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Autore: hinata 92    16/08/2017    2 recensioni
In una cartuccia piena di bug e glitch il povero Red cerca disperatamente di cominciare la sua avventura in un mondo che passo dopo passo va a pezzi.
Riuscirà il nostro eroe a sconfiggere la Lega Pokémon mentre ogni cosa intorno a lui crolla?
Esperimento basato su veri glitch dei primi giochi Pokémon, con relativi immagini e video.
Genere: Avventura, Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blue, Pikachu, Prof Oak, Red
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Glitch: il mondo corrotto di Red'
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Pokemon - Red's nightmare word

Premessa: tutti i glitch di cui parlerò in questa storia sono tratti da video di Youtube di hacker, e quindi sono realmente trovabili, con i giusti accorgimenti, nelle versioni Rosso, Verde, Blu, Giallo, Oro, Argento e Cristallo dei giochi Pokémon giapponesi, inglesi e italiani. Sono stati da me selezionati e inseriti all’interno di una trama e ho aggiunto gli screen del gioco per dimostrarne la veridicità, quindi non preoccupatevi se trovate incoerenze (scene tratte da giochi diversi, personaggi che nella narrazione ci sono e nelle immagini no o viceversa). Soprattutto, non chiedetemi assolutamente come si possa ottenere questi effetti nel gioco, perché non ne sono in grado, e per questo vi rimando ai canali Youtube di Crystal_ , ChickasaurusGL e Pokémon Millennium, da dove ho tratto ispirazione.

Detto questo, buon divertimento nel mondo distorto del povero Red!

 

 

 

 

 

Red’s nightmare world

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È buio. Red non vede niente, ma sa che qualcuno, in quell’oscurità, lo attende.

«Ciao a tutti! Benvenuti nel mondo dei POKÉMON!»

Il ragazzo riconosce la voce e, rilassato, si volta, ma quello che vede lo fa urlare.

Lo farebbe urlare, almeno, perché spalanca la bocca ma non ne esce alcun suono.

 

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Davanti a lui c’è il suo vicino di casa, il nonno del suo “amico”... senza testa!

O almeno, non sul collo. Perché la testa c’è, ma è ai suoi piedi. E parla regolarmente.

Red ha gli occhi sbarrati dal terrore.

«Mi chiamo OAK! Però la gente mi chiama PROFESSORE dei POKÉMON!»

Red non riesce a distogliere lo sguardo dalla bocca del professore, a non più di un centimetro dal terreno. Non ha il coraggio di guardarne il collo.

 «Questo mondo è abitato da creature chiamate POKÉMON! Per alcuni i POKÉMON sono piccoli amici, altri li usano per lottare! In quanto a me... lo studio dei POKÉMON è il mio lavoro.»

Tutte cose che Red conosce benissimo, dopotutto in quel mondo ci vive e conosce il professore da quando è nato, ma non ha il coraggio di contraddirlo.

«Però prima dimmi come ti chiami.»

Il ragazzo è sempre più spaventato e perplesso. La voce che gli esce dalla bocca è flebile e gracchiante, perché non ha nemmeno abbastanza saliva da poter deglutire.

«S-sono, Red, professore. Ricorda? Sono il suo vicino di casa da sempre...»

La testa a terra di Oak annuisce in modo inquietante.

 «Bene! Il tuo nome è RED!»

La sua mano tira fuori dalla tasca una fotografia e gliela porge. Red deve usare molto del suo coraggio per alzare lo sguardo dalla testa per terra. È una foto molto distorta, non è possibile capire cosa ci sia ritratto.

 «Questo è mio nipote.»

Red annuisce terrorizzato. Se lo dice lui...

 «È stato tuo rivale fin da quando eri bimbo. ... mmmh, potresti ricordarmi come si chiama?»

«P-professore... è Blue. Non se lo ricorda?»

La testa per terra annuisce ancora e Red fa un passo indietro.

 «Ah, sì, ora ricordo! Si chiama BLUE!»

Red fa per voltarsi e scappare. Non gli piace quella storia, il suo vicino di casa che perde la testa, in tutti i sensi, e gli fa discorsi strani, come se non lo conoscesse.

 «RED!»

Il ragazzo si paralizza sul posto.

«S-sì?»

«La tua leggenda nel mondo POKÉMON sta per iniziare! Ti aspetta un mondo di incubi e avventure con i POKÉMON! Andiamo!»

E a quel punto succede qualcosa di strano. Red prova a scappare ma non ci riesce, sembra che i suoi piedi siano inchiodati al terreno. Inoltre il professore sta diventando sempre più grande... o forse è lui che sta rimpicciolendo... sempre di più, sempre di più... diventa così piccolo da poter entrare nella bocca del professore. Quella bocca ora enorme che è lì, a pochi centimetri da lui. E che si spalanca.

 

«NOOOOOOOOOOOOOO!!!»

Red aprì gli occhi di scattò e si rizzò a sedere. Ci mise qualche secondo a rendersi conto di dove fosse e di cosa stesse succedendo. Era seduto a terra, di fronte al suo Super Nintendo, ancora con il controller in grembo e lo schermo acceso. Sbadigliando si stiracchiò ben bene, in parte con la mente rivolta a quell’incubo assurdo che aveva appena fatto. Scosse la testa. Probabilmente era stato solo un brutto scherzo della tensione e...

Si passò la mano sulla fronte per scostare un ciuffo di capelli e si bloccò di scatto. Passò le dita più e più volte sulla pelle con aria sempre più spaventata.

«No, no, no...»

A quel punto Red si alzò e andò verso lo specchio alle sue spalle.

«Ma no, dai! Non oggi!»

E sì, la tensione gli aveva combinato uno scherzo ancora più grosso di quanto avesse immaginato, perché non solo si era addormentato all’improvviso, ma si era appisolato sul controller, con il magnifico risultato di trovarsi tatuati in fronte, in maniera apparentemente indelebile, tutti i tasti. Disperato, Red iniziò a strofinarsi, invano.

«No, no, dai... devo iniziare la mia avventura, oggi, come faccio se sembro un idiota?»

Il ragazzo si guardò intorno alla ricerca di una possibile soluzione e la trovò. Attraversando la stanza praticamente di corsa, si fiondò sul cappellino che teneva appeso di fianco al computer e si preoccupò di calcarlo con cura sulla fronte, fino quasi a coprirsi gli occhi.

«Ok, avrò un po’ caldo, ma almeno così posso salvare le apparenze fino a quando...»

 

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Non ebbe il tempo di finire la frase che dalla finestra lasciata aperta per il caldo afoso balzò nella stanza un bel Dratini selvatico.

«Ma che...»

Il Pokémon non sembrò fare caso a lui, però, perché subito dopo si scoprì essere inseguito da un Magmar, che pareva seriamente intenzionato ad affrontare il suo avversario proprio nella stanza. Red fissò preoccupato le gocce di lava cadere per terra e, soprattutto, a pochi centimetri dalla sua adorata console. Era troppo.

 

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Con un gesto fulmineo prese la scopa che sua madre aveva lasciato, inutilmente, nella speranza di invogliare il figlio a pulire la stanza di tanto in tanto e, roteandola sopra la testa meglio di una majorette, andò verso i Pokémon urlando: «FUORI DALLA MIA CAMERA, BRUTTE BESTIE! CHE POI MAMMA SGRIDA ME SE PORTO ANIMALI IN CASA SENZA PERMESSO!»

A colpi di saggina Red spedì fuori il Dratini senza troppe difficoltà, ma rimaneva il problema più grosso, quel Magmar pericolosamente interessato al suo Super Nintendo.

«TU! VIA DALLA CONSOLE!»

Red a quel punto notò che i punti del pavimento dove il Pokémon sostava troppo a lungo diventavano pericolosamente neri.

«PIANTALA DI BRUCIARMI IL PAVIMENTO! POI MAMMA METTE IN PUNIZIONE ME, NON TE! E IO NON POSSO FARMI METTERE IN PUNIZIONE PROPRIO OGGI, CHIARO?»

Il Magmar lo guardò come se non avesse capito una parola di quello che aveva detto e Red, sempre più preoccupato per le sorti della sua camera e, soprattutto, per la reazione della mamma, decise di mettere a frutto le lezioni di baseball che aveva seguito giusto per battere Blue quando giocavano in cortile. Prese bene la mira, strinse con forza il bastone della scopa e colpì il Magmar alla schiena. Questo prese il volo dalla finestra, finendo chissà dove. Red esultò: «HOME RUN! Letteralmente!»

In quell’istante la scopa finì in cenere, nel vero senso della parola, lasciando per terra e nelle mani del ragazzo solo un mucchietto di polvere nera.

«Ok... poteva andare peggio...»

