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Autore: mido_ri    15/08/2017    0 recensioni
Due ragazzi completamente diversi entrano in contatto in un apparente contesto scolastico.
Alessio: il solito ragazzo disordinato e "piantagrane" che reputa la sua vita una noia, così come la scuola e qualsiasi tipo di legame con le altre persone.
Riccardo: un ragazzo, meglio definito "ragazzino", che sembra fin troppo piccolo per poter frequentare il secondo anno di liceo; al contrario del suo fisico, la sua mente è grande.
Così come ci si aspetterebbe da un ragazzo del genere, Riccardo nasconde a tutti, perfino alla sua famiglia, la vera vita che conduce ogni giorno, difficile e sconvolgente.
Un inaspettato incontro spingerà Alessio a porsi sempre più domande su quello strano ragazzo.
Come si svolgerà la storia dei due incompatibili compagni di banco?
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lun, 6 novembre, sera

Lo guardai negli occhi, sperando di trasmettergli un po' di sicurezza, ma lui non accolse il mio proposito.
Scendemmo le scale in silenzio, poi mangiammo la pizza davanti a una partita di rugby alla quale nessuno dei due prestò attenzione.

"Non so neanche cosa sia questo rugby, e che ha di sbagliato quella palla?"

Al contrario, Roberto era talmente preso dallo schermo che più volte rimase con la bocca aperta in attesa di punti a favore della sua squadra del cuore, mentre il condimento della pizza gli finiva per metà sulla camicia e per metà nel cartone.

Finito di cenare, salii sopra con Riccardo per recuperare il cellulare e poi ritornare a casa ma, una volta arrivati nella sua stanza, il ragazzo mi trattenne.

- Non andartene, vorrei parlare di quella cosa... -

- Quale cosa? -

- Matteo...quando te l'ha detto? -

- Ah...lui. La sera in cui Roberto è venuto a prenderci...quando sono tornato da casa tua -

Riccardo si morse il labbro inferiore e aggrottò le sopracciglia, aveva bisogno di chiedere altro.

- E tu? Tu che gli hai detto? -

In un attimo tutte le urla che gli avevo riversato addosso rimbombarono nelle mie orecchie.

- Non ricordo bene... -

- Ale, dimmelo -

- Ro...non ho avuto bisogno di dirgli che non ricambio, lo sa benissimo che mi piace un'altra persona -

L'ombra di un sorriso gli oscurò le labbra, ma scomparve subito.

- Dovevi dirgli chiaramente che non lo ami -

- Ma lo sa! -

- E allora perché ti ha dichiarato i suoi sentimenti se sa che non ricambi? -

- E che ne so io! Ro, senti, non hai motivo di essere geloso... -

- Ma io non sono geloso! Ho semplicemente ragione! -

- In che senso? -

Girò la faccia per sfuggire ai miei occhi.

- Nel senso che mi sembra ovvio incazzarmi se il mio ragazzo vive nella stessa casa con il suo migliore amico con cui ha fatto non so cosa e che è innamorato di lui! -

Mi si appannò la vista per un attimo.

- C-come? -

- Come cosa? Non parli italiano? -

- N-no...intendo...lascia stare. Fra me e Matteo non ci sarà mai più niente, lo giuro -

- Bene, allora la notte chiudi a chiave la porta della tua stanza, vai solo nel tuo bagno e non girare nudo per casa -

- O-okay...come se l'avessi mai fatto -

Mi venne in mente la scena della prima sera trascorsa a casa sua, quando mi era cascata l'asciugamano di dosso.

- Più o meno... -

- Fallo di nuovo e ti spezzo le braccia -

- E come? -

- Non lo so...potrei comprare un martello da portare a scuola in caso di bisogno -

- P-perfetto...appoggio la tua decisione... -

Rabbrividii al solo pensiero, ma mi calmai all'istante quando Riccardo mi avvolse con le braccia; sentii un calore diffondersi in tutto il corpo, mi chinai e affondai il viso nell'incavo del suo collo, fra quei capelli castani che odoravano di camomilla.

"Io...sto bene"

Nulla avrebbe potuto rovinare quel momento. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, cercando di goderne appieno; tutti i miei dubbi, le mie paure, le mie insicurezze, parvero sparire in successione, velocemente. Quella mano fredda e grinzosa che da tempo aveva conficcato le unghie nel mio petto, parve allentarsi quasi del tutto.

