Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: ValeDowney    15/08/2017    0 recensioni
"Storybrooke sembra una cittadina come tutte le altre, se non fosse per il fatto che non è sulle carte, nessuno sa della sua esistenza e i cittadini sembrano nascondere qualcosa. Rose, una bambina dolce ma curiosa e sempre in cerca di guai, scoprirà, insieme al suo amico Henry, che qualcosa di magico si aggira per quella città"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



The Rose of true Love


 
 
  Capitolo XX: Il Vero Amore vince sempre -  Seconda Parte

 
Storybrooke
 
Con libro in mano, Rose si riavvicinò a Paige e Victor, guardando al di là della vetrata, i medici che cercavano di rianimare Henry. Lui c’era sempre stato per lei e ora doveva essere lei a esserci per lui. Fargli vedere a cosa servono i veri amici.
Senza dire nulla, si incamminò per il corridoio. Victor e Paige la guardarono. Paige le chiese: “Dove stai andando?”
“A salvare Henry, e c’è solo una persona che può aiutarci” rispose Rose continuando a camminare.
“Se stai pensando di andare da Emma, allora…” iniziò col dire Paige ma Rose, voltandosi e fermandosi, la bloccò dicendole: “Non sto andando da Emma. Vado da mio padre. Sembra sapere molte cose ed è venuto il momento della verità.” E, rivoltandosi, uscì. Victor e Paige la guardarono uscire per poi riporre lo sguardo sui dottori che tentavano di salvare la vita a Henry.
Rose camminava a passo spedito. Quindi si fermò nel vedere il padre uscire, stranamente, dalla biblioteca con in mano quello che sembrava essere un uovo, per poi entrare nel suo negozio. Aveva anche un’aria molto discreta. Lo seguì. Stavolta era decisa ad andare fino in fondo. Entrò anche lei nel negozio, sbattendo la porta dietro di sé. Gold, che era al bancone, si voltò e fu sorpreso nel vedere la figlia. Ma si limitò a domandarle: “Dove si trova quel ragazzo?”
“Non importa, e ora stammi ad ascoltare!” replicò Rose avvicinandosi.
“Modera il tuo linguaggio. Ricordati che sei ancora in punizione” disse Gold mentre osservava l’uovo dorato davanti a sé. Excalibur andò accanto a lui, spostando lo sguardo su entrambi i padroni.
“Non me ne frega nulla della punizione. Quello che voglio ora sono risposte!” replicò Rose e mise il libro 'Once Upon a Time' sul bancone. Gold lo osservò per un breve istante. Poi guardò la figlia e disse: “Non è il momento più adatto”
“Per te non è mai il momento più adatto e mai lo sarà! Vorrei che per una buona volta fossi tu a raccontarmi tutto e non le altre persone” replicò Rose.
“E cosa ci sarebbe da raccontare? Sentiamo” chiese Gold facendo un piccolo sorriso. Rose aprì il libro fino a fermarsi a un’immagine e, indicandola, rispose: “Di questo.” Gold guardò l’immagine: ritraeva lui in sembianze di Signore Oscuro e Belle. Lui teneva in mano la tazzina sbeccata. Alzò lo sguardo verso la figlia. Lo abbassò quando Excalibur emise dei versetti. Era veramente arrivato il momento di raccontarle la verità? Riguardò la figlia quando questa disse: “Henry sta morendo e io vorrei poterlo aiutare.”
“Non si può” disse semplicemente Gold guardando di lato.
“Come sarebbe a dire non si può?! È il mio migliore amico. Il primo che c’è sempre stato e noi siamo qua a non fare nulla. No! Non lo posso accettare! Non posso permettergli di morire! Qua dentro avrai pure qualcosa che possa aiutarlo, no?” replicò Rose con quasi le lacrime agli occhi.
Gold la guardò e replicò: “Non ho nulla per salvarlo! L’unica persona che può farlo è la Signorina Swan.” Padre e figlia si guardarono in silenzio. Poi Rose distolse lo sguardo quando le lacrime iniziarono a bagnarle il viso. Strinse i pugni per la rabbia. Sapeva benissimo che quella donna non avrebbe mai creduto nella maledizione e, di conseguenza, Henry sarebbe morto. Gold la guardò piangere. Un senso di colpa si formò dentro di lui. Non voleva vedere l’amata figlia in quello stato.
“Mi dispiace per il tuo amico” furono le uniche parole che riuscì a pronunciare. Rialzò lo sguardo quando Rose, con il viso bagnato dal pianto, lo guardò domandandogli: “Perché mi avete abbandonata? Non mi volevate bene?”
“Certo che ti volevamo bene. Eri la cosa più bella che ci fosse mai capitata. È per questo che abbiamo cercato di proteggerti da qualunque cosa” rispose Gold.
“Allora perché mi sono ritrovata nella foresta senza nessuno di voi accanto?” chiese Rose.
“Non so cosa possa essere successo, anche perché non ero presente” rispose Gold.
“Non tentare di discolparti! So benissimo che c’entri con tutta questa storia. Magari è anche colpa tua se la mamma è morta!” replicò Rose. Gold andò da lei e, dopo averle preso le mani, replicò: “Io amavo tua madre! E volevo bene anche a te! Usai tutto ciò che avevo per trovare un modo di proteggervi dalla maledizione! Ma evidentemente qualcosa non deve essere andato come previsto.”
Rose lo guardò in silenzio. Poi Gold, calmandosi, proseguì: “Ero in cella quando tu e tua madre scappaste nella foresta. Le avevo detto di andare alla tana che una volta apparteneva a Excalibur.”
“Sono stata trovata da Graham accanto a una tana nella foresta” disse Rose, mettendo insieme tutti i pezzi della storia.
“Ma non so poi cosa sia accaduto. So solo che il mio cuore si spezzò quando Regina venne da me e mi disse che eravate entrambe morte. Ero distrutto. La mia vita era distrutta. Ero nuovamente rimasto solo. Ma ormai la maledizione incombeva e, con ormai tutto perso, mi ripromisi che una volta arrivato nel mondo senza magia avrei cercato tuo fratello. Per poi rendermi conto che nessuno poteva uscire da questa cittadina: se si oltrepassava la linea rossa, non solo non si poteva tornare indietro, ma si perdevano anche la memoria e… la propria identità” spiegò Gold ed Excalibur, accanto a lui, abbassò tristemente orecchie e testa.
