì e si mise a sedere, osservando la Madre accostarsi all’ibrido, tastarlo in vari punti e sospirare. La vide serrare le palpebre e la udì mormorare un incantesimo, e in pochi secondi il corpo di Reeven tornò tonico e sano, il suo nucleo di nuovo pulsante di energia. Ma non si destò.
“Vieni, figlia. Seguimi.” la esortò, innalzando a mezz’aria con la magia un Reeven ancora perso nel mondo dei sogni.
Noara raccolse tra le braccia il suo famiglio e obbedì docile, conscia di non poter opporsi all’autorità della Sylmaran, andava contro la sua natura. Aveva un sacco di domande. In più, temeva che la strega più anziana le impedisse di ottenere la vendetta per cui aveva lavorato tanto duramente e non poteva accettarlo, non quando era così vicina. Non poteva permetterle di portarle via Reeven. Doveva parlarle, spiegarle come stavano le cose, supplicarla di non interferire.
“Madre, ti prego…”
La vecchia la interruppe e le prese la mano, dandole una stretta rassicurante. Infine chiuse di nuovo gli occhi e Noara la imitò. L’istante successivo scomparvero nel nulla.

Nell non aveva idea di quanto fosse passato - minuti, ore, giorni? -, era impossibile fare un calcolo, persino approssimativo. Per un po’ aveva tenuto lo sguardo speranzoso puntato verso l’apertura della voragine, invisibile dalla sua posizione, ma quando aveva appurato che la luce non cambiava, la realizzazione di trovarsi prigioniero sottoterra lo aveva schiaffeggiato con violenza. Non sentire la fame o il sonno, poi, gli impediva di scandire qualsiasi unità temporale. Poteva soltanto restare seduto a fissare il vuoto, circondato dal silenzio, e combattere contro la disperazione che minacciava sempre più spesso di divorarlo.
Ysril non aveva più emesso un suono da quando la Sylmaran lo aveva zittito. Il giovane era preoccupato, di secondo in secondo l’ansia cresceva alimentando il panico. Doveva trovare una soluzione per uscire da quella maledetta cella e andare da Ysril. Non si sarebbe rassegnato ad aspettare una fine ingiusta, avrebbe lottato finché avesse avuto un alito di vita in corpo. Quindi mise in moto il cervello e vagliò tutte le opzioni, perdendo la nozione del tempo.
Ad un tratto, un rumore lo ridestò dalla catalessi e i suoi muscoli guizzarono, portandolo ad accucciarsi in un angolo, i sensi vigili e la mente concentrata. Ascoltò e gli parve di sentire un fruscio inframmezzato da colpi netti, come se qualcuno stesse battendo un tamburo con un panno. Il rumore si fece sempre più vicino, andando a ritmo col battito del suo cuore, che gli martellava nelle orecchie con un fragore assordante.
Qualche istante più tardi, la sagoma di un demone alato apparve di fronte alla sua cella. Nell intuì che dovesse trattarsi del carceriere, o uno dei carcerieri, poiché non esisteva altro modo di accedere alle prigioni se non volando. Le sue ali erano marroni e sottili, ampie almeno quattro braccia. Sulla testa spuntavano sei corna, tre per lato, e i quattro occhi in mezzo alla faccia, ognuno di un colore diverso, ammiccarono al suo indirizzo. Non aveva il naso e nella parte bassa del viso, là dove avrebbe dovuto esserci il mento, vi era un buco ovale incorniciato da due file di denti aguzzi. Tra le braccia il demone sorreggeva il corpo inerte di un uomo biondo.
“Reeven!” esclamò Nell, balzando in avanti, per poi ricordarsi di non toccare le sbarre.
“Ecco qui il tuo prezioso pargoletto.” gracchiò il demone e lanciò Reeven attraverso le sbarre come un sacco di patate, facendolo planare a pochi passi da Nell.
Il ragazzo allora capì che la magia delle rune permetteva a tutti di entrare nella cella, solamente i prigionieri non potevano uscire. A conferma dei suoi sospetti, vide alcune rune mutare e altre cambiare posizione, come se avessero preso nota della nuova presenza e innalzato le difese.
Il demone si ritirò senza aggiungere altro e volò via lasciandoli soli.
Nell non esitò e raggiunse subito Reeven. Lo tastò, lo scosse, lo chiamò, gli occhi che gli bruciavano per le lacrime che tentava di trattenere. Proprio quando stava per arrendersi, Reeven grugnì debolmente e mosse l’indice della mano destra. Nell gliela strinse e se la guidò al petto, osservando carico di aspettativa il viso corrucciato dell’ibrido.
Reeven respirò a fondo, sondando l’ambiente con l’olfatto prima di schiudere le palpebre. Fiutò il tanfo della putrefazione, l’odore della pietra e dell’aria stantia e una scia indefinita che gli fece arricciare il naso. Per ultimo, captò un profumo familiare: pane appena sfornato, rosmarino, miele, e una nota indescrivibile che gli riempì il petto di serenità.
Odore di casa.
Nell.
Tutto il resto scomparve. Gli occhi si spalancarono di scatto e il volto del ragazzo occupò il suo campo visivo come una visione. Inalò la fragranza emanata da quel corpo esile eppure forte a pieni polmoni, pascendosi della sensazione di calore e affetto che lo avvolse alla stregua di una coperta pesante nelle notti invernali. In seguito, il battito del cuore di Nell gli invase le orecchie e il cervello, e lì ebbe la certezza di non stare sognando. Lo aveva ritrovato.
“Reeven…” articolò Nell con voce rotta.
Reeven sorrise stanco: “Ti ho trovato.”
Il giovane sbuffò una risata, che si trasformò in un singhiozzo e, in un battito di ciglia, affondò la faccia nell’incavo del collo dell’altro, abbracciandolo come se ne andasse della sua vita. Reeven ricambiò e schiacciò il naso contro la nuca di Nell, respirandolo fino a colmarsi del suo meraviglioso profumo. Gli cinse il busto e lo attirò di più a sé, indeciso se provare ad inglobarlo o godersi la vicinanza a lungo anelata.
Rimasero così per interminabili minuti. Poi Nell si issò sui gomiti e si districò dall’abbraccio, senza però interrompere il contatto fisico, quasi la sola idea lo ripugnasse. E Reeven parve del medesimo avviso, perché agguantò le sue mani e le avviluppò nelle proprie, continuando a guardarlo contento e beato.
Nell si asciugò le guance rigate di lacrime con un lembo della manica. Inspirò e deglutì in preda all’emozione, ma il sollievo ebbe breve durata. Prima che riuscisse a seppellirlo, il senso di colpa tornò in superficie ruggendo e graffiandogli il cuore. Soffocò a malapena un singhiozzo e serrò con forza le palpebre, incassando la testa fra le spalle tremanti per rimpicciolirsi.
“Nell… cosa c’è?” chiese preoccupato Reeven.
Il ragazzo scosse il capo e si costrinse a regolarizzare il respiro. Come avrebbe fatto a rivelargli la verità? E cosa sarebbe accaduto dopo? Reeven lo avrebbe mai perdonato? Non c’era una maniera delicata di affrontare l’argomento, era una cosa troppo grossa, e Nell non possedeva l’esperienza per fronteggiare una situazione del genere. Si stampò un sorriso tirato sulle labbra e tergiversò.