"Lo amo...eccome se lo amo"

Per moltissimo tempo ero stato fermamente convinto che sarei stato bene solo se mi fossi allontanato da lui, poi mi ero riavvicinato per disperazione, consapevole di non avere più nulla da perdere; e invece potevo perdere ancora, ancora e ancora, potevo perdere quei pochi amici che mi rimanevano, sebbene la mia vita non ruotasse intorno a loro, potevo perdere Matteo, che ormai consideravo come un fratello, la mia nuova famiglia, che mi aveva accolto con le più buone intenzioni, e lui.

Ero consapevole di essere pazzo e allo stesso tempo non lo ero.

"Lo sono ancora?"

Ero pazzo di lui, questo era certo. Avevo ucciso i miei genitori, ero pazzo. I miei genitori erano stati misteriosamente uccisi, non ero pazzo. Un uomo mi perseguitava da settimane, un uomo di cui non ricordavo il volto, ero pazzo. La mia mente mi tirava brutti scherzi, facendomi credere di essere perseguitato da un uomo di cui non ricordavo il volto, ero pazzo.
Ma non mi interessava più niente, da quando mi ero riavvicinato a Riccardo, tutto era sembrato andare per il meglio, ovviamente ignorando le notti passate a piangere, a delirare, ad affogare nella pazzia, a soffocare fra le coperte, a essere scosso dai singhiozzi, a conficcarmi le unghie nei palmi, a stringere i denti, mordermi le labbra fino a sentire quell'orribile sapore metallico sulla lingua, e allora rivedevo il corpo di mio padre riverso a terra, sul quel pavimento che avevo calpestato così tante volte, ignaro del fatto che un giorno avrei messo piede sul suo sangue; rivedevo il petto di mia madre, squarciato fin dove un tempo batteva un cuore che sotto sotto mi amava, e quel viso bianco, secco, quegli occhi terrorizzati, quella mano intorpidita, bianca, stretta attorno alle lenzuola macchiate di sangue, che tante volte si era incastrata fra i nodi dei miei capelli.

In quel momento fra i miei capelli c'era una mano più piccola, più scura, più accogliente, che mi sapeva amare per davvero. Mi aggrappai alle sue spalle anche se, a differenza delle altre volte, non avevo paura di sentirlo scivolare via dalle mie braccia, avevo paura che soffrisse come me, più di me. Speravo che anche lui stesse provando le mie sensazioni, che sentisse il cuore più leggero, libero di battere.
Mi bastò fissare i miei occhi nei suoi, mi bastò un attimo, o meno di un attimo, per capire che si sentiva esattamente allo stesso modo, che aveva paura di annegare nell'ignoto, nella paura, nella pazzia, ma sicuro che se ci fossimo tenuti per mano, forse saremmo riusciti a risalire insieme su quel muretto di pietra bianca che sembrava sempre più vicino, dove ci eravamo capiti per la prima volta, dove eravamo stati una sola persona per pochi secondi, una sola mente e un solo cuore.

Compresi il sorriso ingenuo di quella sera, che all'inizio avevo scambiato per un "non so cosa dire", e che invece voleva dire "cavolo, pensavo che da un momento all'altro mi sarebbe esploso il cuore".  Sì, perché avevo pensato esattamente la stessa cosa, avevo temuto quella sensazione travolgente per il semplice fatto che non la conoscevo, che non avevo mai provato una cosa così forte da far male e far bene allo stesso tempo.
Quella paura non sarebbe mai scomparsa, lo sapevo, e mi andava bene così, perché alla fine per che cosa vale la pena combattere, se non per quel brivido, per quel pugno gentile che ti spreme il cuore, per la vista che si offusca e per te che non sei in grado di pensare assolutamente nulla, a parte il fatto che non potresti stare meglio e peggio al contempo? Per me quella paura era una consolazione: l'unico male che quell'amore non poteva portare via, e l'unico bene. Quella paura era ciò su cui si basava il nostro amore. Quella paura sarebbe stata la mia forza.

Il nostro abbraccio si sciolse, segno che dovevo andare via; ci guardammo a malincuore, come due amanti che sono costretti a separarsi furtivamente dopo una lunga notte di baci e sospiri.