“Ora capisco perché non hai mai voluto che oltrepassassi quella linea. Hai sempre cercato di proteggermi mentre io mi cacciavo – e mi caccio – costantemente nei guai” disse Rose.
“No. Ho cercato di proteggerti dalla verità. Non volevo che mi reputassi un codardo. Non ho mantenuto la promessa che feci a tua madre prima della maledizione. Forse avresti preferito un padre diverso” disse Gold. Rose lo abbracciò e, mentre teneva la testa appoggiata al suo petto, disse: “No. Io ho sempre desiderato un padre come te. Sono contenta di essere tua figlia e mi… mi dispiace per tutte quelle volte che ti ho disubbidito. Ti voglio bene.”
Gold chiuse gli occhi e strinse forte a sé la figlia. Più volte aveva cercato di non compiere gli stessi errori fatti con Baelfire. Ma più cercava di evitare quegli errori, più invece ne commetteva. Invece la sua piccola e dolce Rose riusciva sempre a perdonarlo, proprio come faceva la madre in passato. Riusciva a vedere ciò che gli altri non vedevano: un uomo che amava la propria famiglia e che cercava di proteggerla da qualunque cosa, utilizzando qualsiasi mezzo.
Excalibur si mise retta sulle zampe posteriori, appoggiando quelle anteriori su una gamba di Gold. Scodinzolò mentre guardava i padroni abbracciarsi. Lei si ricordava benissimo che era stata parte importante del piano del padrone affinché Belle e Rose si salvassero, ma sapeva anche come erano andate veramente le cose e perché le due persone amate da Tremotino non si fossero ritrovate con lui nel mondo senza magia.

 
Foresta Incantata

 
Belle, con in braccio Rose, era fuori sul balcone della sua camera da letto a osservare il cielo scuro. Sapeva benissimo che fra poco Regina avrebbe scagliato la maledizione che li avrebbe tutti condotti in un mondo senza magia, dove avrebbero avuto nuove memorie e nuove identità.
Per quel motivo, Tremotino aveva preparato, da mesi, un piano affinché lei e Rose mantenessero i loro ricordi: Belle sarebbe stata protetta con il medaglione che portava al collo – regalo di Tremotino – mentre Rose sarebbe stata nella tana una volta appartenuta a Excalibur, ora protetta da un potente incantesimo fatto dallo stesso signore oscuro.
Belle, avvolta nel suo mantello, abbassò lo sguardo sulla piccola che, ignara di ciò che sarebbe successo, stava dormendo beata anche se, già precedentemente, si era svegliata e aveva pianto a causa della mancanza del padre da quasi un mese.
Tremotino, infatti, si era fatto imprigionare di sua spontanea volontà e ora si trovava nelle prigioni sotterranee del castello di Biancaneve e del suo principe. Non era mai riuscita a capire il perché di questa sua scelta e lui non glielo aveva mai spiegato.
Rientrò nella stanza e, mentre camminava, disse: “Dobbiamo andare. Devi portarmi subito da Tremotino.” Dove, la persona che si trovava nella stanza insieme a Excalibur, la guardò dicendo: “Milady, il padrone, prima di andarsene, è stato espressamente chiaro con me: non voleva che lei e la piccola usciste dal castello, visto che questo edificio è protetto da una sua potente magia e che qui dentro, di conseguenza, sareste al sicuro da qualsiasi cosa.”
“Ma lo voglio io. Non sono sicura se ci rivedremo ancora e, per questo motivo, voglio che lui riveda la figlia per un’ultima volta. Ti prego, Dove” disse Belle. Dove la guardò in silenzio. Poi abbassò lo sguardo su Excalibur che, guardandolo a sua volta, emise dei versetti. Riguardò Belle e, dopo aver sospirato, disse: “So già che me ne pentirò, ma mi segua. Si tenga sempre stretta la piccola.” Belle sorrise e, insieme a guardia del corpo ed Excalibur, uscì dal castello, tenendo stretta a sé Rose.
Camminarono senza sosta per la foresta, cercando di prendere strade secondarie: le guardie di Regina erano sempre imprevedibili e potevano trovarsi dovunque pur di mantenere un ordine della loro sovrana.
Finalmente arrivarono al castello di Biancaneve e del suo principe e, per non farsi vedere, entrarono per una porta nascosta da folti arbusti che Dove staccò prontamente. Era stato il fiuto magico di Excalibur a portarli lì, anche se Belle aveva il sospetto che fosse stato lo stesso Tremotino a dire all’amata volpe come entrare nelle prigioni, qualora la donna avesse voluto rivederlo o lui avesse avuto bisogno della fedele amica.
Dove aprì la porta, facendo entrare prima Excalibur, poi Belle e infine entrò lui. Camminarono per un lungo e stretto corridoio. Per farsi luce, Dove prese una torcia facendo strada a Belle ed Excalibur, anche se la volpe si stava facendo guidare dal suo fiuto magico.
Mentre camminavano, gocce d’acqua cadevano dal soffitto, producendo un insistente e continuo rumore a terra, anche se Belle e Dove ci davano poca importanza.
Procedettero ancora un po’, finché Excalibur non emise dei versetti: davanti alla cella di Tremotino c’erano due guardie. Belle e Dove si nascosero dietro al muro e, sporgendosi con la testa, osservarono ciò che stavano facendo. Le guardie, però, erano ferme. Dopotutto compivano solamente il loro lavoro, ovvero sorvegliare il prigioniero.
Belle guardò Rose tra le sue braccia che, nel mentre, si era svegliata, guardando la madre a sua volta.
“Milady, non è prudente: dovremmo ritornare indietro” propose Dove.
“Non torno indietro proprio ora con Tremotino dietro a quelle sbarre. Ha il diritto di rivedere sua figlia per un’ultima volta” disse Belle mentre accarezzava dolcemente la piccola su una guancia. La bambina emise dei gridolini, che fecero destare le guardie. Una di loro domandò: “Chi va là?”
Belle sospirò. Erano stati scoperti. Excalibur ringhiò. Dove disse: “Milady, vi prego, ritorniamo al castello finché siamo ancora in tempo.”
“Ci penserò io a loro. Tu rimani qua con Excalibur” disse Belle e, dopo aver avvolto Rose nel mantello, in modo che le guardie non si accorgessero di lei, sbucò da dietro il muro, camminando verso la cella. Le guardie la guardarono. Belle teneva il capo abbassato, in modo che non la potessero vedere in viso o, in qualche modo, riconoscere. Poi si fermò e disse: “La maledizione sta incombendo. Invece di stare qua, perché non passate gli ultimi momenti con i vostri cari?”