“Come ti senti? Sei ferito?”
“No, sto bene. Un po’ intorpidito.” rispose Reeven, “E tu?”
“Sto bene, grazie.” esalò in un sussurro strozzato.
“Non mi sembra.”
“Sono… sono solo felice di rivederti. Mi sei mancato.”
“Oh. Anche tu mi sei mancato.” disse sorridendo, le iridi azzurre che brillavano nella semioscurità come piccole stelle.
“Scusa se me ne sono andato. Mi dispiace. Non avrei mai dovuto abbandonarti…” sull’ultima parola Nell scoppiò di nuovo in singhiozzi e distolse lo sguardo colpevole.
“Va bene, va bene, non piangere. Ti perdono. Ti prego, non piangere.” lo supplicò turbato, alzandosi a sedere per abbracciarlo ancora, mai sazio del contatto.
“Sc-scusa…”
“Fa niente, è passato. Siamo insieme ora.” lo rassicurò gentile, carezzandogli la schiena.
Reeven nascose il viso nel collo di Nell e, in un moto di coraggio, gli scoccò un bacio leggero sulla pelle, irrigidendosi subito dopo per timore di venire scacciato. Quando non successe, ripeté l’azione e risalì il collo, baciando morbidamente la mandibola, il mento, sempre più prossimo alla meta. Appena sfiorò l’angolo della bocca di Nell, questi si scostò scuotendo la testa e Reeven percepì un macigno depositarsi sullo stomaco. Lo scrutò dal basso, in attesa di un rimprovero, ma ciò che ricevette invece fu una carezza sulla guancia e uno sguardo talmente costernato da mozzargli il fiato.
“Reeven, io non… non so come dirtelo. La Sylmaran ha… c’è- c’è un motivo per cui noi siamo- il legame che ci unisce è…”
“Shhh.” lo zittì il ladro, cullandolo tra le braccia, per nulla smanioso di udire l’ennesimo rifiuto.
“No, fammi parlare. Devo dirtelo, anche se è complicato.”
Reeven lo sollevò e se lo mise a cavalcioni sulle ginocchia, premendolo contro di sé per eliminare ogni via di fuga. Non lo avrebbe perso un’altra volta. A costo di farsi odiare, non lo avrebbe lasciato andare, mai più.
Nell impallidì e si mosse a disagio, facendo leva sulle spalle di Reeven per mantenere l’equilibrio.
“Reeven, fermati. Per favore.”
Fu quel “per favore” a bloccare Reeven, sebbene una parte di lui gli urlasse di sigillare le labbra di Nell così da non concedergli alcun mezzo per ferirlo nuovamente.
“Tu- io sono… s-siamo, ecco…” il ragazzo deglutì sonoramente, “Sei mio figlio.” sbottò infine. 
Come se fosse riemerso dall’apnea, avvertì i polmoni riempirsi di ossigeno e la pressione nel petto allentarsi. Quando si sentì pronto, sbirciò l’espressione di Reeven e si scontrò con un maschera indecifrabile. Attese paziente che le sue parole mettessero radici nella coscienza dell’altro, finché l’ansia non lo riprese in ostaggio. Si morse nervoso il labbro inferiore e conficcò le unghie nelle spalle di Reeven, nel tentativo di ancorarsi a qualcosa di solido per non cedere all’attacco di panico.
Reeven si rabbuiò e stritolò i fianchi di Nell con rabbia.
“Potevi trovare una scusa migliore per rifiutarmi. Questa è davvero pessima.” ringhiò, mentre le iridi azzurre assumevano una tinta rossastra.
Il respiro di Nell si bloccò in gola e agitò furiosamente il capo: “No, è la verità! L’ho scoperto da poco, ma so che è la verità. Lo sento.”
Reeven schioccò la lingua e assottigliò le palpebre. Dopodiché, si lanciò sulla bocca di Nell e lo obbligò a un bacio che non aveva nulla di gentile, un bacio dato solo per prendere e imporre il dominio.
“Re-Reeven! No, aspet- aspetta…” riuscì a staccarsi a fatica dalla morsa ferrea che lo intrappolava e gli cinse il viso con i palmi, “Non lo senti anche tu? Non mentire, so che lo senti. So-sono tuo padre… ehm, madre… cioè, ti ho portato io dentro al mio corpo per nove mesi…”
Al che, Reeven arrestò qualsiasi movimento per squadrare incredulo il giovane, alla ricerca della menzogna. Nell ne approfittò per allontanarsi un pochino, abbastanza da tirare su la camicia ed esporre la cicatrice bianca sul ventre. Reeven la fissò in silenzio, gli occhi fuori dalle orbite.
“Mi hai riconosciuto subito. Quella notte nella villa del duca, tu mi hai riconosciuto.” proseguì piangendo, “Lo hai avvertito, hai sentito il legame. Dentro di te sai che è vero. Sono io, Reeven.” mormorò, stampandogli un bacio sulla fronte.
Reeven lo spintonò all’indietro bruscamente e strisciò verso il muro. Guardò Nell come se lo vedesse per la prima volta, a metà tra l’ira e il raccapriccio. L’istinto animale che dimorava nel profondo ruggì dagli abissi della coscienza, dandogli tutte le risposte di cui aveva bisogno. Tuttavia, non poteva accettarlo. Non poteva. Amava Nell, ma non di un amore innocente. Era innamorato di lui. Se avesse abbracciato la verità, non avrebbero mai avuto il futuro che Reeven desiderava per loro due, i sogni che aveva coltivato con tanto ardore e speranza si sarebbero sgretolati e la solitudine sarebbe tornata a schiacciarlo. Avrebbe perso tutto prima ancora di iniziare.
Ma al contempo non poteva ignorare il peso delle parole di Nell, le implicazioni. Era troppo.
“Mettiamo che ti credo. Mettiamo che sei davvero mia ma- padre… quello che è. Perché non mi hai tenuto con te? Perché mi hai abbandonato?” lo interrogò, la voce pregna di amarezza e delusione.
“Non ti avrei mai abbandonato. Ti ho voluto. Ho bevuto dall’ampolla della fertilità perché ti volevo.” singhiozzò Nell affranto.
“Allora perché?” sibilò Reeven inviperito e scattò in piedi respirando dal naso, i pugni stretti lungo i fianchi e le zanne in piena mostra.
Nell sospirò, si fece coraggio e iniziò a raccontare, la testa bassa per non incrociare l’espressione tradita del ladro. Averla scorta per due secondi era stato peggio che ricevere una coltellata in pieno petto.
