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Autore: TheSlavicShadow    17/08/2017    2 recensioni
Caso: Terra-3490.
Il 47esimo modello pacifico ha beneficiato principalmente dalla relazione tra Capitan America, Steve Rogers, e Iron Woman, Natasha Stark.
Agendo da deterrente per i comportamenti più aggressivi degli altri, ha consentito al Reed Richards di questa Terra di portare a termine con successo il programma di registrazione dei supereroi e di avviare l’Iniziativa dei 50 Stati.
{Il ponte - Capitolo due da Dark Reign: Fantastic Four n. 2 del giugno 2009}
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Settembre/Ottobre 2005

 

Quando Steve l’aveva riportata a casa, si era subito chiusa in officina. Il Capitano l’aveva presa per mano quando aveva voluto rincorrere Obadiah e le aveva semplicemente detto di non farlo, che aggredirlo in pubblico avrebbe solo peggiorato la sua posizione. Steve aveva ragione, ma lei voleva dargli almeno un pugno e togliergli quel ghigno soddisfatto dal viso.

Aveva ingoiato il rospo e aveva seguito Steve fino alla propria macchina. L’uomo si era messo subito alla guida e lei aveva solo appoggiato il viso contro il finestrino. Aveva osservato le luci artificiali che illuminavano Los Angeles come se fosse giorno. Le sembrava così strano che qualcuno guidasse le sue macchine. Di solito ne era molto gelosa e non permetteva a nessuno di toccarle. Ma Steve era sempre stato un’eccezione anche a questo.

Le faceva paura il modo in cui Steve riuscisse sempre a farsi largo nella sua vita e di come lei fosse totalmente incapace di resistere. Si diceva che era sbagliato. Che qualcuno sarebbe di nuovo finito con il cuore spezzato, ma non riusciva a mandarlo via. Non riusciva a dirgli di andarsene, di starle alla larga.

Aveva messo l’officina in lockdown. Steve aveva provato tutti i codici che conosceva per entrare, ma lei non voleva essere disturbata da nessuno. Men che meno da lui che avrebbe cercato di farla parlare e ragionare. Solo che non era quello di cui aveva bisogno in quel momento. Aveva ordinato a J.A.R.V.I.S. di controllare tutta la contabilità dell’azienda e di cercarle tutte le informazioni su Gulmira, sull’Afghanistan e su I Dieci Anelli.

Aveva passato la notte e il giorno successivo così. Guardando filmati di vari telegiornali mentre modificava l’armatura. Le scene che le si presentavano davanti agli occhi le vedeva per la prima volta in modo completamente diverso. Non le era mai importato della guerra, per quanto fosse brutto da dire. Lei produceva armi. Era uno dei maggiori fornitori dell’Esercito americano. Era cresciuta sempre circondata da soldati, veterani di diverse guerre e il suo migliore amico era nell’aviazione. E nonostante questo, la guerra era sempre rimasta un concetto astratto. Qualcosa di molto lontano da lei e che non la toccava in prima persona. Aveva visitato delle basi militari in zone di guerra. La prima volta aveva accompagnato suo padre quando aveva 15 anni. Ma non si era resa conto di come stessero realmente le cose. Era stata sempre cieca senza vedere come la guerra riduceva le persone, soldati o civili che fossero.

Quello che aveva creato solo per gioco ora lo avrebbe usato diversamente. Avrebbe potenziato i repulsori. Avrebbe aggiunto delle armi nascoste nell’armatura. Avrebbe distrutto con le sue stesse mani tutto quello che aveva creato.

Aveva puntato i repulsori contro il muro vetrato della sua officina disintegrandolo pannello dopo pannello.

E Steve era arrivato in un attimo. Come se fosse sempre stato in attesa di qualcosa per poter intervenire.

“Cosa sta succedendo qui?” L’aveva guardata, guardando poi i vetri sparsi per terra. Si era subito avvicinato a lei. Aveva guardato il guanto rosso e dorato con molta attenzione. “Tasha, stai bene?”