Le guardie si guardarono e, senza dire niente, se ne andarono.
Tremotino uscì dall’oscurità e, vedendo qualcuno, disse, avvicinandosi alle sbarre: “Mostrati alla luce, mia cara.” Belle si mostrò alla luce, togliendosi il cappuccio da sopra la testa. Tremotino strinse le sbarre, pronunciando solamente il suo nome: “Belle.”
La ragazza si avvicinò e Tremotino mise una mano sulla guancia di lei, che sorrise al suo tatto. Gli era mancato in quel mese.
“Mia dolce Belle. Mi sei mancata tanto. Ma non dovresti essere qua” disse Tremotino.
“Volevo vederti per un’ultima volta e volevo che tu vedessi lei” disse Belle e tolse il mantello da sopra Rose. Questa si guardò intorno, non capendo dove fosse. Poi guardò il padre e sorrise.
“Oh, Rose, mio piccolo fiore” disse Tremotino allungando le braccia fuori dalle sbarre. Belle gli porse delicatamente la figlia. Tremotino la guardò con amore per poi dirle: “Mi sei mancata, piccolina. Sei cresciuta dall’ultima volta. Diventi ogni giorno come la tua mamma.”
“Lo sai che assomiglia anche a te” disse Belle sorridendo. Rose guardava il padre con quegli occhi così uguali ai suoi e con quelle piccole macchie dorate. Poi allungò una manina e gliela mise sul naso, proprio come aveva fatto appena era nata. E come aveva fatto anche suo fratello Baelfire.
Tremotino si addolcì ancora di più. Non voleva separarsi dalla sua adorata bambina e dalla donna che amava. Ma doveva. In quella prigione la sua magia era ridotta e sperava che il piano che aveva preparato da mesi funzionasse.
“Ci sei mancato tanto in questo mese. Ti avremmo voluto accanto a noi per passare gli ultimi momenti prima che Regina scagliasse la maledizione. Perché ti sei fatto imprigionare? Biancaneve e gli altri non aspettavano altro di farlo” disse Belle guardandolo.
“Pensavo fossero amici tuoi” disse Tremotino, continuando a guardare Rose.
“Tu e Rose siete più importanti. Allora perché ti sei fatto imprigionare? Non potevi rimanere al castello oscuro insieme a noi?” chiese Belle.
“Faceva tutto parte del piano e volevo che i tuoi cosiddetti amichetti pensassero di aver vinto dopo avermi imprigionato. Invece, così facendo, hanno solo peggiorato le cose” rispose ridendo Tremotino e anche Rose rise. Belle fece un piccolo sorriso. Poi si toccò il medaglione che portava al collo. Era pensierosa e ovviamente Tremotino se ne accorse. Allungò una mano sopra quella di lei. La donna alzò lo sguardo per incrociare il suo. Il signore oscuro le disse: “Andrà tutto bene. Se seguirai tutto quello che ti ho detto, ci ritroveremo tutti insieme nel mondo senza magia.” Belle sorrise. Avvicinò il viso a quello di lui. Stavano per baciarsi quando sentirono dei rumori. Dove ed Excalibur accorsero da loro.
“Milady, dobbiamo andarcene subito: credo stiano arrivando le guardie della principessa Biancaneve” disse Dove.
“Devi andartene, Belle. Se arrivano, scopriranno di Rose e te la porteranno via” disse Tremotino e, controvoglia, riconsegnò delicatamente Rose tra le braccia della madre. La bambina protestò per essere stata allontanata così velocemente dal padre.
“Vorrei che potessimo godercela per sempre così” disse Belle, mentre osservava la figlia. Tremotino, allora, seppur con la poca magia che poteva usare, mise entrambi le mani sul corpo di Rose, che venne avvolta da una luce viola. Quando si dissolse, Belle domandò, guardando Tremotino: “Cosa le hai fatto?”
“Un incantesimo che la farà rimanere neonata fino a che la salvatrice, o qualcuno che avrà il suo sangue, non arriverà a salvarci. Fino ad allora Rose sarà una neonata, così potremmo godercela finché vogliamo” spiegò sorridendo Tremotino e mettendo una mano dietro la testa di Rose, che lo guardò sorridendo. I genitori guardarono amorevolmente la loro bambina.
Excalibur drizzò le orecchie e voltò lo sguardo per vedere alcune ombre sui muri. Riguardò i padroni ed emise dei versetti, avvertendoli. Tremotino baciò la testa di Rose, dicendole: “Ti voglio tanto bene, mio piccolo fiore. Non farti consumare dall’oscurità. Sii come tua madre. Non commettere i miei stessi errori. Sii forte e presto ci ritroveremo. Saremo di nuovo tutti insieme. Non dimenticarti di noi e chi sei.”
Le guardie erano sempre più vicine.
“Milady, dobbiamo andare” la incitava Dove. Tremotino guardò Excalibur e si abbassò. La fedele volpe si avvicinò. Il signore oscuro mise una mano sotto il mento di lei, dicendole: “Mia cara amica, tu sai dove portarli. Usa il tuo fiuto per condurli al luogo dove sei nata. Ci ritroveremo presto nel mondo senza magia. Il papà ti vorrà sempre bene. Segui sempre la tua strada.”
Excalibur emise dei versetti e, entrando con la testa tra le sbarre, la strusciò contro le gambe del padrone. Tremotino la guardò. E dire che anni prima voleva scacciarla perché la riteneva solo una perdita di tempo. Invece era diventata la sua migliore amica. Quella piccola palla di pelo che lo seguiva dappertutto, almeno quando era un cucciolo. Ora preferiva starsene comoda nella sua cesta a dormire o accanto alla culla di Rose, sorvegliando la bambina.
“Mi rincresce dover insistere, ma dobbiamo andare” disse Dove. Tremotino lo guardò replicando: “Stai zitto! Non mi devi interrompere! Non farlo mai più!” Dove abbassò il capo, ma lo rialzò quando il signore oscuro aggiunse: “Belle e Rose sono affidate a te. Devi proteggerle anche a costo della tua vita, chiaro?!”
“Chiaro, padrone” disse Dove, facendo un piccolo inchino con la testa.