“Non ero cosciente durante il parto. Il cerusico mi somministrò una droga che mi avrebbe fatto dormire, così da risparmiarmi inutile dolore mentre ti estraeva dal mio corpo. Ysril, lui… pensò che fossi nato morto. Il tuo cuore non batteva. Per non farmi soffrire operò uno scambio. Ordinò a un mercenario che lavorava per lui di rapire un bambino con dei connotati fisici simili ai nostri e di… seppellirti. Ma il mercenario eseguì invece uno scambio perfetto e ti mise nella culla di colui che per anni ho amato e cresciuto come un figlio, convinto che fossi tu. All’epoca Ysril mi teneva all’oscuro di molte cose, fra cui la sua natura. Solo dopo vent’anni di matrimonio mi confessò di essere un demone. Ti giuro che non sapevo…” singhiozzò ancora e si portò una mano davanti alla bocca, “Non sapevo che bastava accostarti al mio petto e farti ascoltare il battito del mio cuore per innescare il tuo. Credevo che Ysril fosse umano, quindi anche tu per me eri umano, non avrei mai immaginato di dover compiere un simile gesto per udire il tuo primo vagito. Nemmeno Ysril lo sapeva, altrimenti lo avrebbe fatto. Fidati, avremmo fatto tutto il necessario per darti la vita. Quando scoprii la verità e venni a conoscenza dello scambio, della sua natura, degli intrighi e degli omicidi che aveva perpetrato per proteggere il nostro piccolo mondo dorato, Ysril mi disse che eri un ibrido. Mi spiegò che le probabilità di sopravvivenza di un ibrido sono molto scarse, non c’era da stupirsi che fossi morto nella mia pancia. Non si preoccupò di trovare un modo per salvarti, ai suoi occhi la tua morte era una possibilità concreta, se lo aspettava. Ma voleva darmi comunque un figlio e così orchestrò lo scambio. Fino ad oggi ignoravo la tua esistenza o la tua identità. Se lo avessi capito prima… se solo fossi stato sveglio durante il parto… non ti avrei mai detto addio senza abbracciarti!”
Nell si interruppe e lo osservò trepidante, in attesa di una reazione, la fronte imperlata di sudore freddo, le guance rigate dalle lacrime e le dita occupate a tormentare l’orlo della camicia.
Reeven si accasciò lentamente sul pavimento, sfregando la schiena contro la pietra nella discesa, e giacque immobile, lo sguardo spento. Si sentiva all’improvviso svuotato di ogni emozione. L’incredulità riaffiorava a intermittenza, venendo però subito sopraffatta dalla rassegnazione e dall’impotenza. Per quanto tutta quella situazione fosse assurda, sapeva che Nell aveva detto la verità. Il suo “io” demoniaco aveva annuito a ciascuna frase, percependo la totale assenza di menzogna. Ora si trovava in un vicolo cieco, non c’era scappatoia. O affrontava la realtà o smetteva di esistere. Indietro non poteva tornare.
Nell lo aveva dato alla luce. Lo aveva voluto. Lo aveva amato mentre era al sicuro nel suo grembo. Ma non aveva potuto tenerlo. Non glielo avevano permesso. Chi lo aveva strappato dalle braccia di sua madre? Chi gli aveva sottratto l’opportunità di essere cullato, viziato e sommerso di baci?
Ysril.
Un ringhio gutturale infranse la barriera delle zanne e fece vibrare l’aria della cella. 
L’ignoranza non era una scusa sufficiente. Ysril avrebbe dovuto sapere di cosa aveva bisogno un ibrido. Avrebbe dovuto sapere di cosa aveva bisogno suo figlio. Avrebbe potuto fare delle ricerche, informarsi, scavare e trovare una soluzione! Invece non aveva neanche tentato. Lo aveva dato per spacciato prima ancora che nascesse, non si era curato di elaborare un rimedio. Forse aveva creduto la sua morte scontata persino durante il concepimento. E nonostante questo, aveva ingravidato Nell, regalandogli la speranza di un futuro roseo e felice. Se non fosse stato per l’egoismo di Ysril, per la sua stupidità, Nell avrebbe cresciuto il suo vero figlio sin dal principio, come avrebbe dovuto essere. Ma no, un altro aveva preso il suo legittimo posto! Un altro, un umano, aveva ricevuto amore là dove Reeven aveva incassato odio e percosse. L’impostore si era appropriato di un affetto che non era suo, che non gli apparteneva, un affetto che non meritava, un affetto che avrebbe dovuto essere destinato solo a lui! Questo perché Ysril aveva piazzato l’impostore tra le braccia di Nell.
Era tutta colpa di Ysril. Era colpa sua. Colpa sua!
“Reeven.”
La voce gentile di Nell creò una breccia nella sua coscienza e il flusso di pensieri negativi si fermò di colpo. Sbatté le palpebre e lo guardò confuso, registrando il suo peso sulle gambe distese e il calore delle sue dita sul viso e tra i capelli. Distrattamente notò che la statura del biondino sembrava essersi ridotta. Quando l’occhio gli cadde sulle proprie mani, fissò scioccato gli artigli. Anche il colore della pelle era cambiato, tra il grigio e il blu.
“Cosa…?” rantolò, non riconoscendo nemmeno la propria voce.
“Tranquillo, va tutto bene. Ti sei trasformato. È normale. Sei un ibrido, metà umano e metà demone, non c’è nulla di sbagliato.” lo rassicurò Nell con un sorriso timido, “Ti sei già trasformato un paio di volte nei mesi scorsi, ma non eri cosciente, il demone aveva preso il comando relegando l’umano in un angolino remoto. Sono felice che tu sia rimasto qui. Hai sviluppato il controllo, vedo.”  
Reeven si esaminò le mani e appurò che erano più grandi. Prese quella di Nell per operare un confronto e la inglobò completamente. Sollevò di nuovo lo sguardo e Nell gli fece cenno di toccarsi la testa. Eseguì con palese perplessità e quando sfiorò le corna ritrasse le dita spaventato.
“Shhh, non aver paura. Sei bellissimo.” sospirò il biondino, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli, “Somigli così tanto a tuo padre.” mormorò con aria sognante.
Reeven si irrigidì e ringhiò.
Lui dov’è?” scandì in un sibilo minaccioso.
Nell piegò il capo e indicò un punto nel pavimento fuori dalla cella. 
Solo in quel momento Reeven si concesse di studiare l’ambiente circostante e i muscoli si contrassero per la tensione. Non si era accorto di essere in una prigione. Perché? Che posto era? E perché anche Nell era lì? Ricordava la strega, Noara. Ricordava di dover raggiungere Nell a Dun’har. E poi… il buio.
“Dove siamo?”
“A Lankara. I demoni mi hanno catturato e condotto qui. Ysril è prigioniero da molto più tempo, credo lo abbiano torturato. La Sylmaran, la prima strega, mi ha detto che anche il tuo arrivo era stato previsto. Eravamo destinati a ritrovarci qui, tutti e tre.”
“Perché?”
“Vogliono sacrificarci per risvegliare Xion, una calamità naturale che sterminerà tutti quanti.”
“Xion? Come l’Occhio di Xion?”
“Sì. Ne esistono due e sono veramente i suoi occhi. E sono anche la fonte del suo potere.”
Nell gli riassunse tutto ciò che gli aveva rivelato la Sylmaran, compresi gli inganni che la vecchia aveva compiuto per intrufolarsi nelle loro vite. Reeven rimase di sasso nell’apprendere che Suna e la direttrice dell’orfanotrofio erano la stessa persona, niente meno che la prima strega, che lo aveva sorvegliato per anni per accertarsi che seguisse il percorso che era stato già tracciato per lui.
