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Autore: Chemical Lady    16/08/2017    0 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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僕は孤独さ  No Signal

Parte quinta: Il caso Nagachika.

 

 

Iruka era vestito bene, con addosso una camicia elegante e la cravatta dal nodo impeccabilmente diritto. Era carino, mentre riduceva a piccoli pezzettini quella pagnotta di pane, intascato durante la cena, e lo gettava alle carpe che iniziavano ad ammassarsi sotto il piccolo ponte.

Aiko, invece, non sembrava altrettanto graziosa. I capelli si erano sfatti a causa del caldo e del bel cighion nero pece era rimasto poco più che una coda bassa, con qualche ciuffo che sfuggiva al controllo delle forcine.

Il vestito era leggermente spiegazzato sulla gonna, sul bordo, nel punto che aveva stretto ancora e ancora durante la cena, in preda al nervosismo.

Kei era stato crudele nel chiederle sostegno nel momento in cui ha annunciato a suo padre che non avrebbe più lavorato come agente del ccg, ma si sarebbe accontentato di una carica tranquilla dentro al bureau, dietro una scrivania. A nulla erano valse le spiegazioni. La morte di Kenzo durante l’operazione dell’undicesima circoscrizione guidata da Marude l’aveva segnato e al funerale si era deciso. Non aveva il fegato di rischiare la vita, giorno dopo giorno.

«Dovresti chiedere il congedo dal ruolo operativo anche tu.»

«In realtà dovrei tornare a casa a stendere. Se rimangono troppo nella lavatrice, le camicie inizieranno a puzzare di umido.»

Il ragazzo aveva sbuffato una mezza risata, terminando il pane e voltandosi a guardarla, appoggiata mollemente con un gomito alla ringhiera di legno massiccio del ponte e gli occhi inchiodati sulle voraci carpe.

Sapeva che non l’avrebbe convinta facilmente, perché Tamaki l’aveva indottrinata bene durante tutte le esequie del loro vecchio amico. «Dovevamo parlarne subito. Se non mi fossi chiuso in me stesso e tu non fossi rimasta in ospedale con Mizuro credo che-»

«Stai insinuando che io sia così manipolabile?», domandò con tono annoiato e con una punta di risentimento la mora, spostando gli occhi di un giallo accecante in quelli del fidanzato. «Non è più plausibile che sia stata io a dire a Mizuro di rimanere nella sua squadra e che anche io avrei fatto così?»

«Lui sembra più convinto di te.»

«No, è solo più entusiasta. Poi cosa ti aspettavi davvero? Sapevo che prima o poi saremmo morti tutti dal primo giorno di accademia.» Staccandosi col fianco dal legno, la ragazza lo accarezzò con il palmo della mano, non distogliendo gli occhi dall’altro. Non lo compativa, però non lo biasimava nemmeno nella sua scelta. Lei però aveva fatto la sua scelta e non voleva avere ripensamenti. «Tu più di tutti avresti dovuto pensarci bene prima di diventare un agente. Tuo padre è un classe speciale, Kei. Quanti amici ha seppellito? Quanti compagni in vent’anni nel dipartimento? Io spero solo di arrivare al punto in cui è arrivato lui.»

Kei non riuscì a trattenersi, mentre un leggero tremore gli scuoteva le membra. «Ma perché fai così?! La mia vita, la tua e quella di Mizuro hanno un valore! Tu non c’eri, non hai visto cosa è successo a Kenzo. In che stato lo hanno ridotto. Non hai idea di cosa sono stato costretto a vedere e io non voglio vederlo mai più!»

Aiko annuì in modo poco percepibile, mentre muoveva qualche passo verso di lui. «Lo capisco», sussurrò piano, mentre passava le braccia attorno al suo collo e lo stringeva in un abbraccio. «Ma la mia vita vale qualcosa perché una volta un agente mi ha salvata. Non ho altro, se non questo e voglio portare avanti il mio dovere fino alla fine.»

«Hai me.»

Un leggero sorriso le increspò le labbra, mentre lo stringeva di più. «Puoi fare il padre casalingo mentre io picchio i ghoul brutti e cattivi. Non sarebbe una brutta vita, non credi?»

«Questa è la vita che ti immagini?»

«Sì, non sarebbe male.»

«Sei una pessima bugiarda.»

Allora non c’era nessuna Eto pronta a richiamarla a sé tirando il corto guinzaglio che le aveva legato al collo. Allora non c’erano la paura di essere scoperti, la disperazione e il peso di dover denunciare ogni attività del dipartimento. Non c’era nemmeno la voglia di assecondare quel mostro dal sorriso ammaliante, il desiderio di essere guardata da lei, seguita e di avere incarichi sempre più importanti.

Non c’era nessun tradimento, nessuna bugia dietro Masa Aiko.

Solo una triste verità.

«Hai ragione, non so mentire», gli disse, sciogliendo l’abbraccio. «Per questo ammetto che sarà dura giorno dopo giorno affrontare i miei limiti. Ma va bene così. Questa è la vita che ho scelto io. Presto tuo padre ti perdonerà, non ti vedrà più come un codardo e potrai tornare a cena da lui a testa alta e raccontare del tuo importantissimo lavoro di segretario o addetto alla stesura delle denunce.»

Un sorriso un po’ amaro apparve sul volto del giovane, ma apprezzò ad ogni modo lo spirito della ragazza. «Sei sempre così ottimista.»

«Il mio segreto è questo. Andiamo, accompagnami a casa e comprami un paio di taiaki lungo la strada. Oggi tua madre non ci ha servito il dolce.»

Avviluppando il braccio a quello del fidanzato, Aiko si sporse per stampargli un veloce bacio sulle labbra.

E si sentì fiera del suo coraggio nel voler cambiare vita tanto quanto fiera di se stessa nel non volerlo fare. Nel perseverare.

Per rendere Mikito Urie fiero di lei.

Per far notare il suo valore alla sua famiglia.

…. Per tante altre motivazioni che di lì a pochi mesi si sarebbero rivelate solo menzogne.

 

Avrebbe fatto meglio ad ascoltare Iruka e non diventare così brava a mentire.

 

Capitolo ventisette

La stanza asettica dell’ospedale era bollente. Aiko cercò di far arieggiare un po’ l’ambiente, mentre nel corridoio sentiva le infermiere lamentarsi di quel settembre sorprendentemente afoso.

