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Autore: Arny Haddok    14/08/2017    1 recensioni
Dal testo "Signori e Signore. Bambini e Bambine. Benvenuti. Il circo itinerante Hound's Wonders è felice di ospitarvi per questa magica serata natalizia! Questa sera sarete in mia compagnia, e insieme ammireremo meraviglie di altri mondi, creature bizzarre e evoluzioni che nemmeno potete immaginare! Questa sera, signori miei, la destinazione del nostro indimenticabile viaggio è una sola... DESTINAZIONE MERAVIGLIA!"
I personaggi di Sherlock catapultati nell'universo del circo.
[CircusAU] Accenni di [Teen!lock]
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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E anche questo lunedì ci sono riuscita! Ringrazio tutti i lettori silenziosi e chi mi lascia una recensione, che è sempre gradita; probabilmente senza di voi nemmeno sarei qui a editare.
Vi auguro buona lettura e ci rivediamo alla fine del capitolo!
Fatevi forza miei circensi.




On the Wire

 

Capitolo terzo
Happy Birthday John 

 

John si sollevò a fatica dalla branda che gli avevano assegnato, e dato che era stato il giovane funambolo a proporre che entrasse a far parte della compagnia, questa fantomatica branda era nella stessa tenda insieme a quella di Sherlock. L’idea non poteva che essere stata di Mycroft, il quale aveva sempre permesso al fratello uno spazio in cui potesse rimanere solo.

- Non abbiamo altro luogo, Sherlock, il nostro nuovo compagno dovrà dormire con te. – aveva definito il più grande facendo roteare il bastone con la mano destra, mente il ragazzo dagli occhi azzurri lo stava seguendo per fargli cambiare idea. Peccato che il direttore non avesse la benché minima intenzione di farsi convincere dalle suppliche del più giovane. La compagnia si preparava alla restante parte del viaggio: avrebbero continuato fino alla nuova destinazione durante la notte.

- Mycroft – ritentò – non posso pensare di condividere il mio spazio con un completo sconosciuto! E se avesse brutte intenzioni? – era la prima volta che l’artista difendeva così voracemente il suo “terreno”, come se anche l’idea di John violasse la sua persona.

- Fratello caro… sai meglio di me che quel ragazzo non ti farà mai niente, credo che tu lo abbia capito in meno di un minuto, anche prima che questo potesse aprir bocca per meravigliarsi delle tue “sentenze”. – a quella provocazione il giovane Sherlock non sapeva come replicare. Aveva finito le pallottole per la pistola da autodifesa, aveva finito le sue “sentenze” nei confronti del fratello maggiore.

A quel punto il giovane dai capelli scuri e ricci adottò una smorfia di sincera disapprovazione, per poi girarsi e incamminarsi con passo pesante verso la sua ormai non più solitaria tenda.

Nel frattempo, all’impavido aspirante dottore venne in mente che il giorno seguente avrebbe compiuto vent’anni. Nessuno lo sapeva tra gli artisti della compagnia, ma si sarebbe tenuto impegnato con altro, scaricando casse e bauli ad esempio.

Per festeggiare era solito uscire con Stanford, suo caro amico e compagno di corso d’infermieristica: sarebbero usciti a bere qualcosa, magari una birra, e John avrebbe cercato di allontanare il più possibile le pressioni del padre dai suoi pensieri. Forse quelle serate fuori servivano più a quello, al dimenticare, invece che a festeggiarsi.

Arrivò la sera, e l’ultimo arrivato attese istruzioni su dove avrebbe passato il viaggio. Il presentatore degli spettacoli si avvicinò a lui con uno smagliante sorriso, leggermente inquietante, almeno, questo era il parere di Watson.

