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Autore: Elayne_1812    17/08/2017    2 recensioni
Non solo Kim Kibum era in grado di destreggiarsi con l’energia pura, un’abilità innata estremamente rara, ma era anche la chiave d’accesso al trono di Chosun. Cose che un ambizioso e scaltro come Heechul non poteva ignorare.
(dal prologo)
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- Io…mi sento vuoto. – disse semplicemente.
Vuoto? Non c’era niente di vuoto in quello sguardo ammaliante, in quelle labbra del colore dei fiori di ciliegio, in quegli sguardi decisi e al contempo imbarazzati. Come poteva essere vuoto, Key, quando era tutto il suo mondo?
Sopra di loro le nubi si stavano aprendo, rivelando sprazzi di un cielo puntellato di stelle. Jonghyun fissò gli occhi neri e profondi di Key, insondabili e affascinanti quanto la notte più misteriosa. Così belli che anche le stelle avevano decisi di specchiarvisi.
-Tu non sei vuoto, Key - disse Jonghyun, -io vedo l'universo nei tuoi occhi. - (dal capitolo 9)
jongkey, accenni 2min
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Sono in clamoroso ritardo, lo so, a mia discolpa posso dire che vi avevo avvisati XD quindi sono perdonata? Spero che mi perdonerete una volta giunti alla fine di questo lungo capitolo ^^
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori.
Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Ichabod_Crane, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa,  MagicaAli e SHINee4ever  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
 
Capitolo 38
Get the treasure (parte I)
 
 
“We don’t have time to hesitate no no
When we shine, it’s over, time is money
After all, life is just a mirage
But love is the only thing, that doesn’t surrender
The treasure sleeps behind the cellar’s door
The final security, is unlocked in an instant
The darkness that shines in the cat’s eye
That eye is just for me.”
Shinee, Get the treasure
 
“No matter how brightly the stars shine
Reminded of you, I am only pained
If all things beautiful were to disappear
Would I be able to forget.
On the morning when the moon dims I set off
Even if the birds’ songs brush against my ears
See I still remain trapped here by my love for you.”
Taemin, Flame of Love
 
 
 