Se bene o male aveva affrontato i suoi primi Pokémon selvatici dignitosamente e senza riportare ferite, alla sua camera non era andata altrettanto bene. Red guardò con una smorfia le bruciature sul pavimento, immaginando la reazione della mamma. Sperando che la donna non salisse subito, il ragazzo spostò il televisore e i tappeti cercando di coprire alla bell’e meglio i danni più evidenti. Non poteva farsi mettere in punizione proprio quel giorno, si ripeté come un ossesso, e poi forse i danni non erano così gravi come sembravano. Più tardi avrebbe chiesto alla sorella di Blue, sempre molto gentile con lui, se conosceva un rimedio rapido contro le bruciature sul parquet. Andò verso la porta della camera per controllare se era riuscito a nascondere tutto, poi prese il suo zaino vuoto, si calcò ancora bene il cappello in testa e sospirò.

«Se questo è l’inizio della mia avventura...»

Scese lentamente le scale, pronto a salutare la mamma al piano di sotto, solo che, arrivato alla fine della scalinata, trovò la stanza completamente vuota.

 

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Red inarcò un sopracciglio. Strano, la mamma lo avvertiva sempre prima di uscire! In più, dovette ammettere, che partire per il suo viaggio senza nemmeno salutarla lo dispiaceva enormemente. Un po’ deluso si avvicinò alla porta, ma una voce familiare lo fermò.

«Red!»

Il ragazzo si voltò sorpreso: «Mamma? Mamma, dove sei?»

La donna continuò a parlare, come se non avesse sentito la domanda: «Ascolta! Prima o poi tutti i giovani vanno via di casa. Lo dice anche la TV!»

 

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Red, sempre più preoccupato, si avvicinò alla sedia dove era solita sedere sua madre e da dove proveniva la sua voce. Continuava a non vederla, ma i discorsi erano decisamente i suoi; quante volte le aveva detto di non prendere per oro colato tutte le cavolate dette dalla televisione...

«Mamma, sei sicura di stare bene?»

«Il nostro vicino, il PROF. OAK, ti sta TMZ4.»

 

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Red fissò il nulla perplesso: «Eh?»

«TMZ4.»

«Scusa, credo di non aver capito bene l’ultima parola...»

 

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«TMZ4 TMZ4 TMZ4, TMZ4 TMZ4. TMZ4?»

Red, ormai sconvolto dall’allucinante discussione che stava avendo con la madre invisibile, decise che era decisamente giunto il momento di cominciare il suo viaggio.

«Sì, ok, mamma. Ci vediamo, eh? Ciao!»

Ed uscì fuori da casa con un sospiro di sollievo.

«Ma che...?»

 

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Red si guardò intorno spaventato. Cos’era successo alle case? Improvvisamente sembravano pagode cinesi, mentre porte e finestre si erano moltiplicate.

Il ragazzo osservò tutto attorno spaesato. Cos’era successo a Biancavilla? Quella non era la città in cui era cresciuto! Fissò con un po’ di preoccupazione i tetti degli edifici, che avevano un’aria pericolante e fece qualche passo in là per sicurezza. Una parte di lui avrebbe voluto rientrare e parlarne con la mamma, ma poi si ricordò del discorso delirante che aveva appena affrontato e decise di lasciar perdere. Cosa poteva fare?

Un piano folle e azzardato fece capolino nella sua mente: e se avesse provato ad andare fino a Smeraldopoli per controllare la situazione? Sì, c’era qualche zona di erba alta che poteva anche essere un po’ pericolosa, ma in fondo aveva appena affrontato un Magmar e un Dratini con una scopa, che male avrebbero potuto fargli un paio di Pidgey e Rattata?

Così, un po’ titubante, il ragazzo mise un piede nell’erba alta, ma quasi subito venne fermato da una voce.

«Ehi! Aspetta! Non andare!»

Red, ancora di spalle, si lasciò sfuggire un minuscolo sospiro di sollievo. Una voce familiare in tutto quel caos! Si voltò, convinto di trovarsi davanti al Professore dei Pokémon, e invece...

 

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Red rimase immobile, sorpreso. Quello che gli stava venendo incontro era un’esatta copia di se stesso!

Confuso, rimase immobile nell’erba mentre il suo clone gli veniva incontro e iniziava a parlargli.

«È pericoloso! Nell’erba alta vivono POKÉMON selvatici! Hai bisogno di POKÉMON tuoi che ti proteggano! Fidati di me!»

Red rimase muto a fissarlo come se fosse un pazzo. Un clone di se stesso con la voce del Professor Oak gli stava chiedendo di fidarsi di lui?

«Seguimi!»

Il ragazzo si guardò bene dal seguire il suo doppio e cercò di continuare per la sua strada, ma il “Professore” lo afferrò per un braccio con una forza inaspettata e lo trascinò con lui fino al suo laboratorio. Red protestò vivacemente cercando di divincolarsi: «Chiunque tu sia, lasciami! Lasciami, ho detto! È sequestro di minore, lo sai? Ho solo dieci anni! AIUTO! AIUTO! QUALCUNO MI AIUTI!»

Ma nessuno in paese gli diede retta, come se non lo sentissero, e Red si ritrovò all’interno dell’edificio. In teoria conosceva bene tutti gli assistenti, ma ormai il ragazzino non sapeva più di chi fidarsi. Un solo volto familiare lo fece rilassare un momento e lo spinse ad andare nella sua direzione.

«Blue! Grazie al cielo...»

Blue però lo ignorò, come faceva spesso quando voleva infastidirlo, e si rivolse a quello che sembrava tornato effettivamente il Professor Oak: «Nonno! Non ne posso più di aspettare!»

Oak rispose: «Blue? Fammi pensare... ah! Ora ricordo! Ti ho chiamato io!»

Red si lasciò sfuggire una smorfia. Forse nel suo sogno inquietante non aveva tutti i torti, il Professore aveva davvero seri problemi di memoria. Un principio di Alzheimer di cui non si era accorto fino a quel momento?

«Un momento! Guarda Red! Ci sono tre POKÉMON qui! Haha!»

Lo guardò se possibile ancora più perplesso. Che ci trovava da ridere?

«Sono dentro le POKÉ BALL.»

Red rimase impassibile. Lo sapeva, non era ancora così ignorante da non sapere dove si costudivano i Pokémon!

«Da giovane ero un allenatore di POKÉMON davvero in gamba.»

Oh no. Tutto ma non i ricordi di gioventù di un vecchio, per pietà!

«Ora che sono vecchio me ne sono rimasti solo 3, ma puoi sceglierne uno!»

Red rimase sorpreso. Il Professor Oak gli stava offendo un Pokémon gratis? Fantastico! Poi rifletté sulle esatte parole del Professore... erano i Pokémon di quando era giovane? Trattenne un’espressione disperata. Stava per cominciare il suo viaggio con un Pokémon over 50 come minimo... Pokémon d’annata, magari con la barba bianca... gli altri allenatori lo avrebbero preso in giro per tutta la vita!

Blue intervenne con aria risentita: «Ehi! Nonno! E io?»

Oak gli rispose: «Un attimo di pazienza Blue! Ce n’è uno anche per te!»

Red, risollevatosi di morale perché il Professore aveva preferito lui al nipote, si voltò verso il tavolo, e solo allora si accorse di un problemino.

 

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Una piccola voragine avvolgeva il tavolo dove lo attendeva il suo primo Pokémon. Red, terrorizzato, guardò giù, vedendo solo un buco nero senza fondo. Deglutì, preda per qualche secondo di una piccola vertigine.

«P-Professore...»

Oak però continuava a sorridergli tranquillo e Blue a guardarlo con aria di sfida. Era una sorta di prova per dimostrarsi degno del Pokémon? Il ragazzo cominciò a fare il giro del tavolo, cercando un punto più sicuro per avvicinarsi, poi ebbe l’illuminazione. Forse era tutto uno scherzo, magari il pavimento c’era, ma era trasparente! Provò con cautela a mettere il piede sopra la zona nera, ma questo affondò e Red lo ritirò subito. No, nessuno scherzo, la voragine era vera, doveva ripensare a tutto il suo piano. Alla fine, tornando nell’esatta posizione di partenza e allungandosi al massimo, poteva arrivare a sfiorare la Poké Ball all’estrema sinistra. Facendo appello a tutto il suo coraggio, Red si sbilanciò in avanti quel tanto che bastava ad afferrare la sfera, la prese e con un deciso colpo di reni si riportò in equilibrio. Rimase fermo per qualche secondo, col fiatone. In qualche modo ce l’aveva fatta.

Oak gli sorrise: «Allora, vuoi CHARMANDER, il POKÉMON di fuoco?»

Red annuì, terrorizzato dall’idea di dover nuovamente affrontare il baratro per prenderne un altro.

«Questo POKÉMON ha veramente molta energia!»

A quel punto Blue fece il giro del tavolo per prendere un altro Pokémon. Red era davvero curioso di vedere come il rivale avrebbe affrontato l’ostacolo, ma questi si limitò a... passarci sopra come se niente fosse! Red sbarrò gli occhi. Com’era possibile? Ci aveva provato pure lui ed era affondato! Riprovò con la punta del piede nel punto più vicino della voragine, ma sempre con lo stesso risultato. Che ci fosse un punto preciso dove passare che lui non era stato in grado di individuare? Oppure che le scarpe di Blue fossero truccate? Si ripromise di fare un salto a casa sua, in fondo c’era sempre la questione parquet da sistemare...