“Sempre, Steven. Ho solo una cosa da fare.” Aveva abbassato il braccio e guardato Steve negli occhi. Lo avrebbe fatto con o senza la sua approvazione. L’uomo si era passato una mano sugli occhi e lei non riusciva a smettere di guardarlo. “Ho passato la notte a setacciare ogni singolo file della società. Non è stata approvata la vendita di nulla eppure in qualche modo quelli hanno avuto il Jericho. E sono gli stessi che hanno rapito me.”

“Vuoi dire che qualcuno vende le tue armi al mercato nero?”

Le sue labbra si erano mosse da sole. Aveva sentito i muscoli muoversi e stava sicuramente sorridendo. Era una maschera. Era solo una maschera e la odiava.

“Mi sono fidata di lui. Lo conosco da quando sono nata e Howard si fidava di lui. Obadiah è sempre stato il suo braccio destro.” Aveva abbassato lo sguardo e si era morsa un labbro con forza. Non era tornata a casa da neanche due mesi e tutto stava precipitando a troppa velocità. Non riusciva ad aggrapparsi a nulla per evitare di crollare. “Non ho prove che sia stato lui. Dovrei andare in ufficio e cercare dal mio computer dei file fantasma o qualcosa di nascosto. Da qui J.A.R.V.I.S. riesce a fare qualcosa, ma non tutto.” Appena tutta quella storia si fosse conclusa avrebbe potenziato J.A.R.V.I.S. lo avrebbe esteso a tutta la società così niente le sarebbe più sfuggito. Era paranoica. Quella era pura e semplice paranoia.

“A me Stane non è mai piaciuto per il modo in cui ti guardava e per come ti guarda ancora adesso.”

Aveva fatto una smorfia. Non aveva mai raccontato a Steve di cosa fosse successo anni addietro. Di come il suo drink era stato alterato con qualcosa. Se glielo avesse raccontato avrebbe solo peggiorato la situazione e Steve sarebbe stato ancora più protettivo di quanto già non lo fosse.

Steve si era mosso velocemente, reagendo probabilmente all’espressione sul suo viso, e l’unica cosa che era riuscita a fare era stata alzare la mano guantata contro di lui. Aveva spalancato gli occhi, notando lo shock sul viso di Steve.

“Non… Non fare movimenti improvvisi.” Aveva abbassato la mano, ma stava tremando tutta. Quello era Steve. Quello era solo Steve e di Steve poteva fidarsi. Steve non le avrebbe mai fatto del male.

L’uomo l’aveva guardata e odiava il modo in cui il suo sguardo sembrava essere dolorante. Steve sapeva. Steve sapeva tutto.

“Che ne dici di togliere quel guanto per adesso? Andiamo di sopra, preparo qualcosa da bere e parliamo. Non importa di cosa. Parliamo. Possiamo anche metterci in terrazzo così mi fai qualche lezione di astronomia e mi parli di quella cosa… Come avevi detto che si chiamava?”

“Ponte di Einstein-Rosen.”

“Esatto.” Steve le aveva sorriso debolmente e lei voleva solo urlare e nascondersi da qualche parte. Ma se lo avesse fatto tutti avrebbero avuto la prova che non stava bene. E non poteva permetterlo a nessuno. “Che ne dici?”

Non aveva risposto. Aveva solo sganciato il filo che collegava il repulsore del guanto al reattore arc e aveva sfilato il guanto lasciandolo cadere a terra.

“Niente tè caldi o tisane. Whisky. Con ghiaccio. E patatine fritte come accompagnamento.”

“J.A.R.V.I.S. è preoccupato per la tua alimentazione. Mi ha riferito che non hai mangiato nulla da quando ti sei chiusa qui dentro.”

“E’ un traditore. Come può uno tradire così la propria madre? E’ inaudito!”

“Il Capitano Rogers sembra essere l’unica persona a cui pare dare retta almeno in parte, signorina Stark. Ho dovuto informarlo che il suo unico pasto nelle ultime 20 ore è stata una barretta di cereali e mirtilli rossi accompagnata da fin troppo caffè.”

Natasha si era zittita quando l’intelligenza artificiale aveva preso la parola e Steve la guardava inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia.