«Le persone sono abitudinarie», disse la mora, prendendo posto sulla sedia accanto al letto e spostando di poco la valigetta di metallo contenente Inazami. «Pensi sia vero che non ci sono più le mezze stagioni? Io credo semplicemente che non esistano le mezze misure.»

«Parli sempre per enigmi…» La ragazza che giaceva inerte fra le lenzuola che odoravano di disinfettante abbozzò un sorrisetto, mentre le rivolgeva un’occhiata stanca con l’unico occhi che poteva utilizzare. «Grazie per essere venuta a trovarmi, Aiko. Però so che siete sempre tanto impegnati, al distretto. Non dovresti sprecare il tuo tempo libero per me.»

Mesta, Masa le sorrise di rimando. «Non dire così, Haru. A me fa piacere venire a trovarti. Senza contare che ora ho qualche giorno libero, quindi non abbiamo fretta, oggi.»

«Ginshi te ne sarebbe molto grato. Io te ne sono grata.»

Con un sorriso più convinto, Aiko spiegò un giornale che aveva acquistato nel chiostro di fronte all’ospedale. Si sistemò meglio sulla sedia, prima di schiarirsi la voce. «Vuoi sapere il tuo oroscopo?»

La giovane nel letto ridacchiò piano. «Sì. Voglio che mi dica che incontrerò l’amore, questo mese.»

 

-Risponde la segreteria telefonica di-

Con un mugolio frustrato, Aiko premette sull’enorme cornetta rossa del touch screen, vedendo il nome di Urie sparire da sopra di esso. Non parlava con lui dal giorno prima, da quando era tornata a casa, dopo il colloquio avuto con Touka Kirishima e una mappa piena di strani misteri irrisolti.

Contando che stava lavorando per Eto, non smaniava di certo per condividere con lui troppe informazioni sul caso. Voleva solo stare un po’ in sua compagnia, ma il ragazzo non era tornato a casa fino a tarda notte. Si era lavato in fretta e poi si era detto troppo stanco per prestarle attenzione. Quando era uscito di casa senza nemmeno fare colazione con la squadra, Aiko aveva capito perfettamente l’antifona: Kuki era offeso a morte per qualcosa che lei doveva avere fatto. Si era scervellata sulla motivazione per tutta la mattinata, anche mentre parlava con la povera Haru Shirazu, ma non era arrivata da nessuna parte.

Decise di rinunciarci nel momento in cui lei e Higemaru arrivarono a visitare il terzo posto segnato sulla cartina.

Il collega la aspettava in disparte, appoggiato con la spalla alla parete in ombra del palazzo e si stava facendo aria proprio con la loro preziosissima prova. Aiko lo guardò per metà divertita e per metà ammonitrice, quindi il ragazzo smise subito. «Non risponde? Sta svolgendo un’operazione rischiosa?»

«Frena i bollori Hige», lo riprese immediatamente la mora, controllando qualcosa che aveva segnato lei stessa sulla sua agenda, spiando in seguito i campanelli disposti in ordine uno accanto all’altro. «Si starà sicuramente facendo delle seghe con Matsuri.» Naturalmente la frase non era ancora terminata quando un signore anziano uscì dalla struttura, tenendo loro la porta aperta affinché potessero entrare. Aiko non provò nemmeno un minimo di vergogna per l’essersi rivelata così sboccata, mentre al contrato Touma arrossì così tanto da iniziare a diventare dello stesso colore dei suoi capelli. «Sul campanello c’era segnato che il signor Koshi Wakaba vive al terzo piano. Facendo un confronto fra gli spostamenti bancari di Hideoshi Nagachika e questo indirizzo, ho scoperto che ha versato un affitto mensile per due anni a quest’uomo.»

«Quindi questa potrebbe essere casa sua?»

«No, lui viveva nella ventesima. Questo forse era una sorta di nascondiglio o magari un luogo per riuscire a lavorare meglio.»

Touma corrucciò la fronte. «Per il ccg?»

«Magari contro il ccg, chi lo sa.»

I due in ascensore si scambiarono un’occhiata e alla fine Higemaru esalò esasperato, «Non ho capito.»

«Credo che il signor Nagachika non sia solo vivo, ma anche invischiato in affari poco legali. Per questo ho chiesto ad Arima un mandato per verificare se ora ci sia un regolare contratto di affitto per la stanza vuota del signor Wakaba. Lui ha fatto due chiamate confermandomi che ogni mese, un certo Taro Yamoto affitta la stanza pagando in contanti.»

«Quindi la stanza è regolarmente affittata, ma i pagamenti sono in nero. In effetti è sospetto. Poi davvero? Taro Yamoto? John Doe sarebbe stato più internazionale.»

Nel gergo giuridico giapponese, Taro Yamoto era il nome che veniva utilizzato per nominare le persone morte non identificate, o scomparse. Masa iniziava a pensare che quello non era altro che un gioco malato che avrebbe portato un bel po’ di casini al dipartimento. Sempre meglio al ccg che ad Aogiri, in ogni caso. Per questo aveva preferito lavorarci su con il distintivo in mano e non con il kagune estratto. O con Tsubasa.

Arrivati al piano vennero accolti sull’uscio da una bella donna dalla pelle olivastra e una chioma lunga e scarlatta. «Mi scusi, signorina», si fece avanti Higemaru, spavaldo con la valigetta in mano e il petto gonfio. «Stiamo cercando il signor Koshi Wakaba. Potrebbe indicarmi quale è il suo appartamento?»

La ragazza si scostò il ciuffo dal viso con le dita allungate dalle unghie finte, guardandolo con gli occhi tinti di un verde strano. Sicuramente erano lenti. Masa notò un moto di imbarazzo, ma in ogni caso, sorrise al collega. «Sono io», ammise quindi, candidamente, la sconosciuta. «Koshi era il mio nome prima della transizione», spiegò a Masa, visto che Higemaru sembrava entrato in stanby cerebrale. Troppe cose che non aveva previsto in troppo poco tempo. «Potete chiamarmi Rea. Siete  agenti di polizia? Non ho avuto ancora il tempo di andare al catasto per il cambio di sesso perché non ho finito con gli interventi chirurgici. So che c’è una multa da pagare, ma io-»

«Signorina Wakaba», la interruppe Aiko, con un sorriso gentile. «Non siamo poliziotti. Siamo agenti del ccg e vorremmo rivolgerle solo un paio di domande.»

