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Autore: marea_lunare    16/08/2017    0 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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(18) John, what are feelings?
 
“Come scusa?”

Holmes era certo di non aver capito bene. Il suo udito gli aveva sicuramente giocato un brutto scherzo.

“Ti ho chiesto, Sherlock, se credi nei sentimenti”

“John… Cosa sono questi sentimenti di cui continui a parlare?” chiese il detective un po' spaesato.

“Sherlock ci siamo baciati, hai abbracciato e imboccato Rachel come fosse tua figlia e tu ancora mi chiedi cosa sono i sentimenti?”

Il detective aprì la bocca per ribattere, ma John lo interruppe.

“No, Sherlock, i sentimenti non sono un difetto chimico. Non lo sono ora e non lo saranno mai finché ci sarà un essere vivente su questa terra. Per l’amor di Dio, sei una contraddizione che cammina” continuò alzandosi in piedi.

“John, ti sbagli, non ho aggiunto nulla di contraddittorio al mio discorso. Più che altro sei tu che ti stai contraddicendo, contraddicendomi sul fatto che io non mi sto contraddicendo dicendo che in realtà io mi sto contraddicendo”

“Tu ti sai contraddicendo, Sherlock. Vuoi che ti spieghi cosa sono i sentimenti?”

“Sì, John, sarebbe carino da parte tua. Cerca solo di non essere troppo smielato perché ti ricordo che io non sono una di quelle donnine con cui uscivi e che ho avuto, solo in rari casi grazie al cielo, la sfortuna di conoscere”

“Sì Sherlock, lo so, non ho bisogno di un ulteriore monologo su ‘quanto fosse basso il QI delle donne con cui uscivo e su quanto futili e/o monotone fossero le loro vite, facendo cadere così la mia esistenza in un buio baratro di noia e tristezza sconfinate ed incalcolabili’ ” sbottò John alzando gli occhi al cielo, citando a memoria le esatte parole che il compagno gli rivolgeva dopo ogni singolo appuntamento finito miserabilmente male.

Il consulente sbuffò, non riuscendo però a trattenere un piccolo sorriso malizioso e sfrontato.

“Ora voglio farti una domanda, mio caro cuore di ghiaccio” iniziò John piantandosi i pugni sui fianchi “Cos’è che ti ha spinto ad imboccare Rachel come fosse una bambina, o come se fosse tua figlia?”

“John, io non l’ho aiutata credendo che fosse mia figlia, ma semplicemente perché non riusciva a mangiare. La sua mano tremava terribilmente e metà del brodo che metteva nel cucchiaio cadeva irrimediabilmente o sulla tovaglia oppure di nuovo nel piatto. A quella velocità avrebbe impiegato ore intere per finire tutto, inoltre non…” il detective si bloccò, tentennando un momento di troppo e completando la frase con un goffo “non credo che qualcuno sarebbe stato capace di rimanere a guardare”.

“Sherlock Holmes, tu hai esitato” rispose John sorridendo compiaciuto.

“No, non ho affatto esitato”

“Oh sì che lo hai fatto”

“Non ho la minima idea di che cosa tu stia parlando”

“Che cosa volevi dire veramente?”

“Non ti capisco, John”

“No, tu fai finta di non capire. Sei l’uomo più intelligente al mondo, te lo concedo, ma non credere ti potermi ingannare in questo caso. Volevi dire che ti faceva pena perché le vuoi bene, giusto?”

Sherlock tacque, il che diede al dottore la conferma che cercava.

“Non c’è nulla di male nel fatto che ti facesse pena, dimostra solamente la tua natura umana. Ed essere almeno in parte umano non è un disonore, anzi, rende il tuo gesto ancor più importante. Sherlock, questa parte la possiamo vedere solamente noi. Io, Rachel, Molly, la signora Hudson, Lestrade. Noi e non Mycroft, nonostante sia tuo fratello. Con lui hai un rapporto diverso, vi volete bene a modo vostro anche se sembra una continua combutta tra acerrimi nemici. Lo stesso Mycroft il giorno in cui ci siamo conosciuti mi ha fatto prelevare e mi si è presentato come il tuo arci nemico, ma col tempo ho capito che è semplicemente un fratello maggiore petulante, supponente e rompipalle che cerca di proteggerti” disse John, strappando un sorriso mal trattenuto al compagno.