“Quando Qolton lo verrà a sapere, gli verrà un colpo!” commentò.
“Dobbiamo trovare un modo per fuggire, e in fretta.” concluse Nell, agitato e nervoso a causa dell’impossibilità di capire quanto tempo restasse prima che venissero a prenderli.
“Anche Ysril?”
Il ragazzo si bloccò e lo scrutò confuso: “Certo. Perché?”
“È colpa sua.” ringhiò, “È solo colpa sua se io e te siamo stati separati. Dovremmo lasciarlo qui a marcire!”
Nell si abbandonò ad un gemito esasperato e afflosciò le spalle.
“Non appena ci saremo allontanati da questa follia, potrai arrabbiarti e urlargli contro quanto vorrai, ma non adesso. Abbiamo bisogno di lui. Se riuscissi a liberarlo, avremmo più probabilità di vittoria. Credimi, noi due non siamo in grado di combattere contro un’orda di demoni, men che meno la Sylmaran. Non abbiamo speranze senza Ysril. E poi è tuo padre…”
Reeven si imbronciò e incrociò le possenti braccia sul torace, voltando la testa di lato.
“Non è così male, sai? Sì, ha commesso degli errori, ma tutto quello che ha fatto, lo ha fatto per me. Mi ama profondamente, e anch’io lo amo con altrettanta intensità. Nonostante il dolore, gli inganni, la lontananza forzata, ho continuato ad amarlo. Sono sicuro che col tempo imparerai anche tu.”
“Non credo proprio.”
“Dagli una possibilità. Non sa nemmeno che esisti! Benché sia un demone, è capace di un amore immenso e devoto, non immagini quanto. Sarebbe morto per me. Ha ucciso per me. Era disposto a rinunciare al suo potere per invecchiare al mio fianco. Se glielo permetterai, ti amerà più di se stesso.”
“Non mi importa un fico secco del suo amore! Io morirei volentieri per te. Io ho ucciso per te. Potrei darti tutto quello che ti ha dato lui, e ancora di più. Cosa ci rende diversi?”
“Tu sei mio figlio, Reeven. Ysril è mio marito. Vi amo tantissimo, tutti e due, ma di un amore differente. Non chiedermi di scegliere, perché sceglierei sempre entrambi.”
Reeven piegò le labbra in una smorfia scontenta.
“Dobbiamo darci una chance. Non sarà facile, ma dobbiamo provarci. Possiamo essere una famiglia.”
“Io e te possiamo! Lui ha combinato solo casini!”
“Io e Ysril siamo i tuoi genitori. Non ti abbiamo cresciuto, purtroppo, non abbiamo potuto darti l’amore che ti spettava, ma non è troppo tardi.” gli girò il capo e lo obbligò a ricambiare il suo sguardo, “Non posso essere il tuo compagno, Reeven. Non è… non è naturale. Io sono tuo- tua- oh, al diavolo! Ti ho partorito! Capisci? Sei e sarai sempre una parte di me, metà del mio cuore è tua. L’altra è di Ysril. Pure lui dovrà abituarsi a condividermi d’ora in poi.” sbuffò sorridendo.
“Se non è naturale, spiegami perché non desidero altro che coccolarti come un amante, regalarti tutto il piacere del mondo e svegliarmi accanto a te al mattino! Non ho mai provato nulla del genere per nessuno, non mi sono mai fidato abbastanza da abbassare le difese e non ho mai conosciuto una persona che mi abbia fatto bramare qualcosa di più di una notte di sano sesso. D’accordo, ammetto che il legame che ci unisce abbia contribuito ad alimentare l’amore e il bisogno di contatto, ma il resto? Da dove viene? Ti ho amato da ben prima di sapere chi fossi, ti ho amato a dispetto del tuo carattere, della tua freddezza, dei tuoi rifiuti. E ti amo ancora. Ti amo, Nell.” gemette frustrato, attirandolo a sé in un abbraccio soffocante.
“Chiamami ‘mamma’. O ‘papà’, fa lo stesso.” ordinò pacato.
“No.”
“Fallo, Reeven.”
“No.” si impuntò, nascondendo la faccia nella camicia di Nell.
“Dillo.” reiterò, stavolta con una nota severa e categorica nella voce.
Reeven guaì, quasi gli provocasse sofferenza fisica ribellarsi a un ordine diretto del biondino. Si oppose, con tutta la forza che riuscì a racimolare, al desiderio di obbedire che ruggiva nelle sue vene e ignorò il demone che scalpitava dentro di sé gridandogli di accontentarlo.
“Non voglio…” pigolò, strusciando una guancia sulle clavicole di Nell e masticando la stoffa della camicia tra le zanne, come se avere qualcosa in bocca potesse impedirgli di cedere e tradire la propria risolutezza.
“Ti interessa di più il mio corpo o il mio cuore?”
Reeven digrignò i denti e sbatté la fronte sul petto del biondino, ormai prossimo alla resa. Nell schivò le corna e gliele accarezzò alla base, notando i muscoli di Reeven sciogliersi.
“Ricordi cosa ti ho detto? Ricordi che ho cinquantacinque anni? Tra poco cinquantasei. È l’energia di Ysril a mantenermi giovane. Senza di essa, sarei un vecchietto. Non sono un ragazzino, non lasciarti ingannare dalle apparenze. Vorresti ancora coccolarmi se il mio viso fosse pieno di rughe? Se i miei capelli fossero bianchi o addirittura assenti? Se i miei muscoli fossero flaccidi e i miei denti marci?”
Reeven rabbrividì e, suo malgrado, fu costretto a negare.
“Ma continueresti ad amarmi con tenerezza, rispetto e devozione?”
Reeven annuì.
“Ecco. Ti sei risposto da solo.”
“Neanche Ysril ti coccolerebbe se fossi un vecchio decrepito.”
Nell inarcò un sopracciglio e lo fissò dall’alto: “Io e Ysril siamo sposati da circa quarant’anni. E mi ha coccolato giorno e notte per i primi venti. Fai i tuoi conti. Ma non è questo il punto, Reeven! Coraggio, chiamami ‘papà’.”
Il ladro grugnì, contrasse i lineamenti in una sequela di smorfie che Nell non poté fare a meno di trovare buffe e adorabili e, dopo quella che parve un’eternità, lo disse. A denti stretti. Guardando da un’altra parte. Con gli artigli conficcati nei palmi.
Papà.”
“Era tanto difficile?”
“Scordati che chiami così anche Ysril. Non accadrà mai. Se proprio vuoi che gli affibbi un soprannome, sarà ‘ritardato di un demone’. E solo perché al momento non me ne vengono di più offensivi, ma dammi tempo e me li inventerò.”
Nell ridacchiò.
“E poi questo non significa che lo accetto come genitore. Accetto te, per quanto sia un colossale spre-”
Il giovane gli tirò uno scappellotto sulla nuca, gelandolo con un’occhiata ammonitrice.
“Insomma, lui è quello che ti ha ingravidato, non è mio padre. E non lo tratterò come tale. Anzi, appena questa giostra degli orrori sarà finita, lo sfiderò a duello! E il vincitore si prenderà te come prem-”
Un altro scappellotto, un po’ più forte. Reeven rimise il broncio, ma almeno tacque.
