Premessa:
tutti i glitch di cui parlerò in questa storia sono tratti da
video di Youtube
di hacker, e quindi sono realmente trovabili, con i giusti
accorgimenti, nelle
versioni Rosso, Verde, Blu, Giallo, Oro, Argento e Cristallo dei giochi
Pokémon
giapponesi, inglesi e italiani. Sono stati da me selezionati e inseriti
all’interno di una trama e ho aggiunto gli screen del gioco per
dimostrarne la
veridicità, quindi non preoccupatevi se trovate incoerenze
(scene tratte da
giochi diversi, personaggi che nella narrazione ci sono e nelle
immagini no o
viceversa). Soprattutto, non chiedetemi assolutamente come si possa
ottenere
questi effetti nel gioco, perché non ne sono in grado, e per
questo vi rimando
ai canali Youtube di Crystal_
, ChickasaurusGL
e Pokémon
Millennium,
da dove
ho tratto ispirazione.
Detto
questo,
buon divertimento nel mondo distorto del povero Red!
Red’s nightmare world
È buio. Red
non
vede niente, ma sa che qualcuno, in quell’oscurità, lo
attende.
«Ciao
a
tutti! Benvenuti nel mondo dei POKÉMON!»
Il
ragazzo riconosce la voce e, rilassato, si volta, ma quello che vede lo
fa
urlare.
Lo
farebbe urlare, almeno, perché spalanca la bocca ma non ne esce
alcun suono.
Davanti
a
lui c’è il suo vicino di casa, il nonno del suo
“amico”... senza testa!
O
almeno,
non sul collo. Perché la testa c’è, ma è ai
suoi piedi. E parla regolarmente.
Red
ha
gli occhi sbarrati dal terrore.
«Mi
chiamo OAK! Però la gente mi chiama PROFESSORE dei
POKÉMON!»
Red
non
riesce a distogliere lo sguardo dalla bocca del professore, a non
più di un
centimetro dal terreno. Non ha il coraggio di guardarne il collo.
«Questo mondo è abitato da creature
chiamate
POKÉMON! Per alcuni i POKÉMON sono piccoli amici, altri
li usano per lottare!
In quanto a me... lo studio dei POKÉMON è il mio
lavoro.»
Tutte
cose che Red conosce benissimo, dopotutto in quel mondo ci vive e
conosce il
professore da quando è nato, ma non ha il coraggio di
contraddirlo.
«Però
prima dimmi come ti chiami.»
Il
ragazzo è sempre più spaventato e perplesso. La voce che
gli esce dalla bocca è
flebile e gracchiante, perché non ha nemmeno abbastanza saliva
da poter
deglutire.
«S-sono,
Red, professore. Ricorda? Sono il suo vicino di casa da sempre...»
La
testa
a terra di Oak annuisce in modo inquietante.
«Bene! Il tuo nome è RED!»
La
sua
mano tira fuori dalla tasca una fotografia e gliela porge. Red deve
usare molto
del suo coraggio per alzare lo sguardo dalla testa per terra. È
una foto molto
distorta, non è possibile capire cosa ci sia ritratto.
«Questo è mio nipote.»
Red
annuisce terrorizzato. Se lo dice lui...
«È stato tuo rivale fin da quando
eri bimbo.
... mmmh, potresti ricordarmi come si chiama?»
«P-professore...
è Blue. Non se lo ricorda?»
La
testa
per terra annuisce ancora e Red fa un passo indietro.
«Ah, sì, ora ricordo! Si chiama
BLUE!»
Red
fa
per voltarsi e scappare. Non gli piace quella storia, il suo vicino di
casa che
perde la testa, in tutti i sensi, e gli fa discorsi strani, come se non
lo
conoscesse.
«RED!»
Il
ragazzo si paralizza sul posto.
«S-sì?»
«La
tua
leggenda nel mondo POKÉMON sta per iniziare! Ti aspetta un mondo
di incubi e avventure con i POKÉMON! Andiamo!»
E
a quel
punto succede qualcosa di strano. Red prova a scappare ma non ci
riesce, sembra
che i suoi piedi siano inchiodati al terreno. Inoltre il professore sta
diventando sempre più grande... o forse è lui che sta
rimpicciolendo... sempre
di più, sempre di più... diventa così piccolo da
poter entrare nella bocca del professore.
Quella bocca ora enorme che è lì, a pochi centimetri da
lui. E che si spalanca.
«NOOOOOOOOOOOOOO!!!»
Red
aprì
gli occhi di scattò e si rizzò a sedere. Ci mise qualche
secondo a rendersi
conto di dove fosse e di cosa stesse succedendo. Era seduto a terra, di
fronte
al suo Super Nintendo, ancora con il controller in grembo e lo schermo
acceso.
Sbadigliando si stiracchiò ben bene, in parte con la mente
rivolta a
quell’incubo assurdo che aveva appena fatto. Scosse la testa.
Probabilmente era
stato solo un brutto scherzo della tensione e...
Si
passò
la mano sulla fronte per scostare un ciuffo di capelli e si
bloccò di scatto.
Passò le dita più e più volte sulla pelle con aria
sempre più spaventata.
«No,
no,
no...»
A
quel
punto Red si alzò e andò verso lo specchio alle sue
spalle.
«Ma
no,
dai! Non oggi!»
E
sì, la
tensione gli aveva combinato uno scherzo ancora più grosso di
quanto avesse
immaginato, perché non solo si era addormentato
all’improvviso, ma si era
appisolato sul controller, con il
magnifico risultato di trovarsi tatuati in fronte, in maniera
apparentemente
indelebile, tutti i tasti. Disperato, Red iniziò a strofinarsi,
invano.
«No,
no,
dai... devo iniziare la mia avventura, oggi, come faccio se sembro un
idiota?»
Il
ragazzo si guardò intorno alla ricerca di una possibile
soluzione e la trovò.
Attraversando la stanza praticamente di corsa, si fiondò sul
cappellino che
teneva appeso di fianco al computer e si preoccupò di calcarlo
con cura sulla
fronte, fino quasi a coprirsi gli occhi.
«Ok,
avrò
un po’ caldo, ma almeno così posso salvare le apparenze
fino a quando...»
Non
ebbe
il tempo di finire la frase che dalla finestra lasciata aperta per il
caldo
afoso balzò nella stanza un bel Dratini selvatico.
«Ma
che...»
Il
Pokémon non sembrò fare caso a lui, però,
perché subito dopo si scoprì essere
inseguito da un Magmar, che pareva seriamente intenzionato ad
affrontare il suo
avversario proprio nella stanza. Red fissò preoccupato le gocce
di lava cadere
per terra e, soprattutto, a pochi centimetri dalla sua adorata console.
Era troppo.
Con
un
gesto fulmineo prese la scopa che sua madre aveva lasciato,
inutilmente, nella
speranza di invogliare il figlio a pulire la stanza di tanto in tanto
e,
roteandola sopra la testa meglio di una majorette, andò verso i
Pokémon
urlando: «FUORI DALLA MIA CAMERA, BRUTTE BESTIE! CHE POI MAMMA
SGRIDA ME SE
PORTO ANIMALI IN CASA SENZA PERMESSO!»
A
colpi
di saggina Red spedì fuori il Dratini senza troppe
difficoltà, ma rimaneva il
problema più grosso, quel Magmar pericolosamente interessato al
suo Super
Nintendo.
«TU!
VIA
DALLA CONSOLE!»
Red
a
quel punto notò che i punti del pavimento dove il Pokémon
sostava troppo a
lungo diventavano pericolosamente neri.
«PIANTALA
DI BRUCIARMI IL PAVIMENTO! POI MAMMA METTE IN PUNIZIONE ME, NON TE! E
IO NON
POSSO FARMI METTERE IN PUNIZIONE PROPRIO OGGI, CHIARO?»
Il
Magmar
lo guardò come se non avesse capito una parola di quello che
aveva detto e Red,
sempre più preoccupato per le sorti della sua camera e,
soprattutto, per la
reazione della mamma, decise di mettere a frutto le lezioni di baseball
che
aveva seguito giusto per battere Blue quando giocavano in cortile.
Prese bene
la mira, strinse con forza il bastone della scopa e colpì il
Magmar alla
schiena. Questo prese il volo dalla finestra, finendo chissà
dove. Red esultò:
«HOME RUN! Letteralmente!»
In
quell’istante la scopa finì in cenere, nel vero senso
della parola, lasciando
per terra e nelle mani del ragazzo solo un mucchietto di polvere nera.
«Ok...
poteva andare peggio...»
Se
bene o
male aveva affrontato i suoi primi Pokémon selvatici
dignitosamente e senza
riportare ferite, alla sua camera non era andata altrettanto bene. Red
guardò
con una smorfia le bruciature sul pavimento, immaginando la reazione
della
mamma. Sperando che la donna non salisse subito, il ragazzo
spostò il
televisore e i tappeti cercando di coprire alla bell’e meglio i
danni più
evidenti. Non poteva farsi mettere in punizione proprio quel giorno, si
ripeté
come un ossesso, e poi forse i danni non erano così gravi come
sembravano. Più
tardi avrebbe chiesto alla sorella di Blue, sempre molto gentile con
lui, se
conosceva un rimedio rapido contro le bruciature sul parquet.
Andò verso la
porta della camera per controllare se era riuscito a nascondere tutto,
poi
prese il suo zaino vuoto, si calcò ancora bene il cappello in
testa e sospirò.
«Se
questo è l’inizio della mia avventura...»