La luce rosata del primo mattino sfumava in una tenera tonalità violetta sui tendaggi bianchi e sottili del baldacchino. Le lenzuola di seta pregiata giacevano sfatte come se tra di esse vi si fosse consumata una battaglia, lo stesso disordine regnava sui tappeti cosparsi di cuscini e gli abiti abbandonati su poltrone e divani.
Semi sdraiato sull’alto materasso e vestito di una semplice camicia di cotone e dei pantaloni scarlatti, Heechul sogghignò osservando con soddisfazione non solo il disordine all’intorno, testimone silente di una notte passionale, ma anche quello sulla scacchiera davanti a lui, quanto meno dal lato del campo del suo avversario. Le pedine d’avorio di Kibum sembravano in estrema difficoltà, mentre le sue, di nera ossidiana, avanzavano facendo strage di pedoni, alfieri e cavalli. Heechul si sfregò il mento con l’indice, meditando le prossime mosse per giungere allo scacco matto; se Kibum avesse continuava a giocare in quel modo incauto non sarebbe stato difficile. Fece scivolare gli occhi oltre la scacchiera per incontrare la figura aggraziata del principe ed il suo senso di soddisfazione aumentò. Kibum era sdraiato a pancia in giù, indossava una lunga camicia di cotone e le gambe nude dondolavano seguendo un ritmo silenzioso che doveva risuonare unicamente nella sua testolina. Heechul osservò il viso concentrato dell’altro posato sul palmo di una mano, mentre l’altra ondeggiava a mezz’aria alla ricerca della pedina giusta da spostare. Kibum arricciò le labbra a cuore e Heechul si umettò le proprie. La immagini di quelle ultime notti, e non solo, che avevano passato insieme fluttuavano sfuocate nella sua mente, circondate da un alone di luce dorata ed incandescente. Possedere il corpo del più piccolo era esattamente come aveva sempre sognato. Sublime. Inebriate sia per la mente, sia per i sensi. Subito fu attraversato da una serie di brividi caldi e s’impose di distogliere lo sguardo per tornare a concentrarsi sulla partita che, allo stato attuale, sembrava prevedere lui come vincitore indiscusso.
La mano di Kibum ondeggiò ancora qualche secondo, poi spostò un cavallo e si coprì la bocca per celare uno sbadiglio. Heechul assottigliò gli occhi ed inarcò un sopracciglio.
-Sul serio, Bum, hai aspettato tutto questo tempo per fare una mossa tanto sciocca? –
Kibum sbuffò sonoramente dando sfogo a tutta la noia che in quel momento l’affliggeva. Heechul roteò gli occhi.
-Credevo di averti insegnato a giocare decentemente a scacchi molto tempo fa. –
Kibum lo guardò di sottecchi.
-Tu sei più bravo -, miagolò in tono lamentoso.
Il principe sapeva bene che i modi migliori per quietare Heechul erano le lusinghe, le fusa ed i baci, tutte tecniche che aveva affinato ad arte.
-E tu sei distratto. –
Senza esitare, Heechul spostò un alfiere, mangiò un pedone e lo fece oscillare davanti al naso del più piccolo.
-Ti ho mangiato un pedone -, disse per rimarcare. –In realtà ti ho mangiato ben sei pedine, mentre tu meno della metà. –
Kibum si stiracchiò e rotolò sul materasso per raggiungere un vassoio d’argento pieno di dolcetti.
-A me non interessa mangiare le tu pedine -, disse infilandosi in bocca un bignè alla crema.
Heechul sogghignò. –Naturalmente tu preferisci mangiare altro. –
Kibum si sedette sulle ginocchia e si ripulì le mani dalle tracce lasciate dalla crema, proprio come un micio si occupa della pulizia delle proprie zampette morbide. Sbirciò di sottecchi il viso improvvisamente cupo dell’altro e si rabbuiò a sua volta. L’espressione meditabonda di Heechul non andava affatto bene, non solo poteva essere rischiosa, ma ciò stava anche a significare che i suoi continui sforzi stavano dando ben pochi frutti. La distrazione che stava fornendo al più grande era puramente momentanea e Kibum se ne accorgeva ogni ora di più. Aveva fatto di tutto per attirare su di sé tutta l’attenzione di Heechul, eppure l’aveva udito con le sue stesse orecchie impartire ordini irritati a Kyuhyun e lamentarsi con Yesung. Tutto a causa di Jonghyun. Più si avvicinava il giorno dell’incoronazione, più Heechul sembrava ansioso in quel senso e quello che inizialmente aveva considerato come un piccolo ed irritante neo, ora si era straformato in una macchia terribile. Ormai in possesso di tutto ciò che desiderava, o ad un misero passo dall’ottenerlo, quell’unico problema gli appariva sin troppo vistoso.
Come il suo merletto, pensò Kibum arricciando il naso.
-Devo estirpare questo problema alla radice -, l’aveva udito sibilare tra i denti rivolto a Yesung.
Kibum era spaventato, un fascio di nervi ed ansia che s’allentava solo quando si ritrovava da solo con Heechul. In quei momenti non poteva fare altro che staccare la spina ed assecondare i desideri del più grande, o giocare con lui, per il resto rimaneva in attesa come il navigante solitario che, nel bel mezzo di una tempesta, prega di raggiungere presto un porto sicuro.
Lo sguardo di Heechul era corrucciato. Stava pensando e lo stava facendo con troppa intensità, qualcosa che Kibum non gli poteva assolutamente permettere.
Il principe gattonò verso il più grande.
-Chulll –, gli miagolò dritto in viso.
Heechul sembrò ignorarlo e Kibum si mordicchiò il labbro inferiore, preoccupato. Non andava affatto bene. Scivolò dietro la schiena dell’altro, posò le mani sottili sulle spalle di Heechul, gli fece le fusa sul collo con la punta del naso e soffiò piano.
-C’è qualcosa che ti preoccupa? – domandò, fingendo ingenuità.
-No. –
La risposta del più grande risuonò distante, atona e sfuggevole quanto lo stesso sguardo di Heechul perso nell’oscillare delle tende che dipingevano ombre sul suo viso.
Kibum gli strinse le braccia intorno al collo e aumentò le fusa d’intensità, poi baciò una guancia del più grande.
-Sembri…teso -, disse.
Quello davvero teso era lui, Kibum. Giocare con Heechul era davvero come giocare con il fuoco: pericoloso ed imprevedibile.
Heechul inclinò lo sguardo su di lui ed inarcò il lato destro delle labbra carnose in un sorriso mellifluo, Kibum lo fissò a sua volta da sotto le ciglia.
-Nulla di cui un dolce micetto come te debba preoccuparsi – disse il più grande.
Kibum simulò un sorriso. Lui era molto preoccupato. Il tempo incalzava e se nelle ultime settimane era stato teso, ora il tempo gli pareva cristallizzato in un eterno incubo pronto a scorrere veloce solo quando la sua bolla s’infrangeva. Il principe stropicciò le mani sulle spalle del più grande, mentre questi gli cingeva i fianchi per trascinarlo sulle sue cosce.
-Qualunque cosa ti stia affliggendo, non ne hai motivo -, disse Kibum prendendogli il viso tra le mani e costringendo Heechul a guardarlo dritto negli occhi.
Desiderava che le sue parole scivolassero nella mente del più grande come una linfa tanto dolce quanto pericolosa.
-Noi abbiamo tutto ciò che desideriamo, siamo ciò che tutti vorrebbero essere. Nessun pensiero inutile dovrebbe affliggerci, ciò che sta oltre queste mura è niente. Noi siamo tutto e tu hai tutto ciò che vuoi e che ti spetta. –
Sorrise.
– Me -, sussurrò con una punta d’orgoglio. – E presto Chosun. -
Non era forse tutto questo che Heechul pensava e desiderava sentirsi dire, che rimarcava costantemente tra loro e palesava davanti alla corte?
Kibum intendeva assuefarlo con il suo stesso dolce veleno.
L’unica cosa di cui davvero dovresti preoccuparti, ora, sono io. Per quanto tu abbia apparentemente il pieno controllo della situazione il vero gioco sono io a condurlo.
Come a confermare i suoi stessi pensieri Kibum lo baciò lentamente, poi lasciò che l’altro prendesse il controllo e lo spingesse tra i cuscini. Sopra d lui, Heechul sorrise soddisfatto.
-Rammentami quando abbiamo iniziato a litigare? –
Kibum fece spallucce ed abbassò lo sguardo.
-Uhm -, fece pensoso.
Oh, lui rammentava molto bene. Aveva udito discorsi che l’aveva ferito molto, forse Heechul non ne aveva alcuna memoria, ma lui vi aveva rimuginato parecchio prima di rassegnarsi totalmente al fatto di aver perso Chul per sempre.
Senza riflettere allungò una mano verso il capo di Heechul, affondando le dita sottili nella chioma castana del più grande. Per quanto tempo aveva sperato di sbagliarsi, di ritrovare un giorno l’affetto di un tempo e lasciarsi alle spalle la paura, la rabbia, il disgusto per gli sguardi dell’altro ed il senso d’umiliazione? Innumerevoli. Per anni aveva cercato un fantasma dissoltosi nella notte. Anche in quelle settimane una parte di lui aveva cercato e sperato invano, ma ormai lo sapeva da tempo che era tutto perduto. Heechul lo era. Loro. L’ultimo sprazzo di affetto sincero era tornato in superfice di fronte alla tomba bianca di sua madre per poi svanire. Una luce fugace spentasi definitivamente. Aveva già pianto per questo e ora come ora sentiva di non avere più lacrime da versare. Ne aveva già fatte scorrere a fiumi in passato.
Guardò il viso di Heechul sopra di lui. Un cuore gelido, animato da occhi incandescenti. Il più grande lo scrutò, desideroso, e Kibum sorrise amaro dentro di sé, mentre sul suo viso mostrava un sorriso zuccherino.
-Non ricordo - disse evasivo.
Da quando hai barattato il tuo affetto per me per la mera ambizione ed il semplice desiderio di avermi.
Kibum sospirò. Era ridicolo, dopo anni riusciva ancora a provare dolore per quello!
Dovrei cancellarlo come lui ha cancellato il suo affetto sincero per me.
Heechul sogghignò. – Quanto tempo sprecato. Sia cosa vorrei mangiare al posto delle tue sciocche pedine? Te. –
Baciò il più piccolo con foga facendo scorrere le mani lungo il suo corpo ed accarezzandogli le cosce. A Kibum sfuggì un lamento tra le labbra dell’altro quando Heechul si pesò totalmente su di lui.
-Ti voglio – gli sussurrò Heechul all’orecchio. –E’ un peccato che ora non abbia proprio il tempo di rimanere qui a giocare. –
Heechul si staccò e scese dal letto.
Kibum si mise a sedere passandosi una mano tra i capelli corvini e tirò tra sé un sospiro di sollievo.
-Devi vedere il consiglio reale? –
Heechul s’infilò la giacca di seta rossa. –Naturalmente. –
-Non credi che dovrei partecipare anche io? –
Heechul rise, come se il principe avesse appena detto qualcosa di molto divertente.
Per non dire assurdo, osservò Kibum.
-E perché mai? –
-Beh, sono il principe - disse Kibum, sfoderando l’espressione più innocente ed ingenua che aveva nel repertorio.
-Esattamente. Non mi pare che tu abbia un posto nel consiglio reale, tuo padre…-
-L’imperatore è morto -, disse Kibum, questa volta con durezza. Le mani del principe strinsero le lenzuola.
Sono io l’erede al torno.
-Sei stato tu ad eliminare questo…ostacolo. Per noi. –
Per te, pensò.
Heechul lo studiò per qualche secondo. Era ovvio che non si aspettava una domanda simile, d’altra parte nemmeno Kibum sapeva con certezza come fosse improvvisamente sorta nella sua mente, se ne era reso conto solo quando aveva udito la sua stessa voce pronunciarla. Forse era semplicemente la manifestazione inconscia del suo desiderio di tastare il terreno in ogni direzione.
-Quando sarai incoronato e noi due uniti potrai presiedere tutti i consigli che desidererai. –
Il ragionamento di Heechul non faceva una piega. Il precedente imperatore l’aveva sempre tenuto alla larga dagli affari di stato, incamerando per sé, un reggente usurpatore, tutto il potere, di conseguenza fintanto che in linea ufficiale il suo titolo rimaneva quello di principe non aveva alcuna possibilità di prendere parte al consiglio.
A quel punto legato a te potrai avermi totalmente al guinzaglio per farmi fare la parte della bella statuina ed assecondare ogni tua pretesa. Rifletté Kibum.
Heechul tornò verso di lui, gli prese il mento con una mano e gli schioccò un bacio sulle labbra.
-Questo pomeriggio discuteremo i dettagli della cerimonia. –
Kibum sorrise. – Non vedo l’ora. –
Il più grande lanciò un’occhiata fugace alla scacchiera.
-Il tuo lato del campo è un disastro. –
Rimasto solo, Kibum sbuffò e si gettò tra i cuscini aprendo le braccia, chiuse gli occhi e respirò piano portandosi una mano al petto. Il suo cuore stava riprendendo un battito regolare.
Ormai mancava una settimana alla sua “data di scadenza”, Siwon doveva aver raggiunto i Ribelli da un pezzo e probabilmente Jinki e gli altri erano pronti a far scattare il piano. Rotolò su un fianco. Poteva essere ad un soffio dalla salvezza o ad un soffio dal disastro.
In ogni caso se le cose non vanno come spero dovrò rivedere drasticamente la mia strategia. Sarò legato a Heechul e non sarà facile gestire la cosa dato che potrà percepire chiaramente l’odio e la rabbia che provo nei suoi confronti.
Kibum si mordicchiò nervosamente un labbro.
Le sue doti recitative, i sorrisi falsi e le moine sarebbero serviti a ben poco.
Fece scivolare lo sguardo sulla scacchiera. Il sul lato era davvero sguarnito, tuttavia si ritrovò a sorridere. Allungò un braccio verso il tavolo da gioco e spostò il suo ultimo alfiere d’avorio.
-Scacco matto. –
Il re nero di Heechul rotolò silenziosamente sulle coperte sfatte.
 