Nell si alzò e cominciò a misurare la cella con ampie falcate, ricontrollando che non ci fossero crepe nella barriera di rune sulle sbarre o fra i blocchi di pietra dei muri e nel pavimento. 
“Bene, dunque, forse ho un’idea per uscire da qui, ma dovrai aiutarmi.” esordì quando ebbe completato il giro.
“Cosa vuoi che faccia?” domandò in tono strascicato.
“Ti prego, frena il tuo entusiasmo.” borbottò levando gli occhi al cielo, “Preferisci morire qui?”
“Preferirei trascinarti su un’isola deserta, lontano dalle convenzioni sociali, e vivere il resto della mia vita con te.” mugugnò.
Nell sussultò appena, rammentando un discorso simile che gli fece Ysril anni addietro, e l’ombra di un sorriso gli arcuò le labbra. Si accostò alle carcasse di animali e frugò alla ricerca di un osso sufficientemente affilato. Trovatolo, lo sventolò davanti al viso e invitò Reeven ad avvicinarsi.
“Useremo il nostro sangue e un incantesimo che ho imparato di recente. L’incantesimo trasformerà il sangue in acido e, con un po’ di fortuna, scaveremo un tunnel nel pavimento che ci permetterà di accedere alla cella di Ysril sotto di noi. Non so quanto è grande, dovremmo fare dei tentativi, ma suppongo che se iniziamo da un’area vicino alle sbarre non ci vorrà molto.”
“Perché non l’hai ancora messo in pratica? Sei qui da ore.”
“I rischi erano troppi. Non avevo idea di quanto avrei dovuto scavare. Se la distanza fosse stata maggiore di quanto pensavo, sarei morto dissanguato prima di arrivare alla meta. Ma ora siamo in due, ciò significa più sangue a disposizione.”
“D’accordo, facciamolo. Passami quel coso.”
Il giovane gli diede l’ossicino. Reeven appoggiò la punta sulla pelle dell’avambraccio ed esercitò pressione per aprire uno squarcio, ma l’osso si spezzò senza procurargli nemmeno un graffio. Fissò smarrito Nell, che a sua volta fissò con aria assorta il braccio di Reeven.
“Usa gli artigli.”
Reeven gettò l’osso per terra e accostò un artiglio nella stessa zona, umettandosi le labbra per scacciare l’agitazione. Stavolta incise facilmente e il sangue stillò dalla ferita in un rivoletto denso. Nell mise le mani a coppa e raccolse il sangue, per poi pronunciare le parole dell’incantesimo e spalmare il fluido vitale sulla pietra.
“Funziona?” indagò Reeven.
“Shhh.”
Un attimo più tardi, la pietra sfrigolò e si dissolse, consumata dall’acido. Si formò un buco nel pavimento, non molto profondo, ma almeno dimostrò a Nell che le rune non avevano potere all’interno della cella. Potevano farcela.
“Dammene ancora. Ne occorrerà parecchio.”
Trascorsero le ore seguenti a scavare, alternando il loro sangue così che durante le pause avessero modo di riposarsi e ricaricarsi prima di ricominciare. 
Adesso erano nel tunnel che avevano creato, non abbastanza largo per entrarci entrambi uno di fianco all’altro, altrimenti ci sarebbe voluto troppo sangue, ma quel che bastava per infilarcisi uno sopra l’altro. Per motivi di mole e peso, dato che il tunnel era in verticale, Reeven stava sotto e Nell a cavalluccio sulle sue spalle, il collo del figlio tra le cosce. Le corna gli pungevano lo stomaco se non stava attento, ma fungevano da perfetto supporto per mantenere l’equilibrio. Reeven raccoglieva il sangue nella mano, Nell pronunciava l’incantesimo e di nuovo il primo macchiava la pietra ai propri piedi. Erano stanchi, ma non esausti.
“Quanto mancherà?” domandava Reeven ogni tre per due.
“Non lo so. Continuiamo.” rispondeva paziente Nell, non sentendosela di rimproverarlo.
Andarono avanti accantonando i pensieri cupi, focalizzati sul loro compito, le orecchie tese a captare i suoni all’esterno della cella sopra le loro teste pregando che i carcerieri non si accorgessero di niente. I gesti si fecero automatici, tanto che persero la nozione del tempo e dello spazio, immersi nel buio totale e nel silenzio. 
A Nell mancava l’aria, sentiva la testa leggera e percepiva l’affaticamento di Reeven dalla tensione delle sue spalle e il respiro accelerato a fare eco al proprio. Erano quasi giunti al limite.
“Nell, ci siamo! C’è… il sangue ha creato un foro. È sotto di noi. Un altro paio di tentativi e saremo fuori da questo dannato tunnel.”
“Grazie agli dei!”
Lavorarono con rinnovata grinta e in pochi minuti un rumore secco infranse la bolla ovattata che li avvolgeva, il tipico rumore di crepe che si formano nella roccia.
“Hai detto ‘sotto di noi’?” s’informò Nell.
“Ah, ehm…”
Un piccolo boato esplose intorno a loro e precipitarono giù stringendosi l’un l’altro in mancanza di appigli. 
L’impatto col suolo fece male, specialmente a Reeven, che era caduto di schiena con Nell sopra. Detriti e polvere vorticarono ovunque ed entrambi tossirono disperatamente in cerca di ossigeno. 
Una volta che la nuvola si fu diradata, osservarono il nuovo ambiente. Nell non vedeva nulla, ma Reeven sì, grazie ai suoi occhi, che ora brillavano di rosso nell’oscurità. 
“Siamo in una stanza circolare.” descrisse il ladro, incamerando quanti più dettagli possibili, “Ci sono delle… delle croci di legno e pietra incollate al pavimento. Ne conto almeno sei. Dalle estremità penzolano delle manette di ferro. Sul soffitto sono state fissate delle catene. C’è odore di sangue. Sangue non umano, ma neanche animale. Sento il battito di un cuore. È lento.”
“Dove?”
“Seguimi.”
Si issarono in piedi, verificando di non avere niente di rotto. Poi Reeven afferrò la mano di Nell e gli fece strada nelle tenebre, guidandolo verso la fonte del battito. Non gli sembrava familiare come quello di Nell, ma una minuscola parte del suo essere si allacciò al suono come un bambino alla sottana della madre. L’incastro che ne risultò era perfetto e Reeven percepì un pezzo importante tornare al suo legittimo posto. La sensazione lo turbò.
Un cono di luce illuminò d’un tratto il centro della stanza, dove era stata piazzata una croce più grande delle altre, proprio al di sotto di una grata. Un demone era legato a polsi e caviglie con le manette di ferro, che rilucevano in maniera sinistra. Il reticolo di vene su braccia e gambe spiccava in mezzo all’incarnato bluastro, cadaverico, in particolare in prossimità delle manette, come se stessero succhiando il suo sangue o gli stessero iniettando un veleno, Reeven non lo sapeva. Le sue palpebre erano legate insieme da un filo e dal torace spuntavano quattro bastoni ricoperti di strani simboli, gli stessi, pensò Reeven, che aveva visto incisi sulle sbarre della cella.