- Stai attento, okay? -

Corrugai la fronte.

- A cosa? -

- Qualsiasi cosa -

- D'accordo...'notte -

Gli diedi un leggero bacio sulla fronte e feci scivolare la mia mano lungo il suo braccio scoperto, finché non sentii più il contatto con la sua pelle.

- Buonanotte -

Roberto mi aspettava alla fine delle scale con il cappotto sottobraccio e un capellino di lana in testa.

- Andiamo? -

Annuii e lo seguii, non prima di aver indossato sciarpa e giubbino.

La radio riproduceva un brano di Sting: "I can't stop thinking about you", le parole risuonavano forti e chiare nella mia mente, ma resistetti all'impulso di muovere le labbra e canticchiare.
Al contrario, l'uomo cantava sottovoce mentre il rumore dell'impianto da cui fuoriusciva aria calda mi martellava nella testa.
Delle piccole gocce d'acqua cominciarono a cadere silenziosamente sui vetri.

- Stanotte ci sarà un bel temporale, probabilmente pioverà anche domani -

Non sapevo cosa rispondere, pensavo che le persone parlassero delle condizioni meteorologiche solo nei programmi televisivi per gli anziani che dormono sul divano dopo pranzo.

- A te piace la pioggia? -

- S-sì... -

- Si vede, appena hai visto che ha cominciato a piovere, il tuo respiro si è regolato -

"Ma cosa diavolo... quest'uomo fa di tutto tranne che pensare a guidare"

- Ah...davvero? -

- Sì, il tuo petto si alza e si abbassa molto velocemente. Si regolarizza solamente in due casi: quando piove e quando sei con Riccardo. Per caso soffri d'asma? -

Il mio cuore perse un battito, più che d'asma negli ultimi tempi soffrivo di mancato infarto ogni trenta minuti circa.

- N-no... -

- Capisco, forse sono io che ti metto ansia, in effetti sto facendo discorsi un po' strani -

- No, non è così...sono nervoso in generale...in presenza di adulti -

"Ma come cavolo mi è venuto in mente? Così sembro ancora più affetto da problemi nella socializzazione con gli altri esseri viventi"

L'uomo rise di gusto.

- Be', allora spero di essere il primo adulto a non farti paura -

- C-ci provo... -

- Allora, come va con Riccardo? -

Sussultai e guardai fuori dal finestrino disperatamente, sperando di arrivare presto a casa.

- I-in che senso? -

- È da tanto che non invita un amico a casa, quindi sono contento che abbiate stretto un bel rapporto -

- A-ah... sì -

"Ci credo che non invita gente a casa..."

- Non hai intenzione di fare come gli altri, vero? -

Mi lanciò un'occhiata frettolosa, per poi inchiodare nuovamente lo sguardo sulla strada.

- Come...gli altri? -

- Scomparire. Scomparire non appena succede qualcosa di anomalo -

Risi nervosamente.

- Oh... più di questo non può succedere, se avessi voluto me ne sarei andato molto tempo prima -

"In realtà l'ho già fatto più di una volta"

- Lo spero -

Il sorriso ritornò sul suo volto.

- Stagli vicino, d'accordo? Ne ha bisogno -

Compresi che era veramente preoccupato per suo figlio.

La curiosità ebbe il sopravvento e continuai a girare intorno all'argomento.

- E...lei? Lei non riesce a stargli accanto? -

Il suo sguardo si rattristò, provai pena per lui, in fondo io e Riccardo non eravamo stati gli unici a passare un periodo straziante, anche per lui doveva essere stato molto difficile accettare la perdita della compagna.

- Purtroppo Riccardo non mi ha mai visto come un padre, ma solo come un rimpiazzo del suo genitore biologico...anche per questo non vedeva di buon occhio la madre; ma almeno adesso mi chiama "papà", forse perché sono l'unico familiare stretto che gli è rimasto -

- E sua nonna? -

- Oh, lei non conta. Quei due sono come cane e gatto, lo sono sempre stati -

- Lei...e la madre di Riccardo, eravate sposati? -

- Non ancora. Nonostante fossero passati quasi due anni, lei non aveva superato del tutto la morte del marito, quindi voleva aspettare un altro po' prima di organizzare una cerimonia così importante -

Quelle informazioni non mi bastavano, sul tavolo troppe carte erano ancora a faccia in giù.