“Vedi di obbedirmi. Dopotutto mi hai giurato eterna fedeltà, quindi questo varrà anche per il mondo senza magia” continuò Tremotino. Dove teneva ancora il capo chinato. Ma fu sorpreso di sentire quando Tremotino finì col dire: “Ma non te l’ho mai detto: sei un buon amico. Mi sei sempre stato fedele come avevi promesso.” Dove lo guardò non dicendo nulla.
Le guardie erano sempre più vicine. Dove cercò di andare per il corridoio dal quale erano venuti, ma si fermò non appena vide le ombre delle guardie sempre più vicine. Quindi disse: “È troppo tardi: non possiamo più tornare indietro.”
“Avvicinati a Belle e prendi in braccio Excalibur. Mentre tu, Belle, tieniti ben stretta Rose” disse Tremotino. Dove ritornò accanto a Belle ed Excalibur saltò in braccio alla guardia del corpo. Belle guardò Tremotino e gli disse: “Ti amo.”
“Ti amo anche io” disse Tremotino. Poi guardò Rose, che lo guardava a sua volta, e aggiunse: “E voglio tanto bene anche a te, mio piccolo e dolce fiore. Presto ci rivedremo e saremo di nuovo una famiglia. Non dimenticarti di me.” E, con un cenno della mano, li fece scomparire in una nube viola. Tenne le mani sulle sbarre e abbassò la testa. Gli si era spezzato il cuore dover dire addio a Belle e a Rose, ma sapeva che le avrebbe riviste.
Alzò lo sguardo non appena vide le guardie arrivare e fermarsi davanti alla sua cella. Quindi, sorridendo, disse: “Oh, ma che bello, ho delle visite. Cosa vi porta alla mia umile cella? Se avessi saputo che sareste venuti, avrei abbellito questo posto.” E rise. Le guardie lo guardarono e una di loro disse: “Eravamo convinti che qua ci fosse qualcun altro.”
“Voi siete sempre convinti di qualcosa anche quando non c’è” disse sorridendo Tremotino e rise nuovamente.
“Questo qui è pazzo” disse un’altra guardia e se ne andarono. Tremotino rise. Poi ritornò nell’oscurità. Si guardò una mano, nella quale si formò una debole palla di fuoco. Chiuse la mano a pugno e il fuoco si dissolse.
Belle e Dove comparvero nella foresta. Excalibur scese dalle braccia di Dove mentre Belle tenne stretta a sé Rose. La bambina iniziò a piangere. Belle la cullò, cercando di farla smettere. In quel momento si alzò un forte vento. Belle e Dove alzarono lo sguardo per vedere nubi grigie in cielo. Excalibur drizzò le orecchie e iniziò a correre. Belle e Dove la guardarono.
“Andiamo, Milady” disse Dove e inseguirono la volpe. Excalibur correva, seguendo il suo fiuto magico e seguita dai due umani. Poi la volpe si fermò. Ad aspettarli c’era un uomo. Ma non era un uomo qualunque.
“Jefferson” disse Belle, guardandolo. Jefferson li guardò e disse: “Alla buon ora. Ma vi rendete conto da quanto vi stavo aspettando? No, non voglio sentire nulla. La sola cosa da fare è muoverci. Le guardie di Regina sono nei paraggi e se non ci sbrighiamo prenderanno sia la piccola che il sacco di pulci.”
Excalibur lo guardò ed emise un versetto di disapprovazione, per poi spostare lo sguardo offesa. Jefferson la guardò, dicendole: “Lo sai che è la verità. Il tuo padrone ha sempre detto che tu e il sapone non andate d’accordo.” Riguardò Belle, che cercava di calmare Rose, la quale continuava a piangere.
“Che ha la piccola?” chiese Jefferson.
“Piange da quando siamo venute via da Tremotino. Forse le manca il padre” rispose Belle e guardò la figlia.
“Be', cerca di farla smettere: le sue doti canore attireranno solo persone indesiderate” disse Jefferson e si guardò intorno con preoccupazione.
“Jefferson, torna a casa. Tremotino mi ha detto che ti ha convinto con un patto. Torna a casa da tua figlia” disse Belle, guardandolo.
“Non posso: devo mantenere quel patto” disse Jefferson.
“Per una buona volta, non ascoltare Tremotino. Grace ha bisogno di te. Passa gli ultimi momenti con lei prima della maledizione. Io e Rose ce la caveremo” disse Belle.
“Ho detto che non posso! Se vi proteggo, poi Tremotino si occuperà di Grace nel mondo senza magia. Per ora, l’ho affidata a due persone vicino a casa mia. Non so se Grace si ricorderà di me, ma Tremotino mi aiuterà. Lo ha promesso. Quindi ora seguitemi” spiegò Jefferson guardandola, per poi voltarsi e camminare. Belle lo guardò. Poi abbassò lo sguardo su Rose che continuava a piangere. Dove le mise una mano intorno. Belle lo guardò e, insieme a Excalibur, seguirono Jefferson.
Erano quasi arrivati a destinazione quando vennero sorpresi dalle guardie di Regina. Jefferson e Dove si misero davanti a Belle e persino Excalibur ringhiò verso di loro, drizzando il pelo. Le guardie avanzarono, con le lance davanti a loro puntate ai tre. Jefferson voltò lo sguardo verso Belle e, sottovoce, le disse: “Belle, scappa via di qua più veloce che puoi. Excalibur verrà con te.” Ed Excalibur, smettendo di ringhiare, lo guardò.
“Non posso lasciarvi qua. Vi cattureranno” disse Belle.
“Tu e la piccola siete più importanti. E poi, se vi dovesse accadere qualcosa, quel piccolo folletto impertinente non me lo perdonerebbe mai. Io e la tua guardia del corpo ce la caveremo. Porta Rose in quella tana, ma per l’amore del cielo, corri con tutto il fiato che hai” disse Jefferson. Fece appena in tempo a voltare lo sguardo che le guardie li attaccarono. Jefferson e Dove riuscirono a trattenerle. Il cappellaio guardò Belle, urlando: “Corri!”
Belle si voltò e iniziò a correre, seguita da Excalibur. Per un po’ Jefferson e Dove furono in vantaggio sulle guardie, ma poi queste ultime riuscirono, sfortunatamente, a intrappolarli. Si sentì ridere e comparve Regina. Sorrise malignamente nel vedere Jefferson. Quindi disse, fingendosi preoccupata: “ Ti credevo uscito di senno. Come mi dispiace tanto.”