«Io mi prendo questo!»

Red rimase lì, aspettandosi che il suo rivale di sempre gli proponesse una sfida. Invece Blue rimase con la Poké Ball in mano, a rimirarla come fosse il più prezioso dei tesori.

Red provò a dargli una gomitata per farlo reagire, ma Blue gli rispose in modo inaspettato.

 

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«Benvenuto al CENTRO POKÉMON!»

Red lo guardò preoccupato, anche perché il ragazzo stava parlando in falsetto: «Blue?»

«Rimettiamo in sesto i tuoi POKÉMON! Vuoi che guariamo anche i tuoi?»

Il ragazzo lo guardò malissimo. Che l’Alzheimer di Oak fosse contagioso?

«Benissimo. Allora dammeli!»

 

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Fu a quel punto che accadde qualcosa di quasi sovrannaturale. La Poké Ball di Red gli volò via dalle mani, galleggiò in aria e rimase affianco alla testa di Oak, dove ruotò su se stessa. Oak sembrò non farci caso, mentre Red quasi iniziò a tremare dalla paura. Che il fantasma di un’infermiera avesse posseduto il suo vicino di casa?

La voce di Blue lo fece voltare: «Grazie! I tuoi POKÉMON sono in perfetta forma!»

Il rivale a quel punto fece un piccolo inchino: «Arrivederci!»

Red provò ancora a rivolgergli la parola, ma Blue si limitò a guardarlo con un sorriso inquietante. Si voltò allora verso il Professore, ma quest’ultimo sembrava essersi dimenticato di loro e si era nuovamente immerso nelle sue ricerche. A quel punto il ragazzino, non avendo le conoscenze per tentare un esorcismo, si convinse che la cosa migliore da fare fosse abbandonare quel luogo posseduto ed uscì dal laboratorio senza aggiungere una parola. Nuovamente all’aria aperta, Red cercò di recuperare la calma. Adesso forse sarebbe potuto andare a Smeraldopoli, o in qualche altro posto, ovunque pur di allontanarsi da quel pazzo paese...

Si addentrò dunque nell’erba alta, ma dopo pochi passi accadde l’inimmaginabile.

«Ehi! Aspetta! Non andare!»

Red si paralizzò sul posto.

«No, di nuovo no...»

Il ragazzino si voltò disperato: «Professore, per favore, mi lasci andare! Per pietà!»

Oak continuò ad avanzare verso di lui e Red ebbe una spiacevole sensazione di deja vù.

«L’hai scampata bella! Nell’erba alta vivono i POKÉMON selvatici!»

Red esclamò esasperato: «LO SO! ME L’HA GIÀ DETTO!»

Per fortuna, o per sfortuna, un Pokémon saltò fuori dall’erba alta proprio in quel momento.

 

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Red lo fissò sorpreso. Un Pikachu dalle parti di Biancavilla? Non ne aveva mai sentito parlare! Ripensandoci, però, non aveva mai sentito neanche di Magmar o Dratini da quelle parti... alzò dunque le spalle e decise di non porsi problemi sulla distribuzione delle varie popolazioni Pokémon, che vivessero un po’ dove pareva loro.

Il Pikachu, invece di attaccare, però, tirò fuori a sua volta una Poké Ball e la lanciò verso i due esseri umani. Red sussultò. Pokémon allenatori??? E da quando???

 

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Dalla Poké Ball uscì fuori qualcosa di strano: era alto come una persona, ma era completamente annebbiata e indefinita.

Oak esclamò: «Ah! Ha mandato in un campo un ALLENATORE DI POKÉMON 3!»

Red era più che allibito: «STA SCHERZANDO, VERO?»

Il ragazzino aveva mille domande: come poteva il Professore identificare quella cosa senza forma? Come poteva un Pokémon catturare e mandare in campo un allenatore? Ma soprattutto... perché era ancora lì in quella gabbia di matti???

Red cercò di aggirare la lotta e procedere col suo viaggio, ma Oak, di nuovo, lo afferrò per un braccio e lo tenne strettissimo, mentre con la mano libera prendeva una Poké Ball.

 

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«PROF. OAK! Non è il momento di usare quello!»

Red lo guardò preoccupato: «Professore?»

Oak ripeté di nuovo: «PROF. OAK! Non è il momento di usare quello!»

«Ehm... d’accordo, usi qualcos’altro, allora, basta che la finiamo.»

«PROF. OAK! Non è il momento di usare quello!»

«Ok... per quanto tempo ha intenzione di sgridarsi da solo?»

«PROF. OAK! Non è il momento di usare quello!»

«Va bene, continui pure, ma almeno mi lasci andare!»

«PROF. OAK! Non è il momento di usare quello!»

«Sigh...»

Finalmente il Professore si decise a lanciare la sua Poké Ball, ma non verso “l’allenatore”, ma verso il Pikachu che lo aveva mandato in campo e catturandolo al primo colpo.

«Che fortuna!»

Mentre “l’allenatore” se la dava a gambe, Oak sbuffò.

 

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«Ho finito le SAFARI BALL!»

Red lo guardò scandalizzato: «Professore! Intende quelle del Safari di Fucsiapoli? Ma quelle non si possono portare fuori dal parco! Le ha rubate???»

Oak non gli rispose, gli sorrise e continuò a parlare come se niente fosse: «Puf! I POKÉMON selvatici appaiono all’improvviso! Hai bisogno di POKÉMON tuoi che ti proteggano! Fidati di me!»

Red sorrise, quasi intenerito dall’ennesima perdita di memoria del Professore: «Professore, abbiamo già avuto questa discussione, ricorda? Sono venuto da lei e mi ha dato questo...»

Red iniziò a frugare freneticamente le tasche, trovandole vuote. Terrorizzato, iniziò a cercare anche nello zaino, vuoto anch’esso. Dov’era finito il suo Charmander?

Poi capì. Blue, dopo i suoi giochi di prestigio posseduti, non gli aveva restituito il suo Pokémon e lui era stato così terrorizzato da non chiederlo indietro.

«Blue, maledetto!!! In tutti i sensi!!!»

Non aveva modo di dimostrare che quella scena era già avvenuta, e soprattutto aveva perso il suo Charmander senza nemmeno averlo potuto usare una volta. Ormai sull’orlo della disperazione, non si ribellò nemmeno al Professore che lo afferrava di nuovo e lo costringeva a seguirlo nel laboratorio, dove, di nuovo, Blue li stava aspettando.

«Blue, per favore, digli che...»

«Nonno! Non ne posso più di aspettare!»

Red si sbatté una mano sulla fronte. Pure lui non ricordava più niente, non c’era speranza di riavere indietro il suo Charmander!

Oak guardò il nipote sorpreso: «Eh? Blue? Come mai sei già qui? Ti avevo detto di venire più tardi!»

Red alzò gli occhi al cielo. Probabilmente Blue se lo era dimenticato, che sorpresa...

«Ah, fa lo stesso! Aspetta qui! Ascolta, Red! Vedi quella palla lì sul tavolo?»

Il ragazzo si voltò. Non l’aveva notato, ma a differenza della prima volta sul tavolo c’era una sola Poké Ball e, cosa più importante, non era circondato da nessuna voragine.

«È una POKÈ BALL! Lì dentro c’è un POKÉMON! Puoi prenderlo, avanti, è per te!»

Red guardò il tavolo un po’ titubante. Un solo Pokémon e niente trappole? Dov’era la fregatura questa volta?

Blue intervenne con aria risentita: «Ehi! Nonno! E io?»

Oak gli rispose: «Abbi un po’ di pazienza Blue! Ce n’è uno anche per te!»

Red si avvicinò al tavolo titubante. Niente trappole? Poteva davvero filare tutto liscio? Allungò la mano e... Blue all’improvviso lo spinse via.

«Non esiste, Red! Questo POKÉMON lo voglio io!»

Red iniziò a fumare di rabbia. E ti pareva, se non c’erano trappole ci si metteva quel bulletto di Blue a rovinare tutto! Poi lo osservò meglio e rabbrividì.

 

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L’aspetto di Blue cambiava ad ogni passo, sembrando invecchiare sempre di più per poi ringiovanire di colpo. Red si strofinò gli occhi. Avrebbe giurato che per qualche passo il suo rivale avesse assunto l’aspetto di suo nonno. Forse però era solo l’effetto dello stress della giornata.

La voce di Oak lo riportò alla realtà: «BLUE! Ti pare il modo di comportarti?!»

«Nonno, lo voglio io questo!»

Se da una parte Red era rassicurato perché l’amico era tornato ad avere il suo solito aspetto, dall’altra questo non cancellava il senso di ingiustizia che provava nei confronti del rivale. Strinse un pugno, pregando che il Professore desse a suo nipote quattro ceffoni per la sua insolenza.

«Ma io... mhm e va bene, tieniti pure il POKÉMON. Te ne avrei dato uno comunque...»

Red scosse la testa rassegnato. Il Professore non poteva proprio farne una giusta, eh?

«Red, vieni qui da me.»

«Ho altra scelta?»

