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Autore: BlueButterfly93    18/08/2017    2 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
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Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 25 

Forse






Quel pomeriggio di fine Gennaio, era partito tutto con una frase pronunciata dalla Signora Lamberto che non avrei potuto dimenticare per nulla al mondo: «Da stasera laverai i piatti, dopo cena tutti i giorni per una settimana. Bello vincere con un avversario debole, vero?»

E una delle cose che imparai da quell'episodio fu che Stefania Lamberto manteneva sempre la parola data e se poi i suoi discorsi contenevano "Castiel" e "punizione" nella stessa frase, lo faceva con ancora più piacere.

«Sono stata autorizzata ad accedere in cucina per controllare il lavoro del Signor Black. Venga con me!» furono le parole autoritarie di Stefania. Le pronunciò con una strana emozione negli occhi. Forse era soddisfatta di esser riuscita ad imporre a qualcuno la sua autorità, forse lo era solo perché quell'autorità era riuscita ad imporla ad uno come Castiel... fatto stava che lo sguardo di Stefania faceva tenerezza. A guardarla a primo impatto tutto provocava tranne che quello, vero, ma a me che avevo imparato a sbirciare sotto la sua corazza faceva un altro effetto. In quell'occasione finalmente era riuscita a farsi rispettare e doveva essere un grande risultato vista l'emozione evidente. 

Nella vita privata, sicuramente era una donna sola, nessuno aspettava il suo ritorno a casa dopo il lavoro tranne che molteplici gatti. Aveva un lavoro che effettuava con tanta passione e per lei soddisfacente ma che non veniva apprezzato dal resto del mondo, anzi semmai deriso.

Quando però arrivammo nella famosa cucina interamente bianca dove Castiel avrebbe dovuto scontare la nota punizione, lui non c'era. Quell'espressione di tenerezza sul viso di Stefania scomparve all'istante per essere sostituita da una di pura rabbia e delusione. Istintivamente portai le mani sulle spalle della signora Lamberto come per consolarla, ma lei dovette interpretare diversamente quel gesto visto che si scansò ed anche bruscamente facendomi ricadere a peso morto le mani lungo il mio busto.

«Dove diavolo è il Signor Black?» urlò all'interno di quella stanza bianca ormai quasi vuota, vista l'ora tarda. I presenti si voltarono verso la sua direzione, ma preferirono non rispondere a quella signora paffuta e dai vestiti stravaganti.

Ovviamente dovette infastidirsi maggiormente dal momento che non le venne data la giusta attenzione e decise di ottenere con le sue forze la risposta a quella domanda per lei di fondamentale importanza. Iniziò ad aprire tutte le porte presenti in quella cucina che evidentemente conducevano ad altre stanze adiacenti, ma non vi era nessuna traccia di Castiel. Restai da spettatrice a quella scena, quella volta Castiel se l'era cercata. Non sarebbe stata la fine del mondo se avesse lavato qualche piatto; forse secondo la sua logica avrebbe macchiato la sua reputazione da cattivo ragazzo e non poteva permetterselo cocciuto com'era, ovviamente; o semplicemente non gli andava di obbedire alle regole imposte e aveva ben deciso di andarsi a fare un giro.

Quando però Stefania aprì l'ultima porta, quella che portava direttamente all'esterno della struttura, trovò finalmente il soggetto che aveva portato scompiglio -nell'ultimo quarto d'ora- all'ordine di quell'angolo di hotel. Era comodamente seduto sui gradini adiacenti alla porta d'uscita della cucina e stava fumando una sigaretta tranquillamente. Ci dava le spalle, ma dai suoi gesti rilassati si comprendeva ogni cosa. 

Senza aspettare un minuto di più Stefania scese i gradini e si posizionò davanti alla figura di Castiel, strinse i pugni ed iniziò a sbraitare: «Quale parte di "devi lavare i piatti per punizione" non ti è chiara, eh?» ma non ottenne risposta. 

Avrei tanto voluto vedere l'espressione di Castiel in quel momento, quell'espressione di menefreghismo che avrebbe fatto imbestialire qualsiasi suo interlocutore. Da quella distanza e da quell'angolazione in cui mi trovavo, immobile, potei solamente vedere le sue spalle e visto la fermezza della sua figura, percepii che continuò a fumare come se intorno a lui non ci fosse niente e nessuno oltre lui e la sua sigaretta.

