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Autore: YellowSherlock    15/08/2017    2 recensioni
"Accordami sulle tue frequenze."
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Mark Gatiss, Martin Freeman
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Freebatch scritta di getto, con un Benedict consapevole da poco di provare determinati sentimenti. 
Freebatch scritta velocemente, un lampo, come una piccola aria, un piccolo brano...un sospiro. 
Consiglio la lettura di questo testo con questo brano in sottofondo: 

https://www.youtube.com/watch?v=3qrKjywjo7Q
Grazie a chi parteciperà a questa scena, spero riusciate a captare ciò che ho sentito io. 

Erano le sei del mattino e Benedict era in netto anticipo; sul set di Sherlock non erano ancora presenti gli addetti alle luci, agli effetti sonori e i registi, così lui ne approfittò per godersi quel posto così familiare, che diveniva estraneo in presenza di tutte quelle persone.
Trovava gradevoli le scale del 221b di Baker Street, le quali portavano dal piano terra al soggiorno di Sherlock, perciò decise di salirle con lentezza, per sentire tutti i profumi e i dettagli che in scena gli sfuggivano per la troppa concentrazione.
Una delle sue perversioni era quella di sentire scricchiolare il legno sotto ai piedi, adorava il suono delle fibre espandersi sotto i piedi, come se potesse da un momento all’altro sprofondare in un mondo parallelo.
La luce fioca del mattino inondava la finestra di quell’atrio, e Benedict si accostò al muro per toccarne tutte le venature striate; vi passò un dito con delicatezza, e assorbì da esse tutta l’essenza di quel posto che era diventato così magico in breve tempo.
La polvere scorreva sul passamano delle scale, e il giovane attore vi fece scivolare lo stesso dito del muro, disegnando piccoli cerchi, quando poi un prurito alle narici gli fece smettere immediatamente quel gioco.
Fece una piccola giravolta su se stesso, osservando ciò che lo circondava: i parati così inglesi, l’odore forte del parquet, il vaso di fiori storico; quando concluse quella veloce ricognizione, un accordo intenso raggiunse i suoi timpani.

“Violoncello.” Disse tra sé.
Diede una rapida occhiata all’orologio, erano le sei e dieci, da dove mai potesse provenire quel suono?
Benedict credette di aver dormito poco e di avere delle allucinazioni “sonore”, ma capì di sbagliarsi quando un fraseggio mozzafiato lo immobilizzò tra il terzo e il quarto gradino.
“C’è qualcuno. Non è possibile, già io non dovrei azzardarmi a mettere piede qui senza il cast, come potrebbe mai esserci qualcuno che suona il violoncello? Oh cielo, cosa c’era in quel diamine di caffè?”

Ad ogni passo, ad ogni gradino scricchiolante, il fraseggio si faceva più intenso e vivo.
Il moro iniziò ad inquietarsi.

“Bene, sono lucido è chiaro, ma qui qualcosa non va. Se fossero i fantasmi? Oh cielo, Cucumber! Che fantasia galoppante.”

Cercò di trovare consolazione nell’ironia, ma il suono era davvero troppo coinvolgente per poter uscire facilmente da quel turbinio di emozioni.

Un acuto e poi un basso perfetto, di quelli che ti prendono al centro dello sterno, di quelli che ti lasciano piegati come i bruchi prima di diventare farfalle.

“Andiamo Benny…apri questa porta e scopri di che si tratta.”

Sul viso del giovane l’espressione tornò seria; i suoi zigomi erano alti ed immobili, la bocca leggermente increspata e le mani dinnanzi a sé come a volersi proteggere da qualsiasi attacco.
Quando il giovane aprì la porta, scoprì che due mani non sarebbero mai bastate a proteggersi da quella visione paradisiaca e da quelle onde sonore così intense.

Martin era con il capo chino, con le labbra quasi a filo del legno della tastiera del violoncello, mentre le sue gambe accoglievano una grande cassa armonica che faceva vibrare le ginocchia.
Era totalmente immerso, con immenso trasporto si lasciava cullare da quell’arco che si muoveva abilmente come un pennello sulla tela di un eccelso pittore.
Gli occhi di Martin erano serrati e non si accorse neanche per un attimo della presenza del collega.