“Vado a preparare almeno dei toast e ti bevi una spremuta di arance. Ma prima di tutto vai a farti una doccia perché puzzi e poi ti aspetto in terrazzo.”

Aveva guardato Steve oltraggiata dalle sue parole mentre questi le dava le spalle e se ne tornava al piano di sopra. Quando era sicura che Steve non potesse più vederla aveva alzato un braccio per controllare lo stato del suo odore corporeo e aveva decisamente bisogno di una doccia. Come facesse Steve a sopportarla quando si chiudeva a questo modo in officina e ne usciva in modi schifosi era sempre un mistero per lei.

“J, continua con le modifiche dell’armatura. Appena è pronta avrò del lavoro da fare.” Era corsa al piano di sopra. Sentiva Steve preparare la loro cena mentre ascoltava il telegiornale. Stavano parlando di lei. Non aveva voluto ascoltare, ma aveva sentito il proprio nome pronunciato dalla giornalista. Almeno adesso avevano smesso di parlare di lei come se fosse malata e bloccata a letto. O peggio. Era stata brava. In quel mese in cui era tornata a casa era stata brava. Non aveva creato scandali. Non si era fatta fermare dalla polizia neanche una volta per guida in stato di ebrezza. Non aveva portato a casa neppure un uomo, ma questo non sarebbe successo per diverso tempo. Non aveva neppure organizzato alcuna festa con almeno duecento invitati di cui non conosceva nessuno.

Con un colpo secco aveva pulito lo specchio coperto di vapore osservando il proprio riflesso. I capelli stavano lentamente ricrescendo, arricciandosi sulle punte, e per un istante aveva pensato a Steve, a come molti anni addietro affondava le dita tra le sue ciocche e le accarezzava la cute con la punta delle dita. Un paio di volte forse aveva anche fatto le fusa facendo ridere il biondo. E ora Steve le aveva fatto paura solo muovendosi troppo bruscamente in sua presenza. Era una cosa stupida. Era a casa e Steve non le avrebbe mai fatto qualcosa contro il suo volere. Al massimo cucinare e spedirla a letto.

Aveva osservato il proprio petto. Anche se non voleva il suo sguardo cadeva sempre sul cerchio illuminato del suo petto. Era orrendo. Non tanto il reattore arc, quando la cicatrice che lo circondava. Non aveva mai avuto un seno prosperoso, anzi. Questo non era mai neppure stato un problema per lei. Ma vedere la cicatrice che si estendeva e le copriva anche un pezzo di seno le dava fastidio. E solo per una questione estetica. Era abbastanza superficiale per questa cosa. Avrebbe dovuto essere felice anche solo di essere viva dopo quanto era successo. E lo era. Era felice di essere tornata a casa. Ma quella cicatrice la disturbava.

“Signorina Stark, il Capitano Rogers ha portato la vostra cena in terrazzo e le chiede di raggiungerlo.”

“J.A.R.V.I.S., credi che a Steve potrei fare schifo con questa roba nel e sul petto?”

“Non sono stato programmato per leggere i pensieri delle persone, ma a giudicare da come il suo battito cardiaco sia aumentato la prima volta che avete fatto colazione insieme, posso quasi sicuramente asserire che o stava avendo un arresto cardiaco in corso oppure ciò che vedeva era di suo gradimento.”

“Alla sua età un infarto sarebbe abbastanza normale. E’ un vecchio travestito da giovane.”

“Ha richiesto che facessi partire la discografia completa di Miss Vera Lynn. Ora sta canticchiando “White Cliffs of Dover”, signorina.”

“L’ho sempre detto che era vecchio dentro.” Aveva messo dei vestiti puliti, ed era sicura che era stato Steve a lavarli e stirarli. Erano piegati secondo il suo modo. “E poi è una casalinga perfetta. Potrei chiedergli di diventare il mio maggiordomo in carne ed ossa.”

“Ho paura che potrebbe accettare e prendere molto sul serio il suo nuovo ruolo.”

“Tu hai solo paura di essere sostituito.”