- Quindi tu sei il tanto chiacchierato John Watson! Qui parlano tutti di te, sai? Non accade tutti i giorni che venga ritrovato un ragazzo tra i nostri bagagli. Comunque parlando d’altro, io sono Moriarty, Jim, se vuoi. – nel mentre, il giovane artista gli aveva circondato il collo con il braccio destro, e il ragazzo dai capelli chiari poté notare, abbassando il capo per l’eccessiva confidenza, che quel personaggio era elegantissimo: tralasciando il cilindro che gli calzava a pennello come fosse una corona, la sua camicia non presentava una singola piega, una grinza, una scucitura, ed era di un bianco sorprendente anche dove solitamente il colore sbiadisce a causa del sudore; portava un cappotto nero poggiato sulle spalle, di modo che le maniche seguiserro fluidamente ogni suo vistoso movimento; i pantaloni sembravano cuciti su misura, sempre neri, e le scarpe lucide ed appariscenti. Se non si fosse trattato di uno dei circhi più importanti dell’Inghilterra, John si sarebbe chiesto perché mai un uomo di una tale eleganza e sfrontatezza fosse lì in quel momento. Nonostante la sua presentazione non riportasse nessun dettaglio discutibile, un brivido percorse rapido la schiena del londinese, accompagnato da una perpetua sensazione d’insicurezza e inquietudine. Se Sherlock era il motivo della sua presenza nell’Hound’s Wonders, allora Moriarty poteva tranquillamente essere la ragione della sua decisione di tornare a Londra e accettare la divisa da militare.

Non riusciva a fidarsi di Jim Moriarty, e nemmeno si erano intrattenuti in una conversazione.

 

Durante il tragitto il presentatore aveva invitato Watson a sedersi in macchina con lui, spiegandogli che avrebbe guidato più volentieri durante una lunga notte d’inverno con una persona da conoscere sul sedile di fianco. A John già sembrava strano che un individuo del genere potesse guidare, avrebbe scommesso che qualcuno lo facesse per lui. Sui sedili posteriori invece si era accomodato Sherlock, sdraiandosi e occupando così tutto lo spazio a sua disposizione. Già lo infastidiva l’idea di condividere il suo sonno con il nuovo arrivato, era meglio prendersi più spazio possibile finché ne aveva la possibilità, no?

Moriarty aveva sempre il giovane funambolo come compagno di viaggio, e fin dal suo arrivo nel circo, lo aveva stuzzicato senza dargli una giornata di tregua. Il giovane dai capelli scuri, si era ritrovato questa presenza ingombrante fin da ragazzino, e non aveva idea del perché una persona con qualche anno più di lui, che quindi doveva mostrarsi adulta, si divertiva così tanto ad infastidirlo. Durante gli allenamenti era capace di portarsi un comodo sgabello di legno e restare a guardare le sue performance sul cavo, commentando con un tono acuto e insensibile, nonostante spesso si trattasse di complimenti. Durante i lunghi viaggi erano soliti parlare, soprattutto Jim, di quanto i costumi fossero comodi o di qualche notizia che girava da tempo “dietro le quinte”: Sherlock non lo sopportava, così come non sopportava il fatto che tutte le chiacchiere e i gossip si impossessassero di ogni loro conversazione, che, in caso contrario, sarebbero state di un’intelligenza e cultura importanti.

Quella notte però la scena di “verginello” o “a Molly come piacerebbe chiamare vostro figlio?” gli era stata rubata da John Watson, e mai smise di ringraziarlo per la sua presenza.

- Dimmi John, mi hanno raccontato che sei scappato di casa e che sei rimasto incantato dal nostro giovane e attraente funambolo, devo considerarlo un colpo di fulmine? – al più basso saltò un battito, e la sua divertente e imbarazzata espressione non fece altro che confermare la teoria di Moriarty.

Nessuno, nessuno aveva mai parlato di come John fosse rimasto esterrefatto dalla leggiadria e concentrazione del più giovane degli Holmes. Come diavolo faceva quell’uomo a saperlo?

- C-Cosa? Colpo di fulmine? Ma… assolutamente no! – replicò dopo qualche brevissimo istante di stabilizzazione –Comunque ha detto bene, sono scappato. – avrebbe cercato di cambiare argomento il prima possibile, odiava ricordare il volto tinto di rabbia di suo padre, anche se aveva lasciato casa da due giorni soltanto. Mai nessuno che gli chiedesse quale fosse il suo colore preferito.

- Mi piace di più pensare che tu sia rimasto shoccato di fronte alla bravura e alla compostezza del nostro misterioso e giovanissimo Holmes, sai, è proprio bravo su quella sua corda o come si chiama. – al conducente non interessava minimamente della vita passata del ragazzo seduto di fianco a lui.