Avanzò, rapito dalla scena, ma venne tirato indietro da Nell, che si era fermato ai margini del cono di luce. Le sue guance pallide mostravano ancora i segni delle lacrime versate e nei suoi occhi iniettati di sangue albergavano emozioni a cui Reeven non riusciva a dare un nome. Il suo sguardo era fisso innanzi a sé, posato sul prigioniero. Non vacillò quando compì il primo passo, né il secondo e il terzo, fino ad arrestarsi di fronte al demone senza dire una singola parola.
Il supporto sotto le zampe della creatura era rialzato di un paio di spanne. Questo, in aggiunta alla considerevole altezza del demone, faceva apparire Nell un nano gracilino. 
E così quello era Ysril. “Tuo padre”, gli suggerì una vocina nella testa.
“Che gli è successo?”
“La Sylmaran lo ha addormentato.”
Reeven si avvicinò circospetto e studiò ogni centimetro del demone con malcelato fascino e curiosità. Osservò le labbra nere, dalle quali si intravedevano le zanne bianche; le occhiaie violacee sotto gli occhi allungati come quelli di un felino, che gli conferivano un aspetto malato; gli artigli neri in cima alle dita, più affilati e sottili dei suoi; la coda che pendeva immobile tra le gambe muscolose, grosse come tronchi d’albero, adagiandosi sul supporto in una morbida spirale; il torace ampio e solido come pietra; i fianchi forti fasciati da un gonnellino nero, tenuto su da una cintura di metallo finemente lavorata; i capelli lunghi e folti, simili agli aculei di un porcospino, erano color avorio e due magnifiche corna sanguigne gli incoronavano la testa; altri piccoli corni sbucavano dai gomiti, dagli avambracci e dalle spalle.
Reeven convenne che Ysril fosse un magnifico esemplare, provvisto di un bellezza terribile, spaventosa, schiacciante. La sua mole era il doppio di quella dell’ibrido, già di per sé notevole, e i muscoli gonfi che gli ricoprivano il corpo davano l’impressione di una forza prorompente a stento trattenuta.
“Reeven, recidi i fili che gli sigillano gli occhi.” bisbigliò Nell, la voce grondante di sollievo, adorazione e urgenza.
Reeven deglutì, indeciso. Alla fine espirò rilassando le spalle e, con l’ausilio di un artiglio, eseguì celermente la richiesta di Nell, che rimosse con attenzione i pezzi dei fili, gettandoli a terra alla rinfusa. Le ferite sulle palpebre si rimarginarono nell’arco di pochi secondi, senza lasciare traccia.
“Aiutami a estrarre anche questi bastoni.”
Il ladro si accinse a impugnare il primo. Appena lo sfiorò con le dita, si scansò bruscamente e sibilò di dolore, tenendosi la mano premuta contro il petto.
“Non riesco a toccarli.”
Nell aggrottò le sopracciglia e afferrò un bastone. Non accadde niente. Non avvertì nemmeno una scossa. Così strinse i denti, raccolse le energie, fece leva con un piede sul supporto rialzato e tirò. Occorsero vari tentativi e, quando Reeven abbracciò la vita di Nell da dietro e aggiunse la sua forza, il bastone venne via con un movimento fluido. Ripeterono l’azione altre tre volte e osservarono con un sorriso i fori nel torso di Ysril richiudersi. Ora mancavano soltanto le manette.
Prima che Nell potesse accovacciarsi per esaminarle, la gamba sinistra di Ysril ebbe uno spasmo. Il ragazzo si paralizzò e scrutò col cuore a mille la figura del marito, aspettando di vederlo svegliarsi. In quel caso, cosa gli avrebbe detto? Come lo avrebbe guardato? Eccitazione e timore guerreggiavano in lui come fiere. 
E finalmente, proprio quando Nell stava per perdere le speranze, il demone aprì gli occhi.
Due biglie rosso rubino incastonate in una sclera nera come l’inchiostro si piantarono sulla figura di Nell, facendolo rimescolare da capo a piedi. Dapprima rimasero immobili, quasi non riuscissero a mettere a fuoco i contorni della realtà, ma pian piano riacquistarono la luce e un guizzo di consapevolezza brillò in fondo a quelle iridi scarlatte
“Nell?”
Reeven restò in silenzio ai margini della scena, senza osare interrompere il momento e l’atmosfera satura di tensione che avvolgeva i due al centro del cono di luce.
Nell curvò le labbra in un sorriso tremante, tirò su col naso cercando di mantenere il contegno e, con voce flebile e commossa, esalò un timido “ciao”. E in quell’istante qualcosa si sciolse nello sguardo del demone.
Ysril si abbeverò alla vista del suo sposo come un assetato a una sorgente di acqua pura. Guardò incantato i capelli biondi, lisci e serici, più lunghi di quanto ricordava e un po’ più sporchi, come se si fosse rotolato nella polvere, e immaginò di passarci in mezzo le dita, stringerli e strofinarseli sulla faccia. Poi si soffermò sulla pelle candida del collo, priva di segni e cicatrici, e percepì le viscere contrarsi nel desiderio spasmodico di imprimere i suoi marchi su di essa, morsi, succhiotti, graffi, qualsiasi cosa che comunicasse al mondo intero l’appartenenza di quel ragazzo a lui e soltanto a lui. Delineò con occhi avidi le forme di quel corpo tanto amato e riscoprì l’antica venerazione che per vent’anni lo aveva spinto a inginocchiarsi di fronte a Nell, devoto e schiavo della sua bellezza. Appariva cresciuto, un giovane uomo appena uscito dalla fase adolescenziale, un nuovo vigore a gonfiargli i muscoli sottili delle braccia e delle gambe, ma sempre splendido, da strappare il fiato. E il suo odore, dei, il suo odore. Non esisteva niente di più sublime e perfetto, una fragranza unica che sin dal principio lo aveva irretito e attratto come una falena verso la fiamma di una candela. 
Quanto gli era mancato… non sapeva come aveva fatto a sopravvivere tutto quel tempo senza respirarlo. Non c’era da stupirsi che avesse ceduto alla follia e si fosse rifugiato in se stesso, nonostante ora sentisse la razionalità riemergere dall’anfratto in cui l’aveva scacciata per non soffrire. Il suo adorato Nell era lì, davanti a lui, non poteva essere un’allucinazione come le altre. Se lo fosse stata, era sicuro che si sarebbe arreso alla disperazione, troppo dolore da sopportare.
Ad un tratto, notò le occhiaie, il pallore dell’incarnato e la magrezza del suo klheis. Nei suoi occhi albergava una stanchezza che non era tanto fisica, quanto spirituale, come se la vita lo avesse messo a dura prova senza alcuna clemenza, costringendolo a piegarsi. Non si era ancora spezzato, una luce determinata ardeva in fondo a quei pozzi di cielo, ma tale luce minacciava di venire inghiottita dall’oscurità che l’assediava, in un modo che fece accapponare la pelle di Ysril.