Benedict si ritrovò invaso da un ciclo di sensazioni così strane, qualcosa di estraneo a lui ma di incredibilmente piacevole.
Si appoggio lentamente con la spalla sinistra all’uscio della porta, mentre con la mano destra reggeva il suo zaino.
Non riusciva a staccare gli occhi dalle mani del suo amico.
Quelle mani così piccole eppure così affusolate, che si servivano delle dita per poter scivolare dolcemente sulle corde dure.
Pallide, dolci, le dita spezzavano le corde nei punti giusti e creavano armonici indescrivibili.
Per un vibrato più dolce, Martin faceva tremare leggermente le corde su cui si fermava, mentre l’arco continuava a scivolare senza indugio tra arcate complete, mezze arcate, punta e tallone.
Ben non aveva mai visto qualcosa di così armonioso, e assaporò quello spettacolo fino a che un raggio di sole, dolce ma invadente, cadde sul viso di Martin, costringendolo ad aprire gli occhi.

Il suono cessò, le mani restarono in prima posizione.

“Ben, da quanto tempo sei lì?”

Il giovane attore non riuscì a trovare subito le parole.

“Oh…beh… qualche minuto.”

“Oh. Ok.”

“Perché non me lo hai mai detto?”

“Cosa?”

“Che sei un violoncellista.”

“Alt. Non lo sono, lo studio solo per piacere personale…”

“E questo cosa c’entra?”

“Beh, i violoncellisti degni di questo appellativo, sono quelli professionisti.”

“Sciocchezze. Suoni meravigliosamente.”

“Questo è perché è un brano che so a memoria, talvolta sono un disastro, credimi.”

“Non mi importa di ciò che sei a volte, ho visto ciò che ho visto, e credo che tu sia un talento puro.”

“Ti ringrazio per la considerazione, caro amico mio. Spero di averti regalato un buongiorno degno di…come si vuol dire…nota!”

Martin rise di gusto e Benedict lo seguì.
Quando l’elegante biondo fece per alzarsi, Ben riprese:

“Ancora una volta, ti prego.”

“No dai, non dovremmo neanche essere qui. Rubo questa stanza quando so che la produzione farà tardi, perché mi sento…a casa.”

Benedict fece un passo in avanti condividendo ciò che aveva appena detto il suo collega.

“Anche io mi sento a casa, qui dentro.”

Martin iniziò a passare la pece sull’archetto, quando sentì l’amico dietro le sue spalle, in una zona di comfort già troppo intima.
Benedict era ad un palmo dalla sua spalla.
Martin si girò trovandoselo dinnanzi la punta del naso.

“Ti prego, ancora una volta.”

“Come mai?” chiese Martin, riuscendo a non perdere completamente i sensi alla vista di quei due diamanti splendenti che aveva negli occhi, e al profumo che indossava sempre il collega.

“Voglio vederti suonare, mi rende…felice.”

“Allora mettiti comodo.”

“Lo farò.”

Benedict si diresse verso la poltrona di Sherlock e vi sprofondò con la sua solita grazia.
Martin riprese posto accogliendo tra le sue ginocchia il violoncello, ed intonò The Swan di Camille Saint-Saens, creando nella stanza una nuvola di fuliggine bianca che proveniva dallo sfregare della pece dell’arco che si infrangeva sulle corde.
Quei chicchi minuscoli si incontravano in una danza sospesa con le punte di polvere che aleggiavano nella camera, creando dinnanzi agli occhi di Ben la perfetta immagine di un cigno intento a passeggiare sul pelo dell’acqua.
Il giovane si lasciò trasportare da quell’immagine così irreale che prese vita nella sua mente, cercò di seguire la silhouette con gli occhi, ma era così eterea che si sentì spinto a tirare gli occhi all’indietro e sospirare per poter restare lucido.
Aveva trattenuto l’aria per troppi secondi.
Il suo capo era chino all’indietro ma comunque poggiato sullo schienale della poltrona, poteva giurare di riuscire a sentire il sangue scorrere nelle sue vene; lo sentiva sfrecciare dal collo alla punta delle dita delle sue mani, che ritrovò aggrappate ai braccioli, come a volersi sostenere per la troppa emozione.
Un impulso elettrico lo costrinse ad alzare lo sguardo sul suo collega, e quando lo vide intento a cullarsi insieme ai fraseggi, capì che non c’era nessun altra persona al mondo a poter suscitare il lui determinate sensazioni.
La paura, l’angoscia e la vergogna che provava da settimane, da quella scena in cui incrociò gli occhi del collega restandone folgorato, sparirono in un attimo.
Erano da soli, e stava assistendo al più grande spettacolo dell’anima di quell’uomo.
Martin era un ottimo attore, ma Ben capì che  quel che diventava quando suonava, era al di là di ogni immaginazione.