Il silenzio del Professore gli diede la sua risposta e, rassegnato, tornò da Oak.

«Questo è il POKÉMON che ho appena catturato! Puoi prenderlo...»

Red scosse la testa: «Il Pokémon psicopatico che si crede un allenatore? No, grazie, e se poi mi cattura?»

«... ma attento è ancora selvatico e ribelle!»

«Appunto! Non lo voglio! Mi ridia il Charmander d’annata, per favore!»

Ma Oak gli mise fra le mani la Poké Ball del Pikachu, chiudendo la questione. Red era sull’orlo di una crisi di nervi, forse era meglio approfittare del momento favorevole e darsela a gambe. Non appena però fece per dirigersi verso la porta, Blue lo bloccò.

«Aspetta, Red! Proviamo i nostri POKÉMON! Coraggio! Ti sfido!»

Il ragazzo sospirò, leggermente sollevato. Questo era il Blue che conosceva!

Blue lanciò la sua Poké Ball, dalla quale uscì il famoso Pokémon che Oak avrebbe voluto affidare a lui, un Eevee. Red si ritrovò obbligato a schierare il suo Pikachu psicopatico, incrociando le dita che non tentasse subito di rivoltarglisi contro. Con la coda dell’occhio si guardò intorno alla ricerca di eventuali armi da poter usare; non aveva più la sua scopa di saggina, ma affianco al tavolo c’era un cestino di plastica per i rifiuti. Sospirò: meglio di niente, almeno era isolante.

Il suo nuovo Pikachu conosceva solo due mosse: Tuonoshock e Ruggito. Non esaltante, ma il suo avversario non era messo meglio, con solo Azione e Colpo-Coda. Se il Pikachu non gli si rivoltava contro subito, poteva farcela. Dopo un paio di Tuonoshock, infatti, Blue era già in difficoltà, ma improvvisamente...

 

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Red s’infuriò: «Ehi, chi ha spento le luci?»

Il laboratorio rimase al buio per qualche secondo. Per un momento il ragazzo pensò di aver esagerato con gli attacchi elettrici, ma quasi subito tornò la luce. Apparentemente sembrava essere tutto a posto, ma l’Eevee di Blue era stranamente in forma.

«Aspetta, Red! Proviamo i nostri POKÉMON! Coraggio! Ti sfido!»

Red guardò il suo avversario malissimo: «Blue, brutto figlio di un Grimer, non imbrogliare!»

Oak protestò: «Red! Non insultare i miei figli!»

Il ragazzo rifletté: giusto, uno dei genitori di Blue era figlio di Oak.

«Scusi, Professore, non era mia intenzione offenderla, ma questo non cambia le cose! Ci stavamo già sfidando! Ha approfittato del buio per ricaricare il suo Pokémon!»

 

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Di nuovo le luci sparirono e di nuovo, quando tornarono, l’Eevee di Blue sembrava appena uscito dalla Poké Ball.

«Aspetta, Red! Proviamo i nostri POKÉMON! Coraggio! Ti sfido!»

Il volto di Red, ormai, era livido di rabbia ed estenuazione. Passi tutto, ma gli imbrogli di Blue proprio no! Già gli aveva fregato il Pokémon, ora aveva intenzione di ricominciare da capo la loro sfida fino a che non avesse vinto lui? Non stava né in cielo né in terra! Non gli interessava quante volte avrebbe dovuto ricominciare il duello, questa volta non avrebbe ceduto.

«Usa Tuonoshock.»

Come se il Pikachu avesse colto la sua rabbia repressa e l’avesse usata per caricarsi le sue batterie da Pokémon elettrico, la scarica che investì l’Eevee avversario fu a dir poco devastante, ben oltre il brutto colpo, tanto da mandarlo K.O. in un turno. Red guardò il suo Pokémon sorpreso, prima di ritirarlo nella sua Poké Ball: non avrebbe mai creduto che potesse essere così potente! Se da una parte, in previsione del suo viaggio, era un’ottima notizia, dall’altra, visto il viziaccio del suo Pikachu di catturare allenatori...

Blue protestò: «COSA? Non può essere! Era il POKÉMON sbagliato!»

Red lo guardò con aria di sfida: «Tu lo hai voluto, tu te lo tieni! Non faccio scambi, soprattutto con te!»

Blue ritirò il suo Pokémon: «OK! Allenerò il mio POKÉMON per rinforzarlo! Red! Nonno! Ci vediamo dopo!»

 

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E invece che aggirarlo, Blue lo attraversò, come fosse un fantasma. Red rimase senza fiato. Per un momento, un piccolo istante, aveva pensato che fosse tornato tutto alla normalità, e invece Blue era ancora posseduto!

Si voltò per fermarlo, ma il Pikachu uscì fuori da solo dalla Poké Ball e gli bloccò la strada.

«Pika!!!»

Red rimase sorpreso dall’espressione del suo Pokémon: aveva un’aria spaventata, come se gli stesse dicendo di non farlo, di non seguire Blue.

Alle sue spalle Oak, di cui Red si stava quasi scordando, ridacchiò.

«Ma guarda questo! È strano, ma pare che PIKACHU non ne voglia sapere delle POKÉ BALL. Dovrai portatelo appresso così. Questo dovrebbe farlo felice! Così gli puoi parlare e vedere se gli piaci.»

Red si voltò nuovamente verso il Professore, ma prima di potergli dire niente Oak iniziò a comportarsi in modo strano.

 

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Red sussultò di sorpresa trovandolo in piedi sopra il tavolo, da cui saltò giù con un balzo notevole per un uomo della sua età; dopodiché, come se fosse la cosa più normale del mondo, iniziò ad arrampicarsi su un mobile.

«Ehm... Professore? È felice per la mia vittoria o ha solo bevuto troppo caffè?»

L’uomo non rispose, preferì invece buttarsi giù dal mobile urlando come Tarzan. D’istinto Red corse per cercare di prenderlo al volo, sicuro ormai che l’anziano fosse andato completamente fuori di melone, prontamente seguito da Pikachu che sembrava altrettanto in ansia a giudicare dal “PIKA!!!” drammatico che gridò, ma non ebbe il tempo di fare due passi che Oak, semplicemente... scomparve!

 

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Red e il suo Pikachu si aggirarono a lungo nella stanza, chiamando a gran voce il Professore, setacciando ogni angolo, ma non lo trovarono.

«Che dici, Pikachu, secondo te ci può essere un passaggio segreto nascosto da qualche parte?»

Il Pokémon, dubbioso, allargò le braccia in segno di resa: «Pika?»

Sconsolato, il ragazzo scosse la testa e si avviò verso l’uscita: «Vabbé, lasciamo stare. A quanto pare ora siamo io e te, Pikachu.»

Il Pokémon non sembrava troppo entusiasta: «Pika.»

«Ma prima di andare... fidarsi è bene...»

Red si avvicinò di soppiatto a uno degli assistenti di Oak, che ovviamente continuava il suo lavoro come se fosse perfettamente normale che il suo capo improvvisasse imitazioni di Tarzan per poi sparire come un prestigiatore, e gli prese un paio di guanti di gomma rosa. Storse un po’ il naso per il colore, poi disse: «Glieli restituisco subito!»

Li indossò e iniziò a perquisire da testa a zampe Pikachu, per assicurarsi non avesse Poké Ball nascoste.

«Bene, sei pulito. Se dobbiamo viaggiare insieme voglio da te una promessa solenne che non cercherai di catturarmi durante il viaggio.»

Il Pikachu mise una zampina sul petto: «Pikachu!»

Red sospirò: «Bene, voglio fidarmi, mi sembri la creatura più ragionevole che abbia incontrato oggi! Allora, andiamo?»

Il Pikachu alzò le spalle: «Pika.»

«Viva l’entusiasmo, eh? Ok... grazie per i guanti, signore!»

L’assistente continuò a ignorarlo, così Red e Pikachu uscirono dal laboratorio, attraversarono la Biancavilla pseudo cinese tarocca popolata di pagode e, dopo un momento di comprensibile esitazione, dove Red si guardò intorno numerose volte alla ricerca di Oak appostato in qualche angolo, si arrischiò a superare la prima zolla di erba alta, per poi tirare un sospiro di sollievo. Ci era riuscito, era uscito da Biancavilla!

Red esultò: era libero, libero da quella banda di matti e di gente strana...

 

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... o forse no.

Fissare la gente era segno di grande maleducazione, ne era consapevole, ma proprio non riusciva a distogliere lo sguardo da quel tizio inquietante, dall’aspetto ibrido di umano e Pokémon. Che cosa gli era mai potuto succedere per ridurlo in quello stato?

Probabilmente sentendosi osservato, l’essere gli rivolse la parola: «Ciao! Lavoro in un POKÉMON–MARKET.»

Red lo guardò perplesso. Lavorava in un Pokémon-Market? Sperò non al bancone, o probabilmente avrebbe fatto scappare tutti i clienti per la paura!

«Abbiamo prezzi buoni, vieni a trovarci a SMERALDOPOLI! Tieni, ti do un campioncino! Ecco qua!»