 
 
***
 
 
Il ricordo della mattinata passata a pulire le latrine del palazzo reale era ancora vivida nella sua mente quanto nel suo naso. Nonostante fosse alle prese da ore nelle cucine con piatti e pentole sporche, quell’odore nauseabondo di fogna aveva deciso di non staccarsi dalle sue narici. Più volte era stato costretto a ricacciare indietro conati di vomito. Non poteva di certo dare di stomaco su tutte quelle pentole da lavare! Certo, il massimo della sfortuna sarebbe stato quello di riversare il contenuto del proprio stomaco su quelle già pulite. Difficile, dato che le aveva accuratamente riposte in un angolo, ma data la sfortuna che lo perseguitava da una vita, e che in quei giorni aveva deciso di dare il meglio di sé a suo discapito, beh, non si poteva mai sapere.
La manica della camicia macchiata di unto gli cadde lungo il dorso della mano e, senza smettere di sfregare il pentolone su cui stava lavorando, la tirò sino al gomito con i denti, poi si passò l’avambraccio sulla fronte.
Da quanto era arrivato a Soul pochi giorni addietro, Kim Jonghyun non poteva di certo dire di essere stato fortunato. Anche se all’inizio aveva osservato euforico e carico d’aspettativa le porte del palazzo reale aprirsi davanti a lui, dal momento in cui vi aveva messo piede non era riuscito a concludere molto. Anzi, a dirla tutta non aveva concluso proprio niente.
Jonghyun corrugò la fronte e sfregò con astio crescente il fondo della pentola, ripulì la spugna, strizzò uno straccio e si rimise al lavoro.
Giunto a Soul aveva interrogato sé stesso su come entrare indisturbato nel palazzo reale e più volte aveva fatto la ronda intorno alle mura. Doveva riuscire a mettervi piede e passare inosservato, ma allo stesso tempo avere una certa libertà di movimento per rintracciare Kibum e tenerlo d’occhio sino all’arrivo dei rinforzi. A tali condizioni e con tali prospettive entrare a far parte della servitù gli era parsa la soluzione migliore e ottenere un posto non era stato difficile. Sembrava che con l’avvicinarsi dell’incoronazione fossero alla disperata ricerca di personale aggiunto.
Ad accoglierlo era stata la capo cuoca, una donna grassoccia con un’orrenda cuffietta di pizzo e dall’aria estremante autoritaria.
-Hai idea del lavoro che c’è da fare, qui? No, eh?! Siete tutti dei perdigiorno -, aveva detto la donna facendo oscillare il suo enorme cucchiaio di legno. Era la sua arma preferita e la usava saltuariamente sui servitori più pigri. Inutile dire che lui, Jonghyun, aveva già collezionato una serie di bernoccoli non indifferente.
-Ma ora ti darò io qualcosa da fare! –
A Jonghyun era sembrata pronta a spedirlo sul primo campo di battaglia disponibile.
Tuttavia era lì da quasi una settimana e di Kibum nemmeno l’ombra. Jonghyun aveva scoperto nel giro di poche ore che anche all’interno della servitù esisteva una rigida gerarchia e guarda caso lui si trovava alla base della piramide sociale. Dunque, nessuna prospettiva di avvicinarsi agli appartamenti reali per svolgervi anche la più sciocca delle incombenze. No, per Kim Jonghyun solo latrine e piatti sporchi.
La mia unica possibilità è sperare in una promozione immediata.
Jonghyun ringhiò tra sé, frustrato.
Ovviamente avevo sfruttato le poche ore di libertà per aggirarsi nei corridoi dei piani superiori alla ricerca di Kibum, ma era stato tutto inutile. Il palazzo era immenso e lui non aveva la più pallida idea di dove andare a sbattere la testa, l’unica volta in cui aveva tentato d’informarsi sulla collocazione degli appartamenti reali era stato prima ignorato dalle cameriere e poi guardato in malo modo dalla capo cuoca. La donna, che sembrava considerassi la regina indiscussa della cucina, aveva agitato il cucchiaio di legno come se fosse stato uno scettro e l’aveva squadrato da capo a piedi.
Oh e naturalmente era stato beccato dove non avrebbe dovuto ed era stato punito! La ruota della fortuna stava sì girando nella sua direzione, ma con il chiaro intento di schiacciarlo, Jonghyun non aveva dubbi in proposito.
Insomma, il suo piano si stava rivelando un totale fallimento. Di quel passo gli altri sarebbero arrivati a Soul prima che lui riuscisse a fare alcunché.
Kibum, pensò avvertendo un gruppo allo stomaco.
Jonghyun guardò avvilito la montagna di stoviglie che lo sovrastava.
Il più piccolo era lì da qualche parte nel palazzo, eppure distante anni luce. Poteva essere in pericolo o spaventato e lui, Jonghyun, non poteva fare nulla per aiutarlo. Accorciare le distanze fisiche tra loro non era servito. Di notte si rigirava nel suo giaciglio, impossibilitato a prendere sonno, domandandosi dove si trovasse il più piccolo e cosa stesse facendo, se dormisse sonni tranquilli o agitati. Aveva freddo, mangiava abbastanza? Nutriva ancora speranze o le aveva abbandonate? Lo amava ancora?
Si morse nervosamente il labbro, prese una nuova pentola e tornò a sfregare con insistenza.
Aveva sentito parecchie chiacchere in giro. Le cameriere in livrea addette agli appartamenti reali erano delle gran pettegole e non perdevano occasione per raccontare in giro ciò che vedevano e sentivano.
Galline, pensava Jonghyun ogni volta.
A detta di quelle sciocche rapaci merlettate, che credevano di appartenere ad una sorta di nobiltà all’interno della servitù, il principe Kibum ed il suo promesso erano una coppia molto affiatata. Dalle loro risatine Jonghyun aveva capito perfettamente con cosa intendessero per “affiatata”.
Jonghyun aveva due sole parole per definire il suo stato d’animo. Confusione e rabbia. Confusione perché non sapeva quanto quelle voci fossero vere, rabbia perché quel tizio sconosciuto che mirava al trono aveva probabilmente messo le mani addosso a Kibum. Rammentava molto bene la timidezza, l’insicurezza del più piccolo e quanto avesse faticato ad aprirsi anche con lui. Solo immaginare Kibum tra le braccia di un altro, per di più contro la sua volontà, gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
Le sue mani si strinsero d’istinto sul bordo della pentola, intorno alla spugna e le sue nocche sbiancarono.
Il pensiero che Key potesse essere stato ferito lo turbava nell’intimo e risvegliava i suoi istinti peggiori. Inoltre si domandava con costante apprensione quello che poteva essere lo stato d’animo del più piccolo? Era scosso o forse aveva infine deciso di voltare pagina ed abbandonare il piano? Jonghyun passava la metà del suo tempo a convincersi di una versione, per poi fare lo stesso con l’altra. Di norma era la notte a generare nella sua mente i pensieri più cupi, mentre al mattino sotto la luce del sole tutto sembrava prendere un’altra forma. No, si ripeteva, già una volta aveva fatto l’errore di dubitare di Kibum ed aveva visto com’era finita. Non doveva lasciarsi dominare dalla paura e dall’incertezza. Kibum era solo e in pericolo, in balia del lord di Busan e lui era disposto a tutto pur di proteggerlo.
Il chiacchiericcio di un gruppetto di cameriere in livrea attirò la sua attenzione e di fronte alle loro risatine roteò gli occhi. Eccole che spettegolavano di nuovo!
Galline!, imprecò tra sé con stizza.
Decise di tapparsi le orecchie e l’avrebbe fatto più che volentieri se gli ordini sbrigativi della capo cuoca non avessero attirato la sua attenzione.
-Minsik ha l’influenza – disse sottolineando le sue parole con un agitarsi minaccioso del cucchiaio.
Le cameriere emisero dei gridolini disgustati.
Jonghyun roteò gli occhi.
-E sua grazia attende il suo tè pomeridiano, qualcuno deve consegnarlo al suo posto. –
Le cameriere iniziarono a lamentarsi. Sembravano sempre pronte a vantarsi del fatto di avere accesso agli appartamenti reali, ma non appena qualcuno cercava di rifilare loro delle incombenze supplementari tagliavano la corda.
Jonghyun scosse il capo e prese una nuova pentola. Stava per riprendere il proprio ingrato lavoro quando gli si accese una luce nella mente.
Sua grazia, il tè pomeridiano. Kibum!
Era la sua occasione per mettere il naso dove non avrebbe dovuto e difficilmente ne avrebbe avute altre!