Quando il suono cessò, Martin non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, poiché gonfie lacrime rigavano il suo viso.

Ben restò a guardarlo per qualche attimo, fino a che non si inginocchiò accanto al grande strumento.

“Perché piangi?”

“Oh nulla…sono solo, commosso.”

“Beh, quando si tratta delle tue emozioni, sei un pessimo attore.”

“Smettila, Sherlock.” Replicò Martin sentendosi spogliato di ogni protezione.

Risero entrambi fino a che il loro sguardo non si incrociò magneticamente.

“Che ci fai qui così presto?”

“Potrei farti la stessa domanda” disse Benedict.

“Te l’ho detto, mi sento a casa qui, e suono meglio…e…”

“Stessa cosa per me, ma io non so suonare.”

“Che ci fai qui, Ben?” il tono di Martin divenne serio, esigeva una risposta.

“Sono turbato, Mart.”

“Da cosa?”

“Dai miei sentimenti.”

“Qualcosa non va con Olivia?”

“Olivia? Ci siamo lasciati un mese fa.”

“Cosa?! Perché non me l’hai detto!”

“Che ti importa?”

“Mi importa.”

“Andiamo, mi avresti preso in giro per l’eternità…”

“Non lo avrei mai fatto. Perché l’hai lasciata?”

“Te l’ho detto, perché sono turbato.”

“Eravate così armoniosi…non capisco.”

“Capita.”

“Sei innamorato di un’altra?”

“No, sono innamorato di un altro.”

Martin restò immobile con il grande arco poggiato sulle gambe e il violoncello ancora tra le ginocchia.

“Un…un altro?!”

“Sì. Ti sorprende?”

“No, certo che…cioè, va bene.”

“Lo so che va bene.”

“E’ qualcuno del cast?”

“Sì.”

Martin non riuscì a sostenere tutta quella situazione e si alzò di scatto, poggiando il violoncello sulla sedia.

“Oh beh…spero che tu possa essere ricambiato.” disse con estrema falsità.

“Ne dubito, ma quantomeno avrò per sempre la certezza di non poter amare nessun altro così come amo lui. Sono totalmente perso.”

Il biondo si sentì sprofondare, sapeva che Ben non poteva essere di nessun altro uomo, per questo si era messo l’anima in pace tempo prima; ma quel coming out, quello scoprire che il suo collega, tanto amato sin dai primi giorni, potesse essere di un altro all’infuori di lui, gli crepò il cuore in mille pezzi.

“Deve essere proprio un…un uomo fortunato.” Disse “Watson” mettendo fine alla sua camminata inquieta, appoggiandosi sulla porta precedentemente chiusa.

“No…” disse Benedict avvicinandosi a lui con passo lento ma leggero

“No? Sei duro con te stesso.”

“No, affatto. Se mai lui dovesse accettare le mie avances…” il moro era sempre più vicino al biondo.
Martin non ebbe il coraggio di muoversi, quella visione di quel passo felino lo legò alla porta.
Non voleva muoversi. Non voleva andare via di lì per nessuna ragione al mondo.

“…se mai lui dovesse accettare…sarei io l’uomo più…fortunato…al…mondo.”

Benedict era ormai ad un palmo dal viso di Martin e con una mano gli accarezzò il viso.
Martin chiuse gli occhi lasciandosi assorbire da quel calore intenso della pelle del collega.