Jefferson si lanciò su di lei, ma due guardie riuscirono a bloccarlo e farlo inginocchiare. Regina si avvicinò a lui e, dopo avergli messo una mano sotto il mento, alzandoglielo, domandò: “Cosa ci fai in giro per la foresta, quando potresti stare accanto alla tua piccina? Sai, potresti non vederla mai più e a lei potrebbe capitare qualcosa di spiacevole per mano di qualcuno che vuole far soffrire il suo papà.”
“Quella che soffrirai sarai tu!” replicò Jefferson, guardandola malamente. Regina rise e, dopo avergli tolto la mano da sotto il mento, si allontanò dicendo: “Sbagli, mio caro cappellaio! Sarete tutti voi a dover soffrire. Io avrò il mio lieto fine e tutti obbediranno a me. Finalmente capiranno chi è veramente la loro regina. Biancaneve e il suo principe saranno solo un lontano ricordo. Presto la maledizione invaderà tutta la foresta incantata e nessuno, eccetto me, sarà più felice.” Poi si voltò e aggiunse: “E ora rispondi alla domanda di prima: cosa ci fai veramente qua? Stavi aiutando qualcuno, vero?”
“E se anche fosse, non te lo dirò mai! Ormai sarà già lontana e tu non potrai farle nulla” disse Jefferson.
“Stai aiutando la sguattera di Tremotino e la loro marmocchia. Dovevo intuirlo che quel folletto avrebbe trovato un modo per proteggerle. Ma lui ora non c’è, quindi ci penserò io a loro due” disse Regina e sorrise malignamente. Jefferson abbassò lo sguardo mentre Dove la guardava malamente.
Belle ed Excalibur continuarono a correre finché la volpe non si fermò accanto a una tana. La tana dove era nata. Si voltò ed emise dei versetti. Belle guardò indietro mentre le nubi grigie in cielo si facevano sempre più consistenti e scure. Il vento era sempre più forte. Belle guardò Rose che, stranamente, aveva smesso di piangere e ora guardava la madre. Poi si abbassò e vide che dentro la tana c’era una cesta in vimini e, dentro di essa, una rosa. Belle sorrise: era la stessa rosa che Tremotino le aveva regalato. Che fosse un ulteriore modo per proteggere la loro bambina?
La ragazza estrasse la cesta e vi depositò delicatamente Rose. Excalibur si mise accanto a loro. Quindi le disse: “Mia piccolina, ricordati che mamma e papà ti vorranno sempre bene. Segui il tuo cuore. Fa' ciò che ritieni più coraggioso, ma non fare in modo che siano gli altri a dover decidere per te. Mi mancherai molto e, se non ci dovessimo rivedere, rimani con tuo padre. Lui ti proteggerà.” E le accarezzò dolcemente una guancia. Le manine di Rose andarono su quella di lei.
A Belle divennero gli occhi lucidi. Non voleva abbandonarla. Ma doveva farlo. Per proteggerla. Lasciò delicatamente le mani della figlia e si slegò il medaglione che portava al collo per poi farlo vedere a Rose. Quindi le disse: “Che questo medaglione ti protegga e ti faccia ricordare di me e tuo padre. Non mi importa se, nel mondo senza magia, non mi ricorderò più chi sono. Voglio solo che tu stia bene. Salva me e tuo padre.” Rose allungò le manine toccando il medaglione. Belle glielo mise al collo sotto lo sguardo di Excalibur che teneva le orecchie abbassate. Poi la ragazza baciò la figlia sulla testa facendo cadere una lacrima su di essa. Prese le manine di lei tra le sue, dicendole: “Non sarà un vero addio. Ci rivedremo presto.” E lasciò le manine. Rose le allungò verso la madre, ma invano.
Belle guardò Excalibur e le disse: “Mi raccomando, proteggila. Sicuramente Tremotino te lo avrà già detto. Tu sei stata la mia prima vera amica. Mi tenevi compagnia al castello oscuro in quella cella ed è anche grazie a te se Tremotino ha di nuovo imparato ad amare. Grazie per tutto.” E l’accarezzò sulla testa. Excalibur emise dei versetti di tristezza. Si sentirono dei rumori. Belle voltò lo sguardo. Riguardò la figlia e, prendendo la cesta, la mise dentro alla tana. Excalibur ci andò accanto. La ragazza le guardò e poi corse via.
Excalibur si sporse con la testa, guardandola, ma poi rientrò nella tana non appena arrivarono le guardie di Regina. Alcune proseguirono correndo, mentre due si fermarono. Excalibur si fece ancora più vicina Rose, mettendo la grossa coda davanti a lei. Una delle due guardie si abbassò e guardò dentro. La volpe non osava mettere alcun suono e sperava che Rose non si mettesse a piangere. Excalibur sapeva dell’incantesimo di protezione che Tremotino aveva messo sulla tana, ma non sapeva dell’altra funzione. Infatti…
“Allora, trovato nulla?” chiese l’altra guardia.
“No, nulla: questa tana è vuota. Andiamocene. Regina vuole che catturiamo quella sguattera” rispose la prima guardia e andarono nella direzione delle altre guardie. Excalibur tolse la coda da davanti Rose. Lei aveva visto perfettamente le guardie guardare all’interno della tana, ma le guardie, invece, non avevano visto nulla. L’incantesimo di Tremotino, infatti, aveva funzionato anche come illusorio, permettendo a chi era all’esterno di non vedere nulla all’interno della tana, in modo che sia Rose che Excalibur fossero protette. Ora non restava che aspettare che la maledizione si compisse. Il signore oscuro aveva detto alla fedele volpe di rimanere sempre accanto a Belle e Rose. Se solo Tremotino avesse saputo che le cose non erano andate proprio come previsto. Guardò Rose, che la guardò a sua volta ridendo.
Regina stava guardando il cielo, mentre la maledizione piano piano si protendeva. Jefferson e Dove erano stati messi in una gabbia.
“Vostra maestà” disse una delle guardie. Regina si voltò e sorrise compiaciuta non appena vide le guardie portare Belle.
“Oh, ecco la bella fanciulla che ha preso il cuore della bestia. Allora, quel bacio ha funzionato?” disse Regina.
“Non faccia finta di nulla! Non avrà la nostra bambina. Tremotino l’ha protetta con qualsiasi cosa” replicò Belle.