“Non devi avere paura di mostrare ciò che sei a noi, perché sappiamo che ci vuoi bene nonostante tu non lo dica mai o, peggio, dimostri tutto il contrario trattandoci da schifo. Però, Sherlock, se noi siamo rimasti nonostante i tuoi stupidi comportamenti e il male reciproco che ci siamo fatti, significa che c’è del buono in te e noi siamo tra quei pochi privilegiati che hanno avuto modo di conoscere anche il tuo io più profondo. E sai cosa ti dico? Non me ne frega un cazzo se tutto ciò che sto per dirti lo considererai come un ammasso di futili sdolcinatezze, perché ti conosco e so che tu queste cose da me le accetti, altrimenti non mi avresti mai permesso di farti il bagno o piangerti addosso per un’ora subito dopo” continuò a raffica il dottore.

“John…”

Sherlock rimase a bocca aperta davanti a quel fiume di parole interminabili che uscivano dalla bocca dell’ex soldato. Era abituato a ridicole dichiarazioni che il coinquilino provava fino allo sfinimento chiuso nella sua stanza, ridicole tecniche di rimorchio che lui vedeva più come infantili pantomime adolescenziali ma che, purtroppo, spesso e volentieri andavano a segno, nonostante tutto scomparisse in una nuvola di fumo poco dopo a causa di una stupida affermazione da parte della donnina in questione, che urtava sensibilmente l’animo focoso e impulsivo di John.

Eppure ciò che stava dicendo in quel momento non sembrava affatto preparato, tutt’altro. Ogni singola sillaba era così vera e cristallina che Sherlock sentì le sue pupille dilatarsi, le sue iridi brillare di stupore infantile e gioia ingiustificata, ma non riusciva a non rimanere affascinato da quell’animo da poeta che in quel momento aveva reso John ancor più attraente ai suoi occhi, mentre in passato aveva avuto modo di cogliere solo qualche stralcio di quel suo aspetto.

Tutto in quel discorso era rivolto a lui e veniva detto mentre si guardavano, faccia a faccia, frasi sputate sul suo viso senza il minimo terrore del rifiuto, perché con solo sguardo e poi un bacio si erano detti tutto ciò che doveva essere detto.

“Ti ricordi quella volta in metropolitana, quando dovevamo sventare quell’attacco terroristico? Lì ho avuto paura che tutto sarebbe finito con un semplice boom, che non sarebbe più esistito nulla di ciò a cui ero ormai abituato. Non potevo di accettare di morire il giorno dopo il tuo ritorno. Volevo vivere al tuo fianco ancora a lungo, perché riaverti vicino a me dopo due anni, ritrovare il mio migliore amico è stata una di quelle poche cose che mi ha spinto ad andare avanti”

“Rachel è stata una di quelle, vero?” sussurrò il detective distogliendo lo sguardo, riportando alla mente quello che la ragazza aveva urlato davanti a quel ristorante, dopo che lui l’aveva chiamata.

John capì a cosa Sherlock si stesse riferendo e sentì la sua sicurezza vacillare per un momento.

Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, sentendo di nuovo il freddo del metallo contro la sua tempia, il tremore del dito sul grilletto, l’umido delle lacrime che gli incorniciava il volto stanco.

“Sì. Da un lato, però, sapevo che tu non avresti mai voluto vedermi morire. A questo pensavo mentre mi puntavo la pistola alla testa. Ti immaginavo guardarmi con il tuo solito fare saccente, osservandomi deluso e pensando che ero un uomo debole, incapace non solo di trovare qualcuno al mio fianco all’infuori di te, ma anche di occuparmi di quella che avevo ribattezzato come mia figlia adottiva, a cui avevo promesso una nuova vita felice e che invece ha dovuto sopportare per due anni le mie continue lamentele e la mia depressione. Dall’altro lato invece mi immaginavo il momento in cui ti avrei ritrovato dopo la morte e mi chiedevo se saremmo arrivati a cercare di risolvere casi persino in Paradiso pur di combattere la tua noia cronica” sorrise John con gli occhi umidi.