“…se mai lui dovesse accettare, saprà che sarà l’unica persona a cui io consacrerò il mio amore eterno. Senza riserve, senza indugi…lo amerei come non ho amato nessun’altra cosa al mondo…”

“Ben…” disse Martin continuando a sprofondare, il pollice di Benedict gli accarezzò il labbro inferiore, poi spostò il viso e avvicinò le labbra al lobo dell’orecchio del biondo.

“Accoglimi, ti prego. Accoglimi come accogli quel meraviglioso strumento tra le tue grinfie.
Accarezzami come fai con le sue corde, premi i miei punti, spezzami pure se vuoi, ma poi accordami sulle tue frequenze; danza su di me come se fossimo una sola cosa, come se fossimo un’orchestra intera da portare avanti.
Annusami come fai con il legno, prova con me l’essenza. La presenza.
Amami e ti amerò come l’anima ama il suono, di cui non può farne a meno.
Ti dichiaro la mia fedeltà eterna, la mia devozione più totale.
Ti dichiaro la mia volontà, la mia spudoratezza, ma liberami da questa morsa infernale,  non resisto più.
Vorrei toccare le tue corde senza indugio, dammi il permesso…metti fine a questa agonia.”

Il respiro di Martin era vittima di una scalata emozionale, era veloce ed eccitato.

“Sì… Sì. Ti voglio, Ben. Ti voglio già. Non devi aspettare che io mi abitui…ti voglio da sempre, dio.”

Benedict tornò con il suo viso di fronte a quello del compagno, e fece un tenero sorriso.

“Ripetilo…prima che mi svegli da questo sogno.”

“Nessun…nessun sogno, Ben. E’ reale. Io ti voglio.”

Le mani di ben sprofondarono nei capelli di Martin, e la presa fu tale da permettergli di poter avvicinarsi senza la paura che potesse scappare, una morsa dolce e infinta.
Le labbra di Benedict si appoggiarono leggermente su quelle dell’amico e uno schiocco lieve suggellò il loro primo bacio.
Non durò molto quel secondo di stasi, perché i due ripresero a baciarsi con lentezza, per poi incalzare il ritmo e a concedersi piccoli morsi sui rispettivi labbri inferiori.
Quando le lingue si incrociarono, gemiti di incontenibilità vennero fuori, facendo sprofondare i due in una danza passionale che non aveva intenzione di limitarsi, ma solo di crescere.
Il ritmo incalzava, le mani di Ben erano sui fianchi di Martin, mentre quelle del biondo erano tra i capelli del moro, e i ricci di scena venivano opportunamente tirati e stretti per riuscire a non crollare sulle ginocchia.
Martin sentiva di doversi arrampicare sul compagno per poter restare in piedi, e quando le sue gambe cinsero i fianchi dell’amico, Benedict lo tenne stretto a se spingendolo ancora una volta contro il muro, in modo più possessivo stavolta.
Ben sprofondò ancora una volta nel collo dell’agognato compagno, e lasciò dei segni ben evidenti su quelle perfette line di tensione.

“Sei mio.”

“Sì.”

“Lo sarai per sempre.”

“Per sempre.”

Un ennesimo bacio fu il clou delle loro incontenibili sensazioni, quando furono interrotti da un rumore sospetto.
Qualcuno del cast era tornato.

“Mettimi giù.”

“Per adesso.”

Martin sorrise, e cercò di aggiustare la sua camicia.

Benedict si sedette per nascondere la sua visibile eccitazione mentre qualcuno entrò dalla porta.

“Mark!”

“Martin! Benedict?! Che ci fate voi due qui?”

“Oh ci siamo anticipati con il lavoro…sai la scena, è complessa.”

“Bene. Ma non ricordo di aver inserito un violoncello nel copione di questa puntata…”

“Oh…oh quello è mio! L’ho portato perché avevo bisogno…sai, si…bisogno di ripassare delle cose per l’esame.”

“Tranquillo. Vado giù, iniziate ad andare in sala costumi.”

Quando Mark Gatiss uscì dalla porta, Benedict non riuscì a trattenere un sorriso malizioso.

“Dio, sarà la giornata più difficile della mia vita.” disse Martin sorridendo, con le mani sui fianchi.

“Lo so. Spero passi presto…non vedo l’ora di riascoltarti suonare.”

“A casa mia?”

“A casa tua.”
   
 
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