“Non so se lo hai capito, dolcezza, ma la vostra mocciosa non mi interessa più. È il vostro lieto fine ciò che mi preme. Il lieto fine di tutti. Solo io sarò veramente felice e il tuo caro Tremotino perderà tutto ciò che ha di più caro” disse Regina sorridendo maliziosamente. Belle la guardò non replicando e venne messa in gabbia con Jefferson e Dove. Jefferson si avvicinò di più a Belle e sottovoce le domandò: “Allora, ci sei riuscita? La piccola starà bene?”
“Spero di sì” sospirò “e spero di vederla presto” rispose Belle e abbassò lo sguardo.
“Portateli alla prigione del castello. Ora ho altro a cui pensare” ordinò Regina alle sue guardie e, mentre questi portavano via Belle, Jefferson e Dove, Regina scomparve.
Intanto, Tremotino stava scrivendo lo stesso nome più volte su una lunga pergamena. Era seduto su una roccia nell’oscurità della cella. Voltò lo sguardo non appena sentì squittire. Sorrise e, dopo aver messo da una parte la pergamena, si alzò, dicendo: “Ora puoi anche mostrarti, mia cara. Ci siamo solo noi due.” Il topolino si trasformò, divenendo Regina. La donna fece qualche passo fermandosi davanti alla cella. Tremotino le fu di fronte, tenendo le mani sulle sbarre.
“Allora, cosa ti porta in questo posto? Ormai la maledizione dovrebbe essere al suo compimento. Perché non sei su a festeggiare la tua vittoria, invece di stare quaggiù? Non che odi la tua compagnia, ma avevo di meglio da fare. Quindi se non ti dispiace” disse Tremotino.
Regina sorrise. Per poi dire: “Me ne vado subito ma, visto che ci conosciamo da tanto, mi sembrava giusto informarti.”
“Che sei riuscita a uccidere il tuo caro paparino? Grazie tante, ma vorrei che mi risparmiassi la parte sentimentale della tua grande perdita” disse Tremotino, allontanandosi un po’ dalle sbarre.
“No. Ma della tua cara sguattera e della vostra mocciosa. Come è che si chiamava…. Beatrice…Bessy…” disse Regina, facendo finta di nulla.
“Belle” disse semplicemente Tremotino, guardandola cupa.
“Sì, proprio lei. Portava tra le braccia quel fagottino che non si sa come tu abbia potuto creare” disse Regina e, dopo essersi accertata che Tremotino avesse l’attenzione su di lei – più uno sguardo cattivo – continuò: “Erano nella foresta quando le guardie del padre l’hanno sorpresa per poi condurla nel suo vecchio castello. Il padre, per paura che ritornasse da te, l’ha rinchiusa in una torre ma, prima di ciò, le ha portato via la figlia.”
“Stai mentendo! Belle e Rose stanno bene!” replicò Tremotino ritornando alle sbarre e impugnandole così forte che le nocche delle mani sbiancarono.
“Per l’improvviso allontanamento dalla figlioletta prediletta, la ragazza non ha retto al dispiacere e si è gettata dalla torre. Che brutta morte” aggiunse Regina. Tremotino era sempre più furente. Poi Regina  continuò: “Oh, e non ti ho detto che il padre ha portato poi la nipotina da dei sacerdoti. Loro, credendola figlia del demonio l’hanno… non posso continuare.”
“Dimmelo! Cosa hanno fatto alla mia Rose?!” replicò urlando Tremotino.
“L’hanno bruciata viva” disse Regina. A Tremotino fu come se il mondo crollasse addosso. Belle e Rose non potevano essere morte. Non ci voleva credere. Sentì qualcosa dentro di sé. Se la sua magia fosse stata al pieno delle forze, avrebbe schiacciato all’istante il padre di Belle e anche Regina. Dopo ciò che era successo alle due persone che amava, chi aveva fatto loro ciò non poteva sopravvivere.
“Dicono che abbiano agito così perché volevano togliere tutto quel maleficio dentro di lei. Povera piccina. Una vita interrotta così presto. Be', poco importa, no? Ora sei di nuovo solo come anni fa, così potrai dedicarti solo a te stesso” disse Regina. In un attacco di rabbia, Tremotino prese il viso di lei tra le sue mani. Poi replicò: “Può anche darsi, ma così facendo mi dai carta bianca. Le uniche persone che riuscivano a fermarmi sono morte e, senza di loro, tutti dovranno avere paura di me. Compresa te, mia cara.”
“Che cosa vuoi?” gli chiese.
“Comodità. Una buona vita. Vivere nel lusso” rispose Tremotino.
“Va bene. Avrai una villa” disse Regina.
“Non ho ancora finito. Ogni volta che verrò da te a chiederti una cosa, quando dirò per favore, tu la esaudirai senza battere ciglio” aggiunse Tremotino.
“Cos’altro vuoi?” domandò Regina.
“Niente. Mi hai già tolto ciò che avevo di più caro. Ma attenta, mia cara, perché quando saremo nel mondo senza magia, dovrai temermi. Tu avrai pure il tuo lieto fine dove comanderai gli abitanti a bacchetta, ma io sarò padrone di tutta la città” rispose Tremotino e le lasciò il viso per poi andare un po’ nell’oscurità.
“Non ho mai avuto paura di te. Ma sia come vuoi. La città sarà tua, ma ogni qual volta verrò a chiederti aiuto, tu dovrai farlo senza esitare, chiaro?” disse Regina.
“Come volete, vostra maestà” disse Tremotino facendo un inchino, quasi come per prenderla in giro. Poi i loro sguardi si soffermarono l’uno sull’altra. Nessuno proferì parola. Regina si voltò per andarsene. Ma poi si fermò. Si rivoltò e disse: “Oh, quasi dimenticavo. Il padre della sguattera mi ha dato un regalino per te da parte dei sacerdoti.” E, in una mano, fece comparire un barattolo di vetro con dentro quella che sembrava cenere. Su di essa c’era un fiocchetto rosa per capelli. Tremotino ritornò vicino alle sbarre. No, non poteva essere vero. Belle metteva sempre quel fiocchetto nei capelli della figlia.
Regina si avvicinò e gli consegnò il barattolo. Poi ridendo, svanì. Tremotino guardò il barattolo tra le sue mani. Poi si allontanò dalle sbarre, andandosi a sedere su una roccia nell’oscurità. Alzò il barattolo e osservò il fiocchetto rosa. Aveva il cuore spezzato. Ora era certo di aver perso ogni cosa. La sua Belle e ora la sua piccola Rose. Non avrebbe più potuto tenerla tra le braccia. Poterla coccolare e guardarla dolcemente mentre dormiva tra le sue braccia o nella culla. Aveva perso Baelfire e ora anche Rose. Era solo. Solo con la sua tristezza, ma con tanta rabbia dentro di sé.
