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Autore: _ A r i a    17/08/2017    2 recensioni
{ ultima storia su questo fandom | multipair | linguaggio esplicito, contenuti forti e tematiche delicate | street life!AU }
Jude sente il cuore battergli a mille nel petto, martellargli contro la gabbia toracica con una furia inaudita, mentre l’adrenalina corre lungo le autostrade delle sue vene e i polmoni gli ardono; i polpacci tirano e pulsano a causa dello sforzo fisico, la testa inizia a dolergli e il fiato è già corto, nonostante questo però il ragazzo è felice.
Sì, felice.
Jude sorride, è così elettrizzato che se non avesse una copertura da mantenere si metterebbe ad urlare. La verità è che in quei momenti, quando è in giro con i suoi amici a combinare casini, si sente libero come in poche altre occasioni nella sua vita.
I quattro attraversano un ponte di metallo e i loro passi rimbombano assordanti nella notte.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Caleb/Akio, David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Roxbury, Boston, 12th April
h. 03:12 p.m.


Jude corre a perdifiato, lo scalpiccio dei suoi passi affrettati riecheggia rimbalzando lungo le strade di Boston. Fortunatamente il commissariato non è poi così lontano dalla zona di Southwest Corridor, perciò anche senza correre avrebbe raggiunto gli altri in pochissimo tempo.
Quella, tuttavia, è un’emergenza vera e propria, per cui Jude non riesce a fare a meno di trovare adatta quell’andatura.
Le braccia si muovono lungo i suoi fianchi a ritmo delle gambe, solo che il ragazzo non riesce a darci peso, la mente completamente occupata dalle parole che, poco prima, David gli ha rivolto, al telefono.
Hanno arrestato Caleb.
Jude trattiene le imprecazioni tra i denti – cazzo, cazzo, cazzo – mentre sfreccia con folle velocità, attraversando la strada e fiondandosi all’interno del commissariato senza pensarci troppo. Solo quando ormai si trova all’interno della struttura sembra ricordarsi di dover mantenere un comportamento appropriato a quel luogo, perlomeno se non vuole finire a fare compagnia in cella a Caleb, così si decide a prendere dei respiri profondi, immobilizzandosi sul posto.
Si guarda attorno, confuso: non è mai stato in quel luogo, tant’è che adesso si sente come un pesce fuor d’acqua. Tutt’attorno a sé ci sono agenti in divisa che si muovono da una parte all’altra del distretto con assoluta tranquillità e disinvoltura – e Jude per questo li invidia anche un po’, come vorrebbe sapere a sua volta dov’è che deve andare…
«Serve una mano?»
Jude si volta di scatto, sorpreso di sentire quella voce. È abbastanza certo che, chiunque sia stato a parlar lare, si stesse rivolgendo a lui: d’altronde, dubita che altre persone lì attorno possano avere la stessa espressione smarrita che sa di avere in quel momento sul suo volto.
Jude ci mette un po’ a mettere a fuoco l’ambiente attorno a sé e, quando finalmente ci riesce, si accorge della presenza di un piccolo gabbiotto alla sua sinistra. All’interno di esso c’è una donna – anch’ella con indosso una divisa da agente – che lo sta squadrando attentamente. Il ragazzo non ha dubbi che lo trovi incredibilmente inadeguato; d’altronde, sa perfettamente di essere la persona meno in ordine del mondo, in quel momento: con la sua aria affannata, il volto paonazzo per lo sforzo dovuto alla corsa di poco prima e i vestiti malridotti non è certo un gran bello spettacolo. Magari crede che sia un ladruncolo alle prime armi venuto a costituirsi, chi lo sa.
«Ehm» dietro la schiena Jude si tortura le mani, alquanto a disagio «sono qui perché mi ha chiamato un mio amico, dicendo che uno di noi era stato arrestato e portato in centrale—»
Il ragazzo si blocca all’istante quando nota lo sguardo della donna squadrarlo da capo a piedi. Inutile dirlo ma quella sorta di radiografia non fa che mettere Jude ancor più in imbarazzo.
«Ahh, ho capito» commenta la donna, mentre torna a fissare il ragazzo in volto «deve trattarsi di quei tre tipi poco raccomandabili arrivati qualche minuto fa. Santo cielo, non la smettevano un momento di urlare…»
Jude vorrebbe dirle che non ha capito niente, che qualsiasi idea si sia fatta di loro sta certamente sbagliando. Peccato che non abbia tempo, per quelle sciocchezze.
«Urlavano? Allora deve trattarsi sicuramente di loro» Jude si lancia in direzione della scrivania, osservandola intensamente attraverso il pannello di plexiglass che li separa «e mi dica, adesso dove si trovano?»
«Beh, il detective Cormac ha portato di sopra, al primo piano, il teppista che ha arrestato, probabilmente in sala interrogatori per poterlo torchiare per bene—»
Jude non le dà il tempo di finire la frase che è già schizzato in direzione delle scale, senza neppure ringraziarla. Ha saputo ciò di cui aveva bisogno, ora ha ben altro di cui occuparsi.
Non appena raggiunge il primo piano si trova per un momento di nuovo senza la minima idea di dove andare, perlomeno finché non sente un gran vociare provenire dalla sua destra. Jude neanche controlla, è già partito in quella direzione, riconoscerebbe quei timbri – uno roco e profondo, l’altro più acuto e squillante – all’incirca tra milioni. Ora, infatti, vede nitidamente davanti a sé Joe e David, mentre continuano a tormentare l’uomo che è appena uscito da una stanza in fondo al corridoio, chiudendo la porta alle proprie spalle. A Jude non ci vuole molto per capire che deve trattarsi del detective Cormac a cui gli ha accennato poco prima la donna all’entrata.
«La prego, non può trattenerlo» afferma David, agitando convulsamente le braccia «state commettendo un grosso sbaglio, non avete motivo per non lasciarlo andare!»
«Beh, questo sta a noi stabilirlo» replica Cormac – un uomo sulla trentina, al massimo trentacinque anni, dall’aspetto tutto d’un pezzo e una zazzera arruffata di capelli castani – impassibile «e comunque il vostro amico è stato colto in flagrante sulla scena di un reato, per cui lasciarlo andare sarebbe piuttosto folle.»
«Questa è un’assurdità» sbotta Joe, con veemenza «e sentiamo, quali sarebbero queste prove?»
Il detective Cormac appare piuttosto spazientito, con ogni probabilità è sul punto di esplodere e sta per intimare ai ragazzi di lasciar fare alla polizia il proprio dovere, aggiungendo che, se davvero Caleb è innocente, allora loro lo scopriranno senza ombra di dubbio; Jude tuttavia sente che, qualora lasciasse morire così quella conversazione, forse per Caleb non ci sarebbero possibilità di scampo: è per questo che, ne è certo, deve fare qualcosa – e anche alla svelta, in effetti.
«Joe! David!» si affretta allora a chiamare i suoi amici, cercando di attirare la loro attenzione.
