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Autore: Vago    18/08/2017    4 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Un uomo dai ricci capelli biondi misurò a passi lunghi la distanza tra gli imponenti tronchi. Il completo color corteccia lo rendeva quasi invisibile nella luce mattutina.
L’uomo si passò una mano sul volto, sul tatuaggio romboidale che solcava la guancia, e rivelando tra i capelli una ciocca scura, nera come il carbone.
Davanti a lui, a guidarlo, una guardia cittadina sfrecciava spedita sotto il poco peso della corazza in cuoio che portava sul petto.

Detesto dover cambiare il corpo di sicurezza. Quello nuovo da sempre un prurito sotto la pelle.
Ma non potevo nemmeno continuare ad usare quell’elfo, dopo settant’anni che in giro si vede sempre lo stesso individuo senza una ruga in più, anche i più tardi cominciano a farsi domande.

Gli occhi verdi incorniciati dalla pelle ambrata si posarono a terra, quando la schiena che li precedeva si fermò bruscamente.
- … Quindi, secondo lei, è possibile che al tribunale ci siano posti vacanti? – terminò la sua frase la guardia, voltandosi verso l’uomo che lo seguiva.
- Si, certo. Tutto è possibile. È questo il posto? –
- Come? –

Ti prego, è l’alba, non essere così dannatamente stordito.

- Il corpo, è qui? –
- Oh, sì, certo! Il corpo è dietro quell’albero. -

Grazie!

L’uomo si diresse nella direzione indicatagli, percorrendo il perimetro del grosso tronco che gli ostacolava la strada per raggiungere la cosa nascosta sotto una spessa coperta dalla parte opposta.
Tre guardie dai volti più anziani di quella che lo aveva scortato fin lì controllavano che nessuno dei pochi curiosi rimasti potesse avvicinarsi alla coperta.
L’uomo biondo estrasse dalla tasca interna della giacca un documento piegato, vergato su carta pregiata, mostrandolo ai tre uomini senza dire una parola. Così, nel medesimo silenzio, varcò il perimetro che avevano creato, per andare ad inginocchiarsi accanto alla protuberanza celata alla vista.
Con mani salde prese gli angoli superiori della coperta, ripiegandoli verso il fondo, in modo da mostrare cosa si nascondesse sotto di questi.
Davanti alle iridi brillanti comparve un viso cadaverico dagli occhi sbarrati di terrore. Le pupille del morto erano strette come aghi, nonostante non un singolo raggio di sole li riuscisse a raggiungere.
Sul petto della salma, all’altezza del cuore, uno squarcio carbonizzato si apriva tra le sue carni.
Accanto al petto, integra, riposava una valigia in pelle aperta, con i documenti che conteneva accuratamente riposti al suo interno.

Quella documentazione non mi interessa. Ho letto il rapporto sul contenuto di quella borsa e non mi servirà a nulla rovistarci di nuovo.
I referti medici che mi hanno lasciato sono abbastanza chiari… Ma sono stati redatti dai mortali, quindi è meglio che ricontrolli tutto.

L’uomo posò il proprio pollice sulle labbra esangui del cadavere disteso insolitamente composto a terra, sollevando quello superiore in direzione del naso.
Un bianco, sporgente canino fece la sua comparsa nella chiostra di denti.
Il dito dell’ispettore biondo si sollevò, ma il labbro non parve intenzionato a tornare alla propria posizione originale.

Drago. Quasi sicuramente è un drago.
L’altra possibilità sarebbe ammettere che quest’uomo ha speso una fortuna da un buon dentista per farsi impiantare questa roba.
Ora, però, la cosa importante.

L’indice e il medio dell’uomo si fecero strada nella ferita del cadavere, trascinando nella loro discesa scaglie di carne carbonizzata. Toccato il fondo del taglio, l’ispettore ritrasse la mano, pulendo le dita annerite sull’erba su cui si era inginocchiato. Il suo volto si contrasse per una frazione di secondo in un’espressione tra il preoccupato e lo stupito.
- Ci sono problemi? – La voce della giovane guardia che lo aveva scortato fin lì ruppe il silenzio di quella mattina.
L’ispettore biondo si rialzò in piedi, sbattendosi i pantaloni dal terriccio che vi era rimasto attaccato.
- Signore? – ritentò il giovane.
L’uomo dai capelli ricci alzò un dito verso il cielo, intimandogli di fare silenzio.