- Cavo. – intervenne un tono profondo e serio.

- Scusami, caro Sherlock. – replicò prontamente Jim, come se si aspettasse una risposta mentre ancora formulava volontariamente l’errore. Il suo tono si era alzato all’improvviso, mentre si voltava per guardare il suo interlocutore.

L’aspirante medico, in quelle brevi battute, riuscì a percepire un quantitativo tale di tensione, che, se imbottigliata in forma liquida, avrebbe dissetato l’intera città di Londra. Chi erano quei due personaggi? E perché mai Moriarty continuava ad inquietarlo? Forse era la voce, forse l’espressività con cui pronunciava ogni singola sillaba, o forse gli occhi, vispi, neri e vuoti.

La conversazione proseguì, e fortunatamente l’argomento centrale divenne l’interesse medico del giovane Watson, che però ponderava ogni periodo prima di pronunciarlo, per paura di rivelare troppo in presenza di quello strano presentatore.

 

Quando finalmente la compagnia giunse a destinazione, nessuno si prese l’impegno di sgranchirsi per bene gambe e schiena: bisognava montare le tende e scaricare bauli e attrezzi, per poi cominciare con il lavoro più faticoso, cioè il tendone. Erano conosciuti non solo per la spettacolarità delle loro performance, ma anche per la loro efficienza con i lunghi preparativi, che per alcune troupe significavano anche tre giorni di lavoro. Il circo Hound’s Wonders non ci aveva mai impiegato più di trentasei ore, era il loro standard, e mai lo avrebbero cambiato, soprattutto viste le numerosissime richieste che gli venivano fatte.

Subito John si mise a disposizione per dare una mano, e cominciò volenteroso a scaricare dei gran pesi. Non si poteva dire di lui che fosse mingherlino, qualche muscolo si poteva intravedere, ma tutto quello spazio vuoto che rimaneva tra la sua pelle e la camicia, la sua unica camicia, era semplice carenza di esercizio fisico. Se fosse entrato nell’esercito non sarebbe mai tornato a casa in quelle “misere condizioni”, così lo definiva il padre.

Non passò troppo tempo perché le braccia gli chiedessero pietà, quindi decise di dedicarsi ad un compito meno faticoso: montare le tende. Si affrettò a raggiungere l’unica persona che aveva un’aria rassicurante, a detta sua, tra tutti quegli artisti, e sollevò qualche picchetto da terra con conseguente rumore metallico, ritrovandosi in pochissimi istanti due occhi azzurri a fissarlo. Sherlock si reggeva sugli avampiedi, la camicia di lino già impregnata di sudore sulla schiena e sbottonata sul collo, i capelli a coprirgli la fronte con quell’ordine che solo i riccioli scuri del giovane Holmes potevano avere.

- Uno lì, e un altro a circa mezzo metro di distanza. - diede istruzioni per poi voltarsi e tornare a sciogliere i nodi delle corde per la tenda.

Watson rimase a guardarlo per qualche istante, chiedendosi dove diavolo fossero cortesia ed educazione in quel ragazzo, ma decise di ignorare la domanda e piantare i picchetti. In poco tempo e senza scambiarsi più di venti parole, avevano finito. Recuperarono due bauli, le brande e gli attrezzi da funambolo che il più alto non si fidava a lasciare insieme agli altri strumenti. Quando si resero conto di non avere più nulla con cui occupare il silenzio, si sedettero entrambi sulle rispettive brande. Potevano tranquillamente uscire e cercare un’altra occupazione, un altro incarico, eppure nessuno dei due sembrava intenzionato a lasciare quella tenda.

- Quel Moriarty, o forse voi lo chiamate solamente Jim, non ti dà i brividi? – iniziò il più basso alzando la testa per guardare il suo interlocutore in faccia – intendo, è come se con gli occhi cercasse di torturare chiunque. – non sapeva esattamente in che modo poter descrivere quello che aveva provato dialogando con l’elegante presentatore.

- Dopo anni ci si fa l’abitudine. Ormai non riesco più a prendere sul serio tutto quello che dice, la maggior parte del tempo non fa altro che straparlare. – era secco e conciso il giudizio di Sherlock.

