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Autore: Kim WinterNight    17/08/2017    5 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ReggaeFamily

Here comes the Night

[Shavo]




«Andiamo al Buts?» mi chiese Leah all'improvviso.

Aggrottai le sopracciglia. «Adesso?»

«Sì, perché no?»

«Forse perché sono le due del mattino e domani dobbiamo alzarci presto per andare in città a visitare quel museo, ricordi?» le feci notare con le idee sempre più confuse. Quella ragazza mi avrebbe fatto perdere il senno prima o poi.

«E allora? Oh, Shavarsh! Immagina quanto sarà romantico: io e te, noi due soli soletti, sulla spiaggia, due cuori e una coperta...» blaterò con pungente ironia nella voce, mentre percorreva la mia spalla con una mano.

«Ma non era due cuori e una capanna

«Se hai voglia di costruire un riparo per la notte, fai pure. Io mi accontento di una coperta che ho adocchiato nel mio armadio» borbottò Leah.

Sospirai. Perché mi ero preso una sbandata per una ragazza così simile a Daron? Certe volte aveva delle idee assurde, faticavo già a starle dietro.

«Allora ci diamo una mossa?» strepitò ancora lei, strattonandomi leggermente per un braccio. «O vuoi lasciare che io vada laggiù tutta sola, in balia degli agenti atmosferici e delle intemperie della notte?»

«Se qualcuno volesse aggredirti, desisterebbe subito perché gli riempiresti la testa di fesserie» ribattei con finto tono irritato.

«Che stronzo!»

Mi guardai attorno: nella hall, oltre a noi due, c'era soltanto lo stagista che si stava probabilmente intrattenendo con un videogioco sul computer. Riportai gli occhi su quelli vispi e luminosi di Leah, poi annuii lentamente e mi lasciai sfuggire un sospiro rassegnato.

«Oh, ti adoro!» Leah mi abbracciò di slancio, poi mi lasciò andare e si precipitò a recuperare la coperta che ci avrebbe tenuto compagnia al Buts. Non ero certo di come sarebbero andate le cose, probabilmente saremmo morti assiderati, o forse ci saremo beccati un malanno. Eppure la faccenda si faceva intrigante: io e Leah da soli sulla spiaggia, sotto la luna, con il fruscio delle onde e tutto il resto...

Scossi il capo e cercai di darmi un contegno. Fortunatamente i miei amici si erano dileguati in fretta e furia, non appena eravamo rientrati dalla capitale in seguito al concerto di quei due pazzi: John aveva asserito di essere molto stanco, mentre Daron aveva borbottato qualcosa a proposito di una faccenda da risolvere. Il chitarrista era sempre nei casini, ancor più da quando eravamo giunti in Giamaica.

Sobbalzai leggermente quando Leah si materializzò nuovamente al mio fianco; aveva un sorriso enorme e stringeva tra le mani una grande coperta in lana che doveva pesare almeno un quintale.

«Se morirò stanotte, dovrei almeno lasciare un testamento» commentai, mentre ci avviavamo verso l'uscita laterale situata ai piedi della palazzina dipinta di bordeaux.

«Quanto sei tragico! Allora il tuo basso lo lasci a me?» cinguettò la ragazza in tono allegro.

«Quale dei tanti?»

«Il più bello e il più costoso.» Mi indirizzò un ghigno. «Così potrò rivenderlo e farmi un sacco di soldi!»

«Che donna venale!» la accusai scherzosamente.


Quando giungemmo alla fine della passerella in legno che conduceva sulla spiaggia, ci guardammo intorno e Leah indicò verso la scogliera.

«Saliamo nel punto panoramico dell'altro giorno!» esclamò.

«Cosa? Ci romperemo l'osso del collo, non si vede niente qui!» protestai.

«Shavarsh, ti hanno mai detto che sei ipocondriaco?» mi ignorò, avviandosi a passo spedito verso la parete rocciosa che si stagliava nell'oscurità.

La seguii in fretta. «Qualche volta me lo dicono, sì. Ma la mia è solo prudenza!»

Leah si arrestò di botto, e per un attimo temetti che avesse scorto qualcosa tra le ombre; fui costretto a ricredermi quando si voltò verso di me, mi sorrise con fare condiscendente e poi si allungò per baciarmi. Rimanemmo sospesi in quell'attimo per pochi secondi, infine la ragazza staccò le sue labbra delle mie e mormorò: «Adesso stai zitto, cammina e basta».

Fui costretto a obbedire, anche perché Leah prese la mia mano e mi guidò sapientemente lungo il ripido sentiero che conduceva alla piattaforma che affacciava direttamente sul Buts.

«Forse riusciremo a salutare i gatti oggi, mi sa che l'altra volta Daron li ha spaventati» disse Leah, una volta raggiunta la nostra meta.