I due ragazzi si voltano subito nella sua direzione, sorpresi di avvertire una voce amica in quel mare di persone sconosciute e infide.
«Jude!» David si lancia letteralmente addosso al ragazzo per salutarlo – e per questo Jude si becca un’occhiataccia da parte di Joe – come se in quel momento avesse disperatamente bisogno del suo sostegno fisico e psicologico. E, in effetti, è esattamente così.
«Meno male che sei arrivato» riprende David, continuando a tenersi stretto a lui «non riusciamo a parlare con Caleb, sembra che nessuno qui voglia dirci cosa sta succedendo—»
Jude intreccia mollemente una mano tra i capelli turchini di David, carezzando lievemente la chioma del ragazzo e sperando, almeno con quel gesto così apprensivo e premuroso, di riuscire a calmarlo un po’.
«Shh, vedrai che adesso andrà tutto a posto» mormora, senza troppa convinzione.
In realtà, Jude non sta fissando David: il detective Cormac, infatti, non gli ha ancora tolto lo sguardo di dosso da quando li ha raggiunti, così adesso il ragazzo si è deciso a fronteggiare con decisione quello sguardo, senza la minima intenzione di retrocedere nei propri intenti.
«Salve» s’introduce il ragazzo coi dreadlock, agitando appena i piedi sul posto – quel genere di situazioni lo mettono sempre così a disagio «non è che potrei parlarle un momento in privato?»
Cormac annuisce, senza troppa convinzione, per poi distendere un braccio di lato, indicandogli di avviarsi in quella direzione.
Jude tiene gli occhi bassi e fissi sul pavimento – una monotona sequenza sempre uguali di piastrelle avana di medie dimensioni – mentre si avvia mestamente lungo il corridoio. Il detective lo segue, a pochi passi di distanza; a Jude sembra quasi di sentire il fiato dell’uomo sul suo collo ed è abbastanza certo che no, quella non è una suggestione, affatto.
Poco dopo il ragazzo è costretto a fermarsi, perché si accorge solo in quel momento di essere giunto al termine del corridoio. Ora, infatti, davanti a lui si trova una finestra, la tenda a sottili losanghe di ferro è abbassata, tuttavia attraverso lo spazio tra una strisciolina di metallo e l’altra Jude riesce a distinguere la presenza di un piccolo parco pubblico, qualche metro sotto di loro.
«Allora» il detective Cormac si schiarisce la voce, evidentemente seccato da quella che, con ogni probabilità, non riesce a concepire in maniera differente da un’inutile perdita di tempo «di che cos’è che volevi parlarmi?»
«Perché avete fermato quel ragazzo?» Jude arriva subito al sodo: sa perfettamente, infatti, che in una situazione come quella non si può permettere nessuna sorta di perdite di tempo.
«Lo abbiamo beccato mentre stava ritirando della merce da un piccolo spacciatore, in un vicolo appartato nella zona della Back Bay» gli spiega allora Cormac, con una calma che ha del sorprendente – ma che, al contrario, non fa altro che far innervosire ancora di più Jude «solo qualche grammo d’eroina, niente di eclatante, a dire la verità. Il suo fornitore è riuscito a darsela a gambe nella confusione generale – due agenti avevano appena fatto irruzione nel vicolo – mentre il tuo amico non ha avuto modo o tempo di fare altrettanto.»
Jude abbassa di scatto lo sguardo, ritrovandosi improvvisamente a fissare il parchetto di poco prima. La situazione è più complicata di quanto immaginasse, cazzo. Sa che Caleb non assume assiduamente sostanze stupefacenti, di solito capita con una cadenza saltuaria di all’incirca una volta ogni cinque o sei mesi. Da quando frequenta Camelia quella frequenza è perfino diminuita, per cui Jude non può fare a meno di notare, per l’ennesima volta, quanto il destino sappia essere infame: possibile che Caleb dovesse farsi beccare proprio in un’occasione del genere? E dire che, in generale, è sempre piuttosto attento, quando si tratta di non farsi scoprire dalla polizia. Oltretutto, è un delinquente abbastanza esperto, ormai, perciò Jude non riesce proprio a spiegarsi come possa essere possibile che si sia lasciato cogliere tanto facilmente con le mani nel sacco.
Jude sospira: detesta dover ricorrere a quell’escamotage, tuttavia dubita di poter risolvere la questione in altri modi.
«Ascolti, detective» esordisce infatti, mentre comincia a rovistare all’interno delle tasche dei suoi pantaloni «da quello che mi è parso di capire non c’è modo di interloquire con la persona che avete fermato. A questo punto mi vedo costretto a dover chiamare mio padre, il candidato governatore Sharp, affinché si metta in contatto con i suoi superiori ed interceda in modo da potermi concedere un colloquio con il ragazzo arrestato. Tuttavia, qualora preferisse evitarsi un richiamo da parte del capitano del suo distretto, forse potrebbe procedere in qualche altro modo, non trova?»
Jude estrae finalmente il telefono e fa per comporre il numero di suo padre sulla tastiera, quando d’improvviso il detective lo interrompe bruscamente.
«Se credi che io sia quel genere di persona che si lascia corrompere così facilmente ti sbagli di grosso, ragazzo» commenta infatti Cormac, avviandosi a grandi falcate lungo il corridoio.
A Jude non resta altro da fare che seguirlo. D’altronde, il suo non era nient’altro che un bluff: non avrebbe mai potuto chiamare suo padre, poiché sa bene quanto disprezzi la sua scelta di frequentare una banda di delinquenti, per cui mai e poi mai sarebbe sceso in campo per porgergli il suo aiuto – e forse, in fin dei conti, Jude è quasi più lieto così, considerando quanto altrimenti il signor Sharp gli avrebbe fatto pesare una cosa del genere.
In effetti, non c’è nulla di piacevole nel dover ricorrere al potente nome di suo padre pur di riuscire a sbrogliare determinate situazioni. Jude non ama riempirsi la bocca di quel cognome pesante come macigni, anzi, non fosse stato che i suoi amici erano già a conoscenza dell’identità dei suoi genitori dai tempi della scuola, probabilmente avrebbe preferito nascondere perfino a loro le sue origini. Gradisce in maniera di gran lunga maggiore essere ricordato come “Jude”, piuttosto che per essere “il figlio del candidato governatore Sharp”: in poche parole, ha sempre preferito che gli altri lo identificassero per i propri meriti, anziché quelli di suo padre. Per questo motivo cerca sempre di non avvalersi di privilegi che, per ovvie ragioni, il suo nome è in grado di conferirgli. Non è un pallone gonfiato, si domanda come certa gente possa sentirsi grande e importante per una roba del genere, quasi come se questo li legittimasse a gonfiare il petto o cose di questo tipo.
Peccato che, invece, in una situazione come quella gli sia toccato farne uso.
Cormac si arresta davanti alla porta della sala interrogatori, posandosi per un momento le mani sui fianchi, per poi poggiarne una sulla spalla di Jude.