“Decisamente no. Badare a lei è un compito davvero estenuante per una persona sola. Io sono solo un’intelligenza artificiale e ogni tanto vorrei dare le dimissioni. Avere un aiuto per occuparmi di lei sarebbe una manna dal cielo.”

“Un giorno ti riprogrammerò e la smetterai di essere così sarcastico, ti avverto.” Era uscita dal bagno e mentre scendeva le scale sentiva la voce della cantante inglese che riempiva lo spazio. Steve era appoggiato contro la ringhiera del terrazzo e guardava l’oceano. Ogni tanto si chiedeva cosa potesse pensare mentre guardava la distesa d’acqua. Steve era pronto a far affondare il Valchiria nell’Atlantico. Poi aveva trovato il ghiaccio, ma all’inizio gli andava bene anche il mare.

Si era appoggiata contro lo stipite della portafinestra aperta continuando a guardare l’ampia schiena dell’uomo. Steve le metteva sempre sicurezza. Doveva pensare solo a questo quando aveva quell’uomo attorno.

“Siamo nostalgici, Capitano?” Si era spostata dalla porta e lo aveva raggiunto. Steve l’aveva subito guardata.

“Per la Lynn dici? No, è solo che mi piace ogni tanto ascoltare qualcosa del mio periodo. Quella musica assordante che ascoltate voi giovani è ripugnante. Solo tanto chiasso per nulla. La potete davvero definire musica?” Steve aveva sorriso e lei aveva fatto lo stesso, appoggiando la schiena alla ringhiera e continuando a guardarlo.

“Ma se in macchina tua hai un cd dei Rammstein.”

“Uno deve sempre tenersi informato sulle nuove tendenze.” Steve le aveva porto una mano e lo aveva guardato incuriosita. “Mi concede questo ballo, signorina Stark?”

“Sei serio? Con “Auf Wiedersehen, Sweetheart” in sottofondo? Avrei sperato in qualcosa di meno malinconico.” Aveva tuttavia preso la sua mano. Era probabilmente un errore. Si erano già fatti abbastanza male a vicenda in passato. Spingersi nuovamente uno tra le braccia dell’altra sarebbe stato sbagliato.

Ma Steve non aveva esitato a stringerla subito a sé, passando un braccio attorno alla sua vita e iniziando a muoversi lentamente a ritmo di musica. Natasha aveva solo potuto appoggiare la mano sulla sua spalla e guardarlo. Improvvisamente aveva di nuovo 16 anni e quella era la prima volta che ballavano insieme. Aveva ordinato a J.A.R.V.I.S. di far ripartire la canzone, senza mai togliere lo sguardo da quello di Steve.

“Jarvis e Peggy ascoltavano spesso Miss Lynn. Penso che Peggy ascoltasse le sue canzoni perché le ricordavano te.” Aveva mosso lentamente la mano, arrivando a sfiorargli i capelli corti sulla nuca. “With love that's true, I'll wait for you. Aveva davvero un bel modo di parlare di amori perduti durante la guerra. Doveva essere veramente una cosa orrenda non avere mai la certezza di quello che sarebbe potuto succedere.”

“Sono sempre stato abbastanza sicuro che sarei tornato da Peggy alla fine della guerra.” Steve aveva stretto un po’ di più la sua mano. “Poi ho scelto diversamente, perché era la cosa giusta da fare. Ma da quando l’ho conosciuta sapevo che volevo passare la mia vita con lei.”

Faceva male sentire Steve parlare di Peggy, ma era colpa sua. Aveva iniziato lei quel discorso e ora ne doveva accettare le conseguenze.

“Lei non ha mai smesso di amarti. Lo notavo ogni volta che mi parlava di te e io ero sempre felice di sentirla parlare di Steve. Ne parlava con una tale dolcezza che credo sia tutta colpa sua se mi sono innamorata di te ancora prima di conoscerti.” Gli aveva sorriso lievemente e Steve la guardava con una tale intensità che si sentiva come messa a nudo.