«Ccg?», chiese stupita la donna, corrugando le sopracciglia. Poi successe una cosa molto strana che non sfuggì ad Aiko. La donna appoggiò a terra il cagnolino bianco che teneva sotto al braccio, insieme alla borsa, giusto dietro l’uscio della porta, la quale venne poi chiusa alle sue spalle.

«Non ci invita ad entrare?», le domandò mordace l’investigatrice, senza però dar troppo l’impressione di aver notato quella stranezza.

«La casa è in disordine, sto ristrutturando», si giustificò quella, «Però possiamo parlare qui. I vicini sono molto tranquilli, non ci riprenderanno. Senza contare che non so cosa la ccg possa volere da me, non ho sporto denunce né mai visto un ghoul in vita mia.»

«Stiamo cercando un suo ex affittuario», disse Aiko, mostrandole una foto.

«Ah, sì, Hide.» Un sorriso malinconico incurvò le labbra spesse della donna, mentre passava le dita grosse sul volto del ragazzo. «Me lo ricordo bene. Mi hanno detto che è morto. Lavorava anche lui per il ccg, vero?»

«Era assistente investigatore, sì.» Masa riprese la foto, «Quindi non ha più avuto nessun contatto con lui?»

«No, signora. È sparito dal giorno alla notte e ora ho un nuovo affittuario.»

Gli occhi dell’investigatrice si affilarono, «Possiamo parlare con lui?»

«Purtroppo non c’è quasi mai. Ha preso la stanza perché è più vicina all’università, ma non soggiorna qui se non per le sessioni d’esame. Oppure quando deve incontrarsi con qualche compagno di corso. Almeno, questo è ciò che mi ha detto lui. Non siamo in rapporti stretti, è solo un affittuario come molti altri.»

«Signorina Wakaba, è nervosa?» Higemaru si insospettì a sua volta, attirando su di sé il falso sguardo verde della donna. «Se è a conoscenza di qualche attività illecita, dovrebbe denunciarla. Voglio dire, Taro Yamoto? Ha davvero deciso di fare un contratto a questo nome?»

«Il mio affittuario è una persona molto riservata», lo ribeccò con voce grossa lei, prima di riprendere a parlare più delicatamente, schiarendosi la voce. «Ora vi chiedo di perdonarmi, ma se non avete un mandato per entrare e richiedermi di visionare il contratto d’affitto, torno a occuparmi della mia casa.» Si inchinò di fronte ai due, in segno di rispetto, prima di infilarsi rapidamente dietro l’uscio e chiudersi dentro a doppia mandata.

«Ho sbagliato, vero Aiko?»

Lei gli spettinò i capelli, mentre si avviava all’ascensore. «No Hige, hai fatto bene. Hai dimostrato che nasconde qualcosa. Ora dobbiamo solo capire cosa e procurarci le prove per un mandato.»

Touma sorrise, prima di iniziare a pavoneggiarsi. «Non me l’ha raccontata giusta dall’inizio. Secondo te non ci ha invitati ad entrare perché è un ghoul?»

Le porte dell’ascensore si chiusero e Masa aprì la mappa, controllando i posti mancanti. «No, dall’odore è un essere umano, anche se la cura ormonale rende difficile capirlo.»

Il giovane annuì, sbrigativo. Quasi in imbarazzo.

«Non avevi mai visto un transessuale, Higemaru?», domandò intenerita l’investigatrice, guardandolo con gli occhi di una madre che sorprende il figlio mentre scopre qualcosa di nuovo.

«Non ci avevo mai parlato, in realtà.» Uscirono nuovamente alla luce del sole e lui portò la mano sugli occhi chiari, per schermarli. «Mi sono comportato male?»

«Ti sei comportato normalmente, quindi no.» Entrati in auto, Aiko accese il motore pregando che l’aria condizionata iniziasse presto a fare il suo lavoro. Intanto continuava a guardare la cartina.

«La prossima tappa è questo luogo nella ventesima?», si informò il giovane, tirando la cintura verso di sé mentre con l’altra mano colpiva piano la mappa in un punto.

«No, lì non c’è più niente. Il palazzo è stato demolito tre anni fa.»

«Come fai a saperlo?»

«Perché conosco questo indirizzo a memoria: è dove una volta sorgeva l’Anteiku.» La bocca del ragazzo si schiuse in una piccola ‘o’, mentre osservava ammirato Aiko in quanto superstite di quell’operazione. «Smettila, sei inquietante.»

«Avrei tanto voluto partecipare a quella operazione. Dicono che fu magistrale.»

Lei lo guardò negli occhi e dentro di essi Hige vi lesse un po’ di compassione. «Fidati non avresti voluto esserci. Ad ogni modo, andiamo nella seconda circoscrizione, così ci avviciniamo a casa. Qui c’è segnato un luogo all’angolo fra due strade e accanto c’è una stellina. Dovremmo iniziare anche a capire il senso dei simboli, prima o poi.»

Il ragazzo sorrise, ottimista.

«Sono sicuro che scopriremo qualcosa di importante a questo indirizzo!»

 

 

Un altro bar.

Ad attenderli nelle seconda circoscrizione c’era solamente l’ennesimo locale aperto al pubblico. Lo sguardo di Aiko verso Higemaru divenne di puro biasimo. Ma era più per se stessa, visto che iniziava a credere che non avrebbe cavato un ragno dal buco.

«Riassumendo», brontolò con voce bassa, prendendo dalla tasca del trench il pacchetto delle sigarette. «Abbiamo visitato due bar, un ristorante, una sala di lettura, un terreno abbandonato e un appartamento nel quale, però, non ci hanno permesso di entrare. Adesso siamo al terzo locale e io, francamente, inizio a pensare che quella fosse la mappa dei locali migliori secondo Nagachika. Niente di losco.»

Higemaru le impedì di accendersi una sigaretta, rubandole dalle mani l’accendino. «Prendiamoci qualcosa di fresco da bere», le disse, con un sorriso che avrebbe sciolto anche la calotta polare. «Almeno non saremo venuti fino a qui per niente.»

Aiko sospirò, abbassando il capo e annuendo. Almeno dentro al locale avrebbero trovato un po’ di riparo dall’afa e goduto dell’aria condizionata.