-Vado io!  -gridò.
La capo cuoca si voltò verso di lui con una lentezza quasi snervante. Jonghyun deglutì, mentre la donna lo squadrava come si fa con un arrosto poco cotto.
-Tu? –
La donna inarcò un sopracciglio, per fortuna il suo cucchiaio riposava quieto lungo il suo fianco tondeggiante.
Jonghyun annuì con vigore. Si sarebbe messo a saltellare su una gamba pur di convincerla.
Alla fine la donna sospirò come se non avesse altra scelta. – E va bene, ma…-
Jonghyun abbandonò la pentola che cadde a terra producendo un fastidioso clangore metallico e s’appropriò subito del carrello dorato su cui era stato disposto tutto l’occorrente per l’ora del tè. Stava per precipitarsi fuori dalle cucine con esso quanto un colpo in testa troncò sul nascere la sua corsa.
-Yah, fermo. Dove pensi di andare conciato così? –
Jonghyun abbassò gli occhi per guardare i suoi abiti. Erano un disastro; bagnatici e sporchi di unto, una vera e propria macchia di sporco deambulante che indubbiamente avrebbe stonato con la tappezzeria raffinata dei piani superiori.
La donna sospirò rassegnata e agitò il cucchiaio a vuoto.
-Procurati una livrea pulita, non puoi pensare di andartene in giro in quel modo negli appartamenti di sua grazia. –
Jonghyun non se lo fece ripetere due volte.
-Ora ascoltami bene e cerca di non combinare guai, intesi? Ci sono delle regole molte severe e precise se vuoi portare a termine egregiamente questo compito di estrema importanza. –
A quel punto la donna sciorinò una serie di istruzioni assurde. Jonghyun ascoltò annuendo ad ogni parola, ma comprendendone la metà. Era troppo agitato per prestare seriamente attenzione, la sua mente vagava altrove in un accavallarsi di pensieri, preoccupazioni e puri momenti di euforia che morivano sul nascere per lasciargli solo un senso adrenalinico di agitazione.
 Non appena si ritrovò a percorrere i corridoi si rese conto di aver dimenticato ogni cosa, comprese le istruzioni per raggiungere gli appartamenti.
Iniziò ad imprecare tra sé. Non andava affatto bene!
La mia stupida testa vuota!, pensò con rabbia.
Quando finalmente raggiunse la sua destinazione, dopo aver girovagato un bel po' ed aver posto domande imbarazzanti a qualunque servitore incontrasse sul proprio cammino, boccheggiò.
Jonghyun alzò lo sguardo sulla porta di legno bianca solcata da un tripudio di girali laccati d’oro ed i suoi occhi si soffermarono sul pomello dorato a forma di rosa come se fosse un serpente a sonagli. Deglutì. La felicità che lo animava al pensiero di rivedere il più piccolo si scontrava con la paura di ciò che avrebbe potuto trovare una volta varcata quella soglia.
Abbassò il suo sguardo sul carrello controllando che fosse tutto in ordine e cercò di ricordare le istruzioni ricevute, ma nella sua mente apparivano come una pagina bianca.
Sbuffò.
Vista la sua fortuna sarebbe indubbiamente finito col fare danni.
Doveva bussare o entrare silenziosamente senza disturbare? Parlare o aprire bocca solo se interpellato? Guardare sua grazia negli occhi o evitarlo?
No, meglio evitare o quegli occhi felini mi condurranno alla follia!, pensò.
E le zollette di zucchero, doveva essere lui a metterle o no?
Alla fine prese un bel respiro ed afferrò il pomello.
L’ambiente che s’aprì davanti suoi occhi superava di gran lunga il suo concetto di lusso ed eleganza. Il salotto privato del principe era un’ampia sala rettangolare, le pareti dipinte di turchese erano animate da bianchi stucchi impreziositi da foglie d’oro bianco e giallo, tre finestre ad arco erano drappeggiate da tende di candida seta, i mobili erano d’oro, marmo, pietre dure e madreperla, mentre un grande lampadario di cristallo pendeva al centro di essa. I riflessi della luce sui materiali preziosi era stordente e tutto sembrava avvolto da un pulviscolo dorato.
Jonghyun abbassò gli occhi d’istinto, per poi rialzarli pian piano sbattendo le palpebre.
Il principe Kibum ed il so promesso erano seduti su un lungo divano foderato di seta blu e sembrano coinvolti in una piacevole conversazione. Davanti a loro un basso tavolino intarsiato di madreperla appariva miseramente vuoto in confronto allo sfarzo all’intorno e attendeva solo di accogliere su di esso il tè dei lord.
Jonghyun s’impose di tenere gli occhi bassi e a non posarli sul più piccolo, troppo timoroso di palesare i suoi sentimenti e tradire uno dei due, nonostante desiderasse abbracciare Key e annusare di nuovo il suo profumo.
Mosse un primo passo incerto sul pavimento di marmo ed ebbe l’impressione di camminare su una lastra di ghiaccio. Si fermò a pochi passi dal tavolino in madreperla senza che i due lo degnassero di uno sguardo o considerassero minimamente la sua presenza e Jonghyun assottigliò le labbra avvertendo il gelo invadergli le vene.
Cercò di concentrare la propria attenzione sulle teiere, le tazzine, i dolci e tutto l’occorrente che doveva disporre accuratamente sul tavolo, seguendo istruzioni che aveva totalmente dimenticato; tuttavia prima che se ne rendesse conto i suoi occhi si erano già posati sui due.
Il principe indossava un semplice completo di seta blu con poche decorazioni in filigrana d’argento, le gambe accavallate dondolavano appena, nervose od eccitate quanto la coda di un felino. Le sue mani adorne di sottili fasce di bianco oro parvero a Jonghyun ancora più aggraziate e sottili, tuttavia il loro posarsi sul viso dell’altro lo costrinsero a reprimere un ringhio. Il lord di Busan risultava altrettanto elegante nel suo completo in rossa seta, tuttavia il raffinato merletto che ne adornava i polsi ed il collo ostentava gusti più appariscenti. A dispetto dell’idea che si era fatto, Jonghyun constatò che era molto più giovane di quanto avesse immaginato. Quanti anni poteva avere, forse cinque o sei in più di lui? Indubbiamente era un giovane uomo attraente dagli occhi scuri, furbi, e la chioma dei colori del cioccolato. Intorno a lui aleggiava uno strano ed innaturale calore.
Jonghyun provò un fastidioso senso d’imbarazzo ed inadeguatezza. Si sentì irrimediabilmente piccolo e misero e davanti a quelle figure perfette la distanza che percepiva tra lui e Kibum assunse le sembianze di un profondo abisso pronto a risucchiarlo. Le sue mani tremarono e la fine ceramica sul carrello tintinnò, un suono lieve che gli altri due non notaro o ignorarono volutamente. Sembrava che nulla potesse toccarli, tutto scivolare sui loro lucidi abiti di seta come acqua di sorgente. Un altro mondo la cui semplice indifferenza creava un barriere trasparente ma invalicabile tra loro e Jonghyun, e lui la percepì intorno a sé come se osservasse ogni cosa attraverso una finestra di cristallo. Sottile, ma tagliante.
-Voglio che sia tutto perfetto – sentì risuonare la voce di Key.
Un sorriso triste attraversò le labbra carnose di Jonghyun.
 Il lord id Busan rise, una risata che Jonghyun trovò esternamente fastidiosa.
-Dunque vuoi fare una cerimonia in grande, dico bene? –
Anche la sua voce compiaciuta era irritante!
Kibum annuì e si sporse verso il suo promesso posandogli un bacio sulle labbra. Jonghyun fremette.
-Aspettiamo questo momento da una vita, Chul, ci è stato promesso, è nostro. Trovi così strano che io voglia fare le cose in grande? Non vedo l’ora. –
Il lord di Busan appoggiò la schiena alla testata del divano e sogghignò divertito.
-Il mio astuto micetto, tu non stai nella pelle all’idea di prenderti gioco di Nihon e mostrargli la forza di Chosun con Soul unita a Busan. –
Questa volta fu Kibum a sorridere, uno di quei sorrisi che più volte avevano fatto rabbrividire Jonghyun. Di norma significavano guai.
-E’ indubbiamente un’ottima occasione. Il lusso, Chul, può essere un perfetto specchio per allodole. Spero che le loro ali da avvoltoi siano abbastanza forti, perché dovranno girarci in circolo molto a lungo prima di piombare su di noi. –
Il principe sorrise arricciando le labbra a cuore e rivolse uno sguardo soddisfatto al suo promesso.
-A dirla tutta, spero che cadano sfiniti come polli. –