«Io... io non so più come comportarmi con te. Mi dai sui nervi!!!» proseguì Stefania che ovviamente continuava a non ricevere alcuna risposta. Aveva persino abbandonato il suo linguaggio formale dalla rabbia.

Passarono alcuni secondi di silenzio fin quando la signora Lamberto decise di agire d'impeto e strappò con prepotenza la sigaretta dalle mani di Castiel per gettarla sulla strada e pestarla con le sue scarpe strambe. A quel punto riuscì ad attirare l'attenzione del rosso che si alzò e le si posizionò difronte. Finalmente potei vedere il suo volto, la sua espressione non premetteva nulla di buono.

«Ma che cazzo vuoi? Sono qui in vacanza! Davvero hai pensato che io, Castiel Black, potessi lavare degli stupidi piatti per una stupida punizione datami da una stupida guida turistica che non sa neanche parlare la mia lingua?» alzò la voce in un crescendo e dimostrando la sua indiscussa virilità.

«Black, io sto semplicemente svolgendo il mio lavoro. Ti sembra che mi diverti a fare da guida ad uno stupido e presuntuoso moccioso come te?» non l'avevo mai sentita parlare in quei termini.

A quel punto decisi d'intervenire prima che Castiel combinasse guai irreparabili. Le cose si stavano mettendo male. Percorsi velocemente tutta la cucina e mi posizionai sulla porta d'uscita senza scendere i gradini.

«Castiel, laverò i piatti insieme a te così non ti scomoderai più di tanto. Per lei va bene Signorina Lamberto?» guardai di sbieco Castiel e, nello stesso tempo, supplicante Stefania.

«La punizione è per il Signor Black, non tua» rispose con tono fermo.

«Sì, ma l'importante è che laverà quei maledetti piatti o solo o con l'aiuto di qualcuno...» continuai. Non sapevo come poter trovare una scusa accettabile per mettere fine al battibecco di quei due testa calda, le stavo provando tutte.

Dopo cinque minuti buoni, la signorina Lamberto, decise di accettare la mia proposta e Castiel non mi rivolse neanche un sorriso né mi sussurrò un grazie, anzi sembrava persino infastidito dalla mia intromissione. C'era da aspettarselo da uno come lui. Anzi visto il soggetto testardo, mi aspettavo che si sarebbe persino continuato a rifiutare di lavare i piatti seppure avesse due mani in più ad aiutarlo e invece non lo fece fortunatamente.

«Non avevo bisogno di una paladina della giustizia.. me la stavo cavando piuttosto bene» spezzò il silenzio, rimproverandomi. Come non detto. C'era d'aspettarselo.

«Se per bene intendi essere rispedito per direttissima in Francia ed essere sospeso dalla preside, allora sì Castiel, te la stavi cavando piuttosto bene» alzai il tono di voce «Ah e comunque prego, Castiel!» finsi di essere infastidita dalla sua ingratitudine. Approfittai della nostra temporanea pace per stuzzicarlo.

«Da quando hai questo caratterino? L'aria di Roma ti fa bene» ghignò.

Castiel Black aveva appena fatto un complimento alla lì presente Micaela Rossi e lei, da imbecille totale qual era, arrossì senza riuscire a ribattere.

Quindi non risposi e per camuffare il rossore del mio viso lo guardai di sbieco e l'incitai ad entrare per poter finalmente lavare quei benedetti piatti e mettere fine alle lamentele della Signorina Lamberto.

Durante i primi dieci minuti fui concentratissima a sciacquare i piatti e ancora non avevo prestato attenzione al rosso; quando però lo feci mi maledissi. Quell'immagine era paradisiaca ma al tempo stesso ridicola. Castiel aveva legato i suoi lunghi capelli rossi in una specie di chignon disordinato, alcuni ciuffi ricadevano sugli occhi grigi ed ammalianti. Era la prima volta che lo ammiravo concentrarsi realmente su qualcosa e quella volta -sebbene dapprima avesse mostrato riluttanza nel voler "scontare" quella punizione- lo stava facendo ed anche bene. 