«Hai cinque minuti» gli comunica il detective, con espressione seria «non uno di più.»
«La ringrazio» commenta Jude, proprio un momento prima che Cormac possa spingerlo all’interno della stanza e chiudere la porta alle sue spalle.
La sala interrogatori è una stanza vuota, che Jude non stenta a definire desolante e desolata al tempo stesso: le pareti sono di un verde scolorito che infonde una tristezza indicibile, oltre al fatto che ci sono diverse macchie scure di muffa negli angoli più defilati del soffitto. Gli unici complementi d’arredo presenti sono un tavolo al centro della stanza e due sedie, una di fronte all’altra, poste ai lati di esso. Una di queste, tra l’altro, è occupata proprio da Caleb.
Il ragazzo è seduto in maniera scomposta, una gamba accavallata sull’altra poggiate sul tavolo, le braccia incrociate dietro la nuca mentre col busto si tiene in equilibrio, facendo dondolare la sedie su cui si è accomodato solo sulle due gambe posteriori. Ha un’espressione indolente, come se essere lì sia la cosa più noiosa del mondo, per contro tuttavia non sembra affatto spaventato dal fatto di essere stato appena arrestato e di trovarsi adesso in un commissariato – il che non può che mandare Jude ancor più su tutte le furie di quanto già non sia. Quand’è che quel ragazzo comincerà a rendersi conto delle conseguenze delle proprie azioni e magari anche a prendersene carico, eh?
Nel momento in cui si accorge della presenza dell’altro nella stanza, Caleb sogghigna.
«Cos’è, è arrivato il principe dall’armatura scintillante a salvarmi?» commenta allora, con evidente tono canzonatorio.
«Ma falla finita» sbotta Jude, prendendo posto sull’unica altra sedia disponibile con uno scatto irato, la voce che suona più ammonitrice del previsto «tu, piuttosto: si può sapere cos’hai combinato, questa volta?»
Caleb sbuffa, con quell’espressione di noncuranza che proprio non ne vuole sapere di scomparire dal suo volto.
«Ma farti i cazzi tuoi?» replica Caleb, con malcelata irritazione. «Come se non te l’abbiano già detto…»
«Non fare finta che non te ne freghi niente» lo riprende Jude. Sta davvero faticando a trattenere la stizza che prova in quel momento; vorrebbe riempirgli la faccia di sberle, in fondo però sa già che non lo farà mai: entrambi cercano sempre di fare i duri ma ormai è innegabile che ci sia un legame, tra loro. Qualcosa di estremamente complesso da definire, certo, eppure, superato uno strato superficiale di diffidenze e rivalità reciproche, pare proprio che abbiano imparato a volersi bene – per quanto in un modo strano e tutto loro.
«Non è che non m’importi» ribatte Caleb, pensieroso «solo che ormai il casino l’ho combinato, no? Per cui immagino che tu adesso sia qui per farmi notare quanto sono deficiente e quant’altro—»
Jude scuote la testa, infastidito.
«Credimi, per quanto mi piacerebbe poterlo fare adesso non ne abbiamo proprio il tempo materiale» gli fa notare infatti, cercando di far risultare il suo tono di voce quanto più neutrale possibile «al momento la nostra priorità è tirarti fuori di qui…»
«Ah, sì? E come penseresti di fare, di grazia?» Caleb scoppia a ridere, di un riso amaro e disilluso. «Jude, so che ti hanno cresciuto facendoti credere questo, ma lascia che t’insegni una cosa: non è così che funziona il mondo. Non siamo tutti come te, che ti basta schioccare le dita per avere tutti ai tuoi piedi. Sai com’è, ho avuto la sfortuna di nascere Caleb Stonewall, per cui nulla mi è dovuto. Non ho un padre ricchissimo alle mie spalle pronto a procurarmi il migliore avvocato su piazza o disposto a versare qualsiasi cifra esorbitante di cauzione pur di tirarmi fuori di qui. C’è chi se lo può permettere e chi no, insomma.»
«Beh» Jude si stringe nelle spalle, a disagio; non è che gli faccia piacere sentire gli altri rivolgersi a lui in quel modo, tuttavia comprende che la situazione in cui Caleb si trova in quel momento non sia delle migliori, per cui decide di fargliela passare – ma solo per quella volta «forse tu non hai tutto ciò… ma, come hai detto, io sì. Senti, sappiamo entrambi che il rapporto tra me e mio padre non sia propriamente idilliaco, però… forse posso convincerlo. Gli dirò che tornerò a casa, che riprenderò ad andare a scuola e la farò finita con questa vita e che questo sarà l’ultimo sacrificio che dovrà compiere per me. Forse… potrebbe pure funzionare. Per cui ascolta, non abbiamo molto tempo a nostra disposizione—»
«Tks» Caleb lo interrompe, con un verso sprezzante «non sei il mio legale, è inutile che ti affanni tanto a preparare una versione dei fatti che potrei usare in mia difesa. L’hai detto tu, Jude, il rapporto tra te e tuo padre è disastroso, perciò perché mai dovrebbe aiutarti? Riempirti la bocca di belle parole non servirà a nulla: quell’uomo non è uno stupido, non ci metterà molto a capire che gli stai raccontando un mucchio di balle. E poi, se anche dovesse decidere di prendere a cuore la tua causa, il candidato governatore Sharp potrà pure trovare l’avvocato migliore del mondo, ciò non toglie tuttavia che gli sbirri mi abbiano beccato con le mani nel sacco. Sono colpevole, per cui sbrogliarsi da una situazione del genere sarebbe piuttosto difficile. Piuttosto, visto che riconosci tu stesso che non abbiamo molto tempo – a quanto pare, per quanto tu possa andare in giro a ripetere a vanvera di chi sei figlio, i tuoi fantastici superpoteri hanno un limite – sarà meglio occuparci di questioni davvero serie: visto che non credo che uscirò da qui tanto facilmente, dobbiamo vedere come riorganizzare la banda. In qualità di vice leader, mi pare ovvio che adesso il comando passerà a te, per cui—»
A questo punto, Jude non riesce più a trattenersi. Sbattendo entrambe le mani con veemenza sul tavolo, si rimette in piedi, con uno scatto improvviso. Quel ragazzo riesce sempre a fargli tirare fuori il peggio di sé: lui, sempre così tranquillo e posato, improvvisamente si sente come se non riuscisse più a controllare le proprie reazioni. Oltretutto, la calma imperturbabile con cui Caleb continua ad osservarlo, negli occhi perfino una sfumatura a metà tra la sfida e lo sbeffeggiamento, non può che farlo infuriare ancora di più.