Red ringraziò educatamente e si allontanò di qualche passo. Sospirò, un po’ preoccupato, poi si rivolse a Pikachu: «La situazione è più grave del previsto... secondo te fuori di Biancavilla può esserci stata un’esplosione nucleare? Altrimenti non mi so spiegare il... coso di prima...»

Pikachu alzò le spalle: «Pika.»

Red ridacchiò: «Non che a te importi, eh? Pazienza, mettiamo via questa pozione prima di perderla...»

Il ragazzo appoggiò lo zaino a terra e lo aprì.

 

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Pikachu si affacciò al bordo dello zaino curioso: «Pika...»

«Mi dispiace, ma non c’è nulla. Fino ad ora...»

Red mise la sua pozione all’interno e chiuse lo zaino. Quando però fece per rimetterselo in spalla lo sentì incredibilmente pesante, tanto da non riuscire quasi ad alzarlo da terra.

«Ma che...»

Preoccupato riaprì lo zaino, trovandoci una sorpresa.

 

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Con sua enorme sorpresa Red scoprì che il suo zaino straripava di oggetti che poco prima non c’erano. Anche Pikachu sbarrò gli occhi sconvolto.

«E tutta questa roba da dove salta fuori? Guarda... pozioni, MT, ... addirittura Master Ball! Com’è possibile?»

Pikachu scosse la testa confuso: «Pika...»

«C’è così tanta roba da non dover mai andare al Pokémon-Market! Ma da dove è uscita?»

«Pika...»

Red sospirò, un po’ rassegnato alle follie che lo circondavano, e chiuse lo zaino. Solo a quel punto si rese conto del vero problema di quella situazione.

«E questo zaino di 80 chili come lo trasporto?»

«Pika?»

L’ingresso di Red a Smeraldopoli non fu esattamente epico: il ragazzino tirava disperatamente le bretelle dello zaino, trascinandolo a terra, nella polvere, mentre dietro un affaticato Pikachu lo spingeva. Entrambi arrivarono al Centro Pokémon a dir poco esausti.

«Beato te, Pikachu, che in pochi secondi sei di nuovo in forma...»

Il Pikachu gli rispose con un sorriso, che nemmeno a Red fu chiaro se fosse di soddisfazione o di scherno, ma a parte le prese in giro del suo Pokémon, c’era un problema decisamente più urgente da risolvere.

«Non posso andare avanti con questo zaino! Penso che andrò in un Pokémon-Market e venderò un bel po’ di roba... almeno ci faccio due soldi.»

Così, sempre faticando in due, la coppia entrò nel negozio trascinando lo zaino.

Il commerciante subito lo apostrofò: «Ehi! Arrivi da BIANCAVILLA, vero?»

Red sospirò, stufo ed esausto: «Per mia sfortuna, sì.»

«E conosci il PROF. OAK, vero?»

«Per mia disgrazia, sì.»

«È arrivato quello che aspettava!»

«Buon per lui, io che c’entro?»

«Glielo puoi portare tu?»

«Manco morto!»

Ma ignorando totalmente la risposta scortese di Red, il commerciante gli rifilò un pacco.

«Ok! Saluta il PROF. OAK da parte mia!»

Detto questo, il commerciante infilò un cappello da esploratore in testa e se andò nel retro bottega.

 

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«Scusi, ma io veramente volevo venderle qualcosa...»

Di tutta risposta il venditore spuntò fuori alle spalle di Red, lo spinse da parte, saltò il bancone con un’insospettabile agilità, degna delle migliori pubblicità dell’olio, e ricominciò il giro ridendo sguaiatamente.

 

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«Ok, ho capito, compagno di manicomio del Professore, perfetto...»

Il commerciante non gli diede assolutamente retta, continuando il suo giro, quindi Red salutò rassegnato e ritornò fuori, demoralizzato. Non solo non aveva risolto il suo problema con lo zaino, ma si era pure ritrovato un pezzo in più.

«Pikachu, aspettami qui, sorveglia lo zaino, torno subito.»

Pikachu annuì: «Pika!»

Andando a parlare con qualche signore nei dintorni, Red riuscì a procurarsi un carretto.

«Pikachu, guarda, ho trovato una soluzione per lo... zaino...»

A terra, davanti al Pokémon e al famoso zaino, c’era un uomo carbonizzato, dall’aspetto solo vagamente umano, assistito da una donna.

 

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Pikachu guardò il suo allenatore orgoglioso e Red si limitò a sospirare.

«Nulla da dire, sei un ottimo Pikachu da guardia. Andiamo!»

E caricando a fatica lo zaino sul carretto, tornò sui suoi passi, lasciando lì il povero ladro. Pikachu lo seguì, ma con aria preoccupata.

«Sì, sto davvero tornando a Biancavilla.»

«Pika?»

«No, non sono impazzito. Semplicemente il signore che mi ha prestato il carretto mi ha detto che il negoziante non solo non mi venderà le Pokéball se non lo faccio, ma dirà a un signore di bloccarmi il passaggio alla prossima città, e questo potrebbe essere un problema.»

In poco tempo Red si ritrovò davanti al famigerato spiazzo d’erba, quello dove Oak lo aveva placcato più volte. Respirò profondamente, deglutì, cercando il coraggio di rientrare, ma non lo trovò.

«D’accordo. Pikachu?»

«Pika?»

«Mi fido di te. Questo è il pacco, vai da Oak e portaglielo. Io ti aspetto qui, non ho il coraggio di vedere cosa è successo alla città.»

Pikachu annuì, prese il pacco e corse verso Biancavilla. Red lo attese pazientemente, preoccupandosi sempre di più nell’attesa e cercando di non pensare a cosa il Pokémon avrebbe potuto trovare, fino a che non vide, letteralmente, un fulmine giallo correre verso di lui. Pikachu era tornato, ma sembrava a dir poco isterico.

 

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«PIKA! PIKACHU! PIKACHU!!!»

Red si spaventò parecchio. Pikachu correva avanti e indietro urlando come un ossesso, in preda a una vera e propria crisi isterica. Alla fine lo placcò.

 

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«Calmati, ti prego! È finita! È finita!»

Pikachu lo guardò per un pochino, triste.

 

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Poi scoppiò a piangere, un pianto di sfogo. Red lo abbracciò fino a calmarlo.

«Scusami, scusami... non pensavo che la situazione fosse così grave! Non ti manderò più, va bene?»

Pikachu annuì, e gli consegnò il Pokédex.

«Per me? Grazie!»

Red ritirò il nuovo strumento, poi cercò di sorridere al suo compagno, mentre prendeva nuovamente il carretto.

«Andiamo?»

Pikachu annuì e con un piccolo sorriso continuò a trotterellare dietro al carretto.

Piano piano raggiunsero nuovamente Smeraldopoli e, con un sospiro, Red si avviò verso l’uomo che, come gli avevano detto, poteva bloccare la sua strada.

... uomo?

«Pikachu, tu che sei l’esperto... ma quello non è un Clefary?»

Pikachu annuì: «Pika.»

«A me avevano parlato di un vecchio... al massimo se ci intralcia sei pronto a combattere?»

«Pika!»

Red passò davanti all’essere e prontamente venne fermato.

«Oh! Dopo il caffè mi sento meglio!»

Il ragazzo e il suo Pokémon sobbalzarono dalla sorpresa. Un Clefary che parlava? E beveva caffè?

 

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«Certo che puoi passare! Scusa se sono stato un po’ sgarbato prima!»

Red e Pikachu si scambiarono uno sguardo perplesso, che poi si trasformò rapidamente in uno d’intesa. Come con Oak, come con il commerciante, tutti compagni di manicomio. Meglio sorridere e dargli ragione.

«Vedo che usi un POKÉDEX! Per scusarmi ti insegnerò come catturare i POKÉMON!»

«Guardi, ringrazio ma declino l’offerta, ho un Pikachu che è un esperto in materia.»

«Meglio, ho anche finito le Pokéball! Devo andare al POKÉMON-MARKET a comprarne altre.»

E il Clefary si allontanò zampettando. Per un secondo Red si chiese se fosse legale vendere Pokéball a un Pokémon, poi si ricordò chi fosse il venditore e fece per avanzare, ma solo allora notò una ragazza che lo fissava.

«Ciao...»

 

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«Benvenuto al CENTRO POKÉMON!»

Red sbiancò. Un brutto ricordo gli tornò alla mente.

«No...non può essere...»

«Rimettiamo in sesto i tuoi POKÉMON! Vuoi che guariamo anche i tuoi?»

«TU!!! MI STAI SEGUENDO??? UN CORNO CHE AVRAI PIKACHU, MI DEVI ANCORA UN CHARMANDER!!!»

 

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«Benissimo. Allora dammeli!»

«MAI!!! »

Red afferrò Pikachu, se lo mise sottobraccio e se la diede a gambe a tutta velocità.

«Pikachu!»

«Tranquillo, quella non avrà anche te!»

«Pika! Pika!»

«Uh? Dici che siamo abbastanza lontani?»

Il Pokémon scosse la testa: «Pika...»