«Probabile!»

«Hai visto, Shavarsh? Non ti sei fatto male, siamo entrambi sani e salvi!» mi prese in giro all'improvviso, mentre gironzolava per la piccola piattaforma. Non appena avvistò un punto che le parve abbastanza comodo per noi due, stese l'enorme coperta e ci si inginocchiò sopra, lanciandomi un'occhiata per incitarmi a fare lo stesso.

«Simpaticona. E se fosse andata diversamente?» la punzecchiai, affrettandomi a raggiungerla.

«Non rompere. Vieni qui.» Leah batté sulla coperta accanto a sé, poi si ricordò di qualcosa e cominciò a richiamare i suoi amati gatti.

«Ma che nomi sono?» chiesi perplesso.

«Che hanno di male i nomi dei miei tesori? Il più vecchio si chiama Beasty, non ti piace? E Fake non è delizioso?» Leah era eccitata come non mai per le stupidaggini che stava dicendo.

Scoppiai a ridere. «Che stupida che sei! Il mio preferito è Rasta» commentai.

«Rasta si chiama così perché ha il pelo molto lungo e folto. Per questo gli si creano dei dreadlocks naturali» spiegò con orgoglio la ragazza.

Incredulo, notai che un gatto era finalmente uscito dall'insenatura sulla roccia e mi scrutava con occhi gialli e indagatori che brillavano nell'ombra.

«Fake, ma ciao!» saltò su Leah, allungandosi verso il gatto completamente nero per accarezzarlo. «Shavarsh, gli piaci. Se ti osserva e non scappa, significa che gli stai simpatico. Avvicinati» mi incoraggiò Leah.

Mi inginocchiai sulla coperta e mi accostai a lei, strisciando lentamente per non spaventare la bellissima creatura che avevo di fronte. Daron sarebbe impazzito per quel gatto, ne ero certo: adorava quegli animali, ma i gatti neri erano senza dubbio i suoi preferiti.

Allungai una mano con cautela e carezzai delicatamente il pelo nero e lucido di Fake, trovandolo incredibilmente morbido e pulito. «È molto curato per essere un randagio» osservai con ammirazione.

«Questi cuccioli si lavano più di te, mio caro!» mi sfotté Leah.

«E tu che ne sai?» ribattei, lanciandole un'occhiata in tralice.

Leah scosse la testa e, all'improvviso, mi spinse all'indietro, facendomi cadere con la schiena sulla coperta. Fake fu spaventato da quel movimento brusco e si dileguò come un fulmine all'interno della sua amata cuccia naturale dalle pareti di pietra.

«Ma che fai? Il tuo micio si è spaventato a causa tua!»

Leah si chinò su di me per far sì che i nostri occhi si incrociassero. Rimase in silenzio per un po', scrutandomi nel profondo e con estrema serietà.

«Sai che c'è? Non m'importa» sussurrò.

Feci per afferrarla per le spalle e attirarla a me, quando lei si rimise a sedere e frugò nella sua borsa. Ne estrasse un barattolo di disinfettante e se ne versò un po' sulle mani, poi me lo passò e ridacchiò.

«I gatti sono meravigliosi, ma bisogna sempre pulirsi le mani dopo averli toccati» spiegò in fretta, strofinandosi forte i palmi per pulirli a fondo.

La imitai e per qualche secondo ci dedicammo a quell'operazione. Poi Leah ripose il disinfettante in borsa e la vidi rabbrividire all'improvviso.

«Adesso basta, ho freddo» dichiarò, stendendosi sulla coperta accanto a me. Si mise su un fianco e mi si accostò, poi afferrò un lembo della coperta e la sistemò su di noi. Feci lo stesso con il lembo opposto e in un attimo ci ritrovammo avvolti nella lana come se insieme formassimo un unico bozzolo.

«Ora va meglio?» chiesi, mettendomi a mia volta su un fianco e abbracciando Leah.

«Decisamente.» La ragazza si stiracchiò tra le mie braccia e sbadigliò. «Meno male che hai accettato di venire qui con me.»

«Che avrei potuto fare? Mi hai praticamente obbligato» scherzai, baciandole delicatamente la fronte.

«Sei proprio senza speranze...»

«Colpa tua che mi fai quest'effetto» la accusai, per poi ridacchiare.

Leah sbuffò e mi voltò le spalle. «Ora sono offesa.»

La strinsi forte e feci aderire la sua schiena al mio petto, lasciandole leggeri baci sui capelli, fino a raggiungere la pelle dietro il suo orecchio sinistro.

Sospirò e si premette maggiormente contro il mio corpo. «Così però non vale, Shavarsh» mormorò.

«Ah no?» Sorrisi. «Il mio nome ha un suono davvero bello se sei tu a pronunciarlo. Non l'avrei mai detto» ammisi.