«Mi prendi in giro? Non riorganizzerai proprio nessuna banda! Sei tu il capo di questa cosa, e io non ho alcuna intenzione di prendermi responsabilità che non mi appartengono. Sono venuto qui con l’unico intento di tendere una mano nella tua direzione, perché sono tuo amico, perché in fin dei conti ci tengo a te; hai sbagliato, va bene, questo però non significa che tu non possa porre rimedio ai tuoi errori. Davvero credi che mi faccia piacere riempirmi la bocca col nome di mio padre? Hai ragione, il nostro rapporto fa pena, anzi potrei dire quasi con assoluta certezza che ormai tutti i ponti tra noi sono pressoché saltati: io lo odio, con tutte le mie forze, tuttavia ho preferito tirar fuori il suo nome perché volevo aiutare te. Ma visto che non ci arrivi e che, a quanto pare, non desideri ricevere questo genere di aiuto, i miei sono stati tutti sforzi vani» sbotta Jude, al limite della collera.
È abbastanza sicuro che Caleb non l’abbia mai visto così arrabbiato; tuttavia, per qualche strana ragione, sul volto del ragazzo dal ciuffo castano continua a non essere presente alcun tipo di inflessione.
Jude si accorge solo in quel momento di star provando un forte dolore alle palme delle mani. Lancia loro uno sguardo distratto, accorgendosi solo in quel momento che, al momento dell’impatto con quel tavolaccio di legno, diverse schegge di legno si sono conficcate nella sua pelle, formando dei piccoli taglietti in più punti, che ora sembrano decisamente sul punto di sanguinare. Gli viene quasi da piangere, finisce tuttavia per ricacciare indietro le lacrime – sta già facendo una figura ridicola, agli occhi di Caleb, per cui meglio non renderla ancor più patetica.
«Sì, beh, resta il fatto che stai prendendo un po’ troppo sottogamba un punto fondamentale della questione» gli fa notare Caleb, con calma glaciale «tuo padre non ti aiuterà mai, non dopo che te ne sei andato di casa e hai smesso di andare a scuola. Inoltre, appena saprà che sono uno dei delinquenti che vorrebbe tanto sbattere a marcire per sempre in gattabuia, figurati come si muoverà in mio soccorso. Si prodigherà e farà qualsiasi cosa per darmi una mano, certo. A quel punto, come vorresti convincerlo ad aiutarmi? Promettendogli che ti rimetterai a studiare e che tornerai a casa da lui? Pensi che non si renderebbe conto che gli stai raccontando una cazzata dietro l’altra? E tu, non ti sentiresti in colpa a mentirgli così? Ti ricordo che non puoi troncare così con la banda. Abbiamo un patto: tu resti e noi evitiamo di andare in giro a sbandierare ai quattro venti che il figlio del candidato governatore del Massachusetts, che tanto si prodiga a estirpare le gang criminali dalla sua tanto amata città di Boston, in realtà è il primo a farne parte. Anche un neonato capirebbe lo scandalo enorme che verrebbe fuori se questa notizia cominciasse a circolare. Visto che, nonostante tutto l’odio che provi nei suoi confronti, hai voluto parare il culo al tuo vecchio, vedi bene di non fare cazzate.»
D’un tratto tutto torna ad essere secondario, per Jude: il dolore alle mani, l’umiliazione di dover essere ricorso al proprio cognome pur di entrare là dentro… niente ha più valore.
Si sente svuotato di ogni certezza. Per quanto possa aver provato a offrire il proprio aiuto al suo amico, sembra quasi che Caleb abbia alzato una barricata tra loro, rifiutando con decisione ogni suo tentativo di mettergli a disposizione una via d’uscita. Irato, ferito e deluso, Jude si sente totalmente, completamente inutile. Se non c’è modo di tirare fuori Caleb da lì – che continua comunque a scartare ogni soluzione che gli propone – allora la sua permanenza lì è davvero inutile.
«Benissimo» conclude allora, la voce deformata dall’avvilente sensazione dell’insuccesso «visto che la mia presenza qui, a quanto pare, è totalmente inutile, vedrò di togliere il disturbo. D’altronde immagino che sarai bravissimo a risolvere tutto anche da solo, no, Caleb?»
Detto questo, Jude si volta di scatto, raggiungendo l’uscita della stanza con delle ampie falcate e lasciando che la porta si chiuda alle sue spalle con un colpo deciso, senza dare a Caleb la possibilità di replicare.
Nel giro di pochi secondi, David e Joe stanno già accorrendo nella sua direzione.
«Jude, allora, com’è andata?» gli domanda il primo, mentre sta ancora percorrendo la distanza che li separa.
Jude dubita di essere nelle condizioni di poter intrattenere una discussione del genere, adesso. Sente di nuovo il bisogno di restarsene un po’ da solo – incredibile come siano aumentati i momenti del genere, ultimamente.
«M-mi dispiace, non me la sento di parlarne…» cerca di mormorare, lo sguardo basso e fisso sul pavimento.
«Ma… perché? È successo qualcosa che non va?» prova ad insistere David.
Gli occhi di Jude ora saettano da una parte all’altra del lungo corridoio in cui si trovano, inquieti. Cosa potrebbe dire loro, d’altronde? Che ha fallito su tutta la linea e che Caleb ha preferito restarsene in gattabuia, piuttosto che accettare il suo aiuto?
«Scusate, io… non posso» conclude infine, scansando le braccia di Joe e David, che cercano di trattenerlo.
Prima che possa accorgersene, sta già correndo giù per le scale, e poi fuori, via da lì, lontano.


Southwest Corridor, Boston, 12th April
h. 11:43 p.m.


Perduto. È tutto perduto, stavolta.
Jude si immerge nelle tenebre della tana di Southwest Corridor fino a lasciare che il buio gli ferisca gli occhi, restando noncurante anche quando gli arti iniziano a dolergli, dopo essere rimasto fermo immobile nella stessa posizione per diverse ore.
È tutto perduto.
Dopo essere fuggito dal commissariato di polizia è stato quasi istintivo rifugiarsi lì, per lui. Dopotutto, è un po’ come se tutto fosse iniziato proprio in quel luogo: l’incontro con i ragazzi, che l’hanno trascinato sempre più verso l’abisso della perdizione.
E adesso che ci si trova dentro fino al collo, è ormai impossibile riemergerne, per lui.
Nella mano destra stringe forte il collo di una bottiglia di birra. È l’unica cosa che si è premurato di prendere, prima di nascondersi lì. Annegare i dispiaceri nell’alcol non è mai stato il suo modo preferito per risolvere le situazioni, questa volta però lo scenario che ha davanti gli appare talmente drastico che non riesce ad immaginare di poter ricorrere a soluzioni differenti da quella.
Butta giù un’altra sorsata di quella bevanda amara, che gli raschia la gola e gli brucia le pareti dello stomaco. In fin dei conti, però, a Jude quel dolore risulta fin sopportabile, se solo ripensa invece a quanto male gli abbiano fatto le parole di Caleb di quel pomeriggio.