E con le sue braccine paffute iniziò a imitare di indossare uno zaino.

«Lo zaino? È qui, ovviamen...»

Pikachu lo guardò malissimo e Red ebbe l’illuminazione: «Il carretto!»

Nella fretta di scappare, il ragazzo aveva lasciato il famoso carretto degli strumenti indietro. Facendo appello a tutto il suo coraggio tornò indietro. La ragazza non c’era più e il carretto era ancora lì.

«Sì! Pikachu, è ancora...»

La brutta sorpresa la ebbe una volta preso il carretto e notandolo fin troppo leggero. Aprì lo zaino appoggiato sopra, trovandolo desolatamente vuoto.

«Maledetti... ladri maledetti...»

Sospirando desolatamente, Red riprese lo zaino sulle spalle: «Diciamo che un problema è risolto. Andiamo?»

Pikachu sospirò a sua volta, probabilmente pensando a quanto fosse scemo il suo allenatore, e lo seguì.

«Andiamo... dove?»

Red si ritrovò profondamente in crisi. All’uscita di Smeraldopoli, infatti, non c’era un normale percorso, ma un insieme di rocce e alberi chiuse da uno specchio d’acqua.

«Pikachu, ho sbagliato strada?»

Il Pokémon era sconvolto quanto lui. Come potevano andare avanti?

Il ragazzo continuò a riflettere insieme al suo Pokémon: «Uhm... se l’acqua non è troppo profonda e tu accettassi per un attimo di entrare nella Poké Ball potrei tentare il guado...»

Pikachu manifestò il suo dissenso con un paio di scintille sulle guance e Red ridacchiò imbarazzato: «Mica ti tengo rinchiuso per tutto il viaggio, solo il tempo di attraversare questo laghetto... dai, cominciamo a vedere quanto è profondo.»

Il ragazzo prese un sasso e lo lanciò sulla superficie del lago, ma questo, con enorme sorpresa di entrambi... rimbalzò.

«Eh?»

«Pika?»

Red si avvicinò al lago e provò a immergerci un piede, con la stessa accortezza con cui aveva saggiato la voragine nel laboratorio del professor Oak. Incredibilmente l’acqua sembrava reggere il suo peso tranquillamente, come se stesse camminando sul terreno.

 

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Il ragazzo camminò avanti e indietro un paio di volte, poi, sicuro che reggesse, invitò Pikachu a seguirlo. Il Pokémon era più in ansia di lui, tanto che dovette insistere parecchio per farsi seguire.

«Dai, sarà come fare Surf per una volta! Un Pikachu che fa Surf!»

Il Pokémon gli rifilò un’occhiata di ghiaccio degna di un Articuno, ma alla fine lo seguì.

«Secondo te il lago è ghiacciato?»

Pikachu fece una smorfia poco convinta: «Pika...»

«Già, non sembra neanche a me. Non importa, andiamo.»

Dopo aver attraversato il Bosco Smeraldo a suon di fulmini di Pikachu per spianarsi la strada, finalmente il duo giunse a Plumbeopoli. Per pura scaramanzia Red non osò neppure dirlo ad alta voce, ma sperò che almeno in questa città fosse tutto a posto.

Si avvicinò a un signore: «Mi scusi, saprebbe indicarmi il Centro Pokémon?»

Il signore esclamò: «Una macchinetta! Ecco i prodotti!»

 

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«Eh?»

E il signore aprì di scatto la giacca, mostrando un ampio assortimento di lattine cucito all’interno della fodera.

«Avanti, la vuoi comprare una lattina?»

«Ehm... guardi, no, grazie, non ho sete.»

A quelle parole l’uomo richiuse la giacca offeso e si allontanò.

«Cominciamo bene... vediamo se troviamo questo Centro Pokémon.»

Red girò per la città più volte, ma non riuscì a trovare l’edificio che stava cercando; trovò il Pokémon Market, seppure con un cartello che ne dichiarava la chiusura, ma del Centro nessuna traccia. Seppure titubante, Red si trovò costretto a dover chiedere a un vecchietto ulteriori indicazioni.

«Come dov’è il centro Pokémon? Ci sei dentro, ragazzo!»

«Eh? Come?»

«Non vedi là l’infermiera Joy dietro al bancone?»

Red si guardò intorno: «Quale bancone?»

 

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Guardandosi intorno dopo quell’informazione, Red poté riconoscere la disposizione delle persone tipica di un Centro Pokémon, seppure non si fosse neppure accorto di aver attraversato una porta. Strinse per un momento con forza i pugni, poi respirò profondamente.

«Facciamo quello che dobbiamo fare e andiamocene, per favore.»

Pikachu annuì e lo seguì, dopodiché i due “uscirono” e cercarono di esplorare la città.

«È un peccato che il Pokémon Market sia chiuso, qualche strumento poteva esserci utile...»

Pikachu ridacchiò, ma Red lo guardò di storto: «Non raccolgo la tua provocazione. Piuttosto, vediamo se troviamo qualche indicazione utile...»

Si avvicinò a un cartello e si chinò per leggere.

«Dunque, c’è scritto... “Benvenuto al Pokémon Market”

Red si guardò intorno. Quale Pokémon Market?

Pikachu gli indicò il cartello. Con sua grande sorpresa la scritta era cambiata.

«”Compra, vendi, esci”... ma sono seri? E se io volessi comprare... non so... una pozione?»

Dal palo a cui era appeso il cartello si aprì uno sportellino e l’ordinazione uscì da lì.

«”Ecco a te”...»

 

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Red e Pikachu si scambiarono un’occhiata perplessa. Erano di fronte all’ennesima bizzarria o all’invenzione del secolo?

«Eh, da me no ma dal cartello sì! Cos’è questa storia?»

Red si girò di scatto. Dietro di lui c’era il tizio che aveva cercato di vendergli le bibite.

«Massì, togliamo lavoro agli onesti cittadini, facciamo fare tutto alle macchine! Poi vedi, vedi? Il Pokémon Market ha chiuso! Tutti noi ci ritroveremo senza lavoro! E allora che faremo? CHE FAREMO???»

Nella foga della sua filippica l’uomo aveva afferrato Red per le spalle, stringendo piuttosto forte. Il bambino si lasciò sfuggire una smorfia di dolore e Pikachu decise di intervenire in difesa di quel pappamolle del suo Allenatore: con un Attacco Rapido allontanò l’uomo da Red, con una Tuononda lo paralizzò sul posto e con un Tuonoshock mise fine alla discussione.

Il bambino si passò una mano sugli occhi, come a voler dimenticare la scena: «Io davvero non so se tu sia un perfetto criminale da strada o una fantastica guardia del corpo... allontaniamoci prima che ci arrestino!»

Fuggendo verso nord, Red andò quasi a sbattere contro un edificio.

«”Museo della scienza”... che ne dici, Pikachu, ci prendiamo una pausa?»

Pikachu alzò le spalle.

«Lo so che tu preferisci le scazzottate,  ma ogni tanto un po’ di cultura fa bene.»

Il Pokémon lo guardò come a dirgli che preferiva il culturismo alla cultura, ma alla fine lo seguì. Un uomo all’ingresso li fermò quasi immediatamente: «I bambini pagano P 50! Vuoi entrare?»

Red fu rassicurato dalla professionalità e dalla pacatezza dell’inserviente: «Sì.»

«Bene, sono P 50! Grazie!»

Il bambino consegnò i soldi all’addetto, che con un sorriso li prese, ma invece che fargli il biglietto, come si sarebbe aspettato, lo afferrò di forza per un braccio e con una forza sovrumana lo sollevò di peso e lo trascinò dietro al bancone.

«EHI!!!»

Pikachu balzò subito anche lui, pronto a fulminare tutto e tutti, ma quando arrivò dall’altra parte non c’era più nessuno, a parte uno spaventatissimo Red. Il Pokémon si parò davanti, pronto a difenderlo da qualunque minaccia, ma nemmeno lui era veramente pronto a quanto vide.

 

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Mobili e teche distrutte, a pezzi, rimontati in modo assurdo, erano disposte sul pavimento in modo che definire disordinato era un eufemismo, in un’atmosfera a metà fra un museo di arte moderna e un film horror. Come se non bastasse, calcinacci e massi cadevano dal soffitto in continuazione, rischiando seriamente di schiacciarli.

«PIKA!»

Il Pokémon prese il controllo della situazione: morse la maglietta di Red, costringendolo a seguirlo, scavalcò nuovamente il bancone e lo spinse fuori dall’edificio.

«Che... diavolo... era... quello?»

Pikachu non sapeva più cosa rispondergli, quindi Red prese la sua decisione: «Andiamocene. Questa città sembra essere ancora più folle delle precedenti.»

I due si avviarono verso est, fino a che un ragazzo non cercò di bloccarli: «Sei un allenatore, vero? BROCK sta cercando nuovi sfidanti. Vieni!»

E cercò di afferrare Red per un braccio. Il bambino, stufo di essere trattato come una Pokébambola, con un cinismo che all’inizio dell’avventura non avrebbe mai pensato di poter sviluppare, spinse via il ragazzino con tutte le sue forze e si limitò a indicarlo con un cenno della testa: «Pikachu, sai cosa fare.»