Scese
lentamente le scale, pronto a salutare la mamma al piano di sotto, solo
che,
arrivato alla fine della scalinata, trovò la stanza
completamente vuota.
Red
inarcò un sopracciglio. Strano, la mamma lo avvertiva sempre
prima di uscire!
In più, dovette ammettere, che partire per il suo viaggio senza
nemmeno
salutarla lo dispiaceva enormemente. Un po’ deluso si
avvicinò alla porta, ma
una voce familiare lo fermò.
«Red!»
Il
ragazzo si voltò sorpreso: «Mamma? Mamma, dove sei?»
La
donna
continuò a parlare, come se non avesse sentito la domanda:
«Ascolta! Prima o
poi tutti i giovani vanno via di casa. Lo dice anche la TV!»
Red,
sempre più preoccupato, si avvicinò alla sedia dove era
solita sedere sua madre
e da dove proveniva la sua voce. Continuava a non vederla, ma i
discorsi erano
decisamente i suoi; quante volte le aveva detto di non prendere per oro
colato
tutte le cavolate dette dalla televisione...
«Mamma,
sei sicura di stare bene?»
«Il
nostro vicino, il PROF. OAK, ti sta TMZ4.»
Red
fissò
il nulla perplesso: «Eh?»
«TMZ4.»
«Scusa,
credo di non aver capito bene l’ultima parola...»
«TMZ4
TMZ4
TMZ4, TMZ4 TMZ4. TMZ4?»
Red,
ormai sconvolto dall’allucinante discussione che stava avendo con
la madre
invisibile, decise che era decisamente giunto
il momento di cominciare il suo viaggio.
«Sì,
ok,
mamma. Ci vediamo, eh? Ciao!»
Ed
uscì
fuori da casa con un sospiro di sollievo.
«Ma
che...?»
Red
si
guardò intorno spaventato. Cos’era successo alle case?
Improvvisamente
sembravano pagode cinesi, mentre porte e finestre si erano moltiplicate.
Il
ragazzo osservò tutto attorno spaesato. Cos’era successo a
Biancavilla? Quella
non era la città in cui era cresciuto! Fissò con un
po’ di preoccupazione i
tetti degli edifici, che avevano un’aria pericolante e fece
qualche passo in là
per sicurezza. Una parte di lui avrebbe voluto rientrare e parlarne con
la
mamma, ma poi si ricordò del discorso delirante che aveva appena
affrontato e
decise di lasciar perdere. Cosa poteva fare?
Un
piano
folle e azzardato fece capolino nella sua mente: e se avesse provato ad
andare
fino a Smeraldopoli per controllare la situazione? Sì,
c’era qualche zona di
erba alta che poteva anche essere un po’ pericolosa, ma in fondo
aveva appena
affrontato un Magmar e un Dratini con una scopa, che male avrebbero
potuto
fargli un paio di Pidgey e Rattata?
Così,
un
po’ titubante, il ragazzo mise un piede nell’erba alta, ma
quasi subito venne
fermato da una voce.
«Ehi!
Aspetta! Non andare!»
Red,
ancora di spalle, si lasciò sfuggire un minuscolo sospiro di
sollievo. Una voce
familiare in tutto quel caos! Si voltò, convinto di trovarsi
davanti al
Professore dei Pokémon, e invece...
Red
rimase immobile, sorpreso. Quello che gli stava venendo incontro era un’esatta copia di se stesso!
Confuso,
rimase immobile nell’erba mentre il suo clone gli veniva incontro
e iniziava a
parlargli.
«È
pericoloso! Nell’erba alta vivono POKÉMON selvatici! Hai
bisogno di POKÉMON tuoi
che ti proteggano! Fidati di me!»
Red
rimase muto a fissarlo come se fosse un pazzo. Un clone di
se stesso con la voce del Professor Oak gli stava chiedendo
di fidarsi di lui?
«Seguimi!»
Il
ragazzo si guardò bene dal seguire il suo doppio e cercò
di continuare per la
sua strada, ma il “Professore” lo afferrò per un
braccio con una forza
inaspettata e lo trascinò con lui fino al suo laboratorio. Red
protestò
vivacemente cercando di divincolarsi: «Chiunque tu sia, lasciami!
Lasciami, ho
detto! È sequestro di minore, lo sai? Ho solo dieci anni! AIUTO!
AIUTO!
QUALCUNO MI AIUTI!»
Ma
nessuno in paese gli diede retta, come se non lo sentissero, e Red si
ritrovò
all’interno dell’edificio. In teoria conosceva bene tutti
gli assistenti, ma
ormai il ragazzino non sapeva più di chi fidarsi. Un solo volto
familiare lo
fece rilassare un momento e lo spinse ad andare nella sua direzione.
«Blue!
Grazie al cielo...»
Blue
però
lo ignorò, come faceva spesso quando voleva infastidirlo, e si
rivolse a quello
che sembrava tornato effettivamente il Professor Oak: «Nonno! Non
ne posso più
di aspettare!»
Oak
rispose: «Blue? Fammi pensare... ah! Ora ricordo! Ti ho chiamato
io!»
Red
si
lasciò sfuggire una smorfia. Forse nel suo sogno inquietante non
aveva tutti i
torti, il Professore aveva davvero
seri problemi di memoria. Un principio di Alzheimer di cui non si era
accorto
fino a quel momento?
«Un
momento! Guarda Red! Ci sono tre POKÉMON qui! Haha!»
Lo
guardò
se possibile ancora più perplesso. Che ci trovava da ridere?
«Sono
dentro le POKÉ BALL.»
Red
rimase impassibile. Lo sapeva, non era ancora così ignorante da
non sapere dove
si costudivano i Pokémon!
«Da
giovane ero un allenatore di POKÉMON davvero in gamba.»
Oh
no.
Tutto ma non i ricordi di gioventù di un vecchio, per
pietà!
«Ora
che
sono vecchio me ne sono rimasti solo 3, ma puoi sceglierne uno!»
Red
rimase sorpreso. Il Professor Oak gli stava offendo un Pokémon
gratis? Fantastico! Poi rifletté sulle esatte
parole del Professore... erano i Pokémon
di quando era giovane? Trattenne un’espressione disperata.
Stava per
cominciare il suo viaggio con un Pokémon over 50 come minimo... Pokémon d’annata, magari con la barba bianca...
gli altri allenatori lo avrebbero preso in giro per tutta la vita!
Blue
intervenne con aria risentita: «Ehi! Nonno! E io?»
Oak
gli
rispose: «Un attimo di pazienza Blue! Ce n’è uno
anche per te!»
Red,
risollevatosi di morale perché il Professore aveva preferito lui
al nipote, si
voltò verso il tavolo, e solo allora si accorse di un problemino.
Una
piccola voragine avvolgeva il tavolo dove lo attendeva il suo primo
Pokémon.
Red, terrorizzato, guardò giù, vedendo solo un buco nero
senza fondo. Deglutì,
preda per qualche secondo di una piccola vertigine.
«P-Professore...»
Oak
però
continuava a sorridergli tranquillo e Blue a guardarlo con aria di
sfida. Era
una sorta di prova per dimostrarsi degno del Pokémon? Il ragazzo
cominciò a
fare il giro del tavolo, cercando un punto più sicuro per
avvicinarsi, poi ebbe
l’illuminazione. Forse era tutto uno scherzo, magari il pavimento
c’era, ma era
trasparente! Provò con cautela a mettere il piede sopra la zona
nera, ma questo
affondò e Red lo ritirò subito. No, nessuno scherzo, la
voragine era vera,
doveva ripensare a tutto il suo piano. Alla fine, tornando
nell’esatta
posizione di partenza e allungandosi al massimo, poteva arrivare a
sfiorare la
Poké Ball all’estrema sinistra. Facendo appello a tutto il
suo coraggio, Red si
sbilanciò in avanti quel tanto che bastava ad afferrare la
sfera, la prese e
con un deciso colpo di reni si riportò in equilibrio. Rimase
fermo per qualche
secondo, col fiatone. In qualche modo ce l’aveva fatta.
Oak
gli
sorrise: «Allora, vuoi CHARMANDER, il POKÉMON di
fuoco?»
Red
annuì, terrorizzato dall’idea di dover nuovamente
affrontare il baratro per
prenderne un altro.
«Questo
POKÉMON
ha veramente molta energia!»
A
quel
punto Blue fece il giro del tavolo per prendere un altro
Pokémon. Red era
davvero curioso di vedere come il rivale avrebbe affrontato
l’ostacolo, ma
questi si limitò a... passarci sopra come se niente fosse! Red
sbarrò gli
occhi. Com’era possibile? Ci aveva provato pure lui ed era
affondato! Riprovò
con la punta del piede nel punto più vicino della voragine, ma
sempre con lo
stesso risultato. Che ci fosse un punto preciso dove passare che lui
non era
stato in grado di individuare? Oppure che le scarpe di Blue fossero
truccate?
Si ripromise di fare un salto a casa sua, in fondo c’era sempre
la questione
parquet da sistemare...
«Io
mi
prendo questo!»
Red
rimase lì, aspettandosi che il suo rivale di sempre gli
proponesse una sfida.
Invece Blue rimase con la Poké Ball in mano, a rimirarla come
fosse il più
prezioso dei tesori.
Red
provò
a dargli una gomitata per farlo reagire, ma Blue gli rispose in modo
inaspettato.
«Benvenuto
al CENTRO POKÉMON!»