Quando voltai la testa verso di lui, lo trovai intento a scrostare una teglia da forno bruciacchiata; istintivamente gli si aggrottò la fronte e la sua bocca mise il broncio nel constatare che nonostante i suoi tentativi dopo qualche minuto lo sporco si ostinava a non voler sparire. Sorrisi per la tenerezza di quella sua espressione; non si direbbe vista la stazza, ma in quel momento somigliava molto ad un piccolo bimbo imbronciato.

«Dai qua..» gli sussurrai sorridendo.

Mi sporsi a prendere la teglia e sussultai quando per un secondo le nostre mani si sfiorarono. Si accorse della mia reazione esplicita e si voltò per guardarmi. Arrossii di colpo, ovviamente, ma subito abbassai il capo in modo da far scivolare sul volto i capelli sciolti e quindi per nascondere l'imbarazzo, ma i miei tentativi furono vani. Nonostante ciò Castiel non disse una parola su quella mia reazione, anzi fu molto bravo a parlare di tutt'altro.

«Siamo nel 2015 e ancora qui non hanno una lavastoviglie... Che palle!» sbuffò

«Ed è qui che si sbaglia Signor Black. La lavastoviglie c'è, ma tu non puoi usufruirne. Altrimenti che punizione sarebbe?» rispose Stefania facendoci sussultare.

Avevo quasi dimenticato la presenza della Signorina Lamberto, rimasta in cucina, con l'autorizzazione dei titolari, per osservare il nostro lavoro. Si trovava a qualche metro di distanza rispetto a noi, era poggiata ad un mobile, teneva le braccia conserte e controllava con un'espressione severa il nostro lavoro.

Stranamente Castiel non rispose alla provocazione di Stefania e continuò ad insaponare i restanti piatti. Ci misi più del dovuto a scrostare la teglia che precedentemente aveva spazientito il rosso, quando ci riuscii tirai un sospiro di sollievo e chiusi gli occhi.

 Li riaprii e trovai Castiel intento a guardarmi con un'espressione indecifrabile; istintivamente corrugai la fronte e lo guardai negli occhi. Mi sentivo stupida, ma dettagli. A quel punto senza accorgermene vidi tutto buio perché le mani di Castiel mi coprivano il viso e quando sentii l'odore fastidioso del sapone per piatti entrarmi nel naso, collegai tutto. Il rosso mi aveva praticamente riempito il volto di schiuma -provocata dal sapone a contatto con l'acqua- e successivamente si stava prendendo la premura di assicurarsi che non mi fosse rimasto neanche un pezzo di pelle scoperta di spuma. Scoppiai a ridere per l'assurdità di quella situazione. Da quando Castiel faceva quegli scherzi infantili?

Da lì la situazione degenerò. Cercai di levare il sapone per poter aprire perlomeno gli occhi, ma quando ci provavo arrivava altra schiuma; così provai a difendermi prelevando del sapone dal mio viso per sporcare Castiel. Non seppi dire se ci riuscii o meno vista l'impossibilità di poter aprire gli occhi, ma quello che potevo dire con sicurezza era che non avevo mai sentito Castiel ridere in quel modo. Aveva la miglior risata che avessi mai sentito, se fosse stato possibile l'avrei registrata e messa volentieri come sveglia mattutina per tutta la vita. Mi sentii lusingata e preziosa in quell'istante. Castiel stava ridendo per e con me. Non facemmo neanche caso ai numerosi e ripetuti rimproveri di Stefania, la cui voce si sentiva in lontananza, quasi ovattata, sicuramente non voleva rischiare di essere colpita dal sapone e aveva preso le giuste distanze.

Dopo un'ora ci trovammo entrambi con i vestiti bagnati, con mezze stoviglie ancora da lavare e con il divieto assoluto, datoci dal titolare, di mettere piede di nuovo in quella cucina. Stefania dovette rassegnarsi nel vedere il sogno della punizione a Castiel infranto. 

Era ormai mezzanotte, tornammo ognuno nelle rispettive stanze -io e Castiel nella nostra stanza e la Signorina Lamberto nella sua- senza aggiungere parola.



 

UNKNOWN POINT OF VIEW

Più giorni passavano, più quella cosa cresceva dentro di me. Non sapevo come definirla e la chiamavo "cosa". Non avevo il coraggio di chiamarla bambino perché alla fin dei conti ancora non lo era. 