-Tesoro mio -, disse il lord di Busan, - i polli non volano. –
-Oh lo so, Chul, però credono di poterlo fare. -
-Tu lo sai, vero, che ti trovo assolutamente irresistibile quando fai così? –
Kibum scambiò le gambe accavallate, puntellò un gomito sul ginocchio e posò il mento sul palmo della mano. Sorrise come chi ha appena visto una tigre mettere una zampa in fallo.
-Potrei averlo intuito. E naturalmente Yesung riferirà tutto una volta tornato da quegli avvoltoi, in qualità di testimone avrà una visione privilegiata. –
Kibum si picchiettò un indice sulle labbra a cuore. –Sempre che tutta quella profusione di cristalli che desidero far pendere dal soffio non lo stordisca. A proposito, lui dov’è?–
-Ci raggiungerà a breve, pensavo di passare un po' di tempo da soli. –
La mano del lord s’allungò verso il più piccolo per accarezzargli il viso e Jonghyun ebbe l’impressione di percepire un brivido attraversare la schiena di Kibum.
Era paura o si trattava di qualcos’altro?
-Abbiamo qualcosa in sospeso. -
-Intendi la partita a scacchi? – fece Kibum corrugando la fronte. –Temo di aver risposto la tavola da gioco…-
-Lo sai che non mi riferisco alla partita a scacchi -, disse il lord.
Jonghyun l’osservò reclinare il capo e sporsi verso l’orecchio del principe.
-Stavamo facendo qualcosa di molto meno noioso. –
Il lord di Busan attirò il più piccolo a sé per baciarlo ed il principe mugugnò prima di lasciarsi andare tra le braccia dell’altro.
Il viso di Jonghyun divenne paonazzo ed i suoi muscoli s’irrigidirono. Osservò quel perfetto ed irritante sconosciuto tormentare le labbra del suo Key con un bacio indubbiamente intenso e stringerlo a sé in modo possessivo. Jonghyun l’odiò con tutto sé stesso, non solo per le sue labbra e le sue mani su Kibum, ciò che davvero scatenò il suo odio fu osservare come lo baciava e come lo toccava.
Come una bambola, come un giocattolo, pensò.
Non c’era amore nei suoi gesti e questo lo fece soffrire più della consapevolezza di averlo perduto davvero per l’amore di qualcun altro. Il più piccolo aveva sempre cercato amore e dolcezza tra loro, anche nei momenti di maggior passione, come l’ultima notte che avevano passato insieme, e lì non vi era nulla di tutto ciò.
S’impose di distogliere lo sguardo e tornò ai suoi compiti, cercando di fare mente locale. Resistere alla tentazione di correre fuori dalla stanza era forte, così come il desiderio di prendere a pugni quel tizio, ma sfortunatamente per lui erano entrambe azioni a cui non poteva dar seguito. Aveva un compito da svolgere e benché nessuno avesse minimante preso in considerazione la sua presenza, prima o poi avrebbero notato l’assenza del loro tè. Era lì fermo impalato da troppo tempo. Mentre i due continuavano a scambiarsi effusioni, versò il tè e s’avvicinò al ripiano in madreperla con le tazze.
-Di questo passo si raffredderà il tè - miagolò Kibum.
-Un problema che potrei risolvere facilmente. -
Il principe si divincolò dalle braccia dell’altro e si ricompose, accavallando poi le gambe con un movimento disinvolto ed elegante.
Jonghyun pose la tazza davanti a lui ed il tintinnio della ceramica ebbe il potere d’infrangere un muro invisibile. Kibum allungò una mano verso di essa ed alzò appena gli occhi, incontrando inevitabilmente quelli ambrati di Jonghyun. Le gote già arrosate del più piccolo avvamparono per poi sbiancare, i suoi occhi sottili s’allargarono come quelli di un gatto al buio e la tazza gli tremò tra le mani. Delle gocce dorate caddero sulla madreperla, creando uno strano contrasto.
Il cuore di Jonghyun perse un battito. Quegli specchi d’acqua sorgiva in cui si tuffavano le luci della notte erano di nuovo lì, davanti a lui, e lo fissavano increduli come si fa con l’immagine residua di un sogno. Per la prima volta, dal momento in cui aveva messo piede in quella stanza, Jonghyun riuscì a guardarlo veramente. Kibum era splendido nei suoi abiti da principe come non l’aveva mai visto. Era lui, i suoi capelli corvini, il suo profumo, la sua pelle candida e liscia come un petalo, le sue labbra invitanti che gli avevano donato baci, sorrisi dolci, astuti e timidi. Erano i suoi occhi felini quelle nere perle lucenti che sembravano avere attenzioni solo per il suo promesso. Kibum era tutto questo, eppure non era lui. Ogni gesto, ogni parola, ogni carezza e ogni bacio a fior di labbra che aveva concesso all’altro, agli occhi di Jonghyun apparivano falsi, calcolati come la strategia vincente su un campo di battaglia. Tutto sembrava avvolto da una carta lucida dai riflessi illusori.
Il contatto tra i loro occhi durò la frazione di un secondo, eppure Jonghyun ritrovò dentro di sé tutte le emozioni di un tempo non molto lontano. Tutto giaceva immutato, intoccato e racchiuso in una splendente sfera di vetro animata dal vorticare delle luci del cielo. Era lì, perfetto e dormite, solo in attesa di essere risvegliato.
Jonghyun ripose la seconda tazza e si preparò ad uscire. Non poteva più restare.
-Il mio zucchero? –
La voce del lord di Busan risuonò alle sue orecchie bloccandolo di colpo. Il lord inarcò un sopracciglio rivolgendogli un’occhiata di sbieco. Sembrava si stesse sforzando di degnare della propria attenzione con un perfetto idiota.
Jonghyun strinse i pugni cercando di mantenere la calma.
-Perdonatemi – disse con voce leggermente roca.
Prese le pinzette d’argento e fece cadere una zolletta di zucchero nella tazzina.
Il lord tornò ad ignorarlo, rigirando il tè con un cucchiaino dorato, poi alzò di nuovo lo sguardo, scocciato.
-Che cosa fai lì impalato? Sparisci. –
Jonghyun non se lo fece ripetere due volte, si era trattenuto anche troppo per i suoi gusti. L’ultima cosa che vide prima di richiudere la porta alle sue spalle fu l’espressione sconvolta di Kibum.
Percorse i corridoi a passo svelto, desideroso di mettere più distanza possibile tra lui e quel mondo parallelo ed invalicabile. Era stato umiliante sotto molti punti di vista. Aveva saputo fin dall’inizio che probabilmente ciò che avrebbe trovato lì non gli sarebbe piaciuto, eppure aveva deciso di affrontarlo ed ora si sentiva sconfitto fu tutti i fronti. Quel tizio, il lord di Busan, non gli piaceva per niente. Non gli piaceva come guardava Key, come lo toccava e come gli sorrideva. Non era cieca gelosia la sua, benché affermare di non provarne sarebbe stata una bugia bella e buona, no, il suo era disgusto perché aveva intravisto qualcosa di mellifluo nell’altro, una dolcezza finta e stucchevole. Tuttavia la sua mente era torturata da quella scena ed i dubbi e le paure s’affollavano nella sua mente come un vespaio impazzito.
Svoltò un angolo e si fermò. L’abisso sotto di lui si stava allargando a dismisura.
Jonghyun respirò piano e fece per portarsi una mano al petto nel tentativo di rallentare i battiti impazziti del suo cuore, tuttavia non ne ebbe il tempo perché fu fermata a mezz’aria da una delicata e sottile che esercitò sul suo polso una presa nervosa, titubante, ma anche determinata. Jonghyun non ebbe bisogno di voltarsi per dare un nome al suo proprietario.
Kibum, pensò mentre il suo cuore faceva l’ennesimo balzo.
Jonghyun rimase immobile, desideroso di voltarsi e guardare di nuovo il più piccolo negli occhi per comprendere e mettere a tacere tutti i dubbi folli che si erano appicciati alla sua pelle e al suo cuore. Tuttavia non lo fece, timoroso che Key potesse dissolversi nel nulla.
Percepì l’altro farsi più vicino e poi fermarsi, indeciso, poi il fiato caldo di Kibum soffiò sul suo collo e gli sfiorò un orecchio.
-Sta sera, nel giardino est. –
Poi fu un attimo e quel sussurrò, così come la presenza del principe, svanì. Jonghyun si voltò per scoprire un corridoio vuoto e silente. La luce del sole del tardo pomeriggio penetrava delle vetrate rifrangendosi sul marmo bianco. Silenzio e vuoto. Solo il profumo residuo dei fiori di ciliegio in boccio aleggiava tenue nell’aria.
-Sta sera, nel giardino est -, ripeté in un sussurro che scivolò lungo il corridoio in un flebile eco.
 
