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Autore: Alison92    17/08/2017    0 recensioni
Susan Winter, ventitreenne dal travagliato passato e da un presente senza attrattive, viene lasciata in tronco dal suo fidanzato Henry. Senza più un lavoro, rimasta sola nella sua grande città e priva di uno scopo per il quale andare avanti, Susan comprende che per lei è arrivato il tempo di ricominciare.
Non crede più nell'amore, non confida che qualcuno possa cambiare la sua situazione, ripartire da sé stessa è l'unico modo che ha per riprendere in mano la sua vita che l'ha trascinata lontano da qualsiasi gioia.
In biblioteca: è qui che Susan intravede la sua opportunità, fra gli scaffali polverosi e nei volumi che fin da piccola aveva adorato.
Fra lettere mai inviate, opportunità sfumate e vecchi sentimenti che non hanno mai abbandonato il suo cuore, Susan incontra le uniche due ancore di salvezza che possono condurla alla felicità: l'amore e la speranza.
"Lettere a uno sconosciuto", quella che reputa una curiosa trovata della biblioteca cittadina per attirare nuovi visitatori, le concede l'opportunità di cambiare vita, di far pace con se stessa e di scoprire che l'amore non è solo una fievole fiamma destinata a spegnersi.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Susan aveva spedito la lettera, ma non era l’unica cosa che doveva fare in biblioteca. Controllò la cassetta numero 26. La cassetta non era vuota e Susan afferrò in fretta quella lettera. Si stava già facendo tardi, avrebbe dovuto recarsi al ristorante a breve. Lesse la lettera per strada, mentre si dirigeva al suo nuovo lavoro.
 
Senza troppi giri di parole, devo ammettere che ero scettica su questa storia degli sconosciuti, ma la tua lettera mi ha dato forza. Grazie, è di conforto per me sapere che non sono sola, che qualcuno condivide un dolore simile al mio.
Se ti va, potresti parlarmi di chi hai perso e io potrei parlarti di mia sorella. Ecco, ho già le lacrime agli occhi solo a pensare a lei. Si può essere tanto infelici come me?
S. 
 
Susan era restia a parlare di suo padre con qualcuno. Non aveva mai affrontato sul serio l’argomento neanche con la madre, era troppo doloroso per lei. Susan lo riconosceva, era il suo più grande problema non riuscire a confidarsi con nessuno. Le avrebbe risposto, avrebbe parlato della sua perdita e le avrebbe chiesto di raccontarle della sua, se non avesse potuto condividere il ricordo del padre con nessun conoscente, avrebbe potuto farlo con un estraneo. Era tempo di andare a lavorare, avrebbe pensato più tardi alle lettere. Susan scorse l’insegna del piccolo ristorante, l’EndLand, e fiduciosa per quel nuovo capitolo, entrò nel locale. Rachel e Thomas Waterson la stavano aspettando.
Qualche ora e parecchie spiegazioni dopo, Susan tornava a casa sua, con il volto sorridente. Infilò in una borsa tutto quello che le sarebbe stato necessario per il servizio serale al ristorante, carta e penna. Quella giornata era mite e passarla in casa sarebbe stato uno spreco. Perché non sfruttare la grande città? Entrò in un bar, uno di quei luoghi dove l’atmosfera accogliente e calda ti fanno desiderare di restare lì per ore. Si accomodò a uno dei tavoli e ordinò del tè, poi tirò fuori la carta e la penna. Restò a fissare il foglio bianco per un po’, non aveva idea di cosa scrivere, da dove iniziare. Dal principio, da dove aveva cominciato parecchie volte il racconto nella sua testa.
 
22 Ottobre
Beh, cara sconosciuta, io non ho mai raccontato a nessuno della morte di mio padre. Ne ho il terrore, perché so che scoppierò a piangere alle prime parole, so che non riuscirò a cogliere la storia o l’emozioni che ho provato. Sarò breve e concisa: lui era mio amico. Non era solo uno di quei genitori intransigenti che ti vedono solo come un trofeo da esibire, potevo confidarmi con lui, mi comprendeva e mi ascoltava. Adesso sono rimasta sola, mia madre vive in un’altra città, lontana da me e indaffarata con la sua carriera promettente, invece io sono rimasta qui, sola.
Mio padre è morto in un incidente stradale, un anno fa.  
Unknown.  
  