Red
lo
guardò preoccupato, anche perché il ragazzo stava
parlando in falsetto: «Blue?»
«Rimettiamo
in sesto i tuoi POKÉMON! Vuoi che
guariamo anche i tuoi?»
Il
ragazzo lo guardò malissimo. Che l’Alzheimer di Oak fosse
contagioso?
«Benissimo.
Allora dammeli!»
Fu
a quel
punto che accadde qualcosa di quasi sovrannaturale. La Poké Ball
di Red gli
volò via dalle mani, galleggiò in aria e rimase affianco
alla testa di Oak,
dove ruotò su se stessa. Oak sembrò non farci caso,
mentre Red quasi iniziò a
tremare dalla paura. Che il fantasma di un’infermiera avesse
posseduto il suo
vicino di casa?
La
voce
di Blue lo fece voltare: «Grazie! I tuoi POKÉMON sono in
perfetta forma!»
Il
rivale
a quel punto fece un piccolo inchino: «Arrivederci!»
Red
provò
ancora a rivolgergli la parola, ma Blue si limitò a guardarlo
con un sorriso
inquietante. Si voltò allora verso il Professore, ma
quest’ultimo sembrava
essersi dimenticato di loro e si era nuovamente immerso nelle sue
ricerche. A
quel punto il ragazzino, non avendo le conoscenze per tentare un
esorcismo, si
convinse che la cosa migliore da fare fosse abbandonare quel luogo
posseduto ed
uscì dal laboratorio senza aggiungere una parola. Nuovamente
all’aria aperta,
Red cercò di recuperare la calma. Adesso forse sarebbe potuto
andare a
Smeraldopoli, o in qualche altro posto, ovunque pur di allontanarsi da
quel
pazzo paese...
Si
addentrò dunque nell’erba alta, ma dopo pochi passi
accadde l’inimmaginabile.
«Ehi!
Aspetta! Non andare!»
Red
si
paralizzò sul posto.
«No,
di
nuovo no...»
Il
ragazzino si voltò disperato: «Professore, per favore, mi
lasci andare! Per
pietà!»
Oak
continuò ad avanzare verso di lui e Red ebbe una spiacevole
sensazione di deja
vù.
«L’hai
scampata bella! Nell’erba alta vivono i POKÉMON
selvatici!»
Red
esclamò esasperato: «LO SO! ME L’HA GIÀ
DETTO!»
Per
fortuna, o per sfortuna, un Pokémon saltò fuori
dall’erba alta proprio in quel
momento.
Red
lo
fissò sorpreso. Un Pikachu dalle parti di
Biancavilla? Non ne aveva mai sentito parlare! Ripensandoci,
però, non
aveva mai sentito neanche di Magmar o Dratini da quelle parti...
alzò dunque le
spalle e decise di non porsi problemi sulla distribuzione delle varie
popolazioni Pokémon, che vivessero un po’ dove pareva loro.
Il
Pikachu, invece di attaccare, però, tirò fuori a sua
volta una Poké Ball e la
lanciò verso i due esseri umani. Red sussultò. Pokémon allenatori??? E da quando???
Dalla
Poké Ball uscì fuori qualcosa di strano: era alto come
una persona, ma era
completamente annebbiata e indefinita.
Oak
esclamò: «Ah! Ha mandato in un campo un ALLENATORE DI
POKÉMON 3!»
Red
era
più che allibito: «STA SCHERZANDO, VERO?»
Il
ragazzino aveva mille domande: come poteva il Professore identificare
quella cosa senza forma? Come poteva un
Pokémon
catturare e mandare in campo un allenatore? Ma soprattutto... perché era ancora lì in quella gabbia di
matti???
Red
cercò
di aggirare la lotta e procedere col suo viaggio, ma Oak, di nuovo, lo
afferrò
per un braccio e lo tenne strettissimo, mentre con la mano libera
prendeva una
Poké Ball.
«PROF.
OAK! Non è il momento di usare quello!»
Red
lo
guardò preoccupato: «Professore?»
Oak
ripeté
di nuovo: «PROF. OAK! Non è il momento di usare
quello!»
«Ehm...
d’accordo, usi qualcos’altro, allora, basta che la
finiamo.»
«PROF.
OAK! Non è il momento di usare quello!»
«Ok...
per quanto tempo ha intenzione di sgridarsi da solo?»
«PROF.
OAK! Non è il momento di usare quello!»
«Va
bene,
continui pure, ma almeno mi lasci andare!»
«PROF.
OAK! Non è il momento di usare quello!»
«Sigh...»
Finalmente
il Professore si decise a lanciare la sua Poké Ball, ma non
verso
“l’allenatore”, ma verso il Pikachu che lo aveva
mandato in campo e
catturandolo al primo colpo.
«Che
fortuna!»
Mentre
“l’allenatore” se la dava a gambe, Oak sbuffò.
«Ho
finito le SAFARI BALL!»
Red
lo
guardò scandalizzato: «Professore! Intende quelle del
Safari di Fucsiapoli? Ma
quelle non si possono portare fuori dal parco! Le ha rubate???»
Oak
non
gli rispose, gli sorrise e continuò a parlare come se niente
fosse: «Puf! I POKÉMON
selvatici appaiono all’improvviso! Hai bisogno di POKÉMON
tuoi che ti
proteggano! Fidati di me!»
Red
sorrise, quasi intenerito dall’ennesima perdita di memoria del
Professore:
«Professore, abbiamo già avuto questa discussione,
ricorda? Sono venuto da lei
e mi ha dato questo...»
Red
iniziò a frugare freneticamente le tasche, trovandole vuote.
Terrorizzato,
iniziò a cercare anche nello zaino, vuoto anch’esso.
Dov’era finito il suo
Charmander?
Poi
capì.
Blue, dopo i suoi giochi di prestigio posseduti, non
gli aveva restituito il suo Pokémon e lui era stato così
terrorizzato da non chiederlo indietro.
«Blue,
maledetto!!! In tutti i sensi!!!»
Non
aveva
modo di dimostrare che quella scena era già avvenuta, e
soprattutto aveva perso
il suo Charmander senza nemmeno averlo potuto usare una volta. Ormai
sull’orlo
della disperazione, non si ribellò nemmeno al Professore che lo
afferrava di
nuovo e lo costringeva a seguirlo nel laboratorio, dove, di nuovo, Blue
li
stava aspettando.
«Blue,
per favore, digli che...»
«Nonno!
Non ne posso più di aspettare!»
Red
si
sbatté una mano sulla fronte. Pure lui non ricordava più
niente, non c’era
speranza di riavere indietro il suo Charmander!
Oak
guardò il nipote sorpreso: «Eh? Blue? Come mai sei
già qui? Ti avevo detto di
venire più tardi!»
Red
alzò
gli occhi al cielo. Probabilmente Blue se lo era dimenticato, che sorpresa...
«Ah,
fa
lo stesso! Aspetta qui! Ascolta, Red! Vedi quella palla lì sul
tavolo?»
Il
ragazzo si voltò. Non l’aveva notato, ma a differenza
della prima volta sul
tavolo c’era una sola Poké Ball e, cosa più
importante, non era circondato da
nessuna voragine.
«È
una
POKÈ BALL! Lì dentro c’è un POKÉMON!
Puoi prenderlo, avanti, è per te!»
Red
guardò il tavolo un po’ titubante. Un solo Pokémon
e niente trappole? Dov’era
la fregatura questa volta?
Blue
intervenne con aria risentita: «Ehi! Nonno! E io?»
Oak
gli
rispose: «Abbi un po’ di pazienza Blue! Ce n’è
uno anche per te!»
Red
si
avvicinò al tavolo titubante. Niente trappole? Poteva davvero
filare tutto
liscio? Allungò la mano e... Blue all’improvviso lo spinse
via.
«Non
esiste, Red! Questo POKÉMON lo voglio io!»
Red
iniziò a fumare di rabbia. E ti pareva, se non c’erano
trappole ci si metteva
quel bulletto di Blue a rovinare tutto! Poi lo osservò meglio e
rabbrividì.
L’aspetto
di Blue cambiava ad ogni passo, sembrando invecchiare sempre di
più per poi
ringiovanire di colpo. Red si strofinò gli occhi. Avrebbe
giurato che per
qualche passo il suo rivale avesse assunto l’aspetto di suo
nonno. Forse però
era solo l’effetto dello stress della giornata.
La
voce
di Oak lo riportò alla realtà: «BLUE! Ti pare il
modo di comportarti?!»
«Nonno,
lo voglio io questo!»
Se
da una
parte Red era rassicurato perché l’amico era tornato ad
avere il suo solito
aspetto, dall’altra questo non cancellava il senso di ingiustizia
che provava
nei confronti del rivale. Strinse un pugno, pregando che il Professore
desse a
suo nipote quattro ceffoni per la sua insolenza.
«Ma
io...
mhm e va bene, tieniti pure il POKÉMON. Te ne avrei dato uno
comunque...»
Red
scosse la testa rassegnato. Il Professore non poteva proprio farne una
giusta,
eh?
«Red,
vieni qui da me.»
«Ho
altra
scelta?»
Il
silenzio del Professore gli diede la sua risposta e, rassegnato,
tornò da Oak.
«Questo
è
il POKÉMON che ho appena catturato! Puoi prenderlo...»
Red
scosse la testa: «Il Pokémon psicopatico che si crede un
allenatore? No,
grazie, e se poi mi cattura?»
«...
ma
attento è ancora selvatico e ribelle!»
«Appunto!