Ha rifiutato il suo aiuto, come se tutti i mesi trascorsi insieme di colpo non valessero più nulla. Era convinto di essere riuscito a trovare finalmente dei veri amici, invece se Caleb preferiva per testardaggine e amor proprio restare in prigione anziché accettare l’aiuto che gli aveva offerto, allora Jude si chiede se non sia stato lui l’unico stupido ad essersi affezionato, in tutto quel tempo.
Aveva iniziato a frequentare la banda perché si era sentito ricattato: se non l’avesse fatto, non solo la sua reputazione di studente modello sarebbe stata rovinata, inoltre Caleb non avrebbe esitato un momento prima di mettere in circolazione la voce che il figlio di un candidato governatore trascorreva buona parte del suo tempo con dei teppisti.
Sì, aveva preferito salvare il nome di suo padre, permettergli di avere ancora qualche speranza di vittoria nelle prossime elezioni, tuttavia così facendo aveva perso tutto ciò che gli era più caro: la scuola, la famiglia, gli amici e perfino la persona che amava.
Se si fosse venuto a sapere che il figlio del candidato governatore Sharp faceva parte di una delle gang criminali che il padre tanto si era impegnato ad estirpare, nel suo programma elettorale, sarebbe stata la fine. Così aveva preferito abbandonare la scuola, finendo per farsi odiare da suo padre, piuttosto che dar vita ad un tale scandalo. Jude detestava trovarsi sotto la luce dei riflettori, per cui al pensiero di potersi evitare delle grane aveva subito deciso di accettare quel compromesso – per quanto disgustoso continuasse a sembrargli.
Non aveva messo in conto però che, così facendo, avrebbe perso anche l’unica persona che avesse mai amato davvero.
Ripensare a Ray è come ricevere una coltellata dritta nello stomaco, il che costringe Jude a bere subito un altro sorso di birra.
Dicono che l’alcol aiuti a dimenticare, ma la verità è che non fa altro che renderti la testa così terribilmente pesante, il che contribuisce a riportarti alla mente tutti quei pensieri così maledettamente dolorosi che vorresti dimenticare. Altro che leggerezza.
Jude sblocca il telefono con un gesto rapido, quasi senza nemmeno accorgersene. Ormai quella per lui è un’azione talmente naturale che gli viene spontanea compierla.
Una luce fioca invade il seminterrato. Ci sono diverse chiamate da parte di Joe e David, oltre a qualche messaggio – Jude non ha nemmeno bisogno di controllare per sapere che anche questi siano loro – ma per il resto niente di che. Se fosse scomparso un anno fa, probabilmente adesso si sarebbe ritrovato inondato di telefonate senza risposta e sms non letti, invece adesso la lista di persone a cui importa ancora qualcosa di lui è talmente corta che forse non dovrebbe sorprendersi poi nemmeno così tanto se non lo cerca più nessuno.
Fino a neanche un mese fa, forse, le chiamate sarebbero state molte di più: d’altronde, allora c’era ancora Ray a preoccuparsi per lui…
Altra fitta di dolore, stavolta al cuore. Altro sorso di birra.
In quel momento un rumore sordo – lo scatto di una serratura – lo fa sobbalzare sul posto. Istintivamente fa spegnere il telefono, mentre si rannicchia ancor di più nel suo nascondiglio dietro al divano. Si rende conto da solo che da lì è comunque perfettamente visibile, tuttavia preferisce di gran lunga continuare a cullarsi in quella dolce illusione, piuttosto che abbandonarsi ancora una volta alla dolorosa realtà.
Ah, come sono belle le bugie…
Forse dovrebbe ragionare, dirsi che non c’è pericolo che qualcuno possa entrare là dentro con l’intenzione di fargli del male – d’altronde a chi potrebbe mai venire in mente un’idea del genere? – ma evidentemente ha così tanto alcol in corpo che i pensieri razionali non sono una sua prerogativa, al momento.
Prima che la porta si chiuda del tutto le luci che giungono in lontananza dalla strada gli permettono di distinguere due figure nel buio, avvinghiate l’una all’altra. Una di esse è più alta, una chioma leonina e rossiccia a troneggiargli sul capo, l’altra è leggermente più bassa, i lunghi capelli turchini che ondeggiano nell’aria mentre si abbandona alle effusioni che il suo amante gli rivolge.
Joe e David. Jude avrebbe dovuto aspettarsi che si sarebbero rifugiati anche loro lì, dopotutto.
Schiocchi di baci intensi e famelici si susseguono uno dietro l’altro, con un ritmo serrato. Joe solleva il corpo di David afferrandolo per i glutei, cogliendo così l’occasione di stringerli tra le proprie mani. David geme, mentre sente le labbra di Joe lasciargli baci umidi e furiosi sul collo. La schiena del turchino cozza e si strofina con violenza contro il muro grezzo, alcuni tagli si formano sulla pelle color caffellatte del ragazzo.
Jude sente che in tutta quella situazione c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Non saprebbe nemmeno dire con certezza da che cosa sia suscitata quella sensazione di indignazione – perché sì, sa perfettamente che è d’indignazione che si tratta –, se dal vedere i suoi amici intenti in atteggiamenti così intimi mentre un loro compagno è stato arrestato dalla polizia o dal fatto che si stia limitando a sua volta a restare lì inerme a guardarli, tuttavia deve ammettere che gli è davvero difficile tenerla a bada, in quel momento.
Joe scende le scale d’ingresso, con ancora David in braccio, nel frattempo però non smette di tempestare le labbra e il collo del ragazzo di baci, così come l’altro non riesce a fermare i suoi gemiti.
Nel momento in cui arrivano sul divano, Joe sfila senza esitazioni la maglietta di David, accarezzandogli così tutto il torace. Questo suscita del ragazzo nuovi tremori e mugolii, mentre si sente spingere verso i cuscini logori sotto di sé.
Il corpo di Joe lo segue di riflesso, la testa che plana verso il basso; è solo allora che, tuttavia, si accorge della presenza di un’altra persona all’interno della stanza, il suo sguardo che per un momento ne intercetta la figura.
«Chi c’è?» domanda di scatto, la voce impastata.
Jude sobbalza appena sul posto, facendo attenzione a non farsi sentire. A giudicare dal tono alticcio di Joe, non deve essere stato l’unico a ricorrere all’alcol, a quanto pare.
«Shh, Joe, non c’è nessuno… vedrai che sarà stata solo una tua impressione…» mormora David, strofinandosi con impazienza contro il corpo dell’altro. È evidente che non riesca più a tenere a bada l’eccitazione, ormai.
«No, c’è qualcuno, ne sono sicuro…» replica Joe, la voce ebbra d’alcol che ha lo stesso suono di una catena di metallo trascinata pesantemente al suolo. «Esci allo scoperto, se non vuoi vedertela con me…!»
Jude riflette distrattamente che devono essere davvero ubriachi marci, se non sono riusciti a rendersi conto che, al momento, l’unica altra persona oltre loro che conosce quel luogo e che vi può tranquillamente avere accesso è proprio lui. Così, seppur di malavoglia, si tira su in piedi.