Un piccolo errore e una grande passione cieca per il ragazzo sbagliato avevano portato tutto quello scompiglio nella mia vita, perfetta fino a due mesi prima. I miei genitori non l'avrebbero mai accettata quella verità. Loro credevano fossi vergine e che lo sarei stata fino al matrimonio con il mio futuro marito. Erano severi, tanto, troppo forse e non mi sarei mai potuta permettere di comunicare loro quell'amara verità, di deluderli fino a tal punto. Ma dovevo sbrigarmi; ero minorenne, avevo bisogno della firma di un maggiorenne per poter interrompere volontariamente la gravidanza e mancava solamente un mese, trascorso il quale, quel bambino sarebbe rimasto a me. La legge permetteva l'interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gravidanza, trascorsi i quali non si sarebbe potuta più effettuare. Certo, avrei potuto portare a termine la gravidanza e dare il nascituro in adozione, in quel modo la mia anima si sarebbe sporcata di meno, ma per farlo avrei dovuto raccontare ogni cosa ai miei genitori o sarei dovuta scappare, trasferirmi fuori dalla Francia con qualche scusa banale. La mia testa era piena di dubbi, piena di domande e di altrettante eventuali soluzioni al problema; ma non sapevo, non avevo idea di come risolvere quella situazione senza l'aiuto di qualcuno. Nessuno ne era a conoscenza, nessuno, neanche le mie migliori amiche. Non riuscivo a parlarne, temevo che quella terribile novità si espandesse in giro alla velocità della luce. Avevo tentato di dirlo a lui... al padre della "cosa", ma era stato un disastro. 

Tutto nella mia vita era diventato un disastro.

"Com'è strana la vita. Per sedici anni continua a darti tutto, tutta la felicità che i beni materiali possono darti, tutta la popolarità che i soldi possono darti e l'attimo dopo decide di riprendersi tutto, di farti soffrire.

La vita è ingiusta.

Se solo lui rispondesse a quel messaggio... forse potremmo trovare una soluzione, forse potremmo addirittura amarci... amore, il sentimento che stavo iniziando a provare per lui"



 

MIKI

Quando mi ritrovai nel corridoio di quell'hotel alle due di notte, cercai di ricordarmi per quale motivo la mia mente malata avesse accettato quella maledetta scommessa che sicuramente avrebbe portato seri guai. Soddisfazione la chiamavano. Sì, volevo avere la soddisfazione di guardare la faccia di Castiel incredula davanti al mio improvviso coraggio. Ma seriamente sarei riuscita a buttarmi nelle acque della Fontana di Trevi come se nulla fosse? Ci sarebbero stati turisti, passanti... D'altronde Roma era la città che non dormiva mai. E se avessero chiamato le forze dell'ordine? Avrebbero potuto arrestare una minorenne per "utilizzo inappropriato di beni protetti dall'umanità"? Non mi erano già bastati i rimproveri avuti tre ore prima nella cucina di quello stesso hotel?

Ad interrompere le trecento domande che mi stavano torturando fu proprio la fonte dei miei problemi: «Non siamo neanche ancora usciti dall'hotel che tu stai già pensando di ritirarti? Fifona!»

Incrociai le braccia, lo guardai di sbieco e lo superai senza degnarlo di una risposta. Castiel faceva fuoriuscire una parte di me che non pensavo di avere. Era capace di premere tutti i tasti più delicati e più nascosti del mio io; non riuscii mai a capire come, eppure lo faceva ed io ne ero anche lusingata. Masochismo lo chiamavano. Ero masochista; sapevo che il rapporto con Castiel non mi avrebbe portata da nessuna parte o al massimo che mi avrebbe portata all'auto-distruzione eppure non riuscivo a fare a meno di lui, a fare a meno delle sue battute, delle sue scommesse, delle sue piccole attenzioni nascoste. Forse era ancora innamorato di Debrah, forse no ma la verità era che a me neanche importava più. Ero così tanto rapita dalla sua personalità da riuscire a mettere da parte anche quel grande particolare: il suo cuore forse apparteneva ad un'altra persona. Forse con la sottoscritta aveva intenzione di giocare o forse addirittura ero soltanto un mezzo per la vendetta nei confronti della sua ragazza, una sottospecie di punizione per averlo abbandonato e per essere ritornata come se nulla fosse accaduto. Ma la cosa che più mi spaventava in tutta quella storia non era lui e non era neanche la sua carissima Debrah, ma ero solo e soltanto IO. 