Non lo voglio! Mi ridia il Charmander d’annata, per favore!»
Ma
Oak
gli mise fra le mani la Poké Ball del Pikachu, chiudendo la
questione. Red era
sull’orlo di una crisi di nervi, forse era meglio approfittare
del momento favorevole
e darsela a gambe. Non appena però fece per dirigersi verso la
porta, Blue lo
bloccò.
«Aspetta,
Red! Proviamo i nostri POKÉMON! Coraggio! Ti sfido!»
Il
ragazzo sospirò, leggermente sollevato. Questo era
il Blue che conosceva!
Blue
lanciò la sua Poké Ball, dalla quale uscì il
famoso Pokémon che Oak avrebbe
voluto affidare a lui, un Eevee. Red si ritrovò obbligato a
schierare il suo
Pikachu psicopatico, incrociando le dita che non tentasse subito di
rivoltarglisi contro. Con la coda dell’occhio si guardò
intorno alla ricerca di
eventuali armi da poter usare; non aveva più la sua scopa di
saggina, ma
affianco al tavolo c’era un cestino di plastica per i rifiuti.
Sospirò: meglio
di niente, almeno era isolante.
Il
suo
nuovo Pikachu conosceva solo due mosse: Tuonoshock e Ruggito. Non
esaltante, ma
il suo avversario non era messo meglio, con solo Azione e Colpo-Coda.
Se il
Pikachu non gli si rivoltava contro subito, poteva farcela. Dopo un
paio di
Tuonoshock, infatti, Blue era già in difficoltà, ma
improvvisamente...
Red
s’infuriò: «Ehi, chi ha spento le luci?»
Il
laboratorio rimase al buio per qualche secondo. Per un momento il
ragazzo pensò
di aver esagerato con gli attacchi elettrici, ma quasi subito
tornò la luce.
Apparentemente sembrava essere tutto a posto, ma l’Eevee di Blue
era
stranamente in forma.
«Aspetta,
Red! Proviamo i nostri POKÉMON! Coraggio! Ti sfido!»
Red
guardò il suo avversario malissimo: «Blue, brutto figlio
di un Grimer, non
imbrogliare!»
Oak
protestò: «Red! Non insultare i miei figli!»
Il
ragazzo rifletté: giusto, uno dei genitori di Blue era figlio di
Oak.
«Scusi,
Professore, non era mia intenzione offenderla, ma questo non cambia le
cose! Ci
stavamo già sfidando! Ha approfittato del buio per ricaricare il
suo Pokémon!»
Di
nuovo
le luci sparirono e di nuovo, quando tornarono, l’Eevee di Blue
sembrava appena
uscito dalla Poké Ball.
«Aspetta,
Red! Proviamo i nostri POKÉMON! Coraggio! Ti sfido!»
Il
volto
di Red, ormai, era livido di rabbia ed estenuazione. Passi tutto, ma
gli imbrogli
di Blue proprio no! Già gli aveva fregato il Pokémon, ora
aveva intenzione di
ricominciare da capo la loro sfida fino a che non avesse vinto lui? Non
stava
né in cielo né in terra! Non gli interessava quante volte
avrebbe dovuto
ricominciare il duello, questa volta non avrebbe ceduto.
«Usa
Tuonoshock.»
Come
se
il Pikachu avesse colto la sua rabbia repressa e l’avesse usata
per caricarsi
le sue batterie da Pokémon elettrico, la scarica che
investì l’Eevee avversario
fu a dir poco devastante, ben oltre il brutto colpo, tanto da mandarlo
K.O. in
un turno. Red guardò il suo Pokémon sorpreso, prima di
ritirarlo nella sua Poké
Ball: non avrebbe mai creduto che potesse essere così potente!
Se da una parte,
in previsione del suo viaggio, era un’ottima notizia,
dall’altra, visto il
viziaccio del suo Pikachu di catturare allenatori...
Blue
protestò: «COSA? Non può essere! Era il
POKÉMON sbagliato!»
Red
lo
guardò con aria di sfida: «Tu lo hai voluto, tu te lo
tieni! Non faccio scambi,
soprattutto con te!»
Blue
ritirò il suo Pokémon: «OK! Allenerò il mio
POKÉMON per rinforzarlo! Red!
Nonno! Ci vediamo dopo!»
E
invece
che aggirarlo, Blue lo attraversò, come
fosse un fantasma. Red rimase senza fiato. Per un momento, un piccolo
istante,
aveva pensato che fosse tornato tutto alla normalità, e invece
Blue era ancora
posseduto!
Si
voltò
per fermarlo, ma il Pikachu uscì fuori da solo dalla Poké
Ball e gli bloccò la
strada.
«Pika!!!»
Red
rimase sorpreso dall’espressione del suo Pokémon: aveva
un’aria spaventata,
come se gli stesse dicendo di non farlo, di non seguire Blue.
Alle
sue
spalle Oak, di cui Red si stava quasi scordando, ridacchiò.
«Ma
guarda questo! È strano, ma pare che PIKACHU non ne voglia
sapere delle POKÉ
BALL. Dovrai portatelo appresso così. Questo dovrebbe farlo
felice! Così gli
puoi parlare e vedere se gli piaci.»
Red
si
voltò nuovamente verso il Professore, ma prima di potergli dire
niente Oak
iniziò a comportarsi in modo strano.
Red
sussultò di sorpresa trovandolo in piedi sopra il tavolo, da cui
saltò giù con
un balzo notevole per un uomo della sua età; dopodiché,
come se fosse la cosa
più normale del mondo, iniziò ad arrampicarsi su un
mobile.
«Ehm...
Professore? È felice per la mia vittoria o ha solo bevuto troppo
caffè?»
L’uomo
non rispose, preferì invece buttarsi giù dal mobile
urlando come Tarzan.
D’istinto Red corse per cercare di prenderlo al volo, sicuro
ormai che
l’anziano fosse andato completamente fuori di melone, prontamente
seguito da
Pikachu che sembrava altrettanto in ansia a giudicare dal
“PIKA!!!” drammatico
che gridò, ma non ebbe il tempo di fare due passi che Oak,
semplicemente...
scomparve!
Red
e il
suo Pikachu si aggirarono a lungo nella stanza, chiamando a gran voce
il
Professore, setacciando ogni angolo, ma non lo trovarono.
«Che
dici, Pikachu, secondo te ci può essere un passaggio segreto
nascosto da
qualche parte?»
Il
Pokémon,
dubbioso, allargò le braccia in segno di resa:
«Pika?»
Sconsolato,
il ragazzo scosse la testa e si avviò verso l’uscita:
«Vabbé, lasciamo stare. A
quanto pare ora siamo io e te, Pikachu.»
Il
Pokémon non sembrava troppo entusiasta: «Pika.»
«Ma
prima
di andare... fidarsi è bene...»
Red
si
avvicinò di soppiatto a uno degli assistenti di Oak, che
ovviamente continuava
il suo lavoro come se fosse perfettamente normale che il suo capo
improvvisasse
imitazioni di Tarzan per poi sparire come un prestigiatore, e gli prese
un paio
di guanti di gomma rosa. Storse un po’ il naso per il colore, poi
disse:
«Glieli restituisco subito!»
Li
indossò e iniziò a perquisire da testa a zampe Pikachu,
per assicurarsi non
avesse Poké Ball nascoste.
«Bene,
sei pulito. Se dobbiamo viaggiare insieme voglio da te una promessa
solenne che
non cercherai di catturarmi durante il viaggio.»
Il
Pikachu mise una zampina sul petto: «Pikachu!»
Red
sospirò: «Bene, voglio fidarmi, mi sembri la creatura
più ragionevole che abbia
incontrato oggi! Allora, andiamo?»
Il
Pikachu alzò le spalle: «Pika.»
«Viva
l’entusiasmo, eh? Ok... grazie per i guanti, signore!»
L’assistente
continuò a ignorarlo, così Red e Pikachu uscirono dal
laboratorio,
attraversarono la Biancavilla pseudo cinese tarocca popolata di pagode
e, dopo
un momento di comprensibile esitazione, dove Red si guardò
intorno numerose
volte alla ricerca di Oak appostato in qualche angolo, si
arrischiò a superare
la prima zolla di erba alta, per poi tirare un sospiro di sollievo. Ci
era
riuscito, era uscito da Biancavilla!
Red
esultò: era libero, libero da quella banda di matti e di gente
strana...
...
o
forse no.
Fissare
la gente era segno di grande maleducazione, ne era consapevole, ma
proprio non
riusciva a distogliere lo sguardo da quel tizio inquietante,
dall’aspetto
ibrido di umano e Pokémon. Che cosa gli era mai potuto succedere
per ridurlo in
quello stato?
Probabilmente
sentendosi osservato, l’essere gli rivolse la parola:
«Ciao! Lavoro in un POKÉMON–MARKET.»
Red
lo
guardò perplesso. Lavorava in un Pokémon-Market?
Sperò non al bancone, o
probabilmente avrebbe fatto scappare tutti i clienti per la paura!
«Abbiamo
prezzi buoni, vieni a trovarci a SMERALDOPOLI! Tieni, ti do un
campioncino!
Ecco qua!»
Red
ringraziò educatamente e si allontanò di qualche passo.
Sospirò, un po’
preoccupato, poi si rivolse a Pikachu: «La situazione è
più grave del
previsto... secondo te fuori di Biancavilla può esserci stata
un’esplosione
nucleare? Altrimenti non mi so spiegare il... coso di
prima...»