“Perché te ne sei andata?” Steve si era fermato quando la musica era finita e aveva parlato solo allora. Un’altra canzone stava iniziando, ma entrambi la stavano ignorando. “Credevo che le cose stessero andando bene, nonostante tutto quello che era appena successo.”

Aveva cercato di fare un passo indietro, ma Steve non glielo aveva permesso. La teneva stretta a sé e la guardava negli occhi. La guardava con intensità e sembrava ferito. E lei ne era la causa.

“Avrei rovinato tutto. Non potevo restare con te sapendo che avrei rovinato tutto.” Aveva abbassato lo sguardo perché non riusciva a sostenere quello di Steve. Aveva stretto un po’ la stoffa della sua maglietta tra le dita. Sapeva che prima o poi Steve avrebbe voluto affrontare l’argomento. In questo erano molto diversi. Se lei preferiva ignorare le situazioni complicate, Steve le affrontava. Un po’ lo ammirava per questo, anche se ora era lei la situazione complicata che doveva affrontare. “Hai letto i giornali, no? Hai visto come ho passato questi anni. Anche prima di te non sono mai stata una santa, anzi. Non sono il tipo che ha relazioni profonde e durature, questo dovrebbe essere chiaro come il sole. Con quelle poche volte che ho provato ad avere le cose sono sempre degenerate.”

“Hai avuto Tiberius Stone come metro di paragone, Tasha. Non credo che questa si possa considerare una relazione sana. Neppure con me lo sarebbe stata probabilmente, tra l’essere Capitan America e un agente dello S.H.I.E.L.D. non c’è nulla di sano o normale. Ma non sono come Stone.” Steve aveva spostato lo sguardo solo per un attimo e per un breve attimo le era passata per l’anticamera del cervello la stupida idea di baciarlo, di prendere il suo viso tra le proprie mani e fare quello che aveva desiderato fare per tutta la vita. “Pensavo che le cose stessero andando bene. Che potevamo davvero costruire qualcosa insieme.”

“Steve, no!” Il modo in cui Steve l’aveva guardata le aveva spezzato il cuore. Voleva convincersi che era per il reattore e i frammenti di granata nel suo petto, ma sapeva che non era così. Era per il dolore negli occhi di Steve. “Ti prego. No. Non è più come cinque anni fa. Molte cose sono cambiate. E non posso più, non voglio più riprovarci… Non funzionerebbe… E ho delle cose da fare e tu ti preoccuperai. Forse mi sguinzzaglierai contro Fury e io non voglio lo S.H.I.E.L.D. attorno. Non ora. Devo prima risolvere questa situazione e non posso pensare ad altro.”

“Io posso aiutarti. Posso venire con te in Afghanistan e aiutarti. Non guardarmi così, so perfettamente cosa vuoi fare e non ho intenzione di fermarti se mi permetterai di aiutarti.” La stretta attorno alla sua vita si era allentata e le mani di Steve erano improvvisamente sul suo viso. La guardava negli occhi e sembrava stesse cercando le parole giuste. “Ti amo, Natasha. Te l’ho detto troppo poco in passato e so che avrei dovuto farlo più spesso. Ma posso rimediare. Posso aiutarti ora e rimanere qui con te.”

“Tu non puoi essere serio. Non hai idea di cosa stai dicendo, Steve.” Aveva appoggiato i palmi delle mani sul petto di Steve. Spingerlo sarebbe lontano da sé per allontanarlo sarebbe stato così semplice. Sarebbe bastato così poco per mettere un’altra barriera tra di loro. “Non sai cos’è successo in Afghanistan, e credimi, è meglio così.”

“Ho combattuto la seconda guerra mondiale, Tasha. Qualcosa forse la so anch’io. Non ti chiedo di parlarne ora. Lo farai quando sarai pronta.” Le aveva accarezzato piano il viso, abbassandosi per appoggiare la propria fronte contro la sua. E continuava a guardarla. “Sai che puoi sempre contare su di me e che non ho alcuna intenzione di lasciarti affrontare tutto questo da sola.”

“Steve… Non sono più quella che hai conosciuto dieci anni fa… Sono successe troppe cose e non ti piacerebbero.”