L’apparato del drago è completamente perforato.
Chi ne può  conoscere così bene la posizione?
Un drago, o un medico.
C’è una sola ferita… un colpo rapido e preciso.
Intanto, un po’ di anatomia dei draghi. Sia in forma umana che da rettile, i draghi posseggono un organo cavo accanto al loro cuore. Lo scopo di questa sacca è quella di produrre e conservare una secrezione estremamente infiammabile se esposta all’aria. Le fiamme che possono eruttare non sono altro che la vaporizzazione di questa secrezione nel loro fiato. Ed è anche per questo che ho sempre mirato a questa sacca, quando ho dovuto uccidere dei draghi. La fiammata che ne scaturisce uccide il drago senza possibilità di errore.
Come è successo qui, del resto.
Ha le pupille strette. Deve essere stato messo davanti a una forte fonte di luce. Più forte di una lampada ad olio.
È morto di notte, non ci sono dubbi, quindi, cosa può aver prodotto un lampo così accecante? Non ci sono segni di uno sparo…
Mi manca qualcosa.
Qualcosa scappa alla mia comprensione.
E la Trama non accenna a volermi aiutare, qui si sono intrecciati troppi destini perché io possa, nel mio stato attuale, leggere cosa è avvenuto.
Mi mancano i bei vecchi tempi.
Ricapitoliamo quello che so per certo.
Un drago è stato ucciso.
Draghicidio.
Un solo colpo da arma da taglio all’apparato del drago.
Qualcuno che sa cosa sta facendo.
Zona poco frequentata.
Premeditazione?
Possibile.
Non ha rubato nulla.

L’uomo biondo fece alcuni passi, con gli occhi persi verso un punto lontano.

Una volta che ha portato a termine il draghicidio, cosa ha fatto?
Se ne è andato, ma non lontano, era notte.
Drago, umano o elfo?
In ogni caso con le tenebre non sarebbe riuscito ad andare lontano.
È salito verso Gerala.
Mi sto avvicinando a qualcosa.
Da dove è salito?

- Tu. – disse l’ispettore voltandosi di scatto nel suo completo marrone e indicando con l’indice affusolato la giovane guardia che lo osservava – Il montacarichi più vicino per Gerala, qual è? –
Il giovane rimase ancora per un attimo in silenzio con gli occhi che saettavano da destra a sinistra e la bocca leggermente aperta, nonostante non ne uscisse nessun suono.
- Il montacarichi del quartiere medico. – fu la risposta di una delle guardie poste a controllare la salma. – Dovrebbe essere a cinque minuti in quella direzione. –
- Ottimo. – disse l’ispettore biondo incamminandosi nella direzione indicatagli – Potete portare via il corpo, oramai non ha più nulla da dire. –

Il montacarichi del quartiere medico.
È davvero così vicino quell’affare?
Non sono abituato a muovermi a piedi.
Eccolo lì davanti, cinque minuti, più o meno.
Una volta salito deve aver cercato un riparo per la notte… in uno dei quartieri vicini. Non tutti sono così fortunati da avere una sorella persa da anni con una casa in quel quartiere, no?

L’uomo passò il palmo della sua mano lungo il corrimano del montacarichi.

Niente.
Non ha lasciato uno straccio di prova che mi possa dire con cosa ho a che fare.
Qui a Gerala non ho ancora finito.
Il marmocchio?
Non c’è, ottimo, così farò prima.

I ricci biondi scomparvero, seguiti dal corpo e gli eleganti abiti sottostanti.
Un nero corvo si levò verso il cielo, sbattendo un paio di volte le ali per prendere quota, superare i ponteggi più bassi della città e raggiungere lo strato intermedio, colmo di gente che ne affollava le vie sospese.


L’uomo biondo raggiunse l’ingresso della costruzione incenerita a passo svelto, mostrando alla guardie poste davanti a questa la sua documentazione.
Sopra il suo capo, foglie imbrunite sventolavano sotto la leggere brezza. Sotto le sue suole, le assi della piazzetta sulla quale l’abitazione si affacciava erano state intaccate dal fuoco, prima che l’incendio fosse domato.
L’ispettore si fece strada nel corridoio d’ingresso appena riconoscibile, guardandosi intorno.

L’incendio è partito dalla stanza di sinistra, quindi dovrò cominciare dalle cucine, a destra.

L’uomo smosse i rimasugli della porta carbonizzata.
Davanti ai suoi occhi chiari, si presentarono quindici corpi completamente carbonizzati, sdraiati l’uno accanto all’altro come se qualcuno li avesse posti così di proposito.
L’ispettore si chinò su ognuno di loro.

Non un solo drago.
E, tra l’altro, sono stati tutti strangolati.
Questo non ha senso.
Chi sono?
Camerieri e cuochi.
La dichiarazione del proprietario del ristorante parlava di tre cuochi e tredici camerieri… mi manca un corpo. La stanza era prenotata per quaranta persone… sarà una lunga mattinata.

L’uomo riccio uscì dalla cucina, per dirigersi verso quel poco che rimaneva della sala da pranzo, occupata da pochi rimasugli della mobilia in legno e da decine di cadaveri rinsecchiti e carbonizzati, accartocciati su loro stessi per mimare malamente una posizione seduta.