“Il mio piccolo fiore” fu solamente ciò che pronunciò e strinse a sé quel barattolo, mentre le lacrime gli bagnavano il viso.

 
Storybrooke

 
Jefferson camminava a passo veloce per le vie di Storybrooke. Aveva in mente qualcosa. Qualcosa che avrebbe posto finalmente fine a una tragica storia durata più di ventotto anni. Si fermò e alzò lo sguardo: l’ospedale si ergeva davanti a lui. Vi entrò, non prima però aver aspettato un certo animale dalla folta pelliccia rossa e bianca. Excalibur uscì dai cespugli lì accanto, raggiungendolo. La volpe era uscita dal negozio mentre i padroni si stavano abbracciando. Al momento non avrebbero molto badato a lei, visto anche che aveva appuntamento con Jefferson. I due si erano già messi d’accordo tempo prima.
Mentre camminavano, Jefferson non incrociava gli sguardi di nessuno. Aveva solo un obiettivo in quel momento e lo avrebbe portato a termine.
Senza farsi vedere, prese un paio di siringhe su di un tavolino e, dalla scrivania delle infermiere, Excalibur prese le chiavi, poi si mangiò qualche ciambella lasciata su un piatto lì vicino.
Arrivarono davanti alla porta blindata e Jefferson, dopo aver preso le chiavi dalla bocca di Excalibur, le infilò nella serratura, aprendola. Scesero lungo le scale, arrivando nei sotterranei. Come sempre, c’era un’infermiera di guardia. Appena li vide si alzò, ma non fece in tempo a dire qualcosa o a fermarli che Jefferson gli piantò una siringa nel braccio. L’infermiera svenne a terra, addormentandosi.
Jefferson ed Excalibur proseguirono fino ad arrivare al corridoio delle celle. Diede un’occhiata veloce, da una parte, all’inserviente che stava lavando il pavimento. Lui ricambiò non dicendo nulla ma, appena gli fu accanto, in un movimento veloce gli passò una chiave. Poi guardò dall’altra parte leggendo, per un breve istante, la targhetta di Sydney Glass. Infine riguardò avanti per poi fermarsi davanti a una cella. Infilò la chiave, datagli dall’inserviente, nella serratura e aprì la porta. Seduta in un angolo del lettino c’era una ragazza. Mentre Jefferson entrava, Excalibur stava fuori a fare da palo.
“Chi sei tu?” chiese spaventata la ragazza.
“Un amico che deve mantenere una promessa fatta a una dolce bambina che tu hai aiutato a scappare da qua” rispose Jefferson. La ragazza scese dal letto. Indossava solamente una vecchia vestaglia da ospedale. Guardò l’uomo e domandò: “E ora, quella bambina sta bene?”
“Potrai giudicarlo tu stessa se uscirai con me da questo postaccio. Coraggio, non abbiamo molto tempo. Non so quanto durerà l’effetto del sedativo che ho dato a quell’infermiera ma, per sicurezza, ho un’altra siringa di scorta” rispose Jefferson e si voltò per uscire. Ma accorgendosi che la ragazza non lo stava seguendo, si fermò e, voltandosi, disse: “Senti, lo so che l’idea di uscire da qua ti spaventa ma, se non uscirai ora, non uscirai mai più. Devi fidarti di me. So che non ti ricordi chi sono, ma in passato eravamo amici e molte volte mi hai aiutato con mia figlia. Ma ora è la tua ad aver bisogno di te. E anche suo padre.”
“Ho… ho una figlia?” disse incredula la ragazza.
“Sì. È una bambina gentile e premurosa. Ma è anche molto brava a raggirare gli altri. Diciamo che ha preso sia da te che dal padre. Sa il fatto suo” disse Jefferson. La ragazza fece un piccolo sorriso. Poi Jefferson, ritornando da lei, la prese per mano e aggiunse: “Ora basta con le domande e le indecisioni.” E la trascinò fuori. Ma la ragazza lo trattenne nuovamente, dicendo: “No. Non posso andarmene. Mi faranno del male perché non sono stata brava.”
Jefferson la voltò verso di sé e, dopo averle messo le mani sulle spalle, disse: “Ascoltami, nessuno ti farà più del male perché tu…” E si fermò non appena la ragazza alzò lo sguardo. Era veramente bella. Di nome e di fatto. Quindi finì la frase: “… tu non te lo meriti. Chi ti ha fatto ciò si merita solo del male.”
Excalibur emise dei versetti, entrando per metà nella cella. Jefferson la guardò e poi riguardò la ragazza, dicendole: “Hai sentito la volpe? È ora di andare.” E, riprendendola per mano, uscì. Guardarono in ogni angolo prima di proseguire e salire su per le scale.
Una volta usciti dall’ospedale, Jefferson disse: “Segui la volpe fino al negozio del signor Gold. Lui ti proteggerà.” Stava per andarsene, quando questa volta fu la ragazza a prenderlo per mano.
Jefferson si voltò e la ragazza gli disse: “Ti volevo ringraziare. Nessuno, finora, aveva rischiato così tanto per me.” E lo baciò su una guancia.
Jefferson arrossì leggermente. Si portò una mano sulla guancia dove aveva appena ricevuto il bacio. Poi si schiarì la voce e disse: “Mi raccomando, stai attenta.” La ragazza sorrise e, insieme alla volpe, che la stava guardando, se ne andò, seguendola.
Jefferson l’osservò. Erano passati ventotto anni, ma quella ragazza non era affatto cambiata. Era rimasta gentile e premurosa.
La sua promessa l’aveva mantenuta. Ora sperava solamente che la maledizione venisse spezzata così che Grace si sarebbe ricordata, finalmente, di lui.
Nel frattempo, al negozio di Gold, padre e figlia stavano continuando ad abbracciarsi.
“Mi dispiace tanto papà. Io non vo…” disse Rose. Ma Gold la interruppe dicendole: “Sshhh, non importa, mio piccolo fiore.” E, guardandola, le sorrise. Rose gli sorrise a sua volta. Poi Gold, prendendola per mano, aggiunse: “Vieni con me. Ho qualcosa da mostrarti.” E la condusse nel retro del negozio. Una volta lì, le lasciò andare la mano per poi andare verso un grosso baule e aprirlo. Rose lo stette ad osservare.