«Joe, David, sono io, Jude» ammette infine, la voce lenta di chi sta spiegando per l’ennesima volta un concetto fin troppo semplice ad un bambino testardo, che non vuole recepirlo in alcun modo.
«Jude! Che ci fai qui?» David ridacchia, la sua voce è simile ad un trillo di campanelle.
Jude valuta distrattamente che rispondere a quella domanda sia piuttosto inutile, anche se sono tutti e tre ubriachi: fondamentalmente, il motivo per cui si trova lì è esattamente lo stesso degli altri due ragazzi, ossia quello di riuscire a trovare un po’ di pace, dopo tutte le preoccupazioni che hanno riempito loro la mente, durante il giorno. Si domanda come David faccia a non arrivarci, nonostante tutto l’alcol che deve avere in corpo al momento, alla fine però arriva alla conclusione che ciò non abbia assolutamente alcuna importanza.
I suoi pensieri vengono di colpo interrotti nuovamente dalla voce di David.
«Ehi, Jude, non è che hai voglia di unirti a noi?» gli domanda infatti, senza riuscire a smettere di ridere – uno degli effetti collaterali dell’alcol, valuta in fretta Jude.
La cosa che più lo sorprende è il silenzio che segue, poco dopo. Stenta a crederci, evidentemente tuttavia i due si aspettano davvero una risposta da parte sua.
Per un momento Jude s’immagina come potrebbe essere trovarsi conteso tra quei due fuochi: i corpi dei suoi due migliori amici premuti contro il proprio, petto contro petto con Joe mentre il torace di David aderisce perfettamente alla sua schiena; lascia vagare i pensieri e le fantasie più recondite, le mani dei due ragazzi che lo sfiorano ovunque, mentre, inginocchiati sul divano rotto, avverte quelle dita scivolare sotto i suoi pantaloni. Per un momento le guance di Jude avvampano: forse sarebbe bello, per una volta, lasciarsi andare a quelle sensazioni così piacevoli, permettere a Joe d’impossessarsi del proprio corpo mentre lui fa lo stesso con quello di David. Eppure si rende conto in fretta – fin troppo in fretta, per i suoi gusti – che, tuttavia, tutto ciò non basterebbe a cancellare dalla sua mente quei brutti pensieri così opprimenti che ultimamente l’albergano. Sa inoltre che, in fondo al proprio cuore, continua a desiderare di poter far sì che certe cose avvengano solo con Ray. Sì, ora lui non c’è più, però è passato ancora troppo poco tempo per pensare di tornare a fare ciò con chiunque altro che non sia lui.
«Per questa volta passo» si decide finalmente a rispondere, sperando che i due ragazzi siano così ricolmi d’alcol da non aver fatto caso alla sua esitazione.
David ridacchia di nuovo, al limite dell’ilarità.
«Va bene, la prossima volta però non ti salverai così facilmente» commenta infatti, stringendo le braccia attorno al collo di Joe con uno slancio passionale, mentre attira a sé l’altro ragazzo, inducendolo a scambiarsi un nuovo bacio pieno d’ardore.
Jude arretra, sempre più in imbarazzo. Per un momento inciampa, finendo per cadere all’indietro. La bottiglia di birra che ancora teneva stretta in una mano s’infrange al suolo, schegge acuminate di vetro che si conficcano nei palmi delle sue mani, formando dei lievi tagli che iniziano subito a sanguinare. Jude cerca di non farci troppo caso, ignorando il bruciore cieco che ora avverte e tirandosi di nuovo subito in piedi. Spera di non aver fatto troppo trambusto o perlomeno di non aver disturbato eccessivamente i due ragazzi, a giudicare però dai gemiti accaldati che gli giungono alle orecchie e dai baci frenetici che stanno continuando a scambiarsi così non si direbbe. Così ne approfitta per correre fino alla finestra rotta, dalla parte opposta della stanza, scavalcando l’intelaiatura di ferro malandato e arrugginito e lasciandosi cadere al di là di esso. Altre schegge si piantano nella sua mano, mentre inciampando sull’asfalto all’esterno si ferisce anche le ginocchia, tuttavia – nonostante il dolore – si affretta a scappare via da lì, la mano di Joe che s’infila dei boxer di David e gli ansimi del turchino che si fanno sempre più intensi.


Roxbury, Boston, 13th April
h. 01:14 a.m.


Non si era nemmeno accorto che avesse cominciato a piovere. Ora che le gocce di pioggia colpiscono impietose la sua pelle, tuttavia, Jude non sembra neanche farci troppo caso.
Il rombo dell’acqua sotto di sé attira il suo sguardo. Il fiume è nero come la notte infausta che sta attraversando.
Il suo naso percepisce ancora l’odore di birra versata a terra, mischiata a polvere, sporcizia e vecchi resti di vomito, un mix tanto orrendo quanto caratteristico della loro tana che ormai nota per abitudine. Riesce quasi a sentire ancora i gemiti acuti di David nelle orecchie, diventati ormai la colonna sonora di quella serata da dimenticare.
Non sa come abbia fatto a ritrovare il ponte di ferro che lui, Caleb, David e Joe hanno attraversato ormai una vita di tempo fa, in una fredda notte di settembre, nonostante tutto l’alcol che ha in corpo. Forse ci saranno passati sopra così tante volte che ormai la sua memoria ha localizzato alla perfezione quel luogo, malgrado tutto.
Ricorda ancora l’ebbrezza e la sensazione di felicità che l’avevano pervaso, là sopra. Per la prima volta in vita sua s’era sentito vivo, nonché parte integrante di un collettivo. Aveva sentito di avere degli amici, e per Jude non c’era stato nulla di più importante.
Ora, invece, era tutto finito. Non restava altro che il ricordo lontano delle ruote degli skateboard che giravano veloci, il rumore intenso che provocavano strisciando su quella superficie metallica. All’epoca Jude non era riuscito a non trovarlo meraviglioso, ora invece gli riportava alla mente ricordi di una felicità che sentiva non avrebbe mai più ritrovato, così da trovarlo infausto.
Le mani ferite e macchiate di sangue si stringono attorno alle travi d’acciaio davanti a sé. L’umidità, assieme alla pioggia e agli spruzzi d’acqua che giungono da sotto le rendono scivolose, tuttavia Jude si ritrova a ringraziare il cielo per aver fatto sì che le sue ferite alle mani si siano già chiuse, perché altrimenti la sensazione di viscosità sarebbe stata così eccessiva che, con ogni probabilità, sarebbe già finito sul letto del fiume.
Non che la cosa gli sarebbe poi così dispiaciuta, in fin dei conti: d’altronde, se adesso si trova in piedi, sospeso in bilico sulle travi d’acciaio che sostengono quel ponte, è perché in fondo ci ha pensato, a buttarsi giù.