Si protese di scatto verso Nell, la voglia di rinchiuderlo nel suo abbraccio per offrirgli conforto così impellente da ridurlo in agonia, ma le manette opposero resistenza e bloccarono il movimento. Strattonò le catene ringhiando e si dimenò, finché Nell non gli pose una mano sul torace.
“Ora ti libero.”
Si accovacciò per studiare le manette che intrappolavano le caviglie di Ysril, le tastò e disegnò le rune con i polpastrelli, il viso contratto in un’espressione concentrata. Se solo avesse avuto la sua borsa con sé, avrebbe potuto usare il coltello per scassinare i lucchetti.
Mentre il giovane era intento nel suo compito, Ysril fece vagare lo sguardo per la cella, fino a soffermarsi sulla seconda presenza a pochi passi da lui. Corrugò la fronte, inspirò e le sue narici fremettero quando captò l’odore del sangue di Nell sugli artigli di quello che dedusse essere un ibrido. Un ringhio cupo rotolò fuori dalle sue labbra e gli occhi rifulsero minacciosi, incenerendo Reeven sul posto.
“Oh, lui è Reeven, nostro figlio. Reeven, ti presento Ysril, tuo padre.” snocciolò serafico Nell, continuando a rigirarsi tra le mani le manette, testando la resistenza delle catene.
Ad Ysril andò di traverso la saliva e tossì tentando di non strozzarsi. La sua faccia era una maschera di incredulità e orrore. Reeven, invece, avendo avuto più tempo per familiarizzare con l’idea, reagì arricciando un angolo della bocca in una smorfia e alzando la mano in un saluto impacciato.
“Come va?” buttò lì fingendo disinvoltura.
“Mi sono perso un passaggio.” borbottò Ysril dopo vari secondi di totale sconcerto.
“Ringrazia Djibres. Non seppellì nostro figlio come gli avevi ordinato, ma lo mise nella culla dalla quale aveva preso Selis. Appena la madre di Selis se l’è stretto al petto, il cuore di Reeven ha iniziato a battere. Se ci avessi pensato tu, se avessi posato nostro figlio sul mio petto prima di farlo sparire, avremmo potuto tenercelo.” spiegò Nell, scoccandogli un’occhiata carica di rimprovero.
Il demone lo fissò scioccato e boccheggiante, osservando il marito e l’ibrido muovendo la testa da uno all’altro una decina di volte, prima di pietrificarsi e guardare con aria vacua il muro.
“Oh.” fu tutto ciò che disse non appena si riebbe dallo stupore.
Dopodiché, la sua attenzione venne calamitata interamente da Reeven e incamerò ogni dettaglio con ingordigia. L’istinto gli confermò che condivideva il sangue con lui, la vibrazione che percepiva sottopelle non lasciava spazio a dubbi. Il proprio nucleo pulsava in sincrono con quello dell’ibrido, chiaro indizio di parentela, come era risaputo tra i demoni.
“Oh.” ripeté meravigliato, per poi tornare a scrutare gli artigli del figlio come se lo avessero personalmente offeso, “Perché sei sporco del sangue di tua madre?”
“Padre.” lo corressero in coro Nell e Reeven, il primo in tono annoiato, il secondo scocciato.
Ysril rimase interdetto, quindi scosse il capo: “No, un attimo, dobbiamo stabilire subito delle regole. Se io sono il padre, Nell è la madre. Se tutti e due siamo ‘padre’ si crea solo confusione.”
“Io posso essere ‘papà’ e tu puoi essere ‘padre’.” offrì Nell, strattonando la catena e grugnendo frustrato.
“Tch.” Reeven schioccò la lingua, pronunciando sottovoce qualcosa tipo “demone ritardato”, ma Ysril scelse di ignorarlo.
“Mh. Perché sei sporco del sangue del tuo papà? Dei, quanto suona strano…”
Nell sbuffò esasperato: “Facciamo che mi chiamate col mio nome e festa finita?”
“Meglio.” concordò Ysril e si rivolse di nuovo a Reeven, “Perché sei sporco-”
“Ho capito! Non sono sordo!”
“E allora rispondi.”
“Abbiamo dovuto usare il nostro sangue per un incantesimo.” masticò riluttante.
“Che incantesimo?” indagò Ysril, assottigliando sospettoso le palpebre.
“Maledizione, non riesco a romperle!” ringhiò Nell brandendo con furia le catene, “Reeven, vieni qui. Ripetiamo i gesti di prima, quando abbiamo estratto i bastoni. Afferrami per i fianchi e tira dalla parte opposta alla croce.”
Reeven si portò immediatamente in posizione e insieme a Nell tirò, ma le catene non cedettero.
“Mmm… proviamo con l’incantesimo.” mormorò il giovane, inginocchiandosi sul pavimento e spremendo la ferita sul polso per far sgorgare altro sangue.
Ad Ysril non piacque quella vista e fece per ribellarsi, ma ammutolì quando udì Nell articolare parole arcane e versare il sangue sul ferro, che sfrigolò. Tuttavia non si sciolse, anche se ne uscì lievemente deformato.
“Uffa. Ho terminato le idee. Proposte?” domandò guardando prima il marito e poi Reeven e sbuffò quando entrambi scrollarono le spalle.
“Aspetta un secondo! Cos’era quello? Da quando sei capace di usare la magia?” esclamò Ysril, squadrando il suo klheis sbigottito, come se gli fosse cresciuta una seconda testa.
“A quanto pare sono uno stregone.”
Uno stregone? No, non poteva essere, se ne sarebbe accorto. Si interruppe a metà di un respiro quando realizzò che sì, era plausibile, se non altro perché altrimenti Reeven sarebbe morto. La percentuale di ibridi che sopravvivevano alla nascita era bassa, ma quelli che ci riuscivano venivano tutti dal ventre delle streghe. Inoltre, a conti fatti, i demoni erano attratti soltanto da queste ultime, mentre i normali umani non erano che banali insetti. La propria attrazione per Nell avrebbe già dovuto costituire un indizio, ma lui non l’aveva colto. Stupidamente.
Nell è uno stregone. Oh, dei. Significa che gli ho fornito la mia energia durante il sesso… tanto sesso…
“Ma… ma come-”
“Storia lunga, te la racconterò più tardi. Adesso dobbiamo unire i cervelli ed elaborare un piano per liberarti.”
Ysril scrollò le spalle e si ancorò al presente, c’erano altre priorità al momento.
“Queste catene sono state forgiate per imprigionare un demone. È magia di alto livello.”
“Conosci un incantesimo che potrebbe esserci utile?”
“No.”
“Quindi aspettiamo che ci vengano a prendere per sacrificarci tutti?” sbottò Reeven.
“Sì!”
Nell e Reeven fissarono Ysril con gli occhi fuori dalle orbite.
“Sei impazzito?” ribatté il biondino, stringendo i pugni lungo i fianchi, “Ti prego, dimmi che non sei impazzito…”
“Mi farò venire a prendere e, appena apriranno le manette per condurmi al vulcano, ne approfitterò per ucciderli. Voi rimarrete nascosti fino al mio segnale.” illustrò pacato il demone.
“Mi sembra un piano stupido.” sibilò Reveen, incrociando le braccia sul petto, “Si accorgeranno che io e Nell non siamo nella cella e vedranno il tunnel che abbiamo scavato. A quel punto faranno due più due.”