Pikachu
alzò le spalle: «Pika.»
Red
ridacchiò: «Non che a te importi, eh? Pazienza, mettiamo
via questa pozione
prima di perderla...»
Il
ragazzo appoggiò lo zaino a terra e lo aprì.
Pikachu
si affacciò al bordo dello zaino curioso: «Pika...»
«Mi
dispiace, ma non c’è nulla. Fino ad ora...»
Red
mise
la sua pozione all’interno e chiuse lo zaino. Quando però
fece per rimetterselo
in spalla lo sentì incredibilmente pesante, tanto da non
riuscire quasi ad
alzarlo da terra.
«Ma
che...»
Preoccupato
riaprì lo zaino, trovandoci una sorpresa.
Con
sua
enorme sorpresa Red scoprì che il suo zaino straripava di
oggetti che poco
prima non c’erano. Anche Pikachu sbarrò gli occhi
sconvolto.
«E
tutta
questa roba da dove salta fuori? Guarda... pozioni, MT, ... addirittura
Master
Ball! Com’è possibile?»
Pikachu
scosse la testa confuso: «Pika...»
«C’è
così
tanta roba da non dover mai andare al Pokémon-Market! Ma da dove
è uscita?»
«Pika...»
Red
sospirò,
un po’ rassegnato alle follie che lo circondavano, e chiuse lo
zaino. Solo a
quel punto si rese conto del vero problema di quella situazione.
«E
questo
zaino di 80 chili come lo trasporto?»
«Pika?»
L’ingresso
di Red a Smeraldopoli non fu esattamente epico: il ragazzino tirava
disperatamente le bretelle dello zaino, trascinandolo a terra, nella
polvere,
mentre dietro un affaticato Pikachu lo spingeva. Entrambi arrivarono al
Centro
Pokémon a dir poco esausti.
«Beato
te, Pikachu, che in pochi secondi sei di nuovo in forma...»
Il
Pikachu gli rispose con un sorriso, che nemmeno a Red fu chiaro se
fosse di
soddisfazione o di scherno, ma a parte le prese in giro del suo
Pokémon, c’era
un problema decisamente più urgente da risolvere.
«Non
posso andare avanti con questo zaino! Penso che andrò in un
Pokémon-Market e
venderò un bel po’ di roba... almeno ci faccio due
soldi.»
Così,
sempre faticando in due, la coppia entrò nel negozio trascinando
lo zaino.
Il
commerciante subito lo apostrofò: «Ehi! Arrivi da
BIANCAVILLA, vero?»
Red
sospirò, stufo ed esausto: «Per mia sfortuna,
sì.»
«E
conosci il PROF. OAK, vero?»
«Per
mia
disgrazia, sì.»
«È
arrivato quello che aspettava!»
«Buon
per
lui, io che c’entro?»
«Glielo
puoi portare tu?»
«Manco
morto!»
Ma
ignorando totalmente la risposta scortese di Red, il commerciante gli
rifilò un
pacco.
«Ok!
Saluta il PROF. OAK da parte mia!»
Detto
questo, il commerciante infilò un cappello da esploratore in
testa e se andò
nel retro bottega.
«Scusi,
ma io veramente volevo venderle qualcosa...»
Di
tutta
risposta il venditore spuntò fuori alle spalle di Red, lo spinse
da parte,
saltò il bancone con un’insospettabile agilità,
degna delle migliori pubblicità
dell’olio, e ricominciò il giro ridendo sguaiatamente.
«Ok,
ho
capito, compagno di manicomio del Professore, perfetto...»
Il
commerciante non gli diede assolutamente retta, continuando il suo
giro, quindi
Red salutò rassegnato e ritornò fuori, demoralizzato. Non
solo non aveva
risolto il suo problema con lo zaino, ma si era pure ritrovato un pezzo
in più.
«Pikachu,
aspettami qui, sorveglia lo zaino, torno subito.»
Pikachu
annuì: «Pika!»
Andando
a
parlare con qualche signore nei dintorni, Red riuscì a
procurarsi un carretto.
«Pikachu,
guarda, ho trovato una soluzione per lo... zaino...»
A
terra,
davanti al Pokémon e al famoso zaino, c’era un uomo
carbonizzato, dall’aspetto
solo vagamente umano, assistito da una donna.
Pikachu
guardò il suo allenatore orgoglioso e Red si limitò a
sospirare.
«Nulla
da
dire, sei un ottimo Pikachu da guardia. Andiamo!»
E
caricando a fatica lo zaino sul carretto, tornò sui suoi passi,
lasciando lì il
povero ladro. Pikachu lo seguì, ma con aria preoccupata.
«Sì,
sto
davvero tornando a Biancavilla.»
«Pika?»
«No,
non
sono impazzito. Semplicemente il signore che mi ha prestato il carretto
mi ha
detto che il negoziante non solo non mi venderà le
Pokéball se non lo faccio, ma
dirà a un signore di bloccarmi il passaggio alla prossima
città, e questo
potrebbe essere un problema.»
In
poco
tempo Red si ritrovò davanti al famigerato spiazzo d’erba,
quello dove Oak lo
aveva placcato più volte. Respirò profondamente,
deglutì, cercando il coraggio
di rientrare, ma non lo trovò.
«D’accordo.
Pikachu?»
«Pika?»
«Mi
fido
di te. Questo è il pacco, vai da Oak e portaglielo. Io ti
aspetto qui, non ho
il coraggio di vedere cosa è successo alla città.»
Pikachu
annuì, prese il pacco e corse verso Biancavilla. Red lo attese
pazientemente,
preoccupandosi sempre di più nell’attesa e cercando di non
pensare a cosa il Pokémon
avrebbe potuto trovare, fino a che non vide, letteralmente, un fulmine
giallo
correre verso di lui. Pikachu era tornato, ma sembrava a dir poco
isterico.
«PIKA!
PIKACHU! PIKACHU!!!»
Red
si
spaventò parecchio. Pikachu correva avanti e indietro urlando
come un ossesso,
in preda a una vera e propria crisi isterica. Alla fine lo
placcò.
«Calmati,
ti prego! È finita! È finita!»
Pikachu
lo guardò per un pochino, triste.
Poi
scoppiò a piangere, un pianto di sfogo. Red lo abbracciò
fino a calmarlo.
«Scusami,
scusami... non pensavo che la situazione fosse così grave! Non
ti manderò più,
va bene?»
Pikachu
annuì, e gli consegnò il Pokédex.
«Per
me?
Grazie!»
Red
ritirò il nuovo strumento, poi cercò di sorridere al suo
compagno, mentre
prendeva nuovamente il carretto.
«Andiamo?»
Pikachu
annuì e con un piccolo sorriso continuò a trotterellare
dietro al carretto.
Piano
piano raggiunsero nuovamente Smeraldopoli e, con un sospiro, Red si
avviò verso
l’uomo che, come gli avevano detto, poteva bloccare la sua strada.
...
uomo?
«Pikachu,
tu che sei l’esperto... ma quello non è un Clefary?»
Pikachu
annuì: «Pika.»
«A
me
avevano parlato di un vecchio... al massimo se ci intralcia sei pronto
a
combattere?»
«Pika!»
Red
passò
davanti all’essere e prontamente venne fermato.
«Oh!
Dopo
il caffè mi sento meglio!»
Il
ragazzo e il suo Pokémon sobbalzarono dalla sorpresa. Un Clefary che parlava? E beveva caffè?
«Certo
che puoi passare! Scusa se sono stato un po’ sgarbato
prima!»
Red
e
Pikachu si scambiarono uno sguardo perplesso, che poi si
trasformò rapidamente
in uno d’intesa. Come con Oak, come con il commerciante, tutti
compagni di
manicomio. Meglio sorridere e dargli ragione.
«Vedo
che
usi un POKÉDEX! Per scusarmi ti insegnerò come catturare
i POKÉMON!»
«Guardi,
ringrazio ma declino l’offerta, ho un Pikachu che è un
esperto in materia.»
«Meglio,
ho anche finito le Pokéball! Devo andare al
POKÉMON-MARKET a comprarne altre.»
E
il Clefary
si allontanò zampettando. Per un secondo Red si chiese se fosse
legale vendere
Pokéball a un Pokémon, poi si ricordò chi
fosse il venditore e fece per avanzare, ma solo allora
notò una ragazza che
lo fissava.
«Ciao...»
«Benvenuto
al CENTRO POKÉMON!»
Red
sbiancò. Un brutto ricordo gli tornò alla mente.
«No...non
può essere...»
«Rimettiamo
in sesto i tuoi POKÉMON! Vuoi che
guariamo anche i tuoi?»
«TU!!!
MI
STAI SEGUENDO??? UN CORNO CHE AVRAI PIKACHU, MI DEVI ANCORA UN
CHARMANDER!!!»
«Benissimo.
Allora dammeli!»
«MAI!!! »
Red
afferrò Pikachu, se lo mise sottobraccio e se la diede a gambe a
tutta
velocità.
«Pikachu!»
«Tranquillo,
quella non avrà anche te!»
«Pika!
Pika!»
«Uh?
Dici
che siamo abbastanza lontani?»
Il
Pokémon scosse la testa: «Pika...»
E
con le
sue braccine paffute iniziò a imitare di indossare uno zaino.
«Lo
zaino? È qui, ovviamen...»
Pikachu
lo guardò malissimo e Red ebbe l’illuminazione: «Il
carretto!»