- Riccardo non era in buoni rapporti con la madre, vero? -

- Per niente. Da quando è morto suo marito, Ilenia ha sempre cercato di dare a Riccardo una nuova figura paterna, credeva che non potesse crescere bene senza di essa. Ma lui non mi ha mai accettato in quel modo, e invece di incolpare me, se la prendeva con lei -

Ci fu una pausa, lui parcheggiò la macchina sulla strada davanti casa di Matteo, le luci gialle del salotto illuminavano appena la zona circostante.

- Negli ultimi tempi, quando non ero in casa, litigavano in modo molto pesante; quando tornavo lei era piena di lividi e piangeva, mi chiedeva spesso fra i singhiozzi cos'avesse fatto male, perché suo figlio la odiasse così tanto. Io cercavo di consolarla, ma non riuscivo a fare molto -

- E lui? -

- Anche lui aveva dei lividi, ma cercava sempre di nasconderli...e di nascondersi -

Mi vennero in mente le parole del padre di Matteo, pronunciate una delle notti in cui ero convinto della sua colpevolezza e lo odiavo.

"Be'...alla fine anche io ho ucciso i miei genitori, anche se non ricordo una ceppa. A lui è successa la stessa cosa, no? Ha dei vuoti di memoria. Ma se devo odiarlo per questo, allora sono obbligato a odiare anche me stesso"

Scossi la testa, cercando di concentrarmi su quelle parole e sforzandomi di ricordare.

"Riccardo non è stato accusato di quelle ferite, ma assolto per legittima difesa..."

Anche lei lo picchiava, anzi, solo lei; lui non poteva fare altro che difendersi. Mi pentii di aver provato pietà per quella donna e di aver tenuto compagnia a quel cadavere freddo e inespressivo. Sorrisi. Non ricordavo quasi niente di quelle notti a conversare con lei.

Il mio labbro inferiore tremolò lievemente, tentando invano di sfuggire alla morsa dei miei denti.

- Grazie...per il passaggio. Buonanotte -

Uscii dall'auto e percorsi quei pochi metri che mi separavano dalla casa senza voltarmi neanche una volta; volevo solamente lasciarmi cadere sul letto, chiudere gli occhi e non pensare a nulla.
Ma c'era un problema.
Matteo era seduto sul mio letto, mio, anche se in realtà era suo. In ogni caso ostacolava i miei piani.

- Che ci fai qua? -

- Vorrei tanto sapere che diavolo combini il giorno...e la notte. Sparisci senza dire niente e ritorni con quella faccia strafottente e spensierata, come se io non mi fossi accorto di niente. Non sono stupido, sai? -

- Insomma -

Mi tolsi in fretta giubbino e maglietta e presi il pigiama sotto il cuscino.

- Dove sei stato oggi? -

- In giro -

- In giro dove? -

La sua espressione era seria e determinata.

- In giro in città -

- Ale, sei andato a drogarti? Ti vedi con qualcuno con cui non dovresti? -

- Del tipo? -

- Non so, vai a prostitute per sfogare la tua rabbia repressa verso il mondo? -

- Sono gay -

- Molte persone cambiano -

- Ma così ci sono nato -

Sbuffò e si sedette a gambe incrociate, sfregandosi il mento con pollice e indice.

- Va bene, fai quello che ti pare... però torna a casa vivo -

- Non penso che potrei tornarci da morto -

- Rompipalle come sei...potresti tranquillamente venire a infestare la mia stanza ogni notte e giocare con la mia play -

- Ora ho una scopo nella vita, o forse dovrei dire...nella morte. Grazie! -

Mi beccai un cuscino sul sedere.

- Ahi! -

Mi sfilai i jeans e infilai i pantaloni del pigiama. Con la coda dell'occhio vidi Matteo girare la testa, cercando di non guardarmi.
Avrei tanto voluto dirgli "guarda che non c'è niente di male se mi dai un'occhiata", ma ricordai la promessa fatta Riccardo.

-B-bene, io vado a letto, 'notte -

Il ragazzo mi diede una pacca sulla schiena nuda, facendomi rabbrividire per le sue dita gelide.

  
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