Con una gioia e un sadismo che avrebbero spaventato il suo Allenatore fino a poco prima, ma che ora lo lasciava del tutto indifferente, Pikachu incenerì chi si frapponeva fra loro e il prossimo percorso. Red si limitò a dargli una carezza: «Bravo. Andiamo.»

Pikachu gli restituì uno sguardo orgoglioso, come se fosse fiero che finalmente avesse capito come girava il mondo, e il bambino sorrise amaramente. Ormai non gli importava più di passare per criminale o assassino, erano solo loro due contro un mondo pazzoide, e in qualche modo dovevano sopravvivere.

Raggiunsero il Monte Luna abbastanza in fretta, lasciando dietro di loro una serie di allenatori e di Pokémon bruciacchiati e abbrustoliti. Red sospirò.

«Sei pronto?»

Per tutta risposta Pikachu si scrocchiò le zampe.

«Ma che te lo chiedo a fare? Andiamo!»

I primi passi all’interno della grotta furono rallentati dalla nuvola di Zubat che li aggredì quasi subito. Red li allontanò a colpi di zainetto fino a farsi largo e a raggiungere il primo cartello, al fianco del quale un’allenatrice li attendeva.

 

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Non appena li vide, infatti, disse: «Che? Aspetto che arrivino i miei amici.»

Red la guardò come a dirle “e a me che importa?”, ma gli sguardi erano stati incrociati e la sfida era inevitabile. Lo stormo di Zubat si frappose fra loro, nascondendogli per un momento l’allenatrice, ma quando questo passò...

 

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Red si strofinò gli occhi, convinto di avere le allucinazioni a causa dei continui Supersuoni degli Zubat. La ragazza era diventata di colpo un Wigglytuff e intendeva combattere come un allenatore!

Il bambino era sconvolto: «Pikachu, vai avanti tu, questo è pane per te...»

Il Pokémon non se lo fece ripetere due volte. Wigglytuff fece il gesto di lanciare una Pokéball, mentre Pikachu, prendendo in contropiede il suo Allenatore, lo spinse avanti.

«Pikachu, cosa fai?»

Fu allora che capì. Pikachu non aveva perso il vizio di credersi un allenatore: semplicemente fino a quel momento lo aveva protetto come se fosse lui il suo Pokémon, il suo Pokémon piccolo e ribelle che non voleva entrare nella Pokéball e che andava protetto affinché potesse crescere! Era sconvolgente, ma in un mondo completamente impazzito forse era il problema meno grave: dopotutto, anche se a modo suo, Pikachu gli voleva bene, lo aiutava e proteggeva, ed era la creatura più sana di mente che avesse incontrato dall’inizio della sua avventura.

«Ehm... Pikachu, cosa dovrei fare secondo te?»

Il Pokémon alzò gli occhi al cielo estenuato, iniziando a tirare pugnetti davanti a sé.

Red era sconvolto: «Dovrei picchiarlo

Il Pokémon incrociò le braccia e lo guardò come a dirgli “conosci mosse di cui io non sono a conoscenza o hai idee migliori?”, ma ci fu un colpo di scena: il Wigglytuff in realtà non aveva alcuna Pokéball con sé e sembrava confuso. Pikachu cominciò a incitare Red, come a dirgli che era quello il momento giusto per colpire, ma il bambino si rifiutò: «Non colpirò un Pokémon indifeso!»

Un altro stormo di Zubat coprì nuovamente la vista dell’avversario e nel tempo in cui Red abbassò il braccio con cui si era protetto il volto ebbe una nuova spiacevole sorpresa.

 

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«CHE COSA???»

Pikachu era sconvolto quando il suo Allenatore.

«Mi rifiuto di combattere con un Ditto versione Allenatore! Questo mi fa a polpette, gambe!!!»

Nonostante le proteste del Pokémon, Red afferrò Pikachu, se lo mise sotto braccio e uscì di corsa dal Monte Luna, rallentando solo vicino a Plumbeopoli.

«Basta… basta…»

«Pika?»

Red sospirò: «Io mi rifiuto di andare avanti in queste condizioni. Basta. Scusami, Pikachu, mi arrendo. È troppo per me.»

Il Pokémon sembrava leggermente deluso, ma Red continuò: «Tu forse puoi continuare a farti strada a suon di pugni, ma io non ci riesco. Solo che… non so cosa fare, o a chi rivolgermi. La mamma è invisibile e parla in codice, il Professor Oak non ci sta con la testa, Blue neanche capisce il problema… chi mi è rimasto?»

Pikachu alzò la zampina e Red sorrise intenerito: «A parte te…»

Poi si fermò, come avesse avuto un’illuminazione: «Aspetta… c’è! C’è un’altra persona!»

«Pika?»

Red si alzò, nuovamente pieno di entusiasmo: «Vieni! Dobbiamo tornare indietro!»

Pikachu era sempre più confuso, ma non ebbe altra scelta che seguire il bambino, che con passo deciso attraversò di nuovo Plumbeopoli e Boscosmeraldo, fino a tornare a Smeraldopoli.

«Ci siamo quasi, ci basta solo… uh?»

«Pika?»

«Non ti senti… osservato?»

 

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Il Pokémon si guardò intorno: «Pika?»

Red non riusciva a togliersi di dosso un brivido, un senso d’inquietudine.

 

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«Pika?»

Red si fermò. Era una sensazione che aveva già provato, ma non riusciva a identificare quando. Brividi, fastidio, angoscia…

Poi la vide.

 

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Il ragazzino sbiancò. Era la ragazzina posseduta dall’infermiera Joy che aveva cercato di prendersi Pikachu!

«T-T-Tu… I-Indietro! N-N-non avrai Pikachu!»

La ragazza si fermò proprio di fronte a lui, sorridendo in modo inquietante.

«Benvenuto! Rimettiamo in sesto i tuoi POKÉMON!»

«So come rimetti in sesto i Pokémon, tu! Il mio Pikachu è a posto, e lo era pure il mio povero Charmander! Dov’è?»

«I tuoi POKÉMON sono in perfetta forma!»

Red fece appello a tutto il suo coraggio per rispondere senza distogliere lo sguardo: «Dov’è Charmander?»

La ragazza tirò fuori una Poké Ball: «I tuoi POKÉMON sono in perfetta forma!»

Poi porse anche l’altra mano, vuota, e il suo volto assunse un’espressione malvagia: «Benissimo. Allora dammeli!»

E si avventò verso la cintura di Red, per afferrare la Poké Ball di Pikachu. Il bambino reagì d’istinto, buttandosi ad abbracciare il suo Pokémon e facendogli scudo con il proprio corpo per proteggerlo. Dopo qualche secondo in cui rimase immobile con gli occhi chiusi, chiedendosi quando la pazza lo avrebbe aggredito, si rese conto di cosa effettivamente fosse successo.

 

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La ragazza era dietro di lui. L’aveva attraversato da parte a parte, come…

«Un… fantasma?»

La figura si voltò e gli sorrise, questa volta dolcemente. Allungò lentamente un braccio, per poi indicare un punto ai piedi di Red.

«I tuoi POKÉMON sono in perfetta forma!»

Il bambino abbassò lo sguardo. Ai suoi piedi, perfetta, c’era una Poké Ball. Non aveva bisogno di controllare, sapeva perfettamente quale Pokémon contenesse.

«Guariamo anche i tuoi.»

Red prese in mano la sua Poké Ball e improvvisamente capì. Quel fantasma, seppure prigioniero del suo ruolo, non gli era ostile, anzi! Aveva posseduto Blue per impedire al suo rivale di sempre di sfidarlo, di costringerlo a tirare fuori un Pokémon che avrebbe avuto più problemi di chi glielo aveva consegnato, che forse non gli avrebbe nemmeno ubbidito, o sarebbe stato informe, gli avrebbe moltiplicato strumenti che non aveva* o chissà quale altra stramberia. Lo aveva preso per fare quello che fanno tutte le infermiere Joy, curarlo! Forse la seconda volta aveva persino cercato di restituirlo, ma lui era scappato a gambe levate; quindi aveva tentato un’ultima volta, fingendosi ciò che Red aveva pensato fino al quel momento che fosse, pur di avere un’occasione per consegnarlo al legittimo proprietario. Non era un fantasma, era un angelo custode.

Il bambino, per dimostrarle che aveva capito, fece uscire il Pokémon dalla sfera. Era un cucciolo di Charmander, vispo e in buona salute.

«I tuoi POKÉMON sono in perfetta forma!»

Red annuì: «Ora lo so. Grazie, e scusa se non ho capito fino a questo momento.»

Il fantasma sorrise, facendo un inchino: «Arrivederci!»

E, voltandosi, fece giusto qualche passo per poi svanire nel nulla.

 

 

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«Uao…»

Pikachu aveva l’aria altrettanto sconvolta, mentre Charmander si guardava intorno con aria smarrita e curiosa.