“Questo lascialo decidere a me. E credi davvero che non abbia seguito quello che facevi in tutti questi anni? Sai, abbiamo i televisori anche allo S.H.I.E.L.D. e anche se tu credi che non sia così, Fury ti tiene in molta considerazione ed era sempre informato su quello che facevi.”

“Devo quindi ringraziare lui per non essere mai finita in carcere quando la polizia mi fermava e trovava non in grado di essere alla guida?” Steve le aveva sorriso e lei si era soffermata a guardare troppo a lungo quelle labbra. Sapere com’erano e com’era essere baciata da esse faceva quasi male. E odiava quel lato di sé che continuava a farle provare quei sentimenti per Steve. “Non mi dire che ha anche messo a tacere tutti gli scandali sessuali che mi riguardavano?”

Lo aveva detto di proposito. Aveva visto gli occhi di Steve spalancarsi un attimo e poi aveva spostato lo sguardo sulla mascella vedendola contrarsi.

“Hai ancora l’abbonamento annuale a Playboy?” Aveva piegato le labbra in un ghigno che sperava fosse malizioso. Una volta era brava a farli. Ora non ne era più sicura. “Sennò ti sei procurato il numero dove ci sono io in copertina? So che è andato a ruba, e mi ha fatto avere non pochi problemi con il consiglio d’amministrazione. Probabilmente non riuscivano più a guardarmi senza che gli venisse duro, non credi?”

Steve aveva fatto un passo indietro, anche se non aveva smesso di guardarla. Era infastidito dalle sue parole e Natasha lo sapeva benissimo. Ferire le persone era sempre il modo migliore per allontanarle. Ed in questo era una vera maga.

“Davvero non riesco a capire perché ti comporti così. Sto solo cercando di aiutarti.”

“Non mi serve aiuto, Steve. Non adesso e non per quello che devo fare.” Aveva scosso leggermente la testa. Gli aveva dato le spalle e si era allontanata lentamente. “Se ti serve qualcosa sarò in officina.”

Sapeva che Steve la stava guardando, ma non si era voltata neppure una volta, scendendo velocemente le scale per rifugiarsi nel luogo per lei più sicuro.

 

✭✮✭

 

“Pensavo avesse smesso di costruire armi.”

“Non è un’arma. E’ un’armatura. Serve a proteggermi dalle armi.” Lentamente si era voltata verso la donna che era appena entrata nella sua officina. Non aveva ancora fatto sostituire i vetri rotti e non aveva neppure pulito il disastro che aveva fatto qualche giorno prima.

Pepper la guardava inarcando un sopracciglio, per nulla convinta dalle sue parole. Ma del resto neppure lei era convinta in quello che diceva. L’armatura era un’arma. Se ne rendeva perfettamente conto anche se non la viveva come tale. L’armatura era qualcosa che le serviva.

“Ha chiamato Rhodes e ha lasciato come messaggio “E’ stata un’esercitazione”. Si era mossa verso uno dei tavoli da lavoro appoggiandovi sopra una scatola impacchettata con della semplice carta. “Ha chiamato anche il Capitano Rogers solo per chiedere se era tornata a casa tutta d’un pezzo. Presumo che non abbia cercato di fermarla.”

“Lui non è rientrato?” Voleva sembrare indifferente ed aveva ripreso a riparare l’armatura. Ma non lo era affatto. Steve era uscito dopo la loro discussione e non era rientrato. I suoi vestiti erano ancora nella stanza che aveva fatto preparare per lui, ma lui non era rientrato.

“No, e non ho indagato su dove potesse essere.”

“Al quartier generale dello S.H.I.E.L.D.. Starà facendo rapporto sul perché non mi abbia fermata o accompagnata.” C’era una parte di lei che si sentiva in colpa per come aveva trattato Steve. Non se lo meritava affatto. Era un santo con lei. Lo era sempre stato. Cercava di supportarla in continuazione e lei non faceva altro che allontanarlo.