Lei rise e si voltò di nuovo nella mia direzione, posandomi una mano sulla guancia. «E io non avrei mai creduto che un ragazzaccio come te potesse rivelarsi così sdolcinato.»

«Ehi!»

Leah posò le sue labbra sulle mie e pose fine a quel botta e risposta, baciandomi con dolcezza e trasporto allo stesso tempo, insistendo subito per approfondire quel contatto; accettai di buon grado e la presi tra le braccia, facendo combaciare perfettamente i nostri corpi e sentendo di stare davvero bene in sua compagnia. L'avevo conosciuta da poco, eppure era come se fossero trascorsi secoli da quel primo, disastroso incontro.

Quando ci separammo per riprendere fiato, poggiai la fronte contro la sua e dissi: «Qualcosa mi fa pensare che tu abbia dormito altre volte quassù. Dico bene?».

Leah mi regalò un sorriso che riuscii appena a scorgere nell'oscurità della notte. «Lo faccio sempre quando sono qui con Alan e le sue amanti del momento. Mi rilassa.»

Avevo un po' di timore a porle quella domanda, ma mi imposi di non essere sciocco e domandai: «Sei sempre stata sola qui?».

La ragazza scoppiò improvvisamente a ridere e mi mollò un leggero pugno sul petto. «Sei geloso, eh? Oddio, questa è bella!»

«Non è divertente» le feci notare, sentendomi leggermente in imbarazzo.

«Okay, okay! Scusa, è che hai fatto una faccia...» Leah tornò seria. «No, sono sempre stata qui con i miei gatti.»

«Allora mi sento fortunato!» esclamai in tono allegro, in modo da sminuire la mia domanda di poco prima. Dentro, tuttavia, mi sentivo rincuorato dal fatto che quel momento apparentemente banale che stavamo condividendo, fosse in realtà qualcosa di speciale e unico per entrambi.

«Certo, devi sentirti privilegiato!» chiarì lei, conferendo alla sua voce un che di altezzoso che mi fece scoppiare a ridere.

Poco dopo tornammo in silenzio. Proprio quando stavo per romperlo, un grido stridulo proveniente dalla spiaggia sotto di noi ci fece sobbalzare. Rimanemmo immobili a fissarci, tendendo le orecchie per capire cosa stesse succedendo.

Riconobbi due voci: una maschile e una femminile. Discutevano tra loro con fare concitato, e impiegai davvero poco a comprendere che si trattava di Daron. Il chitarrista era in compagnia di una ragazza.

Ma cosa ci faceva al Buts in piena notte?! Probabilmente se il mio amico avesse visto me e Leah in quel momento, si sarebbe posto la stessa identica domanda e avrebbe commentato dicendo che avremmo potuto anche starcene belli e tranquilli in albergo. E forse non avrebbe avuto tutti i torti, ma non stavo poi così male su quella scogliera, avvolto in una coperta con Leah tra le braccia.

«Ma questa è la voce di Lakyta» sibilò la ragazza accanto a me, aggrottando la fronte con fare contrariato.

«Lakyta?» chiesi perplesso.

«La cameriera che lavora su in terrazza» rispose Leah.

«Stiamo a sentire cosa hanno da dirsi» ghignai, mentre ci scambiavamo un'occhiata complice colma di malizia.

«... Daron, insomma! Cosa ti costa?» stava dicendo la cameriera.

Nonostante cercassi di concentrarmi, mi fu impossibile capire cosa stesse dicendo il chitarrista: tendeva a mangiarsi la maggior parte delle parole e parlava a voce troppo bassa per essere udita chiaramente.

«È solo sesso!» strillò ancora Lakyta. «Chissà quante donne ti sei fottuto, ora vuoi rifiutare proprio me?»

Leah cominciò a sghignazzare e affondò la faccia nella coperta per evitare di fare rumore. «Che squallida!» continuava a ripetere.

L'interlocutrice di Daron gridò: «Allora?! Dai, Daron! Neanche questo ti fa effetto, eh?».

Chiusi gli occhi come se temessi di ritrovarmi improvvisamente di fronte la scena raccapricciante che sicuramente si stava svolgendo sulla spiaggia. Avvertii Leah che appoggiava la testa contro la mia spalla, e rimanemmo in silenzio ad ascoltare ancora.

«Mi spoglio e tu rimani lì a sorridere come un idiota?» si rivoltò per l'ennesima volta Lakyta, squarciando il silenzio della notte con la sua voce estremamente stridula e fastidiosa.

Improvvisamente calò una quiete assoluta e io riaprii gli occhi, leggermente confuso. Se n'erano forse andati?

