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Autore: queenjane    17/08/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Nel settembre 1912, la famiglia Romanov si recò a caccia nelle tenute polacche di Spala, dopo che lo  zarevic si era ripreso dal suo incidente.
Viaggiavano sul treno imperiale, un palazzo in miniatura, le carrozze di uno squisito color blu esterno con le aquile dorate simbolo della dinastia dipinte sopra. Era tutto raffinato, perfetto, imperiale, appunto, anche se ogni viaggio era effettuato su due treni uguali, per tema di attentati, in modo che non si sapesse quale fosse il mezzo effettivo usato dallo zar e i suoi.
Non mancavano i momenti ameni, come quando il treno si fermò sui binari di Smolensk e  i Romanov presero il tè con i nobili del luogo. Infatti, quella volta Alexei riuscì a mettere le mani su un calice di champagne e svuotarlo, senza essere intercettato, e, gaio, iniziò a intrattenere signore e signorine, strappando risate e sorrisi. Un rubacuori, lui, che, tornato sul vagone, raccontava le conversazioni, lamentando un certo brontolio nello stomaco.


Spala era nel cuore della foresta polacca, al termine di una lunga strada sabbiosa, una villa di legno a due piani, il bosco così fitto che la luce solare non penetrava mai e toccava tenere accesa la luce elettrica finanche di giorno.
La grande attrattiva era appunto l’attività venatoria, dai  cervi fino ai fagiani e galli cedroni, le partite seguivano un rigido protocollo, la sveglia alle sette con un corno da caccia, il pranzo nella foresta accompagnato dagli  ottoni della banda militare, per poi procedere ad abbattere cervi che vantavano dalle dieci punte in avanti nelle corna. Ogni giorno era stilato un inventario, il tramonto era color ruggine e sangue, le torce illuminavano le prede cadute che venivano catalogate e segnate su appositi registri.
Alix guardava Alexis e decise che poteva imparare meglio il francese, che Spala offriva ben pochi diversivi, oltre l’attività venatoria, che il bambino non praticava di certo.
I suoi studi, irregolari a causa della malattia, erano molto indietro, non certo per colpa sua, quando stava male la convalescenza era spesso lunga, ma quando era in salute non stava fermo, si annoiava nel dovere restare seduto e ascoltare le lezioni, saltava da una domanda all’altra e nessuno gli badava e si scocciava.
Era troppo intelligente, bisognoso di stimoli e non solo di nozioni, usare un frustino o picchiarlo sulle mani per indisciplina erano strumenti educativi coevi che su lui non sarebbero mai stati applicati, per fortuna aggiungo io.
Per distrarlo, la zarina decise di portarlo a fare un giro in carrozza, insieme alla imprescindibile Anna Vyribova, lo  fece sedere in mezzo a loro.
La strada era piena di buche e scossoni , la passeggiata disagevole, dopo vari chilometri di urti Alessio iniziò a lamentarsi di avere dolore alla gamba e allo stomaco, quando rientrarono era praticamente svenuto per il dolore.


L’emorragia era ripresa, intensa, violentissima, il gonfiore si era spostato, causando quella crisi. Dai vasi lacerati della gamba il sangue fluiva nella parte inferiore dell’addome, pareva che avesse mangiato un pompelmo tanto era gonfio.. La gamba sinistra era tenuta sollevata, per dare al sangue un nuovo sbocco, per alleggerire la pressione, il liquido colava, nell’addome non si espandeva oltre e fluiva.
Alessio urlava per il dolore e lo sforzo di respirare.
“Voglio Catherine!! Mamma! Dove è..”
“Mamma aiutami . “
“Mamma.. Dio non ne posso più!!”
“Cat.. dove sei..”
Una supplica di amore e disperazione.
“Basta così Alix” enunciò lo zar, prendendo da parte sua moglie, il viso bianco come quello di una statua di marmo “Chiama Rasputin, chi ti pare..  Ma Catherine viene.. è tuo figlio, la vuole ed è tutto.” Scrutò Olga che era una statua di sale, anche se non avevano urlato, sempre bassi i toni, e la ragazza li aveva sentiti “ Scrivile tu..”
“CAT..!!!”
“Sei contenta mamma.. ?eh? cosa aspettiamo.. Dimmelo!!”
“Non è di famiglia.. “ in affanno. “Non si deve sapere..”
“E’ mia amica, una sorella.” Glissò come una sorella, forse l’aveva capita, prima ancora di me, che eravamo i fratelli Romanov, un baluardo, bastardi o legittimi che fossimo.
“E’ MIA SORELLA” una pausa “ Gli vuole bene e mi fa ridere.. E la voglio con me, fine” e comprese di avere vinto una partita, definitiva, che non la avrebbe più ostacolata.
“Viene, Bimbo, viene .. non ti lascia.. solo che .. “ gli sfiorò una spalla “Non mollare. Viene ma resisti..”
 