“Signorina Stark, Happy ha fatto qualche indagine sul Capitano Rogers.” Natasha aveva alzato gli occhi al cielo prima di guardare la propria segretaria. Pepper era seria e preoccupata. L’aveva vista così solo un paio di volte, quando davvero aveva fatto delle stronzate assurde. Come bere così tanto fino a perdere conoscenza e dover chiamare un’ambulanza. Aveva fatto una smorfia a quel ricordo. “Se lavora per lo S.H.I.E.L.D. probabilmente Steve Rogers non sarà neppure il suo vero nome.”

“Pep, Steve non è una minaccia. Non una minaccia reale almeno, è più una minaccia per il mio sistema emotivo totalmente compromesso.”

Pepper si stava mordendo un labbro e Natasha aveva solo preso uno straccio per pulirsi le mani. Sapeva che finché l’altra donna fosse rimasta lì non avrebbe continuato a lavorare. Anche se voleva solo finire e migliorare l’armatura.

“Natasha, sono solo preoccupata per lei. Da quando è tornata non sembra più lei. Lo S.H.I.E.L.D. mi telefona in continuazione per fissare un appuntamento con lei, dal nulla arriva questo uomo e lei lo accoglie in casa, ora queste armature. Cosa sta facendo?”

“La cosa giusta.” Aveva gettato lo straccio per terra e si era alzata dalla sedia. Lentamente si era avvicinata alla donna, prendendo in mano il pacchetto che Pepper aveva lasciato sul tavolo. Lo aveva scartato subito e aveva sentito i denti abbattersi con forza gli uni contro gli altri.

Il suo vecchio reattore arc. Il primo. Posto su un piedistallo e protetto da una teca di vetro. Pepper aveva fatto aggiungere un anello attorno al reattore. “La prova che Tasha Stark ha un cuore”.

“Signorina Stark, siamo solo tutti preoccupati. E’ scomparsa per quattro mesi e ora non si è fermata un attimo. Guardi questa officina, guardi come l’ha ridotta. Non ha neanche chiamato qualcuno per sostituire quei vetri!”

Aveva appoggiato la teca di vetro sul tavolo e aveva guardato Pepper. Anche quella mattina era impeccabile. I capelli erano lasciati sciolti a cadere morbidamente sulle sue spalle. Sembrava così casual, ma Natasha sapeva che aveva passato almeno un paio d’ore davanti allo specchio per sistemarsi. La ammirava per questo. La ammirava anche per molte altre cose.

“Da quanti anni lavori per me? 4? Quante cose stupide e pericolose mi hai visto fare in questo lasso di tempo? Te le devo elencare? Quante corse abbiamo fatto in ospedale perché mescolare pasticche e alcool non è mai stata una cosa molto saggia?” Aveva osservato la donna spalancare lievemente gli occhi. Di solito nessuno parlava dei suoi eccessi una volta che le cose venivano messe a tacere. La trattavano con i guanti di velluto per qualche tempo, poi lei finiva per rifare qualcosa di stupido e pericoloso e tutto si ripeteva in un loop infinito. “Pepper se davvero vuoi aiutarmi va nel mio ufficio e scopri cosa mi nasconde Stane. Questo è un decodificatore che ho costruito apposta. Ti aiuterà a trovare dei file nascosti, file fantasma e superare qualsiasi protezione Stane abbia potuto mettere nel database dell’azienda.” Le aveva porto una pen drive che aveva costruito appena rientrata da Gulmira. Sapeva che ogni istante era prezioso e non aveva tempo da perdere.

“No, finirà per farsi uccidere se continua con questa storia! Già è quasi morta e non voglio che le succeda qualcos’altro!”

La donna aveva battuto un palmo sul tavolo e a Natasha era servito tutto il proprio autocontrollo per non fare un salto indietro. Stava bene. Doveva solo convincersi che stava bene e tutta questa storia dei movimenti e rumori bruschi sarebbe svanita.