 
 
***
 
 
La notte era particolarmente tetra. Non vi erano stelle in cielo e tutto era coperto da nubi scure appena delineate dai raggi argentei della luna che a stento riuscivano ad aprirsi un misero varco. C’era aria di pioggia e alzando lo sguardo sopra di sé, Kibum ebbe la certezza che presto sarebbe scoppiato un temporale.
Kibum rallentò il passo e s’impose un’andature regolare; subito il suono dei suoi stivali lungo il sentiero s’affievolì.  Aveva il fiato corto e probabilmente il viso arrossato.
La cena era stata più lunga del previsto e lui aveva atteso con impazienza il momento opportuno per accaparrare una scusa e sparire, proprio come aveva fatto quel pomeriggio.
Superò il roseto e involontariamente i suoi piedi ripresero velocità.
Jonghyun.
Il nome del più grande riecheggiò nella sua mente smuovendo in lui paura, euforia e crescente apprensione.
Dal momento in cui l’aveva rivisto era rimasto agitato per il resto della giornata ed aveva fatto il possibile per nasconderlo. Non era certo di esserci riuscito, dato che Heechul gli aveva rivolto occhiate indagatorie per tutto il tempo.
Si strinse nelle spalle per proteggersi dall’aria fredda della sera e corrugò la fronte, ripensando a quanto accaduto. Era stato umiliante, ma ancora di più lo turbava l’umiliazione che doveva aver provato Jonghyun; sapeva che era molto orgoglioso e d’altra parte lui l’aveva già ferito a sufficienza. L’avrebbe perdonato, avrebbe capito o inconsapevolmente aveva dato a lui e a loro il colpo di grazia?
Una folata di vento scosse le chiome degli alberi. Kibum si bloccò di colpo e le sue labbra a cuore si aprirono per emettere un fioco sussurro.
-Jonghyun. –
Il profilo serio di Jonghyun si stagliava nelle ombre della notte. Aveva il viso corrucciato, le palpebre abbassate come se stesse vivendo un incubo interiore e le sue labbra erano rigide e serrate. C’era del calore intorno a lui e a Kibum scappò un sorriso, sentendosene rassicurato. Da quanto non percepiva un calore simile, luminoso e confortevole?
All’udire il suo nome, Jonghyun alzò il capo ed aprì gli occhi ambrati.
Kibum vi riconobbe la consueta luce dorata e si umettò le labbra. Gli sembrava impossibile averlo di nuovo davanti a sé. Si domandò se si trattasse di un sogno. Troppe notti aveva sperato invano di riabbracciarlo, per quanto allo stesso tempo desiderava saperlo lontano. La verità era che Jonghyun era sempre stato un sogno, loro lo erano stati; delle luci cangianti sospese nello spazio infinito. Vederlo lì, così, in quei giardini e tra le mura del palazzo che erano così reali nella loro solida freddezza era strano e innaturale. Come se, alla fine, il sogno avesse preso consistenza materiale sino a fondere le proprie trame con il mondo reale. Non vi era più alcuna distinzione. O forse era tutta un’illusione?
Mosse un passo incerto verso l’altro e l’erba frusciò.
Jonghyun l’osservò, attento. Era reale, oppure era la sua mente che gli giocava l’ultimo scherzo? Scosse il capo. No, Kibum era lì, una figura eterea ed apparentemente fragile. Il suo sguardo scivolò sul viso pallido del più piccolo, riconoscendone i tratti delicati animati da magnetici occhi felini.
Jonghyun sorrise.
Kibum abbassò lo sguardo, avvertendo su di sé tutta la vergogna per quanto accaduto quel pomeriggio. Iniziò a stropicciarsi le mani, nervoso sul da farsi e su come sostenere lo sguardo dell’altro, e domandandosi quale sarebbe stata la conclusione di quell’incontro.  Desiderava abbracciarlo, baciarlo, trovare finalmente rifugio tra le sue braccia e recuperare un tempo ed uno spazio che si erano perduti, inseguendo un’orbita sbagliata, eppure non osava muoversi. Percepiva ancora su di sé le mani di Heechul, il calore bruciate dei suoi baci umidi e per questo si sentiva sporco, una sensazione che aveva provato più volte, ma che aveva abilmente seppellito dentro di sé. Allo stesso tempo si rendeva conto di quanto quella situazione fosse pericolosa. Il palazzo reale era l’ultimo luogo in cui Jonghyun poteva dirsi al sicuro e tristemente sapeva che respingerlo e portare avanti la recita era l’unico modo per allontanarlo.
Kibum continuò a stropicciarsi le mani e sbatté le palpebre. La verità era che non aveva il coraggio di mandarlo via e per questo aveva paura.
Il principe allungò una mano verso il viso dell’altro, poi la bloccò a mezz’aria.
-Perché ti sei fermato? – domandò Jonghyun con voce indecifrabile.
-Perché-, Kibum deglutì, - perché ho paura, temo che la mia mano possa affondare nel nulla. –
Jonghyun sorrise ed i suoi occhi s’illuminarono.
Kibum chiuse gli occhi e respirò piano. Non poteva mentirgli, non ne aveva la forza e solo l’’idea di dichiarare di amare Heechul, anche se era una bugia, lo disgustava. No. Non poteva portare avanti una stupida recita anche davanti a lui. Ciò che era accaduto non aveva forse già ferito entrambi? Non erano state proprio le bugie, le cose non dette a far crollare tutto?
-Jong -, ripeté fioco.
Anche volendo, Kibum sapeva che la sua stessa voce, i suoi stessi occhi ed i suoi gesti l’avevano già tradito.
La sua mano superò l’ultimo spazio che ancora li separava.
Jonghyun abbassò le palpebre e dalle sue labbra fuoriuscì un sospiro simile ad un soffio. I polpastrelli gelidi del più piccolo si posarono delicatamente sul suo viso e fu percorso da un brivido, poi un senso di pace l’avvolse. La totale quiete, il dondolare dolce di una barca sulla superficie cristallina di uno stagno sotto le luci delle stelle. Avrebbe voluto rimanere lì per sempre, sospeso in quel limbo di pace. Era bastato il tocco del più piccolo per tramutare l’ansia ed i dubbi dell’attesa in nulla, tutto ciò che ora provava era il suo amore incondizionato per Kibum. Non gl’importava di ciò che aveva visto o sentito. Il vero Kibum era davanti a lui, non la bambola sciocca e zuccherina che era stato costretto ad osservare quale spettatore silente.
Kibum circondò il collo di Jonghyun con le braccia, posò la fronte sulla sua spalla e reclinò il viso verso il suo collo, sfregandovi la punta del naso. La sua bocca a cuore si piegò in un sorriso nostalgico. Non era cambiato nulla. Era stato come navigare nel bel mezzo della tempesta ed osservare dalla prua la vasta distesa d’acqua all’orizzonte. Ma ora aveva raggiunto la riva, la tempesta si era acquietata e lui poteva riconoscere sotto i piedi la consistenza tenera dell’erba. Era lui. Erano le sue braccia che ora lo stringeva delicatamente, il suo petto, la sua pelle liscia e calda, il suo profumo dolce, quello delle pesche a maggio e del ricordo fugace di una notte di mezza estate.
-Jonghyun – disse di nuovo, aggrappandosi all’altro.  –Perdonami. –
Jonghyun non seppe dire se Kibum si riferisse a quanto accaduto quel giorno o alle bugie, d’altra parte nemmeno il principe ne era certo. Jonghyun lo strinse a sé riconoscendo in quel semplice contatto un’antica perfezione che sembrava essersi spezzata, ma che in realtà attendeva solo la loro riunione per ristabilire l’orbita perfetta di pianeti impazziti. Anche lui aveva molto da farsi perdonare.
-Tu puoi perdonare me? –
-Sempre -, sussurrò il principe.
Kibum sorrise ed affondò il viso nel collo del più grande per respirarne il profumo. Troppo a lungo aveva respirato solo cenere.
-Finalmente, mi sento di nuovo a casa. –
Jonghyun baciò la chioma corvina del più piccolo. Fu una sensazione strana quella che provò; era vissuto in molti luoghi nel corso della sua vita, ma non si era mai spinto in là al punto da definirli casa, nemmeno il Rifugio. Eppure quella parola associata a Kibum gli risultò estremamente naturale.
-Mi sei mancato, Kibum. –
Il principe alzò il viso e rivolse a Jonghyun un sorriso radioso, gli occhi tremolanti.
-Dillo di nuovo. –
-Mi sei mancato. –
Key scosse il capo. –No, il mio nome. Dillo di nuovo. –
-Kibum. –
Il principe indugiò qualche secondo sulle labbra del più grande, poi lo baciò. Era un errore? Forse. Sarebbe riuscito a staccarsi? Difficile a dirsi. Ma se Jonghyun gli aveva rubato un bacio prima di allontanarlo, perché ora lui non poteva?