In fondo, non gli rimane più niente per cui lottare. Ha perso i suoi amici nel momento in cui Caleb ha rifiutato il suo aiuto, suo padre lo disprezza per le scelte che ha fatto e non vorrà mai più rivederlo in vita sua e Ray… oh, Ray…
Ha deluso perfino l’unica persona di cui gli importasse davvero qualcosa. Rinunciando agli studi non solo ha perso l’ultima possibilità che ancora gli rimaneva per vederlo, inoltre l’ha ferito così tanto che Jude non si meraviglierebbe se adesso non desiderasse più di vederlo o se addirittura lo odiasse.
Un’improvvisa folata di vento gelido fa tremare il suo corpo, che si sbilancia pericolosamente in avanti.
Poi, però, una voce familiare gli giunge alle orecchie.
All’inizio la meraviglia nell’udirla è così tanta che, per un momento, Jude crede di essersi immaginato tutto.
Quando però la sente nuovamente capisce che quella non è altro che la realtà.
«Jude» un timbro cupo e solenne lo fa tremare come un fuscello squassato dal vento, mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime.
Di riflesso il ragazzo si volta indietro ad osservare la situazione.
Sotto il diluvio universale, alcune macchine sfrecciano lungo il ponte, incapaci di trattenersi dal suonare il clacson passando accanto ad un’altra auto, ferma in un punto in cui la viabilità è decisamente ridotta, lo sportello del guidatore aperto e nessuno a bordo, mentre la pioggia bagna i sedili.
Jude valuta distrattamente che conosce fin troppo bene quell’utilitaria nera, perché è lì che ha ricevuto il suo primo bacio.
Il ragazzo inarca lievemente le sopracciglia, a dir poco sorpreso di incontrarlo lì.
«Come hai fatto a trovarmi, Ray?» domanda, saltando a piè pari i convenevoli. Non ha davvero tempo per quelli, adesso.
«Ha davvero importanza?» replica l’uomo, tendendo una mano verso di lui. Ha indosso un impermeabile scuro, su cui la pioggia scivola via veloce. «Jude, Scendi da lì, adesso, per favore. È pericoloso.»
«N-non posso…» mormora, il corpo sempre più scosso da tremori «la mia vita non ha assolutamente alcun senso. Io non ho motivo di esistere…»
«Sì che ce l’hai, invece.» Ray si trattiene a stento l’impulso di azzerare la distanza che lo separa da Jude e trarre in salvo il ragazzo. Deve agire con cautela, la priorità è essere certi che Jude non finisca davvero sul fondo del fiume. «Possiamo ancora mettere a posto tutto, insieme.»
«Non è vero!» Jude si agita sul posto, inquieto «T-tu mi odi…»
Per un momento Ray si arresta sul colpo, sorpreso.
«Cosa? Odiarti, io? Jude, io ti amo. Se sono rimasto lontano da te, in questi giorni, è stato perché tu mi hai chiesto di farlo.» Ray si morde il labbro inferiore, adesso andare avanti sta diventando difficile persino per lui. «Dovrei odiarti per il litigio che abbiamo avuto sul terrazzo in cima all’istituto? Eri fuori di te, comprendo che buona parte delle cose che mi hai detto quel giorno non le pensassi davvero. Perciò ehi, ti assicuro che non ce l’ho assolutamente con te.»
Jude volta il capo di scatto, posando lo sguardo nuovamente sulle acque in tempesta. Se ci pensa si sente esattamente come quel fiume, così tormentato…
Perché, perché adesso? Come se non si sentisse già abbastanza in colpa, ci mancava solo che colui che dall’alto tesse i fili del suo destino gli inviasse in quel momento proprio la persona che meno avrebbe voluto che lo vedesse in quello stato. Sente di essere un fallimento, inoltre se c’è anche Ray ad avere la sua disfatta davanti agli occhi, allora il tutto si fa ancor più umiliante.
L’ultima parte razionale di sé gli sta urlando di scendere da lì, tuttavia sente i propri sensi così offuscati… ogni cosa è confusa. Dovrebbe lasciarsi cadere o tornare indietro? Ray sarebbe davvero disposto a perdonarlo o lo sta dicendo solo per non avere la sua vita sulla coscienza? Non lo sa, dannazione, Jude giura a se stesso che davvero non lo sa. Purtroppo, per quanto vorrebbe averne un’idea, teme che tutto l’alcol e il dolore che ha in corpo gli impediscano di compiere anche il più piccolo ragionamento di senso compiuto, al momento.
Il vento gli fischia furioso nelle orecchie, facendo oscillare pericolosamente il suo corpo verso il vuoto sotto di sé. 
«Jude, posso chiederti un ultimo favore?» la voce di Ray lo porta nuovamente alla realtà, calma, sicura.
«Cosa c’è ancora?» domanda il ragazzo, impaziente.
Non può vederlo poiché gli dà le spalle, tuttavia in questo momento le labbra del suo ex insegnante sono una linea sottile e tesissima a causa dell’ansia che prova.
«Chiudi gli occhi, per favore. Poi non ti chiederò mai più nient’altro, te lo prometto» propone, cercando di non far trasparire l’ansia che prova.
Jude soppesa attentamente quelle sue parole. In fondo è notte fonda e non vede a un palmo dal suo naso, inoltre è così probabile che, ormai, il suo equilibrio abbia anche solo un momento di debolezza e lo faccia volare direttamente giù nel fiume, per cui perché non dovrebbe accontentarlo, visto che forse senza la vista a supportarlo sarà anche più facile cadere?
Così Jude lascia che le palpebre calino sui suoi occhi. Quasi subito una nuova raffica di vento, più intensa delle altre, colpisce il suo corpo, facendolo sbilanciare in avanti.
Finalmente, pensa il ragazzo. È certo infatti che ora giungerà la fine di tutte quelle sofferenze che da mesi lo tormentano. Un ultimo, folle volo verso il fiume scuro e poi più niente, solo acqua gelida che gli riempie i polmoni fino a farlo soffocare e nient’altro. Non avrebbe potuto immaginare una fine differente, oltre al fatto che certamente la parte migliore di quel disperato piano è la cessazione di ogni preoccupazione, che certamente non tarderà ad arrivare, assieme alla morte, una volta che quelle acque scure come la notte avranno accolto il suo corpo.
Ray, tuttavia, non è dello stesso avviso. Prima che la forza di gravità possa reclamare il ragazzo verso il fiume, infatti, lo afferra saldamente con una mossa rapida, attirandolo ben presto sulla terraferma, accanto a sé.
Quel momento è così veloce che Jude non ha quasi tempo di accorgersene. Per diversi istanti resta infatti con gli occhi chiusi anche dopo che Ray l’ha tratto in salvo, troppo confuso per rendersene conto in una situazione del genere. Quando tuttavia le gocce di pioggia continuano a colpirgli la fronte anche dopo che, secondo i suoi calcoli, sarebbe dovuto essere finito nel fiume già da qualche secondo, si costringe ad aprire gli occhi, alla ricerca di una spiegazione per tutto ciò.