Sherlock tentava di non dimostrarlo, ma era emotivamente sconvolto.

Sapeva che la sua reazione sarebbe stata totalmente diversa da quella che si aspettava John.

Lui non lo avrebbe guardato con supponenza, ma avrebbe gridato il suo nome fino a sfibrarsi le corde vocali.

Sarebbe sceso dal Paradiso o risalito dall’Inferno pur di evitare che si sparasse in testa.

Avrebbe percorso tutta Londra in pochi minuti solamente per strappargli l’arma dalle mani e dirgli che era stato un completo imbecille ad andarsene così, a fargli credere di essersene andato per sempre.

Ancora non riusciva a concepire che se non fosse intervenuto qualcuno, ora l’unica traccia rimasta di John sarebbe una macchia di sangue rattrappito su una fatiscente parete di legno.

 “No, John, non lo avrei mai accettato”

“Sherlock?”

“Non avrei mai potuto accettare che di te non rimanesse null’altro che una nuvola di niente. Nei miei ricordi, John, saresti sempre e comunque stato presente e non sarei più riuscito a distinguere la realtà da ciò che io volevo vedere. Avrei perso completamente la testa” continuò il detective, fissando l’uomo di fronte a lui con un ardore che non avrebbe mai pensato di possedere.

“Come sei sicuro che sarei finito in Paradiso?” sussurrò poi, alzandosi a sua volta e avvicinandoglisi di qualche passo “Ti ricordo che io non sono un angelo, non sono come te. Inoltre, non è stata appurata l’esistenza di nessun Paradiso o Inferno, sono tutte vecchie credenze per fare in modo che la gente ottusa si comporti in modo corretto, che non solo sia timorata di Dio, ma della vita stessa e di ogni sua conseguenza”

“E tu hai paura di Dio, della vita stessa e di ogni sua conseguenza?”

“No, affatto” affermò deciso Sherlock “E tu?”

“Non più da quando ti conosco”

Holmes era fermo in mezzo alla stanza e un piccolo brivido di sorpresa gli colse la schiena.

“Quindi… Io per te sarei come non so, un… una…?”

Era impossibile riuscire a parlare normalmente di un argomento del genere senza risultare ridicolo e smielato fino allo stremo, eppure non gli diede fastidio sentire parole del genere uscire dalla sua bocca e da quella di John.

“Sherlock, non sei definibile per me”

La cosa stava diventando ancor più confusa.

“Allora come puoi dire di provare dei sentimenti verso di me se per te sono indefinibile, ovvero niente?” sbottò l’altro.

Odiava non capire.

“Sherlock, quando si dice indefinibile non è inteso solo in senso negativo. Voglio dire che tu per me sei talmente importante che non riesco nemmeno a definirti in qualche modo” sorrise dolcemente John.

“Beh ecco… Ricordo di aver letto da qualche parte che… che se due persone decidono di intrattenere una relazione seria dopo aver esplicitato i reciproci sentimenti, si possono definire a vicenda come fidanzati…” borbottò impacciato Holmes.

Da dove era spuntata fuori quella sua volontà di essere definito come qualcosa per John?

“Fidanzati sembra molto adolescenziale, non trovi?” rise l’ex soldato compiendo un altro passo verso di lui.

Sherlock aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse subito, rendendosi immediatamente conto di non conoscere alcun sinonimo di “fidanzato” e si affrettò a correre tra le stanze e i cassetti della sua mente per trovare qualcosa di vagamente adeguato.

Watson notò il suo evidente imbarazzo, rimediando per lui.

“Compagno. Ti piacerebbe se ti definissi come mio compagno?”

Si stava facendo sempre più vicino a Sherlock.