All’inizio le loro labbra di mossero titubanti e insicure, come se non si fossero mai sfiorate o non fossero certe di avere il diritto di appartenersi ancora. Entrambi erano timorosi di commettere una mossa avventata ed infrangere in mille schegge di vetro quel sogno perfetto, di svegliarsi di soprassalto e scoprirsi fradici e tremanti tra le lenzuola, soli o tra braccia altrui. Tuttavia più le loro labbra si cercavano e le loro lingue danzavano sensuali, più la paura svaniva. Lentamente approfondirono il bacio e ogni frammento di loro tornò al suo posto. Le sensazioni e le emozioni di quel contatto intimo e delicato furono come un balsamo capace di cancellare in un istante le ferite di entrambi. Nulla era cambiato.
-Ti amo, Kim Kibum -, disse Jonghyun con voce calda. 
-Ti amo anch’io, Kim Jonghyun. Stringimi.  -
Jonghyun sorrise, riconoscendo il famigliare tono di comando dell’altro. Gli erano mancati quegli imperativi suadenti ed irresistibile.
-Stringimi -, ripeté Kibum. 
Jonghyun lo strinse e quando si straccarono intrecciarono le loro mani.
-Che cosa fai qui? – chiese Kibum.
-È per te che sono qui. Minho e Taemin mi hanno detto tutto. Perché hai voluto affrontare tutto da solo? -
Kibum si strinse nelle spalle.
-Se te l'avessi detto avresti tentato di fermarmi e tutto il mio coraggio sarebbe svanito. – Kibum sospirò -Ho desiderato dirti la verità milioni di volte, ma sembrava sempre il momento sbagliato. Ero troppo felice, tu mi rendevi felice, e l'idea di perdere quella felicità mi terrorizzava. Ho visto quanto ci odiavi...-
-Qualunque odio io abbai mai provato il mio amore per te è più forte, ricordi? Te lo dissi quella notte tra la neve. Tu mi hai sempre reso migliore. –
Kibum annui. Lo ricordava bene, ma quelle parole non erano state sufficienti a rassicurarlo perché in fondo non era Jonghyun che temeva, ma sé stesso.
-La verità è che io non ho mai avuto abbastanza fiducia in me stesso. Pronunciare il mio nome ad alta voce significava renderlo più reale, insieme alla consapevolezza che prima o poi il sogno sarebbe finito e io volevo continuare a sognare. Sono stato egoista, la felicità mi ha reso avido di essa. –
-Lo siamo stati entrambi, ma non avrei mai potuto odiare te. La mia reazione…-, Jonghyun scosse il capo. -  Ho avuto paura, Kibum, ho temuto di perderti per sempre nell'esatto istante in cui hai pronunciato il tuo nome perché ho visto tra noi una distanza infinita. Ho detto cose orribili che non pensavo, desideravo crearmi degli alibi per odiarti e riuscire a staccarmi da te. –
Jonghyun sogghignò, schernendosi. – Sì è rivelato un espediente sciocco ed inutile perché tu eri ovunque. Eri nella pioggia, nel vento, nel profumo dei ciliegi in boccio e ora che sei davanti a me sei di nuovo parte di me. –
-Siamo sempre stati l’uno parte dell’altro. -
Kibum lo baciò a fior di labbra, poi si staccò e fece un passo indietro. Si stava trattenendo troppo, forse lo stavano già cercando e non poteva rischiare di mettere in pericolo Jonghyun e mandare in frantumi tutti i suoi sforzi o rischiare di perderlo ora che l’aveva ritrovato.
- Ho desiderato rivederti con tutto me stesso, ma tu non dovresti essere qui. -
-Sono qui per proteggerti. –
Kibum sorrise triste. - Non puoi proteggermi, Jong. –
Chi proteggerà te?, pensò amaro.
-Ti sbagli, veglierò su di te sino all'arrivo degli altri, ormai è questione di poco. –
Gli occhi del principe s’illuminarono di curiosità e dalla sua voce trapelò un fremito d’eccitazione.
-Questione di poco? –
Jonghyun annuì.
-Quel cavaliere che hai mandato al Rifugio è arrivato giorni fa. -
-Siwon -
-Lui. Ci ha illustrato il tuo piano e Jinki ha trovato un esercito. -
Kibum sgranò gli occhi, incredulo. Un esercito era proprio ciò che gli serviva, volente o nolente non poteva farne a meno, ma come aveva fatto Jinki? Certo sapeva che il Leader era pieno di risorse, ma questo superava di gran lunga le sue aspettative.
Forse sto davvero sognando, pensò.
- Un esercito? Come?–
- Suo cugino. Non farmi domande è una lunga storia e conosci Jinki: gli piace avere i suoi segreti. -
Erano tutte notizie meravigliose e Kibum si ritrovò a sorridere come non faceva da tempo, avvertendo per un attimo il cuore più leggero. Tuttavia un rumore tra la vegetazione lo fece sobbalzare. Il frusciare delle foglie, il suono secco di rami spezzati. Il principe rabbrividì e s’aggrappò alle spalle di Jonghyun.
-Cos'è stato? -, disse allarmato.
Tornò il silenzio.
-Sarà qualche animale, stai tranquillo, presto sarà tutto finito. -
Kibum annuì. Sarebbe davvero finita presto, in un modo o nell’altro, e questo era già sufficiente a rassicurarlo. Tornò a guardare Jonghyun cercando d’ignorare il desiderio di aggrapparsi a lui per quanto rimaneva della notte e gli rivolse uno sguardo determinato. Non potevano restare lì. Nessuno dei due.
-Questo posto è pericoloso per te. -
-Ma...-
-Jonghyun, ascoltami. Tu non hai idea di quello che stai rischiando, devi rimanere nascosto tra la servitù, ti prego. -
Jonghyun si morse le labbra carnose. Come poteva essere utile a Kibum e proteggerlo se il più piccolo lo pregava di rimanergli lontano? Sapeva che la vicinanza, dato la situazione, poteva essere una tortura, ma Jonghyun era disposto a sopportarla.
Kibum gli prese il viso tra le mani, gli occhi magnetici puntati dritti nei suoi.
-Ti prego. -
Jonghyun riconobbe una ferrea determinazione nella voce dell’altro. Benché dallo sguardo del più piccolo trasparissero paura e preoccupazione, quello di Kibum era stato un ordine che non ammetteva repliche. Il “ti prego” dichiarava solo urgenza. Jonghyun sospirò. Forse era tempo di smetterla di porsi domande inutile, doveva semplicemente lasciarsi andare, affidarsi per una volta a qualcuno ed evitare di fare di testa sua. Kibum era turbato e quali che fossero le sue motivazioni era palese che desiderava saperlo al sicuro.
Non posso dargli ulteriore preoccupazioni, rifletté. 
Doveva acconsentire.
-Lo farò. –
Kibum sorrise, allentò la presa sul viso di Jonghyun per affondare le dita sottili tra suoi capelli, accarezzandolo piano.  -Ti prometto, amore mio, che se ancora mi vorrai quando sarà tutto finito ogni distanza tra noi svanirà. Fidati di me, farò il possibile perché ciò accada. – Lo baciò sulla punta del naso.
Jonghyun annuì e fu di nuovo invaso da un senso di pace. Lo baciò consapevole che entrambi temevano quella distanza e che avrebbero fatto di tutto pur di superarla. Come non ne aveva idea, ma per ora bastava.
-Devo andare – disse Kibum non appena si staccarono. - Ho inventato una scusa assurda per allontanarmi ed il tempo scorre troppo velocemente, la mezzanotte è passata da un pezzo e non posso trattenermi. –
Kibum fece un passo indietro prendendo consapevolezza egli stesso delle sue parole. Heechul doveva essere molto irritato per la sua assenza. Fu percorso da un brivido. Il pensiero di ciò che l’attendeva gli fece contorcere le viscere, ma ora più che mai doveva mostrarsi sicuro di sé. Heechul non aveva alcun sospetto, Jonghyun l’amava e presto Jinki sarebbe arrivato con i Ribelli ed un esercito. Era tutto perfetto e doveva solo tenere duro, perché alla fine di quel tunnel buoi e stretto vi era Jonghyun ad attenderlo, una luce calda e luminosa pronta ad avvolgerlo.
Jonghyun gli afferrò un polso rivolgendogli un’occhiata nervosa.
-Non tornare da lui. –
-Devo andare – disse Kibum, fermo. –Non tentarmi, Jong. -
 Jonghyun lasciò la presa, sospirando rassegnato. Non era giusto, ma aveva appena fatto una promessa e doveva mostrarsi in grado di mantenerla. Le immagini di quel pomeriggio danzarono vivide davanti a lui avvolte da luci e colori troppo sgargianti, il cui semplice ricordo gli feriva gli occhi. Scosse il capo con vigore per allontanarle.
-Finirà presto -, si ritrovò a dire, - te lo giuro. -
Kibum sorrise e annuì, poi sparì nella notte in un fruscio.
 