“Allora illuminaci con la tua acuta intelligenza, figlio.” lo rimbeccò sarcastico.
“Voi siete più esperti di me nell’arte magica, pensate a un incantesimo in grado di spezzare dei sigilli.”
Nell rifletté e tentò: “Ysril, puoi assumere sembianze umane? Così le tue ossa si rimpicciolirebbero e riusciresti a sfilare polsi e caviglie dalle manette.”
“No, Nell.” sorrise debolmente, “I demoni non sono in grado di mutare il proprio aspetto con la sola forza di volontà, come le streghe. Avrei bisogno di una pozione specifica. La saprei preparare ad occhi chiusi, ma ci mancano gli ingredienti.”
Rimuginarono ancora un po’ e alla fine fu il turno di Ysril di avanzare un’idea.
“Ce l’ho.”
“Fantastico. Dicci cosa dobbiamo fare.” lo esortò il marito.
“Serve il sangue di una strega.” cominciò ad elencare con eccitata urgenza.
“Ne abbiamo in abbondanza. Poi?”
“Del ferro fuso.”
“Il ferro c’è e possiamo accendere un fuoco con il legno delle croci. Ci vorrà un po’ per fonderlo, però.”
“E una radice di mandragora.” concluse Ysril in tono piatto, le palpebre a mezz’asta.
Il silenzio che calò sul trio valse più di mille parole.
“Stai scherzando?!” sputò Reeven mostrando le zanne, “Dove diavolo la troviamo una radice di mandragora? E cos’è una mandragora?”
“Beh, almeno ci ho provato!” sibilò Ysril.
“Piantatela di beccarvi, siamo tutti sulla stessa barca.” li sedò Nell.
“Ha cominciato lui!” si accusarono in coro, per poi guardarsi in cagnesco.
Nell nascose un sorriso divertito dietro una mano e deviò l’attenzione verso la grata sul soffitto, calcolando la distanza e la posizione, mentre accanto a lui l’alterco si ravvivò un’altra volta.
“Hai fegato. Chi ti ha insegnato il rispetto? Sono tuo padre, non accetto che mi si parli così.” lo ammonì Ysril, inchiodandolo con un’occhiata severa.
Reeven sbuffò seccato e avanzò di un passo, per nulla intimorito: “Uno, la strada mi ha insegnato tutto ciò che so. Due, ti tratto come voglio, dato che non ci sei mai stato per me e non ti conosco. Tre, non ti devo nulla, figuriamoci il rispetto. Quello dovrai guadagnartelo.”
Il demone aprì e chiuse la bocca varie volte, totalmente spiazzato. In mancanza di una ritorsione arguta, innervosito per essere stato messo all’angolo, decise di apostrofare Nell. 
“Cosa gli hai insegnato?”
“Proprio un emerito niente. L’ho incontrato alcuni mesi fa a Ferenthyr, faceva parte di una banda di ladri. Abbiamo viaggiato insieme per qualche settimana e non ho mai sospettato che fosse nostro figlio. Ho capito che era un ibrido e lui mi ha detto di essere un orfano, ma non avrei mai immaginato che fosse carne della mia carne, grazie a qualcuno che mi aveva detto di averlo seppellito.” sibilò scandendo le sillabe, l’accusa palese, “La sua vera identità mi è stata rivelata dalla ze’hik quando è venuta a farmi visita nella cella, poco dopo averti lanciato l’incantesimo. E di certo non ho la pretesa di insegnargli l’educazione, visto e considerato che nemmeno io ci sono stato per lui e non lo conosco come vorrei. Quando usciremo di qui ci sarà tempo per recuperare, ma fino ad allora vediamo di andare d’accordo e non intralciarci a vicenda, se non vogliamo morire male. Intesi?”
Ysril e Reeven grugnirono il loro assenso e scelsero di ignorarsi, pur scoccandosi sguardi intensi e curiosi a vicenda quando erano sicuri che l’altro non stesse prestando attenzione.
Nell ispezionò la stanza in cerca di crepe o spiragli, come aveva fatto nella sua cella. Compì un giro completo e, una volta riapparso al punto di partenza, diede le spalle agli altri due e poggiò le mani sulle ginocchia, avvertendo la spossatezza guadagnare terreno.
Ysril neanche tentò di mascherare il vivo interesse quando l’occhio gli cadde sul posteriore di Nell. Si leccò le labbra affamato, calde reminescenze di incontri passionali che riaffioravano dalla memoria, riportandolo a Rocca Smeralda, nella camera padronale, sul grande letto a baldacchino teatro di inebrianti e infiniti amplessi. Sulla sua bocca si dipinse un sorriso ebete.
Reeven colse subito i pensieri del demone, poiché, malgrado la buona volontà che stata impiegando per accontentare Nell, molti di essi li condivideva. In un moto istintivo di gelosia provvide a coprire il biondino con la propria stazza, sfidando il padre con un ghigno sardonico che diceva “Lui è mio, tu sei legato e non puoi fare niente, vieni a prendertelo se ne hai il coraggio”.
Ysril, dopo un momento di sconcerto, perplessità e sorpresa, vide rosso. Se non avesse avuto le mani legate, letteralmente, se ne sarebbe schiaffato una sulla faccia. Si diede dello stupido per non averlo intuito prima, i segnali c’erano tutti, a partire dall’ostilità e dalla postura sulla difensiva del figlio. Durante la pubertà gli ibridi provavano astio e rivalità nei confronti dei padri e attrazione verso le loro madri, era un meccanismo che si sviluppava pian piano per permettere loro di formarsi un’identità e faceva parte della naturale crescita fino al raggiungimento dell’età adulta, in cui rescindevano con un taglio netto il legame familiare. Allora abbandonavano il nido, e non necessariamente per cercare una compagna; era un’esigenza normale che si presentava non appena acquisivano il definitivo equilibrio psicofisico e un maggiore controllo su loro stessi. Ora, se non andava errato, Reeven doveva aver passato i trenta - trentacinque? Trentasei? -, che per un ibrido significava esattamente piena adolescenza. Si sarebbero scontrati più e più volte per Nell nell’arco dei prossimi anni, almeno finché Reeven non fosse diventato adulto. 
Represse un gemito esasperato e si arrovellò per escogitare un modo per riferirlo a Nell senza mandarlo in crisi.
Quando captò un movimento fulmineo a soli tre passi di distanza, snudò le zanne, contrasse gli artigli e sollevò la coda, facendola mulinare nell’aria come una frusta in un chiaro avvertimento. Reeven arrestò lo slancio e si accucciò, gli occhi rossi che brillavano nella penombra come i suoi gemelli.
“Che state facendo?! Basta!” sbraitò Nell spazientito, ne aveva fin sopra i capelli del loro atteggiamento infantile, “Volete aiutarmi o ve ne restate lì impalati a gingillarvi? Non so quanto tempo ci rimane prima che-”
Uno sferragliare lontano zittì qualsiasi cosa stesse per dire e gli gelò il sangue peggio di una secchiata d’acqua fredda. 








 
  
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