La prima cosa che riesce a mettere a fuoco è il volto del suo ex insegnante, che lo sovrasta totalmente nel tentativo di proteggerlo dalla pioggia. Ray gli rivolge un sorriso lieve ma incredibilmente luminoso, l’acqua che scorre giù dal cappuccio del suo impermeabile mentre alcuni lunghi capelli castani sono sfuggiti dalla sua coda di cavallo e ora gli ricadono delicati sulle guance. Jude valuta distrattamente che quell’uomo riuscirebbe ad essere in perfetto ordine anche nel bel mezzo dell’apocalisse.
Ray, nel frattempo, gli accarezza concitatamente le gote; Jude lo osserva e pensa distrattamente che i suoi occhi piccoli e neri assomigliano ai ciottoli di un torrente, scuri e levigati nel tempo dal corso delle acque.
Il suo sguardo è l’unico fiume in cui vorrebbe annegare.
Sembra accorgersi solo in quel momento che Ray l’ha disteso sulla superficie metallica del ponte; lo tiene sollevato solo per la schiena, dietro la quale ha posto una delle sue braccia forti.
La consapevolezza che il suo tentativo di suicidio sia stato sventato lo colpisce all’improvviso, riportandolo ben presto alla realtà.
«Perché non mi hai lasciato morire?» domanda infatti ben presto all’insegnante, nella voce una nota ben percepibile d’ira.
Ray non riesce a trattenere il sorriso che ben presto fiorisce sulle sue labbra, facendo innervosire ancor di più Jude.
«Perché ti amo» risponde, con una spontaneità disarmante «e se pensi che ti lascerò gettare la tua vita al vento così facilmente ti sbagli di grosso, Jude.»
Gli occhi del ragazzo si dilatano a dismisura, sorpresi, mentre piccole lacrime iniziano a formarsi agli angoli delle sue cornee.
«Però non puoi dirmi una cosa del genere adesso» commenta, la voce commossa.
«Oh, posso eccome, invece» ribatte Ray, stringendolo istintivamente a sé. «Non piangere, le tue lacrime mi spezzano il cuore…»
Jude si limita ad affondare il volto contro il petto dell’uomo, inspirando profondamente il suo profumo. Aveva dimenticato quanto fosse buono; se solo pensa che ha rischiato di non poterlo più sentire, giusto fino a pochi istanti prima, non riesce proprio a perdonarselo.
Ray, nel frattempo, gli accarezza premurosamente i capelli, cercando di aiutarlo a calmarsi.
«Si può sapere cos’è successo?» gli domanda, le parole quasi mormorate nell’orecchio del ragazzo.
Jude tira su col naso, cercando di fare mente locale.
«Caleb è… è stato arrestato» ammette, le parole che lo trafiggono come lame «ha rifiutato il mio aiuto per uscirne e io… non sapevo più che cosa fare. Sta andando tutto a rotoli: prima il nostro litigio, poi questo…»
Durante tutto quel suo confusionario racconto, Ray non smette nemmeno per un secondo di accarezzargli gli zigomi. Non riesce ad accettare di vedere il suo ragazzo così sofferente, né mai ci riuscirà.
«E questo ti sembra un valido motivo per morire?» gli domanda, continuando a tenerlo stretto a sé.
«Io… non sapevo cosa fare. Mi dispiace…» sussurra, mortificato.
«Shh… non c’è niente di cui tu debba scusarti, Jude» lo rassicura l’altro, distaccandosi lievemente dal corpo del ragazzo – seppur con estremo rammarico – per poterlo guardare in volto «te l’ho detto, siamo insieme. Risolveremo tutto, te lo prometto…»
Gli occhi del ragazzo continuano a riempirsi di lacrime. Una di queste inizia a scendere, solcando il volto del giovane, tuttavia le dita abili dell’uomo la intercettano all’altezza della guancia.
«Ti amo. Non mi lasciare mai più, Ray…» mormora il ragazzo, trattenendo un singhiozzo tra i denti.
Ray solleva il volto del giovane, avvicinandolo impercettibilmente al proprio. Lascia che per alcuni brevi quanto intensi istanti le loro labbra si sfiorino, in un contatto tanto intimo quanto dolce. Non appena si separano, sul volto di entrambi sboccia un sorriso lievissimo.
«Ovvio che non ti lascio più. Ti amo, Jude» ricambia, il cuore che scoppia di gioia.
Jude sente il proprio corpo venire sollevato da terra, tuttavia non ha paura, perché sente che con passi sicuri Ray ha preso ad avviarsi verso la propria autovettura, per mettere entrambi al riparo da quella maledetta pioggia.
Finalmente al riparo, mentre la pioggia continua a colpire il tetto dell’auto, i loro corpi si beano della sensazione del calore dell’altro, così vicino. Dopo tanto tempo, in quel momento Jude sente finalmente che tutto si sistemerà.




Angolo autrice

Ed eccoci qui, finalmente, con l'ultimo vero ed effettivo capitolo prima dell'epilogo di questa storia!
Sapete, mi fa un effetto stranissimo dire questa cosa... è la prima volta che porto a termine un progetto tanto importante. Per me Dark Necessities è un po' come un figlio, vederla arrivare alla conclusione dà la stessa soddisfazione che si prova nell'osservare il proprio unico discendente realizzato, sposato, con figli ed un lavoro che apprezza-- okay, comincio già a delirare, perfetto.
Andiamo con ordine: intanto ringrazio mia figlia (chi mi segue su Twitter sa perché la chiamo così) Gagiord per il suo – come al solito – ottimo lavoro di betaggio. Indipendentemente da ciò che dicono gli altri, io sono estremamente fiera del nostro lavoro di squadra, non potrei chiedere di meglio.
Volevo ringraziare anche tutti voi lettori che avete seguito la storia. Non mi aspettavo così tanto sostegno, sarò sincera.
Mi dispiace che alcune cose siano state percepite come dei "cliché", sebbene non lo fossero. Se proprio vogliamo andare a guardare il capello, l'intera storia si basa tutta su un grosso cliché, o perlomeno su una visione piuttosto stereotipata della società americana – per la precisione, di una parte della società americana, ma sorvoliamo.
Tornando a noi, questo capitolo mi ha creato non pochi problemi, in fase di stesura: sono personalmente molto vicina allo stato emotivo di Kidou nella terza sezione, ho pianto già solo ad immaginarla, mi ha fatto tornare alla mente un periodo nient'affatto felice della mia vita e mi è servito un po' come sfogo, spero per cui che possiate perdonarmi.
Forse l'ultima parte è leggermente OOC. Se vi dà fastidio lo segnalo, non lo so.
E niente, credo di aver detto tutto, fondamentalmente perché credo di non dover spiegare un granché, in questo capitolo. Ringrazio chiunque leggerà, le anime pie che arriveranno fin qui e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite. Una recensione, come al solito, è sempre benaccetta.
Ci vediamo il 27 agosto con l'epilogo – fa strano dirlo, sì.

A presto

Aria
   
 
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