Seguendo il collega all’interno, la moretta notò che non era un bar come tutti gli altri. Ovunque c’erano scaffalature su scaffalature di libri. Sembrava più una sala di lettura all’inglese di un bar. Eppure la lista dei te freddi era così invitante che Aiko non resistette dal prendere un te nero aromatizzato al lampone e amarena. Higemaru fece il bis con uno alla banana e fragola e entrambi presero posto ad un tavolino che si era appena liberato. Aiko sprofondò nella poltroncina dopo essersi sfilata in fretta il trench, spiando i libri sopra alla sua testa mentre Higemaru prendeva due o tre tiri voraci dalla cannuccia.

Stava andando tutto a rotoli, ma lì Aiko si trovò bene. Era un locale silenzioso, fresco e quasi famigliare. C’era qualcosa di confortante nell’aria.

Quando Touma aprì di nuovo bocca, l’altra comprese cosa si era persa.

«Quella dietro alle tue spalle è Takatsuki Sen!»

Masa rimase bloccata così come si trovava, col naso rivolto verso un libro di Goethe e la mascella rigida, inerme di fronte alla probabilità che se si fosse voltata, avrebbe contrato un paio di occhi verde acqua conosciuti.

Se era davvero lei, Eto aveva sicuramente sentito l’esclamazione del partner, quindi poco valeva far finta di nulla. Aiko si rimise diritta e si voltò, guardando nella direzione indicata dal collega. Seduta in modo scomposto su una poltroncina di pelle ad angolo, con addosso una salopette azzurrina e una maglietta a maniche corte di uno strano color senape che le andava larga, c’era proprio Eto.

Anzi, Takatsuki Sen, famosa scrittrice.

«Deve vivere nelle vicinanze», fu il commento laconico di Masa, che non fece nient’altro se non rimettersi seduta diritta, dando le spalle alla donna che difficilmente non s’era accorta di lei. Ad ogni modo, doveva agire come se non le importasse.

«Perché non le chiedi un autografo? Hai tutti i suoi libri. Me lo ha detto il caposquadra che anche se non ti piace molto leggere, non ti sei persa un singolo libro di Takatsuki Sen!»

Di nuovo, a tono alto, Higemaru fu assolutamente fuori luogo. Anche se mai quanto Urie, che a quanto pare non solo parlava di lei, ma anche degli argomenti sbagliati.

«Non voglio disturbare la signorina dalla sua lettura.»

«Allora lo farò io per te!»

«Hige non serve che-»

Masa ci provò davvero a fermarlo, ma il ragazzo era già partito per un mondo al quale lei non poteva nemmeno vagamente ambire. Quello dell’innocenza. Rimase ferma, non si voltò, non volle vedere.

Non seppe nemmeno quanto tempo il partner ci mise, ma le parve un eternità e quando tornò, non era solo.

Con lui c’era anche lei.

«Volevo conoscere l’agente Masa Akiko a cui ho fatto l’autografo», disse tutta pimpante Eto, sorridendole, prima di aggiustarsi gli occhiali sul naso. «Oh, chiedo scusa, Aiko. Posso?»

«Prego, signorina Takatsuki, si sieda con noi!», Aiko, che era schizzata in piedi nell’esatto momento in cui le loro iridi si erano incontrate, tornò anche lei a sistemarsi sulla poltroncina, di fronte al Gufo, alla quale Touma aveva ceduto il posto per poi andare alla ricerca di uno sgabello per sé.

«Per me è davvero un onore conoscere una scrittrice così talentuosa, signorina Takatsuki», chinò il capo Masa, per non sorridere divertita. Eto se la stava proprio spassando in quel frangente, glielo leggeva nello sguardo. Avevano la possibilità di atteggiarsi come due sconosciute e non poteva lasciarselo sfuggire, che Masa volesse o meno.

«Oh, per favore, agente, chiamami per nome.» Un sorriso enorme si aprì sul volto piccolo e tondo di Eto, «Io posso chiamarti Aiko, vero? E tu sei Touma. Sono un disastro con i nomi, perdonatemi se sbaglio.»

«La ringraziamo per il privilegio della sua compagnia, signorina Sen», trillò tutto allegro Higemaru, mentre Eto prendeva un sorso del suo the, appoggiando il libro che stava leggendo fino a quel momento sul bracciolo della poltrona. «Le Metamoforsi di Kafsha

«Kafka», lo corresse Eto, alzando un dito come una maestrina. Dito che poi andò ad appoggiare sul naso del ragazzo, che avvampò di imbarazzo. «Sei così tenerello, lo sai? Ti mangerei di baci. Comunque, questo è un libro che ho sempre amato particolare. Lo avrò letto almeno trenta volte e quando mi sento un po’ triste, lo riprendo sempre in mano e alla terza riga mi sento meglio.»

«Ormai lo avrà imparato a memoria.»

«Non me ne sazio mai, come delle persone.» Con un ultimo sorriso al ragazzo, si rivolse a Masa. «Adoro il ccg», cinguettò allegramente, muovendo la cannuccia dentro al bicchiere di plastica trasparente. «Ho parlato con un paio di voi qualche anno fa. Mi pare si chiamassero Mado e Amon.» Prese un altro sorso, dondolando le gambe sotto al tavolo mentre si sistemava più comoda. «State indagando su qualcosa, ultimamente? Sono una vecchietta curiosa, perdonatemi se vi importuno in una pausa.»

«Non è un’indagine ufficiale», le disse Aiko, «Stiamo cercando una persona. Se lei è una frequentatrice abituale del posto, signorina Sen, magari può aiutarci.»

Gli occhi del ghoul brillarono. «Farò qualsiasi cosa in mio potere, agente.»

Masa le mise sotto al naso prima la foto del ragazzo, poi la mappa che aveva trovato nella sua felpa e che stavano cercando di decodificare da tutto il giorno. «Il soggetto in questione si chiama Hideoshi Nagachika ed è sparito dalla ventesima circoscrizione, più di tre anni fa, in seguito ad una operazione speciale della ccg. Non abbiamo indizi su di lui, né che sia vivo o meno, ma abbiamo ritrovato fra i suoi oggetti personali questa mappa. Guardandola, lei cosa ci vede?»

Eto prese fra le mani la cartina, ignorando totalmente la foto.

Hige si sporse verso di lei. «Va bene mostrargliela? È una civile.»