Nella
fretta di scappare, il ragazzo aveva lasciato il famoso carretto degli
strumenti indietro. Facendo appello a tutto il suo coraggio
tornò indietro. La
ragazza non c’era più e il carretto era ancora lì.
«Sì!
Pikachu, è ancora...»
La
brutta
sorpresa la ebbe una volta preso il carretto e notandolo fin troppo
leggero.
Aprì lo zaino appoggiato sopra, trovandolo desolatamente vuoto.
«Maledetti...
ladri maledetti...»
Sospirando
desolatamente, Red riprese lo zaino sulle spalle: «Diciamo che un
problema è
risolto. Andiamo?»
Pikachu
sospirò a sua volta, probabilmente pensando a quanto fosse scemo
il suo
allenatore, e lo seguì.
«Andiamo...
dove?»
Red
si
ritrovò profondamente in crisi. All’uscita di
Smeraldopoli, infatti, non c’era
un normale percorso, ma un insieme di rocce e alberi chiuse da uno
specchio
d’acqua.
«Pikachu,
ho sbagliato strada?»
Il
Pokémon era sconvolto quanto lui. Come potevano andare avanti?
Il
ragazzo
continuò a riflettere insieme al suo Pokémon:
«Uhm... se l’acqua non è troppo
profonda e tu accettassi per un attimo di entrare nella Poké
Ball potrei
tentare il guado...»
Pikachu
manifestò il suo dissenso con un paio di scintille sulle guance
e Red ridacchiò
imbarazzato: «Mica ti tengo rinchiuso per tutto il viaggio, solo
il tempo di
attraversare questo laghetto... dai, cominciamo a vedere quanto
è profondo.»
Il
ragazzo prese un sasso e lo lanciò sulla superficie del lago, ma
questo, con
enorme sorpresa di entrambi... rimbalzò.
«Eh?»
«Pika?»
Red
si
avvicinò al lago e provò a immergerci un piede, con la
stessa accortezza con
cui aveva saggiato la voragine nel laboratorio del professor Oak.
Incredibilmente l’acqua sembrava reggere il suo peso
tranquillamente, come se
stesse camminando sul terreno.
Il
ragazzo camminò avanti e indietro un paio di volte, poi, sicuro
che reggesse,
invitò Pikachu a seguirlo. Il Pokémon era più in
ansia di lui, tanto che
dovette insistere parecchio per farsi seguire.
«Dai,
sarà come fare Surf per una volta! Un Pikachu che fa Surf!»
Il
Pokémon gli rifilò un’occhiata di ghiaccio degna di
un Articuno, ma alla fine
lo seguì.
«Secondo
te
il lago è ghiacciato?»
Pikachu
fece una smorfia poco convinta: «Pika...»
«Già,
non
sembra neanche a me. Non importa, andiamo.»
Dopo
aver
attraversato il Bosco Smeraldo a suon di fulmini di Pikachu per
spianarsi la
strada, finalmente il duo giunse a Plumbeopoli. Per pura scaramanzia
Red non
osò neppure dirlo ad alta voce, ma sperò che almeno in
questa città fosse tutto
a posto.
Si
avvicinò a un signore: «Mi scusi, saprebbe indicarmi il
Centro Pokémon?»
Il
signore esclamò: «Una macchinetta! Ecco i prodotti!»
«Eh?»
E
il
signore aprì di scatto la giacca, mostrando un ampio
assortimento di lattine
cucito all’interno della fodera.
«Avanti,
la vuoi comprare una lattina?»
«Ehm...
guardi,
no, grazie, non ho sete.»
A
quelle
parole l’uomo richiuse la giacca offeso e si allontanò.
«Cominciamo
bene... vediamo se troviamo questo Centro Pokémon.»
Red
girò
per la città più volte, ma non riuscì a trovare
l’edificio che stava cercando;
trovò il Pokémon Market, seppure con un cartello che ne
dichiarava la chiusura,
ma del Centro nessuna traccia. Seppure titubante, Red si trovò
costretto a
dover chiedere a un vecchietto ulteriori indicazioni.
«Come
dov’è il centro Pokémon? Ci sei dentro,
ragazzo!»
«Eh?
Come?»
«Non
vedi
là l’infermiera Joy dietro al bancone?»
Red
si
guardò intorno: «Quale bancone?»
Guardandosi
intorno dopo quell’informazione, Red poté riconoscere la
disposizione delle
persone tipica di un Centro Pokémon, seppure non si fosse
neppure accorto di
aver attraversato una porta. Strinse per un momento con forza i pugni,
poi
respirò profondamente.
«Facciamo
quello che dobbiamo fare e andiamocene, per favore.»
Pikachu
annuì e lo seguì, dopodiché i due
“uscirono” e cercarono di esplorare la città.
«È
un
peccato che il Pokémon Market sia chiuso, qualche strumento
poteva esserci
utile...»
Pikachu
ridacchiò, ma Red lo guardò di storto: «Non
raccolgo la tua provocazione.
Piuttosto, vediamo se troviamo qualche indicazione utile...»
Si
avvicinò a un cartello e si chinò per leggere.
«Dunque,
c’è scritto... “Benvenuto al
Pokémon
Market”?»
Red
si
guardò intorno. Quale Pokémon Market?
Pikachu
gli indicò il cartello. Con sua grande sorpresa la scritta era
cambiata.
«”Compra, vendi, esci”... ma sono seri? E
se io volessi comprare... non so... una pozione?»
Dal
palo
a cui era appeso il cartello si aprì uno sportellino e
l’ordinazione uscì da
lì.
«”Ecco a te”...»
Red
e
Pikachu si scambiarono un’occhiata perplessa. Erano di fronte
all’ennesima
bizzarria o all’invenzione del secolo?
«Eh,
da
me no ma dal cartello sì! Cos’è questa
storia?»
Red
si
girò di scatto. Dietro di lui c’era il tizio che aveva
cercato di vendergli le
bibite.
«Massì,
togliamo lavoro agli onesti cittadini, facciamo fare tutto alle
macchine! Poi
vedi, vedi? Il Pokémon Market ha chiuso! Tutti noi ci
ritroveremo senza lavoro!
E allora che faremo? CHE FAREMO???»
Nella
foga della sua filippica l’uomo aveva afferrato Red per le
spalle, stringendo
piuttosto forte. Il bambino si lasciò sfuggire una smorfia di
dolore e Pikachu
decise di intervenire in difesa di quel pappamolle del suo Allenatore:
con un
Attacco Rapido allontanò l’uomo da Red, con una Tuononda
lo paralizzò sul posto
e con un Tuonoshock mise fine alla discussione.
Il
bambino si passò una mano sugli occhi, come a voler dimenticare
la scena: «Io
davvero non so se tu sia un perfetto criminale da strada o una
fantastica
guardia del corpo... allontaniamoci prima che ci arrestino!»
Fuggendo
verso nord, Red andò quasi a sbattere contro un edificio.
«”Museo della scienza”... che ne dici,
Pikachu, ci prendiamo una pausa?»
Pikachu
alzò le spalle.
«Lo
so
che tu preferisci le scazzottate, ma
ogni tanto un po’ di cultura fa bene.»
Il
Pokémon lo guardò come a dirgli che preferiva il
culturismo alla cultura, ma
alla fine lo seguì. Un uomo all’ingresso li fermò
quasi immediatamente: «I
bambini pagano P
50! Vuoi
entrare?»
Red
fu
rassicurato dalla professionalità e dalla pacatezza
dell’inserviente: «Sì.»
«Bene,
sono P
50!
Grazie!»
Il
bambino consegnò i soldi all’addetto, che con un sorriso
li prese, ma invece
che fargli il biglietto, come si sarebbe aspettato, lo afferrò
di forza per un
braccio e con una forza sovrumana lo sollevò di peso e lo
trascinò dietro al
bancone.
«EHI!!!»
Pikachu
balzò subito anche lui, pronto a fulminare tutto e tutti, ma
quando arrivò
dall’altra parte non c’era più nessuno, a parte uno
spaventatissimo Red. Il
Pokémon si parò davanti, pronto a difenderlo da qualunque
minaccia, ma nemmeno
lui era veramente pronto a quanto vide.
Mobili
e
teche distrutte, a pezzi, rimontati in modo assurdo, erano disposte sul
pavimento in modo che definire disordinato era un eufemismo, in
un’atmosfera a
metà fra un museo di arte moderna e un film horror. Come se non
bastasse,
calcinacci e massi cadevano dal soffitto in continuazione, rischiando
seriamente di schiacciarli.
«PIKA!»
Il
Pokémon prese il controllo della situazione: morse la maglietta
di Red,
costringendolo a seguirlo, scavalcò nuovamente il bancone e lo
spinse fuori
dall’edificio.
«Che...
diavolo... era... quello?»
Pikachu
non sapeva più cosa rispondergli, quindi Red prese la sua
decisione:
«Andiamocene. Questa città sembra essere ancora più
folle delle precedenti.»
I
due si
avviarono verso est, fino a che un ragazzo non cercò di
bloccarli: «Sei un
allenatore, vero? BROCK sta cercando nuovi sfidanti. Vieni!»
E
cercò
di afferrare Red per un braccio. Il bambino, stufo di essere trattato
come una
Pokébambola, con un cinismo che all’inizio
dell’avventura non avrebbe mai
pensato di poter sviluppare, spinse via il ragazzino con tutte le sue
forze e
si limitò a indicarlo con un cenno della testa: «Pikachu,
sai cosa fare.»