Red si diede due piccoli colpi sulle guance per riprendersi, poi si rivolse ai suoi Pokémon: «Bene, pare che la squadra sia appena raddoppiata! Pikachu, Charmander, Charmander, Pikachu! Spero che andrete d’accordo!»

Charmander sorrise al suo nuovo compagno di avventure, mentre il Pokémon elettrico aveva una faccia che sembrava dire “Ma perché le disgrazie devono venire tutte a me? Questo sembra più rimbecillito dell’altro!”, ma alla fine sembrò accettare di dover salvare la pelle a entrambi.

Red sorrise: «Bene, perché ci servirà tutto l’aiuto possibile per tornare.»

Solo a quella frase Pikachu comprese dov’erano diretti.

«Sì, stiamo proprio tornando a Biancavilla. E non mi guardare così, ho le mie buone ragioni!»

«Pika?»

«Sì, davvero, Pokémon di poca fede! Stiamo tornando dall’unica persona che non sono ancora riuscito a vedere… e che mi deve ancora una formula magica per aggiustare il parquet!»

Tenne Charmander fuori dalla Poké Ball ancora per tutto il percorso 1, poi, al confine con la temuta Biancavilla, lo fece rientrare.

«Voglio preservare la tua innocenza sulla follia di questo mondo ancora per un po’, se possibile.»

Poi guardò Pikachu: «Non ti chiederò di farlo. Un cenno e ti faccio rientrare.»

Il Pokémon indugiò, evidentemente ancora spaventato dall’ultima esperienza, poi guardò con convinzione Red e annuì.

«Pika!»

Il bambino gli sorrise: «Grazie»

Pikachu cercò di mostrare più sicurezza di quanto non provasse, con uno sguardo alla “L’abbiamo cominciata insieme, la finiremo insieme”. Quindi, con un profondo respirone, varcarono il confine.

Biancavilla era più normale di quanto si aspettassero. Per un attimo Red pensò di andare a trovare sua madre, ma poi si diresse direttamente verso il suo obiettivo: la casa di Blue. Il bambino indugiò sulla porta, poi trovò il coraggio e bussò.

«Permesso…»

Un urlo femminile lo paralizzò peggio che un Tuononda di Pikachu.

«Red, fermo dove sei, ho appena lavato il pavimento!»

Il ragazzo si spostò dalla porta, consapevole che, dopo tutti quei giri nell’erba alta, le sue scarpe erano in condizioni pietose: «Scusami, scusami tanto… volevo solo parlarti!»

«Ti dico io quando entrare, aspetta lì!»

«Certo!»

Il sospiro che sfuggì al ragazzo, nonostante tutto, era di sollievo. La sorella di Blue sembrava proprio essere normale, così come se la ricordava. Forse c’era una speranza. Troppo eccitato per stare fermo, il ragazzo cominciò a camminare avanti e indietro, come un ossesso, mentre Pikachu lo guardava, sforzandosi di non fissare il resto della città.

 

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Dopo un numero imprecisato di giri, Red si stufò di aspettare.

«Senti, io entro, poi piuttosto le pulisco io il pavimento. È troppo importante.»

Pikachu annuì e insieme varcarono la porta.

«Sto entrando…»

Entrambi, tuttavia, si fermarono sull’uscio, sorpresi.

«Ma che…»

Red era andato molte volte a casa del suo rivale, soprattutto quando erano più piccoli, ma per quanto potessero aver fatto rinnovamenti all’arredamento, qualcosa non quadrava. Di fronte a loro si stagliava una zolla d’erba. Pikachu si voltò per tornare indietro, ma la porta era scomparsa.

«Ok, dove siamo?»

«Pika?»

«Non lo sai neanche tu, eh? Aspetta, là sembra esserci una città, magari riusciamo ad orientarci.»

I due varcarono la soglia della città sconosciuta, vagando fino a trovare un cartello.

«”Azzurropoli, città dei sogni arcobaleno”… Azzurropoli? Ma è dall’altra parte di Kanto!»

Pikachu era sconvolto come lui: «Pika!»

«Cioè, o abbiamo involontariamente scoperto il segreto del teletrasporto, il che potenzialmente ci renderebbe immensamente ricchi, o qualcosa non quadra…»

Pensò a cosa potesse fare. Entrò al Centro Pokémon, dirigendosi istintivamente verso il computer, poi si fermò davanti alla tastiera. Che stava facendo? Stava davvero pensando seriamente di chiamare il Professor Oak? Red scosse la testa. Non era ancora così disperato. Doveva tornare dalla sorella di Blue e lo avrebbe fatto, a costo di ripercorrere tutta Kanto. Con un sospiro uscì e si diresse verso l’enorme Centro Commerciale, indugiando un po’ sulla porta. Se proprio doveva ripartire, era meglio fare una bella scorta di strumenti, nella speranza che il suo zaino fosse in vena di collaborare.

 

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Ma anche questa volta, varcata la soglia, si ritrovò nel posto sbagliato.

«Pikachu… questa volta dove siamo?»

Il Pokémon si guardò intorno. In un certo senso avevano fatto un passo avanti, per lo meno questa volta si trovavano effettivamente all’interno di un edificio, che però non aveva niente a che fare con un negozio. Era un corridoio pieno di statue Pokémon, dall’aria solenne, occupato solo da un uomo con i guantoni da boxe.

 

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Red, disorientato, provò a chiedere: «Mi scusi…»

L’uomo lo ignorò completamente, rimanendo perfettamente impassibile, tanto che il ragazzo iniziò a pensare che fosse pure lui una statua. Tuttavia, nel loro improbabile teletrasporto, si erano ritrovati di fronte a una porta.

«Un invito più chiaro di così… andiamo, Pikachu!»

Aprirono la porta, ritrovandosi in un’altra stanza, completamente senza arredamento. Una figura li attendeva.

«Blue?»

Ma dopo un paio di passi la persona scomparve.

«Blue? Dove sei finito? Pikachu, l’hai visto pure tu, vero? Non me lo sono inventato!»

Pikachu era sempre più confuso, come se fosse stato colpito dai Supersuono di tutti gli Zubat di Monteluna contemporaneamente.

«Allora, qua non escludo più nulla, abbiamo visto pure i fantasmi in questa storia… ma indietro non so come tornare, non so neanche più dove sono, quindi ormai io ho deciso, c’è un’altra porta e io vado avanti. Sei con me?»

Il Pokémon annuì rassegnato, non c’era altra scelta. Facendo appello a tutto il loro coraggio, aprirono l’ultima porta. In questa stanza c’era solo un computer, e di fronte ad esso…

«Professor Oak?»

 

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Era assurdo. Non lo aveva voluto chiamare al Centro Pokémon, e ora era lì, di fronte a lui.

«Ehm ehm! Congratulazioni, RED! Questa è la SALA D'ONORE POKÉMON!»

Red sbarrò gli occhi dalla sorpresa: «Aspetta-aspetta-aspetta, COSA??? Quella Sala d’Onore? Quella della…»

Oak continuò: «I campioni della LEGA POKÉMON sono onorati in questa sala per le loro imprese!»

Il ragazzo iniziò a guardarsi intorno con ammirazione. Era nel tempio di ogni Allenatore degno di questo nome, il sogno proibito di chiunque allenasse Pokémon seriamente.

«E i loro POKÉMON vengono iscritti in questa SALA D'ONORE. RED! Hai lavorato sodo per diventare il nuovo campione della LEGA!»

Solo a quel punto Red iniziò a capire il discorso del Professore: «Cosa? Sono il Campione? Davvero?  Ma non ho affrontato neanche una Palestra!»

«Congratulazioni, RED, tu e i tuoi POKÉMON siete famosi ora!»

Famosi per cosa? Per essere sopravvissuti a un mondo a pezzi? Be', mettendola così in effetti era un buon motivo per diventare famosi…

Il Professore prese le due Poké Ball e le mise nel computer, registrando Red come Campione ufficiale della Lega Pokémon, che risultava essere stata battuta con un Pikachu di livello 25 e un Charmander di livello 5.

Il Professore, restituendo a Red le sue Poké Ball, gli chiese: «Allora, a questo punto cosa farai? Mi hanno detto che c’è un Pokémon rarissimo in una grotta vicino a…»

Il ragazzo lo fermò subito: «La ringrazio, ma ho già deciso cosa farò. Tornerò da chi mi ha dimostrato coerenza e amore in questa avventura.»

Oak sorrise intenerito: «Tua madre?»

Red si tolse il cappello e se lo mise sotto il braccio: «Macché! Il mio Super Nintendo! Non ho più intenzione di muovermi da camera mia! Pikachu, Charmander, andiamo! Ci siamo meritati una luuunga vacanza!»

Oak rimase allibito: «Ma… ma tu… sei il Campione…»

«Sì, di sopravvivenza, e ho intenzione di continuare a difendere il titolo a lungo! Ci si vede… anzi no!»

E con una soddisfazione infinita Red e Pikachu uscirono dalla Lega a testa alta. Non importava come e quando sarebbero riusciti a ritornare a Biancavilla, ormai la loro avventura era giunta alla

 

 

Fine
  
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