«Non è un’indagine ufficiale, va bene fino a che non riveliamo dettagli personali di Nagachika.»

Aiko avrebbe voluto anche citargli la clausola, ma non ci riuscì. L’espressione sul volto di Eto mutò così repentinamente che le mozzò il fiato in gola. Ora mi ucciderà, davanti a tutti. Questo riuscì a pensare, mentre poteva avvertire un’aurea scura alzarsi dal corpicino del Gufo. Durò pochi secondi, ma bastarono per raggelarla e gettarla nello sconforto. Quando tornò a rivolgersi a lei e a Hige, Eto aveva di nuovo il sorriso. «Temo di non potervi aiutare per questa», ammise candida, ripassando a Masa la mappa, la quale la prese con la mano che tremava appena. Poi il ghoul afferrò la foto, studiandola per bene da dietro le lenti spesse degli occhiali tondi. «Hideoshi Nagachika, uhm?»

«Io vado a prendermi un altro the»  Higemaru attirò su di sé gli occhi delle due donne e, senza saperlo, fu provvidenziale. «Ne volete un altro anche voi?»

«Io sono a posto con gli zuccheri per i prossimi vent’anni dopo questo», gli disse Aiko, mostrandogli il suo, ancora a metà.

Eto scosse semplicemente la mano. «Non preoccuparti, giovanotto. Non rimarrò qui ancora per molto.»

«Faccio presto allora, così posso salutarla, signorina Sen.»

Lo guardarono allontanarsi al bancone e solo a quel punto, Aiko si sporse in avanti per parlare. Eto fu però più veloce, come sempre. «Mi piace, questo tuo nuovo partner. Sembra un tipetto poco sveglio, eh?»

«Sta imparando», prese le sue difese Masa, prima di sospirare grave. Poi fece un cenno alla mappa. «Cosa ci vedi?»

«Vedo qualcosa che non mi sta bene. Ovvero queste stelline.» Eto la guardò seria come poche altre volte aveva fatto, inchiodandola su quella poltroncina. «Questi sono luoghi molto importanti, per me.»

«Posso sapere il motivo?»

«In questi locali è dove mi incontro con il Re.»

Aiko sgranò gli occhi, scioccata da quella rivelazione. Poi però nella sua mente si disegnò già un piano. «Non ci hanno permesso di avere una stanza che credo abbia affittato sotto falso nome», snocciolò velocemente. «Posso mandare Kenta a-»

«No. Andiamo noi due, Ai Ai. Stanotte.» Eto le mise sotto al naso la sua agenda. «Scrivimi l’indirizzo, ci vediamo direttamente lì appena riuscirai a liberarti dei tuoi colleghi.»

«Va bene, Eto.»

Tutto ciò che desideri.

Touma le raggiunse mentre Masa le stava restituendo la Molang rosa. Eto sorrise allegra e gli rese il posto, congedandosi in fretta. Si scambiarono un ultimo sguardo e poi il ghoul lasciò il locale e il libro sul bracciolo della poltrona.

«Cosa le hai scritto nell’agenda?», si informò Hige, che le aveva guardate conversare da lontano. Il suo udito però non era così buono da coprire il brusio degli altri avventori e le due avevano parlato piano.

Aiko lo guardò negli occhi, mentre beveva. «Mi ha chiesto il numero.»

A quel punto, il ragazzo rise. «Un vip che ti chiede il numero! Questa vorrei raccontarla a tutti, ma se dovesse venirlo a sapere il caposquadra…»

«Diglielo invece, così magari impara a rispondere alle mie chiamate.»

Aiko si sporse verso di lui, afferrando le Metamorfosi, prima di riaffondare nella poltrona. Aprì la prima pagina e lesse una frase, scarabocchiata leggermente con una matita.

Ci sono solo due tipi di uomo perfetto al mondo: uno morto e l’altro mai nato.

Era un proverbio cinese detto e ridetto da Tatara. Eto doveva averlo scarabocchiato in quel libro sovrappensiero, prima che arrivassero al locale. Magari mesi o anni prima di quel giorno. Una cosa era certa però.

Ora il Gufo col Sekigan aveva motivo di preoccuparsi di qualcosa.

Che Nagachika conoscesse la vera identità del Re con un Occhio Solo?

Tutto ciò che Aiko pensò fu che era impossibile. Quello era il segreto più grande di Aogiri di cui nemmeno lei sapeva nulla. Solo Eto e Tatara avevano contatti diretti con sua maestà in persona, visto che la terza persona a saperne qualcosa era stata Noro. E Noro ormai era diventato una quinque.

Come era possibile, quindi, che conoscesse quei luoghi?

Avrebbe fatto meglio a venirne a capo e trovarlo.

O Eto non l’avrebbe più protetta.

 

 

«Ai-Ai, vedi qualcosa di interessante?»

Una goccia di sudore rotolò della fronte sul naso di Masa, mentre con mani ferme e decise scollegava il terzo di diversi cavi di alimentazioni connessi da altrettante cariche esplosive. Esse erano state installate accanto alle due porte di accesso alla piccola stanza che Taro Yamoto aveva affittato dalla signorina Wakaba, probabilmente come garanzia che nessuno sarebbe mai riuscito davvero a ficcare il naso nei suoi affari.

Era stata una pura intuizione quella di entrare dal soffitto, creando un buco nell’appartamento del piano di sopra. L’idea di Aiko aveva causato un paio di quelle che Eto aveva definito vittime collaterali, ovvero una coppia di poveri anziani che si erano ritrovati alla porta la Bambina con le Bende e Labbra Cucite.

Se non ci avesse pensato su avrebbero scatenato l’inferno, per tornarsene a mani vuote.

«Una bomba incendiaria rudimentale», spiegò con tono alto verso la stessa porta che stava fronteggiando. Non aveva senso mettere in sicurezza quella che non dava sull’interno dell’appartamento padronale, visto che Eto aveva intenzione di spremere Wakaba di ogni informazione utile. «Un lavoro da pivelli.»

«Detto da una dinamitarda come te, ci credo.»