Lo trovava incredibilmente tenero in una situazione del genere, il che cozzava brutalmente contro il suo aspetto.

Alto, fisico asciutto, degli zigomi così affilati da sembrare delle lame, pelle pallida come porcellana, occhi penetranti che con un solo sguardo inchiodavano sul posto senza lasciare scampo a nessuno.

Espressione costantemente seria, annoiata, esasperata dalla stupidità umana, oppure corrucciata mentre era alla ricerca della soluzione ad un caso. 

John adorava vedere come però il suo volto cambiava non appena lo colpiva un lampo di genio, quando dopo un ragionamento interminabile ed ore trascorse con la fronte corrugata e le sopracciglia aggrottate in una costante concentrazione, ogni ruga si distendeva improvvisamente mentre spalancava gli occhi e apriva la bocca in un mix di stupore e personale soddisfazione.

Sherlock era l’uomo più affascinante con il quale il dottore avesse mai avuto a che fare ed era certo che non avrebbe saputo scegliere un compagno migliore. 

“Non era Mary la tua compagna?” domandò il detective con ritrosia.

“Mary era mia moglie e l’ho amata con tutto me stesso, Sherlock, questo non lo posso negare. Mi ha salvato da uno dei momenti più cupi della mia vita e mi ha dato una splendida figlia che adoro e di cui ho tutta l’intenzione di prendermi di cura, vederla crescere e sbocciare come un bellissimo fiore” rispose John tranquillamente, senza che la minima ombra di tristezza gli attraversasse il volto “Ma…”

“Ma?” lo incitò Sherlock.

“Ma Mary è stata uccisa. Si è sacrificata per salvarti, perché sapeva che non avrei sopportato di perderti di nuovo. Aveva assistito già una volta a quel mio immenso dolore e Dio solo sa quante lacrime mi ha asciugato, quante volte mi ha afferrato per le spalle e preso a calci in culo per farmi rialzare. È stata una parte fondamentale della mia vita, Sherlock, una parte che ora è scomparsa e che non tornerà mai più. Proprio per questo il nostro rapporto ora ha ancora più valore, perché è anche grazie a Mary se adesso le cose stanno così, se adesso siamo davvero noi due soli contro il mondo”

Holmes sentì gli occhi inumidirsi.

Un moto irreprimibile lo spinse ad annullare la distanza tra lui e il dottore, abbracciandolo con forza come se rischiasse di dissolverglisi tra le braccia da un momento all’altro.

“John…” mormorò sentendo la voce incrinarsi.

“Sherlock…”

“Io sarei stato perso se tu fossi morto, John. Perso. Con la tua assenza, non sarebbe mai più esistito un luogo che io avrei potuto definire casa. Mi dispiace, John” continuò Sherlock nascondendo il viso nel maglione di John, mentre sentiva il compagno abbracciarlo a sua volta.

“Sono qui, Sherlock, non temere” rispose l’altro sorridendo.

“Non te ne andare, John. Non lasciarmi da solo”

La solitudine lo aveva sempre accompagnato durante ogni singolo anno della sua vita.

Niente amici, solo ed esclusivamente la famiglia dalla quale si era poi distaccato con il passare del tempo.

Poi era arrivato John e aveva capito di non essere più solo. 

Da quando gli aveva preso il telefono dalla mano per mandare un messaggio, da quando le loro dita si erano sfiorate e John aveva posato lo sguardo su di lui, Sherlock aveva sentito accendersi in lui la sensazione che forse un posto nel mondo c’era per lui. E quell’uomo che ora stava abbracciando glie lo aveva dato. Gli aveva dato una definizione, era finalmente qualcuno per qualcun altro.

“Mai, Sherlock. Non lo farò mai” disse John scostandogli piano il volto dalla sua spalla, accarezzandogli i morbidi ricci scuri.

Si baciarono e si amarono quella notte, mentre il fuoco scoppiettava nel camino e inondava di un bagliore arancione tutto il salotto di quell’appartamento nel centro di Londra che aveva dato inizio alle vite di Sherlock Holmes e John Watson. 
   
 
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