Con
una
gioia e un sadismo che avrebbero spaventato il suo Allenatore fino a
poco
prima, ma che ora lo lasciava del tutto indifferente, Pikachu
incenerì chi si
frapponeva fra loro e il prossimo percorso. Red si limitò a
dargli una carezza:
«Bravo. Andiamo.»
Pikachu
gli restituì uno sguardo orgoglioso, come se fosse fiero che
finalmente avesse
capito come girava il mondo, e il bambino sorrise amaramente. Ormai non
gli
importava più di passare per criminale o assassino, erano solo
loro due contro
un mondo pazzoide, e in qualche modo dovevano sopravvivere.
Raggiunsero
il Monte Luna abbastanza in fretta, lasciando dietro di loro una serie
di
allenatori e di Pokémon bruciacchiati e abbrustoliti. Red
sospirò.
«Sei
pronto?»
Per
tutta
risposta Pikachu si scrocchiò le zampe.
«Ma
che
te lo chiedo a fare? Andiamo!»
I
primi
passi all’interno della grotta furono rallentati dalla nuvola di
Zubat che li
aggredì quasi subito. Red li allontanò a colpi di
zainetto fino a farsi largo e
a raggiungere il primo cartello, al fianco del quale
un’allenatrice li
attendeva.
Non
appena li vide, infatti, disse: «Che? Aspetto che arrivino i miei
amici.»
Red
la
guardò come a dirle “e a me che importa?”, ma gli
sguardi erano stati
incrociati e la sfida era inevitabile. Lo stormo di Zubat si frappose
fra loro,
nascondendogli per un momento l’allenatrice, ma quando questo
passò...
Red
si
strofinò gli occhi, convinto di avere le allucinazioni a causa
dei continui
Supersuoni degli Zubat. La ragazza era diventata di colpo un Wigglytuff
e
intendeva combattere come un allenatore!
Il
bambino era sconvolto: «Pikachu, vai avanti tu, questo è
pane per te...»
Il
Pokémon non se lo fece ripetere due volte. Wigglytuff fece il
gesto di lanciare
una Pokéball, mentre Pikachu, prendendo in contropiede il suo
Allenatore, lo
spinse avanti.
«Pikachu,
cosa fai?»
Fu
allora
che capì. Pikachu non aveva perso il vizio di credersi un
allenatore:
semplicemente fino a quel momento lo aveva protetto come se fosse lui il suo Pokémon, il suo
Pokémon piccolo e ribelle che non voleva
entrare nella Pokéball e che andava protetto affinché
potesse crescere! Era
sconvolgente, ma in un mondo completamente impazzito forse era il
problema meno
grave: dopotutto, anche se a modo suo, Pikachu gli voleva bene, lo
aiutava e
proteggeva, ed era la creatura più sana di mente che avesse
incontrato
dall’inizio della sua avventura.
«Ehm...
Pikachu, cosa dovrei fare secondo te?»
Il
Pokémon alzò gli occhi al cielo estenuato, iniziando a
tirare pugnetti davanti
a sé.
Red
era
sconvolto: «Dovrei picchiarlo?»
Il
Pokémon incrociò le braccia e lo guardò come a
dirgli “conosci mosse di cui io
non sono a conoscenza o hai idee migliori?”, ma ci fu un colpo di
scena: il
Wigglytuff in realtà non aveva alcuna Pokéball con
sé e sembrava confuso.
Pikachu cominciò a incitare Red, come a dirgli che era quello il
momento giusto
per colpire, ma il bambino si rifiutò: «Non colpirò
un Pokémon indifeso!»
Un
altro
stormo di Zubat coprì nuovamente la vista dell’avversario
e nel tempo in cui
Red abbassò il braccio con cui si era protetto il volto ebbe una
nuova
spiacevole sorpresa.
«CHE
COSA???»
Pikachu
era sconvolto quando il suo Allenatore.
«Mi
rifiuto di combattere con un Ditto versione Allenatore! Questo mi fa a
polpette, gambe!!!»
Nonostante
le proteste del Pokémon, Red afferrò Pikachu, se lo mise
sotto braccio e uscì
di corsa dal Monte Luna, rallentando solo vicino a Plumbeopoli.
«Basta…
basta…»
«Pika?»
Red
sospirò: «Io mi rifiuto di andare avanti in queste
condizioni. Basta. Scusami,
Pikachu, mi arrendo. È troppo per me.»
Il
Pokémon sembrava leggermente deluso, ma Red continuò:
«Tu forse puoi continuare
a farti strada a suon di pugni, ma io non ci riesco. Solo che…
non so cosa
fare, o a chi rivolgermi. La mamma è invisibile e parla in
codice, il Professor
Oak non ci sta con la testa, Blue neanche capisce il problema…
chi mi è
rimasto?»
Pikachu
alzò la zampina e Red sorrise intenerito: «A parte
te…»
Poi
si
fermò, come avesse avuto un’illuminazione:
«Aspetta… c’è!
C’è un’altra persona!»
«Pika?»
Red
si
alzò, nuovamente pieno di entusiasmo: «Vieni! Dobbiamo
tornare indietro!»
Pikachu
era sempre più confuso, ma non ebbe altra scelta che seguire il
bambino, che
con passo deciso attraversò di nuovo Plumbeopoli e
Boscosmeraldo, fino a
tornare a Smeraldopoli.
«Ci
siamo
quasi, ci basta solo… uh?»
«Pika?»
«Non
ti
senti… osservato?»
Il
Pokémon si guardò intorno: «Pika?»
Red
non
riusciva a togliersi di dosso un brivido, un senso d’inquietudine.
«Pika?»
Red
si
fermò. Era una sensazione che aveva già provato, ma non
riusciva a identificare
quando. Brividi, fastidio, angoscia…
Poi
la
vide.
Il
ragazzino sbiancò. Era la ragazzina posseduta
dall’infermiera Joy che aveva
cercato di prendersi Pikachu!
«T-T-Tu…
I-Indietro! N-N-non avrai Pikachu!»
La
ragazza si fermò proprio di fronte a lui, sorridendo in modo
inquietante.
«Benvenuto!
Rimettiamo in sesto i tuoi POKÉMON!»
«So
come
rimetti in sesto i Pokémon, tu! Il mio Pikachu è a posto,
e lo era pure il mio
povero Charmander! Dov’è?»
«I
tuoi
POKÉMON sono in perfetta forma!»
Red
fece
appello a tutto il suo coraggio per rispondere senza distogliere lo
sguardo: «Dov’è Charmander?»
La
ragazza tirò fuori una Poké Ball: «I tuoi
POKÉMON sono in perfetta forma!»
Poi
porse
anche l’altra mano, vuota, e il suo volto assunse
un’espressione malvagia: «Benissimo.
Allora dammeli!»
E
si
avventò verso la cintura di Red, per afferrare la Poké
Ball di Pikachu. Il
bambino reagì d’istinto, buttandosi ad abbracciare il suo
Pokémon e facendogli
scudo con il proprio corpo per proteggerlo. Dopo qualche secondo in cui
rimase
immobile con gli occhi chiusi, chiedendosi quando la pazza lo avrebbe
aggredito, si rese conto di cosa effettivamente fosse successo.
La
ragazza era dietro di lui. L’aveva attraversato da
parte a parte, come…
«Un…
fantasma?»
La
figura
si voltò e gli sorrise, questa volta dolcemente. Allungò
lentamente un braccio,
per poi indicare un punto ai piedi di Red.
«I
tuoi
POKÉMON sono in perfetta forma!»
Il
bambino abbassò lo sguardo. Ai suoi piedi, perfetta, c’era
una Poké Ball. Non aveva
bisogno di controllare, sapeva perfettamente quale Pokémon
contenesse.
«Guariamo
anche i tuoi.»
Red
prese
in mano la sua Poké Ball e improvvisamente capì. Quel
fantasma, seppure
prigioniero del suo ruolo, non gli era ostile, anzi! Aveva posseduto
Blue per
impedire al suo rivale di sempre di sfidarlo, di costringerlo a tirare
fuori un
Pokémon che avrebbe avuto più problemi di chi glielo
aveva consegnato, che
forse non gli avrebbe nemmeno ubbidito, o sarebbe stato informe, gli
avrebbe
moltiplicato strumenti che non aveva*
o chissà
quale altra stramberia. Lo aveva preso per fare quello che fanno tutte
le
infermiere Joy, curarlo! Forse la seconda volta aveva persino cercato
di
restituirlo, ma lui era scappato a gambe levate; quindi aveva tentato
un’ultima
volta, fingendosi ciò che Red aveva pensato fino al quel momento
che fosse, pur
di avere un’occasione per consegnarlo al legittimo proprietario.
Non era un
fantasma, era un angelo custode.
Il
bambino,
per dimostrarle che aveva capito, fece uscire il Pokémon dalla
sfera. Era un
cucciolo di Charmander, vispo e in buona salute.
«I
tuoi
POKÉMON sono in perfetta forma!»
Red
annuì: «Ora lo so. Grazie, e scusa se non ho capito fino a
questo momento.»
Il
fantasma
sorrise, facendo un inchino: «Arrivederci!»
E,
voltandosi, fece giusto qualche passo per poi svanire nel nulla.
«Uao…»
Pikachu
aveva l’aria altrettanto sconvolta, mentre Charmander si guardava
intorno con
aria smarrita e curiosa.
Red
si
diede due piccoli colpi sulle guance per riprendersi, poi si rivolse ai
suoi
Pokémon: «Bene, pare che la squadra sia appena
raddoppiata! Pikachu,
Charmander, Charmander, Pikachu! Spero che andrete
d’accordo!»