“Ma succederanno altre cose! Qualcuno sta vendendo le armi, le mie armi, al mercato nero. E lo stanno facendo dall’interno. Non è merce rubata o scarti. Sono armi di prima categoria. E in questo momento posso contare solo su di te. Non su Steve, non su Rhodes. Ho solo te.” Si era passata una mano sugli occhi. Le sembrava di essere tornata ragazzina, di avere di fronte Howard quando cercava di convincerlo di avere ragione. “Mi sei stata accanto mentre costruivo tutte queste armi che stanno facendo più danni che altro, non puoi abbandonarmi adesso che sto finalmente facendo la cosa giusta.”

Pepper l’aveva guardata. Aveva sospirato e aveva preso in mano la pen drive che Natasha aveva appoggiato sul tavolo.

“Basta che la metta nel suo pc, esatto?” Natasha aveva annuito e Pepper aveva sospirato. “D’accordo, vado e torno con i dati che le servono. Lei intanto telefoni al Capitano Rogers e gli dica di tornare qui. E non osi protestare, almeno quell’uomo riesce a farla mangiare anche se ancora non sono convinta su chi possa davvero essere. E quando tutta questa storia sarà finita lei incontrerà l’Agente Coulson, che continua a tormentarmi per avere un incontro con lei.”

“Ancora? Credevo di essere stata chiara che non voglio parlare con lo S.H.I.E.L.D..” Aveva sbuffato, cercando con lo sguardo il proprio cellulare che era sicura fosse da qualche parte sul tavolo da lavoro.

“Io credo che dovrebbe concedere un incontro con questo agente. Sembrava sinceramente preoccupato.”

“Probabilmente lo è. Ci conosciamo da diverso tempo.” Aveva trovato il proprio cellulare sotto un mucchio di fogli di carta. Erano progetti per altre armi. Erano progetti rimasti lì da prima della sua partenza e che non aveva mai buttato. Non aveva avuto tempo. Una volta rientrata aveva pensato solo a costruire quell’armatura. “Coulson è una brava persona, ma non so se mi posso fidare delle persone per cui lavora. Anche loro usano le mie armi, proveranno sicuramente a fare qualcosa per convincermi a riprendere la produzione. Ma non posso.”

“Lei deve solo pensare a riposare, però dirò a Coulson che può passare a trovarla nei prossimi giorni e che lei lo farà entrare in casa. Non come le ultime 13 volte in cui è stato qui.”

“Non ero in casa.” Aveva sorriso mentre guardava Pepper alzare gli occhi al cielo. Ogni volta che Coulson aveva citofonato, lei aveva lasciato che fosse J.A.R.V.I.S. a rispondere. Quando Coulson continuava ad insistere, mandava fuori Steve che in qualche modo riusciva a mandarlo via. Con molta probabilità Steve gli passava qualche informazione. Era sicura che quello fosse l’unico motivo per il quale l’avevano lasciata relativamente in pace in tutte quelle settimane. Fury voleva delle risposte che lei non voleva dargli. E Steve era l’uomo chiave per tenerli tutti in equilibrio.

“Sarò qui per ora di cena. Sarebbe carino avere anche il capitano Rogers e il colonnello Rhodes con noi, non crede? Quindi veda di telefonare ad entrambi e scusarsi per quello che sicuramente ha fatto.”

“Sì, mamma.” Questa volta era stata lei ad alzare gli occhi al cielo mentre Pepper usciva dall’officina e risaliva le scale scomparendo così alla sua vista.

Avrebbe telefonato ad entrambi. Avrebbe ordinato una quantità schifosa di pizza e avrebbe messo su tutti i film di Star Wars. Sarebbe stato come un salto tempo. Avere Steve e Rhodes nello stesso posto le sembrava un vero tuffo nel passato, quando avevano qualche volta guardato film insieme. Poche volte. Poteva contarle sulle dita di una mano. Ma erano ricordi preziosi. Perché Steve e Rhodes erano preziosi per lei. Fin troppo importanti anche se non glielo diceva mai e i suoi comportamenti sembravano dire il contrario.

Aveva preso il cellulare in mano telefonando prima al proprio migliore amico. Parlare con lui sarebbe stato più facile. Almeno non c’erano sentimenti e emozioni tumultuosi e confusi da affrontare.

 
   
 
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