Un piccolo sorriso lusingato allargò le labbra di Aiko, mentre seguiva con gli occhi il cavo dell’innesco, dalla maniglia fino a un cilindro, connesso a sua volta a una tanica. «A occhio direi che ha usato centoventi grammi di polvere da sparo per i due cilindri, mezzo litro di benzina a tanica per l’innesco rapido e due bombole di propano da duecento millilitri. Voleva essere certo che l’intera stanza sarebbe bruciata in fretta. Non c’è abbastanza potere deflagrante nemmeno per abbattere un muro, ciò mi porta a pensare che non voleva cancellare il palazzo dalla faccia della terra, ma qualche prova di sicuro. E magari evitare di uccidere qualcuno.»

«Hai visto se c’è qualcosa di interessante lì in giro?»

«Non ancora, sono impegnata a disinnescare questo lavoretto mediocre. Per essere un piccolo genio che ci sta scappando da mesi, dovrebbe lavorare un po’ sullo stile. Anche se, pensandoci bene, credo che abbia architettato questo trucchetto alla svelta. Sapeva che prima o poi qualcuno sarebbe venuto a cercarlo.»

Eto tacque per un attimo, poi di seguito a qualche rumore sordo, parlò nuovamente, più vicina alla porta. «Intendi dire che potrebbe essere qualcosa di improvvisato recentemente?»

«Ne sono quasi del tutto sicura. Nagachika, se è davvero lui il signor Spaventapasseri Yamoto, può fare di meglio di così, considerando cosa ha fatto per liberare Amon. Anche una persona senza la minima esperienza in materia potrebbe creare questo tipo di bomba.» Senza esitazione alcuna, Aiko aprì la porta, guardando dal basso della sua posizione genuflessa Eto. «Ho finito.» La mora sorrise, con le labbra libere dalla maschera di cuoio che aveva abbassato quando si era messa al lavoro. Mostrò all’altra uno dei cilindri metallici, ne aveva contato uno per ciascuna porta, ora scollegato dal resto dell’impianto. «Un cavo di metallo elettrificato da una batteria da auto si collega direttamente a un cilindro pieno di polvere da sparo. Una volta cercato di forzare la porta dall’esterno, nell’esatto momento in cui la serratura viene aperta, un impulso viene liberato e fa esplodere la polvere da sparo, che incendia la benzina. La benzina crea la fiammata primaria, che colpisce le bombole di propano, le quali deflagrando per l’alta temperatura fanno un po’ l’effetto del napalm sul Vietnam, ma in versione casalinga.»

«Sembra studiato comunque bene per qualcuno che aveva fretta.»

«Ciò che mi stupisce però è che non c’è modo di entrare nemmeno per il bombarolo», disse Masa, guardandosi attorno. «In qualsiasi modo la porta fosse stata aperta, con una chiave o con la forza, questo posto sarebbe esploso. Non ha calcolato la possibilità del soffitto, grazie al cielo, perché qualsiasi cosa ci sia qui dentro, lui non vuole che qualcuno la trovi.»

«Allora mettiti al lavoro, mentre io continuo un po’ con la nostra nuova amichetta di là.»

Eto le strinse l’occhiolino, prima di alzare una benda sulle labbra e il cappuccio sul capo, compiendo ad ampi saltelli il corridoio che la separava dal salotto nel quale aveva legato la povera vittima, in quelle che sarebbero state le sue ore peggiori. Aiko non poteva vedere nulla da lì, ma sentiva la voce bassa e carezzevole di Eto come se le fosse accanto, così come ogni singolo singulto di Wakaba.

Cercò di isolarsi, facendo ciò che le era stato ordinato. Ribaltò quella stanza aprendo ogni andata e ogni cassetto. Squarciò il materasso e i cuscini del divano. Tutto ciò che trovò di utile fu qualche yogurt scaduto da pochi giorni in frigo, prova che avvalorò la sua tesi che quello era stato il nascondiglio del soggetto della sua ricerca fino a poco meno di due settimane prima, a occhio e croce.

Aiko passò le dita su una mensola e guardò il guanto bianco, solo leggermente sporco di polvere. Quel posto era stato abitato e forse da più di una persona. Nel frigo aveva avvertito anche l’odore del sangue umano ristagnato, ma non aveva trovato prove in merito.

In bagno cercò ovunque, ogni anfratto, ogni mattonella, ma era pulito come il salotto e la cucina. Il piccolo letto appoggiato in fondo alla stanza, ora distrutto dai colpi di Dao della mora, era l’unica cosa che un po’ stonava col resto dell’arredamento nuovo. Erano letteralmente tre materassi impilati, come se in realtà fossero stati usati da più di una persona, magari stesi a terra a mo’ di futon. Per scrupolo, Masa li odorò. Due non avevano odore. Uno sì.

«Eto, credo che Amon abbia dormito qui, sento l’odore di Seidou su questo materasso.»

«Ah sì? Come è possibile allora che la nostra amica non abbia visto niente? Voglio dire, il mio fratellino è bello grosso! A cosa le serviranno mai questi occhioni!?»

Aiko sospirò, lasciando ricadere i materassi, prima di voltarsi verso la porta. Fu lì che notò uno specchio. Era grande abbastanza da poter renderle l’intero riflesso del suo busto, avvolto dalla mantella color vinaccia. Gli si avvicinò, sistemando le bende che poi avrebbe riabbassato sull’occhio destro. Fu in quel momento, nell’angolo sinistro dello specchio, che notò qualcosa.

Una pianta.

Era ancora incredibilmente verde per essere stata lasciata sola a se stessa, nascosta dietro un pesante tendaggio, accanto alla sola finestra dell’intera stanza, i cui scuri erano stati chiusi da molto prima che l’appartamento venisse abbandonato. Le si avvicinò incuriosita e ne toccò una foglia, constatando che era finta, di plastica.

Si chiese il perché di quella scelta di stile e quando l’occhio scivolò verso il vaso, notò che la terra invece era vera. Sollevò il gambo sintetico, scavando con la mano per spaccare quella zolla secca e sotto di essa, in corrispondenza con il fondo del vaso, trovò un piccolo squadernino nero.

Lo prese con mani tremolanti, ricca di aspettative.

Esse non vennero deluse quando al suo interno trovò una serie di annotazioni, altri indirizzi, date e orari.

E una fotografia di due liceali, uno moro e timido, l’altro dai capelli arancione acceso e gli occhi furbi.

«Eto!», esclamò, incapace di trattenere l’entusiasmo. «Ho trovato qualcosa!»