Charmander
sorrise al suo nuovo compagno di avventure, mentre il Pokémon
elettrico aveva
una faccia che sembrava dire “Ma perché le disgrazie
devono venire tutte a me?
Questo sembra più rimbecillito dell’altro!”, ma alla
fine sembrò accettare di
dover salvare la pelle a entrambi.
Red
sorrise: «Bene, perché ci servirà tutto
l’aiuto possibile per tornare.»
Solo
a
quella frase Pikachu comprese dov’erano diretti.
«Sì,
stiamo proprio tornando a Biancavilla. E non mi guardare così,
ho le mie buone
ragioni!»
«Pika?»
«Sì,
davvero, Pokémon di poca fede! Stiamo tornando dall’unica
persona che non sono
ancora riuscito a vedere… e che mi deve ancora una formula
magica per
aggiustare il parquet!»
Tenne
Charmander fuori dalla Poké Ball ancora per tutto il percorso 1,
poi, al
confine con la temuta Biancavilla, lo fece rientrare.
«Voglio
preservare la tua innocenza sulla follia di questo mondo ancora per un
po’, se
possibile.»
Poi
guardò Pikachu: «Non ti chiederò di farlo. Un cenno
e ti faccio rientrare.»
Il
Pokémon indugiò, evidentemente ancora spaventato
dall’ultima esperienza, poi
guardò con convinzione Red e annuì.
«Pika!»
Il
bambino gli sorrise: «Grazie»
Pikachu
cercò di mostrare più sicurezza di quanto non provasse,
con uno sguardo alla
“L’abbiamo cominciata insieme, la finiremo insieme”.
Quindi, con un profondo
respirone, varcarono il confine.
Biancavilla
era più normale di quanto si aspettassero. Per un attimo Red
pensò di andare a
trovare sua madre, ma poi si diresse direttamente verso il suo
obiettivo: la
casa di Blue. Il bambino indugiò sulla porta, poi trovò
il coraggio e bussò.
«Permesso…»
Un
urlo
femminile lo paralizzò peggio che un Tuononda di Pikachu.
«Red,
fermo dove sei, ho appena lavato il pavimento!»
Il
ragazzo si spostò dalla porta, consapevole che, dopo tutti quei
giri nell’erba
alta, le sue scarpe erano in condizioni pietose: «Scusami,
scusami tanto…
volevo solo parlarti!»
«Ti
dico
io quando entrare, aspetta lì!»
«Certo!»
Il
sospiro che sfuggì al ragazzo, nonostante tutto, era di
sollievo. La sorella di
Blue sembrava proprio essere normale, così come se la ricordava.
Forse c’era
una speranza. Troppo eccitato per stare fermo, il ragazzo
cominciò a camminare
avanti e indietro, come un ossesso, mentre Pikachu lo guardava,
sforzandosi di
non fissare il resto della città.
Dopo
un
numero imprecisato di giri, Red si stufò di aspettare.
«Senti,
io entro, poi piuttosto le pulisco io il pavimento. È troppo
importante.»
Pikachu
annuì e insieme varcarono la porta.
«Sto
entrando…»
Entrambi,
tuttavia, si fermarono sull’uscio, sorpresi.
«Ma
che…»
Red
era
andato molte volte a casa del suo rivale, soprattutto quando erano
più piccoli,
ma per quanto potessero aver fatto rinnovamenti all’arredamento,
qualcosa non
quadrava. Di fronte a loro si stagliava una zolla d’erba. Pikachu
si voltò per
tornare indietro, ma la porta era scomparsa.
«Ok,
dove
siamo?»
«Pika?»
«Non
lo
sai neanche tu, eh? Aspetta, là sembra esserci una città,
magari riusciamo ad
orientarci.»
I
due
varcarono la soglia della città sconosciuta, vagando fino a
trovare un
cartello.
«”Azzurropoli, città dei sogni arcobaleno”…
Azzurropoli? Ma è dall’altra parte
di
Kanto!»
Pikachu
era sconvolto come lui: «Pika!»
«Cioè,
o
abbiamo involontariamente scoperto il segreto del teletrasporto, il che
potenzialmente ci renderebbe immensamente ricchi, o qualcosa non
quadra…»
Pensò
a
cosa potesse fare. Entrò al Centro Pokémon, dirigendosi
istintivamente verso il
computer, poi si fermò davanti alla tastiera. Che stava facendo?
Stava davvero pensando seriamente di
chiamare il Professor Oak? Red scosse la testa. Non era ancora
così
disperato. Doveva tornare dalla sorella di Blue e lo avrebbe fatto, a
costo di
ripercorrere tutta Kanto. Con un sospiro uscì e si diresse verso
l’enorme
Centro Commerciale, indugiando un po’ sulla porta. Se proprio
doveva ripartire,
era meglio fare una bella scorta di strumenti, nella speranza che il
suo zaino
fosse in vena di collaborare.
Ma
anche
questa volta, varcata la soglia, si ritrovò nel posto sbagliato.
«Pikachu…
questa volta dove siamo?»
Il
Pokémon
si guardò intorno. In un certo senso avevano fatto un passo
avanti, per lo meno
questa volta si trovavano effettivamente all’interno di un
edificio, che però
non aveva niente a che fare con un negozio. Era un corridoio pieno di
statue
Pokémon, dall’aria solenne, occupato solo da un uomo con i
guantoni da boxe.
Red,
disorientato, provò a chiedere: «Mi scusi…»
L’uomo
lo
ignorò completamente, rimanendo perfettamente impassibile, tanto
che il ragazzo
iniziò a pensare che fosse pure lui una statua. Tuttavia, nel
loro improbabile
teletrasporto, si erano ritrovati di fronte a una porta.
«Un
invito più chiaro di così… andiamo, Pikachu!»
Aprirono
la porta, ritrovandosi in un’altra stanza, completamente senza
arredamento. Una
figura li attendeva.
«Blue?»
Ma
dopo
un paio di passi la persona scomparve.
«Blue?
Dove sei finito? Pikachu, l’hai visto pure tu, vero? Non me lo
sono inventato!»
Pikachu
era sempre più confuso, come se fosse stato colpito dai
Supersuono di tutti gli
Zubat di Monteluna contemporaneamente.
«Allora,
qua non escludo più nulla, abbiamo visto pure i fantasmi in
questa storia… ma
indietro non so come tornare, non so neanche più dove sono,
quindi ormai io ho
deciso, c’è un’altra porta e io vado avanti. Sei con
me?»
Il
Pokémon annuì rassegnato, non c’era altra scelta.
Facendo appello a tutto il
loro coraggio, aprirono l’ultima porta. In questa stanza
c’era solo un
computer, e di fronte ad esso…
«Professor Oak?»
Guarda
il
video originale
o
guarda
una spiegazione
dettagliata
Era
assurdo. Non lo aveva voluto chiamare al Centro Pokémon, e ora
era lì, di
fronte a lui.
«Ehm
ehm!
Congratulazioni, RED! Questa è la SALA D'ONORE
POKÉMON!»
Red
sbarrò gli occhi dalla sorpresa: «Aspetta-aspetta-aspetta,
COSA??? Quella Sala d’Onore? Quella
della…»
Oak
continuò: «I campioni della LEGA POKÉMON sono
onorati in questa sala per le
loro imprese!»
Il
ragazzo iniziò a guardarsi intorno con ammirazione. Era nel
tempio di ogni
Allenatore degno di questo nome, il sogno proibito di chiunque
allenasse
Pokémon seriamente.
«E
i loro
POKÉMON vengono iscritti in questa SALA D'ONORE. RED! Hai
lavorato sodo per
diventare il nuovo campione della LEGA!»
Solo
a
quel punto Red iniziò a capire il discorso del Professore:
«Cosa? Sono il Campione? Davvero? Ma non ho affrontato neanche una Palestra!»
«Congratulazioni,
RED, tu e i tuoi POKÉMON siete famosi ora!»
Famosi
per cosa?
Per
essere sopravvissuti a un mondo a pezzi? Be', mettendola così in
effetti era un
buon motivo per diventare famosi…
Il
Professore prese le due Poké Ball e le mise nel computer,
registrando Red come
Campione ufficiale della Lega Pokémon, che risultava essere
stata battuta con
un Pikachu di livello 25 e un Charmander di livello 5.
Il
Professore, restituendo a Red le sue Poké Ball, gli chiese:
«Allora, a questo
punto cosa farai? Mi hanno detto che c’è un Pokémon
rarissimo in una grotta
vicino a…»
Il
ragazzo lo fermò subito: «La ringrazio, ma ho già
deciso cosa farò. Tornerò da
chi mi ha dimostrato coerenza e amore in questa avventura.»
Oak
sorrise intenerito: «Tua madre?»
Red
si
tolse il cappello e se lo mise sotto il braccio: «Macché!
Il mio Super
Nintendo! Non ho più intenzione di muovermi da camera mia!
Pikachu, Charmander,
andiamo! Ci siamo meritati una luuunga vacanza!»
Oak
rimase allibito: «Ma… ma tu… sei il
Campione…»
«Sì,
di
sopravvivenza, e ho intenzione di continuare a difendere il titolo a
lungo! Ci
si vede… anzi no!»
E
con una
soddisfazione infinita Red e Pikachu uscirono dalla Lega a testa alta.
Non
importava come e quando sarebbero riusciti a ritornare a Biancavilla,
ormai la
loro avventura era giunta alla