Dove aver cercato tra i tanti oggetti, trovò quello che stava cercando. Si alzò, aiutandosi con il bastone e, voltandosi, invitò la figlia a seguirlo presso la tavola lì presente. Adagiò quel cofanetto sulla tavola e, una volta che Rose fu al suo fianco, lo aprì. Al suo interno, su un cuscinetto in velluto rosso, c’era un fiocchetto rosa per capelli.
“Tua madre lo trovò in un villaggio accanto al castello, un giorno che facemmo tappa lì per prendere scorte e paglia per il mio filatoio. Le piacque tanto che glielo comprai. Fu un suo regalo per te anche se tu, per le prime volte, facevi i capricci perché non lo volevi. Ma lei era felice lo stesso. Era felice per qualunque cosa rendesse felice te o me. Lo ritrovai su un cumulo di cenere in un barattolo che mi diede Regina mentre mi trovavo nelle celle sotterranee del castello di Biancaneve e del suo principe. Mi aveva detto che eri stata allontanata da tua madre e questo le causò in sé pazzia, tanto che si gettò da una torre. Mentre tuo nonno ti aveva portato da dei sacerdoti che, credendoti portatrice di magia oscura, ti bruciarono viva. Mi si spezzò il cuore. Non avevo più la forza di vivere. Le persone che amavo di più erano morte. Ma dovevo resistere: la maledizione incombeva e, una volta giunto qui, feci di tutto pur di trovare un modo per cercare tuo fratello. Ma ogni giorno era la stessa routine. Nulla cambiava e nulla sarebbe cambiato finché non fosse arrivata Emma” spiegò Gold guardando l’amata figlia e accarezzandole una guancia con il dorso della mano.
Rose era così presa dalle sue parole. Non aveva mai visto quel lato fragile del padre. Forse solo in certe e rare occasioni... Non voleva vederlo così ma, almeno, le stava raccontando il suo passato. Il loro passato. Gold continuò: “Poi è arrivato un angelo di nome Graham che mi ha ricongiunto con il mio tesoro più prezioso. Devo a lui se ora siamo di nuovo insieme.”
“Ma se sono passati ventotto anni, come faccio ad avere ora solo dieci anni?” chiese Rose.
“Quando tua madre venne da me nella prigione, desiderò che io e lei potessimo goderti neonata per molto tempo. Così ti feci un incantesimo che ti avrebbe fatto rimanere neonata finché la salvatrice, o qualcuno con il suo sangue, fosse arrivato. Ecco perché hai incominciato a crescere quando è arrivato Henry” rispose Gold.
“Questo spiega molte cose, ma non come abbia potuto sopravvivere da sola nella foresta” disse Rose.
“Be', sei stata trovata accanto alla tana di una volpe. E se quella volpe fosse stata la nostra Excalibur? Dopotutto avevo protetto la sua tana con un potente incantesimo, affinché chi era all’esterno non potesse vedere voi all’interno. Inoltre vi avrebbe protetto anche dalla maledizione. Ma tu, in quanto mia figlia, quando eri piccola, hai saputo riconoscere le identità degli abitanti di Storybrooke nella foresta incantata. Per quanto riguarda Excalibur, lei è una volpe magica” spiegò Gold.
“E come?” domandò Rose.
“Mi aiutava a cercare oggetti magici o persone con la magia. Ora invece cerca solo cibo” rispose Gold. Rose rise un po’. Si sentì tintinnare, segno che qualcuno aveva appena varcato la soglia. Quindi Gold disse, altamente scocciato: “Siamo chiusi! Non li sapete leggere, i cartelli?!” ma la porta si chiuse. A quanto pare quel cliente non se ne era andato. Gold sbuffò. Poi disse: “Mi dispiace, piccola.”
“Non ti preoccupare, papà. Intanto non me ne vado da qua” disse Rose. Gold gli sorrise e poi andò all’ingresso. Rose stette ad aspettare ma, come il padre, non aveva mai avuto molta pazienza. Così decise di raggiungerlo ma, appena vide chi altri c’era, si fermò di scatto. Oltre a suo padre ed Excalibur, c’era quella ragazza che l’aveva aiutata a scappare dai sotterranei dell’ospedale.
“Sei tu” disse Rose. La ragazza sorrise. Gold le guardava sorpreso. Quindi domandò: “Voi due già vi conoscete?”
“Certo. È stata quella ragazza che mi ha aiutata a scappare dai sotterranei dell’ospedale quando ero stata rapita e messa lì da Sydney Glass e Lucy” rispose Rose guardandolo. Poi guardò la ragazza e chiese: “Come hai fatto a fuggire?”
“Un signore molto gentile mi ha aiutato a venire qua, dicendomi di seguire questa volpe e chiedere del signor Gold” rispose la ragazza guardandola. Poi guardò Gold e aggiunse: “È lei il signor Gold? È lei che mi proteggerà?” Gold si avvicinò a lei. La ragazza lo guardò con un po’ di paura. Poi però Gold si fermò e, allungando una mano verso di lei, gliela mise su una guancia. La ragazza chiuse gli occhi, ma li riaprì non appena l’uomo disse: “Mi sei mancata tanto… Belle.”
Rose e la ragazza rimasero senza parole.


 
The End....for now

 
Note dell'autrice: E finalmente finito dopo....dopo quanto? Non so nemmeno io dopo quanto. Comunque, finalmente ho finito la prima stagione di Once (alla buon ora) Tante cose devono ancora avvenire. Tanti avvenimenti importanti devono accadere nella tranquilla (seee come no) cittadina di Storybrooke. Nuovi personaggi arriveranno (anche un vecchio amore di Tremotino) E Rose dovrà imparare a controllare la sua magia, anche se combinerà parecchi disastri. Molte cose cambieranno molto più avanti.
Spero che vi sia piaciuta questa mia versione della prima stagione. Inanzitutto volevo ringraziare tutto coloro che hanno recensito o che hanno semplicemente letto. Grazie a tutti quelli che mi hanno supportato ( ma soprattutto sopportato) Grazie infitamente alle mie due carissime amiche Lucia e Laura per la loro immensa pazienza.

Non so ancora quando inizierò con la seconda stagione ma spero di non impiegarci secoli come per avvenuto per alcuni capitoli.
Vi auguro una bellissima serata e ricordatevi sempre: la magia ha sempre un prezzo.
Alla prossima miei carissimi Oncers
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: ValeDowney