Non ottenne una risposta, ma ciò che lesse fra quelle righe la spinse a non preoccuparsi più del ghoul che l’accompagnava. Ogni singola pagina iniziava e finiva con quelli che erano palesemente una serie molto lunga di appostamenti. Ogni riga iniziava con un orario, un luogo e due lettere puntate. Poi una serie di parole scarabocchiate velocemente, molte delle quale erano ‘inconcludente’ o ‘non solo’.

Il fiato le si mozzò quando realizzò che molti di quei posti li conosceva perché erano frequentati dai Quinx o lo erano stati prima della morte di Shirazu. Qualcosa in particolare le paralizzò mente e corpo.

2 luglio 2016 – ore 21.12 – Ristorante Maruka, 3-16-1 Kanda Okadacho, Chiyoda 101-0052, Circoscrizione 1. RA-B e CN cenano.

Il suo appuntamento con Urie, la sera in cui hanno rotto la sedia. È ironico che fino ad allora l’aveva sempre ricordata come una serata divertente. Se avesse saputo di essere osservata forse avrebbe goduto meno della compagnia e avrebbe tenuto maggiormente gli occhi aperti.

Di nuovo, si ritrovò a ringraziare mentalmente Eto. Se non le avesse chiesto di indagare su Nagachika, allora non avrebbe mai scoperto niente. Non avrebbe mai realizzato che erano seguiti, studiati.

Soprattutto questo RN, che ricorreva spesso, molto più di qualsiasi altro nome.

«Eto!», chiamò nuovamente, percorrendo il corridoio in fretta fino al salotto. «Avevi ragione, Nagachika o Yamoto che sia sta-»

Non riuscì a terminare la frase.

Il salotto era invaso di sangue.

La testa della signorina Wakaba, era collegata al collo solo da una sottile striscia di muscolo. Aiko guardò quel volto sfigurato e quel cranio esposto, dopo che ogni singola ciocca di capelli era stata strappata a mano e lasciata cadere a terra, sul tappeto.

«Credevo che fosse una parrucca, chi mai si farebbe crescere tanto i capelli per poi tingerli di un rosso così volgare», sussurrò Eto, seduta sulla poltrona, mentre rimirava quello scempio con gli occhi assenti. Aiko si spaventò, non l’aveva mai vista così. Sembrava quasi stesse avendo una brutta psicosi a cui sicuramente l’investigatrice non avrebbe saputo far fronte, così abituata alla Eto manipolatrice e abile a gestire ogni situazione. Quello era però uno scenario che andava ben oltre ogni sua possibile previsione.

«Eto», la chiamò esitante Aiko, inginocchiandosi accanto a lei e cercando il suo sguardo. Appoggiò il quaderno sul tavolino del salotto, accanto alla lingua di Wakaba e comprendendo perché non l’aveva sentita gridare. «Ho trovato qualcosa di importante. Ho trovato degli appunti da decodificare. Si è lasciato qualcosa alle spalle, commettendo un passo falso.»

Con mani gentili, scostò le bende dal viso della bestia e lo accarezzò lentamente.

«Andrà tutto bene, lo prenderemo.»

Eto le sorrise, sardonica. «Io scommetto che invece voleva proprio che lo trovassimo. E sai perché? Perché questa qui non sapeva nulla, non era una sua complice. Non ha lasciato nulla al caso.»

«Allora prenderlo sarà ancora più soddisfacente, non credi? Lui pensa di essere un passo avanti a noi, ma saremo più furbe. Insieme

Ci fu un momento in cui il Gufo sembrò quasi vacillare ulteriormente, poi le sue iridi tornarono brillanti. Si sporse a baciare Aiko, costringendola a sedersi di prepotenza sul pavimento sporco di sangue e interiora.

Il bacio fu seguito da bende e tessuto che caddero attorno a loro, fino a che le loro pelli nude non entrarono in contatto. Solo quando Eto si ritenne soddisfatta, dopo quelle che sembravano ore, lasciò Aiko a terra, ansante, sporca di sangue rappreso e sudore.

Il ghoul prese il quaderno usando un tovagliolo di carta per non impregnarlo col sangue della padrona di casa, poi si voltò verso la mora, con un sorrisetto.

«Dobbiamo sparire in fretta, tra poco albeggerà», sussurrò con il tono dolce di un amante, mentre Aiko soppesava l’idea di farsi una doccia da qualche parte per non tornare con addosso le prove incriminanti di un omicidio, oltre che l’odore del sesso.

Si mise seduta, guardando Eto che a sua volta fissava la foto di Nagachika e Sasaki. No, non Sasaki.

Kaneki Ken.

«Questa la tengo io», le disse semplicemente il ghoul. «Il resto è tuo. Decodificalo.»

«Sarà fatto.»

«Prima, però, hai un’idea per sistemare questa incresciosa situazione?»

Eto si era lasciata prendere un po’ troppo dall’entusiasmo e aveva fatto un bel casino.

Aiko si abbracciò le ginocchia, calcolando che ripulire tutto con la candeggina non aveva senso. Non avrebbero mai rimosso tutto il liquido secreto dal kagune di Eto dalla stanza e sarebbe suonata sospetta la presenza del Gufo col Sekigan lì.

Senza contare che i loro dna erano sparsi sul tappeto, insieme al sangue.

Poi Masa ebbe un’intuizione.

Si voltò, guardando le bombole di propano e la benzina, in mostra grazie alla porta lasciata aperta in fondo al corridoio.

«…Forse ho un’idea.»

 

 

Quando Aiko rincasò allo chateau s’erano fatte ormai le otto del mattino.

Trovò tutti seduti al tavolo della colazione, quasi come se la stessero aspettando, nonostante si fosse impegnata a rimanere in contatto tutta la notte con Higemaru il più possibile per non destare sospetti. La doccia alla fine l’aveva fatta da Eto, allungando così la sua assenza da casa. Si era poi premurata di non avere l’odore addosso del ghoul una volta entrata in macchina. Sarebbe stato spiacevole lasciare la fragranza di Gufo col Sekigan sui sedili di pelle dell’auto di servizio.

In ogni caso, una volta rincasata, sapeva che non avrebbe avuto vie di scampo. Avrebbe dovuto rispondere a qualche domanda per tutte quelle ore di assenza.

«Macchan, pensavano di poter subaffittare la tua stanza, ormai», le disse divertita Saiko, prima di corrugare la fronte. «Ah, tu non ce l’hai più una stanza.»