 
Venni convocata in via urgente da San Pietroburgo, dove ero, una emergenza, secco il testo del telegramma,  e mia madre non fece commenti, non era il suo stile e mi sorpresi a pensare che sapesse qualcosa, era una donna intelligente e con un tatto infinito. “Vieni, per favore, subito. Olga” lei per me c’era stata in un numero infinito di volte, quando ero stata male, potevo ben ricambiare, mai avrebbe usato quei toni se non in caso di emergenza.
Da anni i pettegolezzi si sprecavano, Maman non mi chiedeva nulla, mai.
Nel frattempo, mio fratello era cresciuto e Ella lo aveva staccato dalle sue gonne, lo adorava e lo viziava, ma non voleva che crescesse debole o smidollato.
A quel punto, penetrai anche io nel loro magico mondo e fu un ristoro, Alexander aveva il potere di farmi ridere fino alle lacrime con i suoi stravaganti perché, le battute fulminanti e le marachelle.
Vivace e birichino, aveva un punto di contatto con lo zarevic, adorava le mie storie, si fermava addirittura a ascoltare.


Il viaggio in treno verso la Polonia fu lungo, il paesaggio grigio e spoglio, piatti boschi e paludi, la luce che stagnava, incerta, una dura attesa, cosa avrei trovato, ma fu peggio vedere il mio piccolo principe preda della sua malattia.
“Altezza imperiale"Le mie ginocchia toccarono obbedienti la sponda del letto, nonostante il tremore,celate dalla provvidenziale gonna, mentre mi inchinavo, il viso era stravolto dal dolore, la pelle tirata e la fascia lombare e la gamba sinistra gonfia, contorta oltre ogni descrizione. Alessio, tra un rantolo e l’altro, invocava, aveva invocato Dio e sua madre. Io ebbi la fortuna di giungere in una breve pausa e mi veniva da piangere per come era ridotto, osai appena toccarlo su una spalla, era rannicchiato su un fianco, l’arto sinistro sollevato.
Ti voglio bene, Alessio.. Glielo avevo detto, per una volta..
“ Cat. “la zarina mi chiamò con il mio nomignolo, strano, annotai ma scorsi il suo viso opaco, le ciocche grigie che striavano i suoi capelli dorati, la sua desolazione feroce e impotente, in meno di un mese era invecchiata di 10 anni.
“Grazie per essere venuta. “
“Grazie a voi, Maestà imperiale. Ecco, pensavo di raccontare a sua Altezza imperiale una storia che forse non conosce, ovvero le avventure di Sinbad il marinaio, oppure del drago  e della rosa. Magari le ho già raccontate, potremmo creare nuovi particolari..”Una delle mie formule magiche, l’attacco delle mie storie, sillabe che erano il ponte di congiunzione per altri mondi.
“Racconta .. avanti, per favore”la voce sottile come brina. Presi una mano dello zarevic, racchiudendo il palmo contro il suo. “Cat.. “
“Sono qui, Alessio..” Per tutto il tempo che vuoi..
Raccontai di un drago combattente e di Achille, rose e fiori, cercando di non piangere.
“Adesso vai, Catherine, si è assopito e tu riposati un poco, le ragazze ti aspettano. Oggi stava un poco meglio” con un piccolo cenno, mi permise di congedarmi e tornò a scrutare suo figlio, non fossimo state io e lei l’avrei abbracciata, ma non osai. Da quando aveva avuto i primi sintomi non si era staccata da lui, o quasi, dormendo in poltrona, senza quasi mangiare, ora dopo ora non si era mossa dal suo capezzale.
 
“È a rischio di setticemia e peritonite” mi raccontò Tatiana, quando passai nella stanza che divideva con Olga.
I gemiti e i lamenti del principe erano continui e costanti, tanto che la servitù si metteva batuffoli di cotone nelle orecchie per lavorare, al solito il mondo esterno nulla conosceva di quella crisi, lo zarevic era indisposto in modo lieve e quello era quanto. Perfino le sorelline più piccole, Marie e Anastasia, sapevano che stava poco bene, la verità era un lusso ignoto anche in famiglia.
Alessandra non lasciava il suo capezzale, ascoltava i suoi lamenti, invocava Dio di liberarlo da quel dolore, sua madre di aiutarlo , era uno strazio senza fine o misura.
In tre sapevamo che era un lottatore nato, ma il problema era che mai era stato così male, senza requie, per tanti giorni filati.
Stava un poco meglio.. un eufemismo.
Per lui non potevo fare molto, dopo la breve tregua del pomeriggio stava di nuovo malissimo, ma per le sue sorelle sì, suggerii di mangiare qualcosa, il nostro digiuno non l’avrebbe certo guarito, chiaro, ma stare male anche noi per l’inedia non gli avrebbe certo giovato.
Olga mi disse che ero una stupida, poi si mise a ridere,avevo ragione io e lei torto, almeno per una volta, e la strinsi, in modo meccanico, un piccolo conforto.
Quella notte, dopo anni, dormimmo insieme, o meglio vegliammo insieme. Ero sul fianco, le mie braccia la circondavano, dormi, dicevo, se succede qualcosa ti sveglio, prometto, sei sicura, sì, sono sicura, poi si unì Tatiana, erano passati i tempi in cui ci abbracciavamo in tre sul loro lettino da campo, narrando le mie fiabe, tuttavia strinsi entrambe, la mia era solo una misera elemosina rispetto alle ore e  i giorni che avremmo vissuto, alle esperienze condivise.
La mattina presto Olga mi scosse per le spalle, un gesto delicato. “Ti voglio bene, Catherine, grazie”
“Ma non faccio nulla di speciale”
“Come no, ci sei sempre”.. costante come un corvo o la malasorte, pensai, ignorando il resto.
 
 
   
 
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