- Quindi è da molto che lavora per il vostro circo? – chiese curioso John. Dovevano conoscersi da tanto tempo, perché quel giovane funambolo potesse rispondergli come aveva fatto durante il tragitto in auto.

- Da prima che arrivassimo io e mio fratello. Al tempo però si occupava solo dei cavalli. –

- Il che è successo veramente tanti anni fa, sbaglio? – cavare un’informazione da quel soggetto con i ricci scuri era un lavoro che spettava ad una persona paziente. Come avevano fatto gli alcuni membri della compagnia a sopportarlo restava un mistero per molti.

- Corretto. Dimmi, John, so che hai lasciato casa tua, che non sei in buone condizioni economiche ma hai una famiglia, che studiavi infermieristica prima di infilarti tra i nostri bauli… qualcuno ti faceva pressioni? Magari tuo padre, o uno zio? –

A quel punto Watson rimase a fissare gli occhi di Sherlock per qualche secondo prima che potesse formulare un qualsiasi tipo di risposta. Il suo sguardo lasciava trasparire una sola idea: come diavolo faceva a sapere che suo padre gli faceva pressioni?

- Ecco, un’altra persona che lo fa. – Holmes sollevò il capo e chiuse gli occhi, sospirando, per poi riaprirli e tornare a guardare il suo compagno di tenda.

- Cosa? – era estremamente confuso, - Che fa che cosa? – ancora doveva metabolizzare il vomito d’informazioni che il funambolo gli aveva lasciato tra le mani ad una velocità disumana.

- Quello sguardo, quell’espressione, quella faccia! Dio… siete tutti uguali, non sapete fare altro che guardarmi sorpresi, però sembrate anche spaventati! – al che Sherlock si era alzato in piedi e, dall’alto, guardava John, - Perché durante gli spettacoli rimanete sorpresi e felici quando un prestigiatore fa sparire un fazzoletto bianco, mentre quando vi faccio capire che non sono un’idiota ve ne state lì, inermi, capaci solo di balbettare e fissarmi sconvolti? –

- Ma… non ho mai nemmeno pensato che tu fossi un idiota, quando lo avrei detto? – l’espressione del ragazzo ancora seduto sulla sua branda era confusa, ma pennellata da un sorriso ironico. Non capiva il perché di tanta “isteria” improvvisa.

- Mi è bastato guardarti in faccia per capirlo. – Holmes aveva ancora tanto da imparare.

- Credi sia strano che una qualsiasi persona rimanga impressionata dal fatto che hai appena azzeccato un dettaglio a cui mai, e con nessuno, avevi accennato? Per l’amor del cielo… Sherlock, - non era ancora sicuro di poterlo chiamare per nome, nonostante lui lo facesse senza preoccupazioni – hai capito che mio padre mi perseguitava senza informazioni di alcun tipo! – ora anche Watson si era alzato, e teneva i palmi delle mani sollevati verso l’alto, mantenendo la stessa espressione confusa di prima.

Sentendo il suo nome, l’artista rilassò impercettibilmente i muscoli della faccia, mantenendo però la fronte corrugata e gli occhi assottigliati – Quindi si tratta di tuo padre! Quella dello zio era un’opzione troppo insensata, troppi dettagli senza prove. – ora la sua voce era calma.

Ora John era davvero confuso.

- Ora spiegami perché diavolo prima hai dato di matto. – pretendeva delle spiegazioni.

- Quando? –

- Come quand- oh, lascia stare. Piuttosto, fammi capire come hai intuito la storia di mio padre. –