«Scusate, ho passato la notte nella biblioteca della Kami a lavorare sul caso Nagachika», disse loro appoggiando la tracolla sul divano e anticipandoli con le spiegazioni. «Non hanno una grande sicurezza in quell’università.»

«Potresti provare a chiedere il permesso invece di entrare dalle finestre», la arguì subito il caposquadra, continuando a padellare frittelle senza voltarsi a guardarla, né a chiederle se avesse fame. «Magari lo troveresti più comodo.»

Masa ignorò Urie, guardando direttamente Higemaru mentre si sedeva al suo posto, a capotavola. In mano aveva un plico di fogli. «Nagachika ha scritto diversi saggi sui ghoul o sulle leggi anti ghoul. Indovina quale sarà il tuo compito mentre io mi riposo un po’.»

«Leggere tutto e riassumere?», domandò il ragazzo dai capelli pervinca, attirando a sé quella mole di lavoro e annuendo, senza esitazione. «Consideralo già fatto. Ci pensa Hige.»

«Ti do una mano se vuoi, oggi sono di riposo», gli disse Aura mentre si alzava sazio dal tavolo, con addosso ancora il pigiama sformato, andando verso i divanetti. Si sentiva ancora in debito dopo che Touma aveva deciso di dormire fuori dalla tenda, ad Aokigahara, quindi gli parve un buon modo per appianarsi.

«Macchan ti è arrivata una lettera stamattina», disse di punto in bianco Saiko, guardando verso Urie, il quale aveva ritirato la posta stupendosi parecchio dell’arrivo del postino così presto.

Fu lui a consegnarla alla giovane, prendendola dalla tasca dei pantaloni.

«Prego», le disse a denti stretti, risentito per il non essere stato ringraziato. Aiko però non sembrava essersene nemmeno accorta.

Fissava la busta, come in trance.

Poi, cercando di mantenere la calma, fissò negli occhi Urie.

«L’ha consegnata il postino?»

«Chi, se no? Il farmacista?»

«Ha suonato alla porta?»

«Sì.»

«Lo hai visto in faccia? Hai notato qualche dettaglio strano? Che divisa aveva?»

«Non-Non lo so, non aveva niente di strano. Perché tutte queste domande.»

Aiko sollevò la busta, in modo che potesse vederla bene anche lui.

«Perché non c’è l’indirizzo del mittente, né in francobollo qui sopra. Ecco perché.»

Touma si sporse per guardare a sua volta, mentre Hsiao assottigliava gli occhi, appoggiando le bacchette. Aiko scambiò uno sguardo preoccupato con Saiko, poi palpò la busta. Sembrava totalmente vuota ad eccezione di qualcosa di rigido e lungo, adagiato sul fondo.

Non poteva essere una bomba.

Se anche fosse stato un tipo di innesco a cartellina – e Masa conosceva bene quella tipologia di bomba ad innesco automatico o luminoso- era troppo piccola per contenere abbastanza esplosivo per poter far loro del male.

Nel silenzio più totale, ad eccezione della televisione che Aura aveva acceso con incuranza, la mora aprì la busta.

Era davvero vuota, ad eccezione di un piccolo oggetto.

Una foglia di plastica, strappata da una pianta finta.

«Che tipo di scherzo è mai questo?», domandò Urie, stranito. Aiko non rispose, appoggiando l’oggetto sul tavolo velocemente, manco scottasse.

«Non ne ho idea», mentì, prendendo poi una frittella e costringendosi a mangiarla, nonostante il senso di nausea.

Come era possibile che la pianta fosse sopravvissuta a ciò che lei e Eto avevano fatto?

«C’è stata una esplosione nella settima circoscrizione», disse con tono di voce alto Shinsampei, «Otto morti e sedici feriti. Pare sia saltato in aria un intero appartamento.»

«Cosa?», chiese stupita Saiko, distraendo così ironicamente l’attenzione da quella foglia.

Tutti ascoltarono la notizia del telegiornale, eccetto Hsiao.

Lei continuava a guardare il profilo di Masa, che dovette trattenersi parecchio per risultare tranquilla. Dentro non lo era affatto, ma aveva recitato quella solfa per tre anni. Un giorno in più non faceva più la differenza.

«Ci siamo stati ieri io e Hige», rivelò subito con non curanza, senza peli sulla lingua.

«Letteralmente», le rispose con tono allibito il partner, mentre sullo schermo lampeggiava la foto di Kisho Wakaba, ancora uomo. «La signorina Rea…»

Aiko spiò quel volto così diverso, ricordandosi della testa quasi decapitata. L’assenza di emozioni le scatenò la nausea.

Smise di mangiare.

«Terribile», commentò, semplicemente, alzandosi dal tavolo per raggiungere il salotto.

Lo fece soprattutto per sfuggire allo sguardo sottile della taiwanita.

«Dovremmo fare rapporto?», chiese con voce piccola Higemaru.

Urie schiuse le labbra, per rispondere, ma Aiko lo precedette. «Perché dovremmo? Hanno detto che la natura dell’esplosione è quasi del tutto accidentale. Se si rivelerà dolosa parleremo con la polizia. Fino ad allora, io vado a dormire un paio di ore. Sto lavorando più durante queste ferie che quando sono di turno.»

«Ti devo parlare», le disse sbrigativo Urie.

Aiko si bloccò ai piedi delle scale, con la sua cartella in mano e un sorrisetto sulla labbra.

«Non ora, Cookie. Viviamo insieme, puoi farlo dopo quando sarò lucida.»

Gli fece l’occhiolino, come dimenticando ogni attrito fra loro e poi salì rapida i gradini, arrivando fino alla stanza che divideva col caposquadra.

Prese dalla tracolla il quadernino e lo sfogliò.

CN.

RA.B.

Chi era lei? Perché la pedinava? E quella foglia? L’aveva conservata perché voleva che lei trovasse il quadernino? Come faceva a sapere che era nelle sue mani?

Quella era un messaggio chiaro.

Io ti osservo sempre, Aiko Masa.

Ma ‘io’ chi?

Nagachika? Spaventapasseri? Yamoto?

Poco importava.

L’avrebbe trovato, perché lui da solo avrebbe potuto distruggere il lavoro di anni con una sola lettera più decisiva.

E indirizzata a qualcun altro.

 

  
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