Susan non pianse, non una sola lacrima scese sulle sue guance pallide. Quando finì di bere il suo tè si alzo, con la lettera ancora in mano, senza una direzione. Dato che era riuscita a richiamare il ricordo del padre senza che il dolore l’annientasse, poteva tornare davanti alla sua vecchia scuola di musica, forse anche quei ricordi annebbiati non avrebbero lacerato la sua anima. No, il passato era passato, i fantasmi del suo remoto non potevano più toccarla, lui non poteva più raggiungerla. Scacciò quei pensieri dalla sua testa, non era di certo il momento di perdersi nel suo passato.
Invece di rincorrere i ricordi, Susan andò in stazione. Di certo non era il luogo migliore dove passare del tempo, ma era l’unico dove sarebbe stata al riparo da tutti e tutto. Restò lì, a vedere i treni che sfrecciavano veloci e persone, ignoti dai mille volti, che le passavano davanti. “Infondo non è così male” pensò. Sembrava aver riacquistato la serenità, ma il suo tempo era limitato e quando guardò il suo orologio, si accorse di dover andare al ristorante. Susan lasciò la stazione, ripromettendosi di tornare appena finito di lavorare.
-Sei pronta ragazza?
Susan rispose con un cenno al signor Waterson, mentre legava i suoi capelli castani in una coda.
-Allora prendi le ordinazioni al tavolo 12, ho già portato loro i menù.
Susan sorrise al suo capo e scomparve dietro la porta. I clienti del tavolo 12 erano quattro amici, avevano forse la sua età.
-Buonasera, siete pronti per ordinare?

Era da poco passata la mezzanotte e Susan era appena uscita dall’EndLand. Quella serata era stata meglio della precedente, la signora Rachel le aveva rivolto uno smagliante sorriso alla fine del servizio. Era ormai troppo tardi per infilare la lettera nella cassetta numero 26, la biblioteca chiudeva alle otto di sera e lei non aveva avuto il tempo di passare lì prima di andare a lavorare. Tornò invece alla stazione, non era stanca e restare nel suo letto freddo a contare le stelle non le appariva una buona idea. La stazione era vuota, solo qualche treno con limitati passeggeri passava. Il silenzio di quel luogo e il vento che scompigliava i capelli scuri, trasmisero un’improvvisa serenità a Susan. Era appena diventato il suo nuovo luogo sicuro, il mare conservava ancora il suono della voce di suo padre, lì sentiva solo il suono dell’aria fresca che le alitava sul viso. Susan sorrise, era sola e serena per la prima volta dopo settimane. Sola. Non era sola.
Notò il ragazzo seduto su una panchina a un metro dalla sua dopo del tempo. Quando era arrivato? Susan non si era accorta della sua presenza fino a quando non aveva voltato la testa e aveva incontrato lo sguardo di quel ragazzo solitario come lei. Perché lo sconosciuto la fissava? Susan rimase a guardarlo per qualche secondo, senza capire cosa trovasse di così interessante in lei. I due rimasero a scrutarsi per qualche istante, quando Susan capì che non era la prima volta che incontrava lo sguardo di quel ragazzo. Lo aveva già visto in biblioteca, era il ragazzo biondo con la pesante giacca verde. Che si conoscessero e lei non lo ricordava? No, impossibile, non dimenticava così qualcuno. Mentre Susan vagava nei suoi ricordi alla ricerca di un nome da associare a quel ragazzo, lui si alzò, diretto verso di lei.
Susan rimase immobile, non aveva idea di cosa fare. Mai si era trovata in una simile situazione. Il ragazzo biondo non era di molto più alto di lei, i suoi occhi scuri penetranti continuavano a fissarla e Susan si convinse di non averlo mai conosciuto. Il ragazzo si sedette accanto a lei e le rivolse un radioso sorriso.
-Buongiorno.
“Buongiorno? Ma se è quasi l’una di notte”. Susan rimase interdetta davanti a quell’estraneo.
-Ciao.
Disse e distolse lo sguardo dal suo.
-Scusa, so che ti appaio strano, ma mi ricordi tanto qualcuno. Ci conosciamo?
Susan voltò di scatto la testa e osservò ancora i tratti di quel ragazzo, la barba rada sulla mascella e le guance rosate. No, non si conoscevano.
-Mi dispiace, non credo.
-Oh, devo averti scambiata per qualcun’altra. Ti avevo già vista in biblioteca, ma non ho avuto il coraggio di chiederti nulla perché non avevi dato segno di riconoscermi. Colpa mia.
Susan accennò a un sorriso, forse in un lontano passato si erano incontrati e lei non lo rammentava.
-Piacere, mi chiamo Felix Harvey.
Il ragazzo le porse la mano e, dopo un attimo di titubanza, Susan l’afferrò.
-Susan Winter, piacere mio.
 
  
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