Leah ridacchiò. «Adesso vado a dare un'occhiata» disse con aria terribilmente maliziosa, per poi sgusciare via dalla coperta e avviarsi carponi verso il bordo della piccola piattaforma su cui ci trovavamo.

Stranito, la seguii, morso dalla curiosità e dal fatto che Leah fosse assolutamente fuori di testa e facesse tutto ciò che io non avrei mai fatto.

Quando ci affacciammo per sbirciare, rimanemmo estremamente basiti dalla scena che si presentò ai nostri occhi: la cameriera, completamente nuda, era inginocchiata ai piedi di Daron e gli stava facendo un servizietto in cui, ne ero certo, doveva avere molta esperienza. Il chitarrista sussultava appena, e a un tratto lo sentì commentare con voce rotta: «Almeno ti rendi utile e stai zitta».

Trascinai Leah verso la coperta e, incapaci di trattenerci, scoppiammo a ridere, soffocandoci quasi con la faccia contro il tessuto ispido. Non ci potevo credere, Daron ne aveva combinato un'altra delle sue! E non capivo perché proprio lì, proprio quella notte, sotto i nostri occhi e alla portata delle nostre orecchie.

Quelle erano scene che soltanto a me poteva capitare di assistere, ma era come se la vicinanza di Leah accentuasse lo svolgersi di situazioni piuttosto surreali e incredibili.

Quando riuscimmo a riprenderci dal momento divertente che la scena in spiaggia aveva scatenato, rimanemmo stesi sulla coperta per riprendere fiato.

«Mi fa male la pancia a furia di ridere, cazzo!» esclamò Leah.

«A chi lo dici! Che schifo, penso che mi rimarrà impressa per sempre, che trauma!» concordai ancora con il fiatone.

Poco dopo ci avvolgemmo nuovamente nella coperta, sfiniti. Chissà quanto tempo era passato da quando ci eravamo recati lassù...

«Shavarsh?» mi chiamò Leah con un filo di voce.

«Dimmi.»

«Adesso possiamo dormire? Ti va?»

«Certo, sono stanchissimo» accettai di buon grado.

«Però imposto la sveglia del cellulare, altrimenti potremmo rischiare di non alzarci domani mattina. Inoltre, potremmo prenderci un'insolazione, dato che siamo ai Caraibi e il sole...»

Le feci il solletico sul collo. «Chi è l'ipocondriaco ora?» la interruppi con un sorriso.

«Smettila!» Leah impostò la sveglia e buttò nuovamente il suo telefono in borsa, poi si accoccolò al mio fianco e chiuse gli occhi.

Mi chinai su di lei e la baciai lentamente sulle palpebre, per poi cercare le sue labbra per un ultimo bacio prima di dormire. «Sogni d'oro, Leah» dissi infine.

Lei allungò una mano e tracciò con le dita, senza aprire gli occhi, il profilo della mia mascella. «Sogni d'oro, ragazzaccio» biascicò.

Poco dopo si addormentò, mentre io dovetti attendere ancora un po' prima di seguirla nel mondo dei sogni. Mi chiesi se Daron e Lakyta se ne fossero andati, cosa avesse spinto il chitarrista ad avere a che fare con quella ragazza, cosa sapesse lei sul conto del mio amico...

Prima di scivolare nel sonno, un ricordo mi colpì. Immagini nitide del mattino precedente, quando io e Leah ci eravamo risvegliati insieme per la prima volta.


«Shavarsh, svegliati! Stai per cadere dal letto!» aveva strillato Leah.

Mi ero riscosso in fretta e avevo aperto gli occhi, ritrovandomi con il viso a pochi centimetri dal pavimento. «Cazzo» avevo imprecato, cercando di farmi spazio sul materasso.

Leah mi teneva stretto, ma sicuramente dovevo essere troppo pesante perché lei riuscisse a sorreggermi.

«Sei troppo buffo!» aveva sghignazzato, per poi farmi il solletico sotto le ascelle.

Nel tentativo di ribellarmi, avevo preso a oscillare pericolosamente sul bordo del materasso. All'improvviso mi ero ritrovato a rotolare giù, per poi finire carponi sul tappeto.

Leah era scoppiata a ridere e non riusciva più a smettere. «Bellissima, avrei dovuto fare una ripresa! Perché non ho mai la fotocamera pronta quando serve?» aveva continuato a prendermi in giro.

«Non è divertente! Che risveglio del cazzo» avevo borbottato in tono contrariato, mettendomi faticosamente a sedere.

Leah si era messa nuovamente su un fianco, facendo incrociare così i nostri sguardi. «Buongiorno, Shavarsh!»

«Buongiorno un cazzo, Leah Moonshift! Adesso me la paghi!»

Così avevo dato il via a un assalto fatto di solletico, cuscinate e baci rubati.

Era stato un risveglio meravigliosamente di merda.

  
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