 
 
 
***
 
 
Jonghyun lasciò che la porta della sua stanza si richiudesse con un tonfo. Le strette pareti tremolarono e dell’intonaco giallognolo cadde dal soffitto, ma lui non se ne curò.
Lo svantaggio di essere l’ultimo arrivato era che gli avevano rifilato come stanza, se così la si poteva chiamare, il peggio del peggio, il vantaggio era che non doveva condividerla con nessuno.
S’infilò le mani tra i capelli girando a vuoto e mordendosi la lingua per reprimere un ringhio frustrato e probabilmente dai toni animaleschi. Aveva sostato ancora qualche minuto nei giardini prima di ritornare presso gli alloggi della servitù, ovviamente perdendosi in più di un’occasione. Faticava ancora ad orientarsi ed il suo stato d’animo non l’aveva aiutato.
Jonghyun prese un bel respiro e si lasciò andare sul misero giaciglio composto da assi di legno disconnesse e lenzuola che avevano visto tempi migliori, l’unico mobilio eccetto un armadio sgangherato e semi vuoto. Non aveva portato molto con sé.  
Era frastornato. Non era esattamente una novità nelle ultime settimane, e qualcuno di sua conoscenza avrebbe potuto dire che lui lo era costantemente, tuttavia il quel momento ne aveva la chiara percezione. Il breve incontro con Kibum l’aveva scosso sotto molti punti di vista.
Gli sembrava di camminare lungo un filo sottile sospeso tra il mondo dei sogni e la realtà. Il bacio con il più piccolo aveva risvegliato in lui uno strano formicolio. Il suo sangue aveva ripreso a scorrere vivo e caldo, non per la semplice lavoro meccanico indotto da un muscolo. Lo stesso profumo di Kibum non era più la mera reliquia rimasta ad aleggiare in una stanza vuota o appiccata alle lenzuola. Jonghyun percepiva ancora il corpo aggraziato del più piccolo tra le sue braccia, come poteva udirne il respiro tranquillo ed appagato. I suoi polpastrelli conservavano ancora la consistenza setosa dei capelli corvini dell’altro, così come le sue labbra custodivano gelosamente l’emozione e il sapore di quelle di Kibum.
Sorrise amaro facendo schioccare la lingua.
E ora è con quel tipo!, pensò con astio.
Devo stare calmo, s’impose. Non posso fare irruzione nei suoi appartamenti e ridurre quel tizio in cenere.
Un sorriso sadico gli animò il viso. Non ora almeno.
Affondò di nuovo le dita tra i capelli. Il suo intero corpo fremeva di rabbia, era un vulcano prossimo ad esplodere e solo il buon senso lo costringeva a mettere un freno ai suoi istinti più bellicosi. Non era facile, impossibile quasi, ma per quanto gli apparisse tutto come un assurdo controsenso doveva rimanere tranquillo e doveva farlo per Kibum.
Gli ho premesso di stare alla larga, di rimanere al sicuro…ma al sicuro da cosa quando è lui ad essere in pericolo?! Maledizione Kibum, come puoi chiedermi una cosa del genere?
Le mani di quel tizio su Kibum, il suo Kibum! Non poteva sopportarlo! Il più piccolo aveva bisogno di essere cullato, coccolato e accarezzato teneramente e Jonghyun aveva visto come quel tipo lo guardava. Non avrebbe fatto nulla di tutto ciò!
Tirò un pugno alla parete di legno graffiandosi le nocche ed emettendo un ringhio. Quello era l’unico sfogo che poteva concedersi.
Gli ho promesso di non fare sciocchezze e devo trattenermi, non posso rischiare di metterlo in pericolo a causa della mia testa vuota!
Si passò una mano sul viso che scoprì sudato. Si sedette sul letto e piantò saldamente i piedi sul pavimento di legno. Si morse il labbro ed aprì i palmi delle mani verso l’alto per poi richiuderli. Scosse il capo. Stava impazzendo, dall’ansia, dalla rabbia ed il fatto di avere avuto la sensazione di essere seguito lungo buona parte del tragitto per tornare negli alloggi della servitù non l’aiutava.
Si portò una mano alla gola riarsa consapevole di avere accumulato involontariamente troppo calore, la sua stessa pelle bruciava. Doveva bere. Allungò una mano verso la brocca riposta ai piedi del letto. Era piena, strano, era certo fosse mezza vuota. Fece spallucce e bevve di gusto.
L’acqua era stranamente fresca, come se fosse stata appena versata. Anche quello era molto strano, ma lui era incredibilmente assetato e non aveva intenzione di lasciarsi influenzare da assurde paranoie.
Si asciugò le labbra con l’avambraccio e poi si portò una mano alla testa. Gli girava. Scosse il capo ed emise un lamento infastidito. Chiuse gli occhi e poi li riaprì trovandosi di fronte un mondo sfuocato e confuso. Un senso di panico l’invase.
Cosa stava succedendo?
S’alzò barcollando e appoggiandosi alla parete per non crollare a terra. Si portò una mano alla gola.
Stramonio?!, Pensò allarmato.
Conosceva bene l’effetto di quella sostanza, ma le rare occasioni in cui aveva avuto il dispiacere di provarla non gli aveva mai fatto un effetto così forte. Chiunque fosse stato gli aveva rifilato una dose da cavallo! Stava per svenire, le sue gambe erano troppo molli, le palpebre troppo pensanti e qualunque percezione tattile stava sfumando. Era come galleggiare nel vuoto inconsistente dentro una bolla appannata. Tutti i colori erano sfuocati e l’aria quasi inesistente. Boccheggiò. Non percepì le sue gambe sfasciarsi a terra come cera liquida. L’ultima cosa che vide furono un paio di stivali davanti al suo naso.
 
 
 
 
 
Eccomi di nuovo! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che sia valso l’attesa ^^
Ricordo che i commenti sono sempre graditi. Lasciarmi due righe vi ruberà solo due minuti di tempo e farà felice una scrittrice disperata <3
 
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In merito ai prossimi aggiornamenti non posso fare pronostici, potrei pubblicare tra un paio di settimane come tra un mese. Purtroppo ho diversi lavori da portare a termine che hanno la priorità, inoltre la prossima settimana sarò via per studio e non so quanto riuscirò a scrivere.
 
 
OGGI ORBIT COMPIE UN ANNO!
 
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Fate gli auguri! ^^
Colgo l’occasione per ringraziare tutti quelli che seguono ininterrottamente da un anno ^^ <3 Grazie!!
A presto!
 
 
 
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