Finalmente, ho finito.
Quaranta cadaveri, dei quali venticinque erano draghi. Doveva essere stato un matrimonio misto.
Sono tutti morti bruciati… tutti tranne la festeggiata del giorno. Queste, però, non è una ferita lasciata da un coltello, è troppo larga.
Un paletto. In legno, visto che non ne rimane traccia.
Manca un cadavere, un cameriere si è salvato. Un uomo.
Sto facendo passi avanti.
L’assassino si è fatto passare per un cameriere. Potrei risalire al nome che ha lasciato, andando per esclusione dopo aver riconosciuto i cadaveri di là… ma non credo mi sarà di qualche utilità un nome falso.
Si è fatto passare per un cameriere e a notte fonda ha pugnalato la sposa, un drago, nella sua sacca del fuoco. La fiammata provocata è uscita dal petto ed ha innescato l’incendio.
È lui. È il mio assassino.
Ora, però, devo capire come mai tutti gli altri non sono scappati. E i camerieri? I cuochi?
Io sono un assassino, sto lavorando con le vittime. Uccido poco a poco i camerieri, i cuochi sono troppo indaffarati per rendersene conto. Arrivo al termine della sera che ho ucciso tutti i lavoratori. Con i cuochi devo aver lottato, oppure li ho attirati uno dopo l’altro in un'altra stanza, per poi ucciderli man mano.
Ho poi messo i cadaveri in un’unica stanza, prima di uccidere il mio obiettivo.
Perché?
Perché non potevo accatastare quei quindici morti in un angolo?
Perché sono innocenti, forse. Perché non sarebbero morti, se non fossero stati qui.
Mi dirigo verso la sposa con un paletto in legno in mano.
Nessuno dei presenti tenta di fermarmi.
Cosa li trattiene?
Sono quaranta persone, non posso legarli tutti senza che se ne rendano conto. E sono tutti vivi.
E la sposa?
Il foro nel suo petto è pulito, non si è dimenata, nonostante lui l’abbia colpita da dietro, non potendo essere sul tavolo.
Li deve aver drogati. Tutti.
Con cosa?
Il cibo.
Ma il cibo, uscito dalla cucina, viene immediatamente preso da dodici vassoi diversi. Non c’è il tempo di drogare tutte le porzioni.

L’uomo si sedette sui propri talloni, guardando il volto irriconoscibilmente sfigurato di quella che doveva essere la sposta, caduta scompostamente a terra.

Come?
Il bere.
Le bottiglie sono facilmente accessibili.
Potrebbe funzionare come modello.
Ora le domande fondamentali si riducono a una sola. Cosa sto seguendo?

- Il signor Vander? - Un uomo in tenuta elegante comparve da dietro il muro annerito che separava la sala da pranzo dall’ingresso, ma subito scomparve, alla vista delle salme.
L’uomo alzò  lo sguardo in direzione della voce, riemergendo dal mare di riflessioni in cui era affogato.
- Arrivo. –

Che nome terribile che mi hanno affibbiato, anzi, cognome. Questa forma, evidentemente, non ha nemmeno un nome.
Vander… comunque meglio di quel Comvia che mi era uscito sui Muraglia, quella volta.
Bah, che brutti ricordi.

L’ispettore si rialzò dalla cenere, dirigendosi verso l’impiegato che lo aveva chiamato.
- Cosa c’è? – chiese seccamente l’uomo biondo, non appena l’elfo che lo aveva cercato entrò nel suo campo visivo.
Era giovane, magro, le orecchie a punte erano quasi interamente celate dai capelli lisci lunghi una spanna. Gli abiti che portava indosso non lasciavano dubbi sul fatto che lavorasse in un ufficio governativo.
In mano, stretto tra le dita, teneva una busta di carta sigillata, sulla quale svettava il sigillo del Giudice Maggiore.

Cos’altro hanno trovato…

- Mi manda l’ufficio del Giudice Maggiore Fenter… ho dei documenti per lei. –
L’elfo porse con uno scatto delle braccia la busta, abbassando lo sguardo verso terra.

Non ho dimenticato di nuovo qualcosa, vero?
Due occhi, una bocca, un naso, due orecchie, i capelli.
Gli occhi sono dello stesso coloro? Spero di si.
Non credo di essermi dimenticato qualche piuma della mia forma da corvo.
Devono essere quei cadaveri a fargli questo effetto.

L’ispettore prese i fogli con un gesto elegante.
- Puoi andare. –
L’elfo non se lo fece ripetere due volte, voltandosi e correndo oltre l’uscio, quasi scappando da quel ristorante carbonizzato.

Vediamo cos’altro hanno per me…
   
 
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