- Oh, ma quello è estremamente semplice! – ogni traccia di rabbia era svanita all’improvviso così com’era arrivata, e gli occhi di Holmes presero a osservare l’aria in ogni direzione, veloci e attenti – So che non sei in una buona situazione economica, insomma, guarda i tuoi vestiti, soprattutto le scarpe, non si tratta di nulla di speciale e i tuoi pantaloni sono stati ricuciti diverse volte, indice del fatto che la tua famiglia non può permettersi di spendere denaro in abbigliamento. – cominciava a muovere qualche passo deciso di fonte alla branda e nello stretto spazio tra la sua e quella di Watson. – Poi il fatto che sei scappato, bene, la notte in cui ti sei fatto scoprire come un idiota mi hai raccontato che studiavi infermieristica, e perché mai un ragazzo giovane che stava realizzando il suo sogno di studente sarebbe scappato con una stupida compagnia circense? Dato che non provieni da una famiglia ricca, era ovvio che quel corso venisse a costare ingenti sacrifici a tutti i tuoi parenti, e potrebbe anche essere che in casa non ci siate solo tu, tua madre e tuo padre, ma anche un fratello o una sorella. Sfamare tante bocche non è semplice, con solo padre e figlio che lavorano, e con un corso di studi da pagare. Questo ci riporta al fatto che tu sei qui, e non con i tuoi parenti, e perché mai saresti scappato? Qualcuno cercava di toglierti dalle mani quello a cui tieni, e un ragazzo che nella sua vita non ha mai posseduto nulla, e dato che non si tratta di una ragazza, non offenderti, doveva essere per forza qualcosa legato al tuo sogno. Qual è il tuo sogno, John Watson? Diventare medico. Tuo padre voleva impedirtelo perché costava troppo, e avrete anche discusso animatamente perché tu finissi qui. Non si scappa se le conversazioni sono ben controllate e prive di grida e obblighi. Ecco come faccio a saperlo. –

Durante la spiegazione, il più basso era tornato lentamente a sedersi sulla branda, senza che Sherlock se ne accorgesse, troppo preso dalle sue deduzioni. Lo guardava ammaliato, dal basso, come aveva fatto durante la sua esibizione – Fantastico. – fu il suo unico commento. Gli aveva solo rivelato che voleva diventare medico, il resto lo aveva dedotto da solo.

- Hai ancora quell’espressione sulla faccia. Se ti interessa saperlo, le uniche persone che non la propongono mai sono solo due: mio fratello Mycroft e Moriarty. –

- Un soldato, ecco cosa mio padre voleva che diventassi. – la luce che si era presentata nello sguardo di John qualche attimo prima era sparita, lasciando spazio ad un’ombra prepotente e dalle sfumature amare.

 

 

Ognuno steso sulla sua branda, Sherlock e John parlarono ancora: le risposte concise del moro e le incertezze del nuovo arrivato. Il funambolo aveva qualcuno con cui parlare, dopo mesi di solitudine o delle stupide chiacchiere di Jim.

Il più basso non riuscì a trattenere un’importante informazione, o almeno, quella che per lui era un’importante informazione. Era il suo compleanno. Lo aveva rivelato dopo un paio di minuti di silenzio, in cui la conversazione si era persa. Era notte fonda ormai, e dall’altro lato di quel fazzoletto che chiamavano tenda, non arrivò nessuna risposta. Sherlock si era addormentato.

 

 

“I’ve been reading books of old
The legends and the myths
The testaments they told
The moon and its eclipse
And Superman unrolls
The suit before he lifts
But I’m not the kind of person that it fits”

 

Coldplay ft. Chainsmokers – Something just like this



 

Spazio (in)utile: Eccomi qua come di consueto. Allora... il personaggio di Jim... eh, non è facile. Mi ha conquistata dal primo momento in cui è apparso sullo schermo, e questo carisma è rimasto impresso nella mia mente. In questa AU mi sembrava carino inserirlo come componente del circo, non come nemico o come concorrenza, quindi eccolo lì, a fare il presentatore e a strappare le risate degli spettatori (poi con il cilindro lucido, la coda della giacca e i bottoni d'oro ma scherziamo?! Perfetto, me lo immagino proprio). I nostri splendidi bambini continuano ad interagire, e Sherlock è ancora nella sua "fase embrionale": non sa esattamente come comportarsi, quindi reagisce ancora d'istinto e fatica a tenere a bada le emozioni, quindi John gli è d'aiuto, un aiuto che deve ancora concretizzarsi (pazienza piccolo Holmes, pazienza). 
Il computer continua ad odiarmi e io non so cosa gli ho fatto, davvero. Sta usando Open Office per vendicarsi. 
Vi lascio alle vostre considerazioni sul capitolo, e spero che la storia vi stia piacendo! 
Alla prossima!

Pubblicità a me medesima sottoscritta: Pagina Facebook > Arny Haddok EFP   Profilo Twitter > @CallmeBoo (altrimenti @AnitaMurelli)

 
   
 
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