Io sarei stata disposta persino ad accettare di essere l'oggetto, il mezzo che avrebbe portato alla soddisfazione del suo desiderio pur di poter stare con lui, pur di vedermi concesse le sue carezze, i suoi baci, le sue attenzioni. Ero stata come ingannata dalla sua magia e lui da bravo stregone qual era, continuava a preparare le sue pozioni magiche per poter prolungare quell'effetto su di me fin quando avrebbe desiderato. Ed infatti eccomi lì, in procinto di dimostrare qualcosa a qualcuno che non ci sarebbe stato per sempre nella mia vita; a qualcuno che sarebbe stato soltanto di passaggio ma che mi avrebbe lasciato ferite non rimarginabili all'interno del mio cuore, della mia mente, della mia persona. Com'ero arrivata a quel punto? In così poco tempo ero riuscita a trasgredire l'unica regola che mi ero auto-imposta prima di trasferirmi in Francia, e non solo... con l'intrusione di Castiel nella mia vita erano entrati a far parte ancora più problemi di quanto ne avessi già, triangoli amorosi che neanche nelle soap-opere erano così complicati; purtroppo però quella era la vita reale, tutto era ingigantito, tutto faceva più male rispetto ai film. Eppure non avrei cambiato nulla degli ultimi cinque mesi, forse.

«Possibile che sei perennemente mestruata?» scossi la testa per uscire dai pensieri che da un bel po' di mesi mi attanagliavano la mente e mi voltai davanti alle sue parole.

«Senti da che pulpito...» risposi con una smorfia e ripresi a camminare.

«Mi spieghi dove stai andando, ragazzina?» riprese lui. Era proprio motivato a farmi perdere le staffe quella notte.

«A fare quello stupido bagno, in quella stupida fontana per poter vincere quella stupida scommessa. Mi sembra ovvio, no?» sbottai. Pensare a ciò che forse rappresentavo per lui, mi aveva fatto innervosire parecchio. Stupida testa che pensava le cose sbagliate nei momenti sbagliati.

Lui sorrise. Possibile che una persona sana di mente davanti ad un'altra fuori dai gangheri poteva avere quelle reazioni? No, ma era di Castiel che stavamo parlando e con lui tutto era possibile.

«Intendevo: non vorrai mica uscire dalla porta principale, vero?» si avvicinò e mi bloccò afferrandomi il polso. Quel contatto bruciò talmente tanto sulla pelle da far arrestare di colpo la camminata veloce che da nervosa avevo intrapreso senza quasi accorgermene.

Mi voltai e lo guardai negli occhi; non avrei dovuto. Le sue pupille grigie stavano studiando ogni centimetro del mio volto per cercare di capire cosa mi fosse preso all'improvviso. Se solo sapesse quanti pensieri girovagavano nella mia mente, se solo sapesse quanta confusione lui stesso mi aveva provocato sin da quel nostro incontro casuale sull'aereo..

Poi accadde tutto in un attimo. La sua grande mano sinistra -che aveva bloccato la mia fuga- chiusa sul polso, scese fino ad arrivare alla mia mano. Intrecciò le sue dita alle mie e fece lo stesso con l'altra mano. Ora eravamo una difronte all'altro. La sua altezza dominava sulla mia, i suoi occhi bruciavano sul mio viso. Si era creato uno di quei momenti; uno dei nostri momenti. E sebbene sapessi che sarebbe stato tutto sbagliato non staccai per un attimo gli occhi dai suoi. Lui sapeva mascherare le sue emozioni e non riuscivo ad intravedere nient'altro che lussuria, e forse in realtà non c'era più niente da vedere e capire... lui non provava nulla per me.

Poi mi sorprese. Staccò la sua mano dalla mia e la portò lentamente sul mio volto. Mi accarezzò la guancia con un tocco leggero, dolce, neanche lontanamente paragonabile a lui e ai suoi soliti modi burberi. Apparve quasi un'altra persona, come se avesse due personalità, come se quella che stava mostrando in quei secondi fosse la personalità che riservava a pochi o addirittura a nessuno.. o forse ero io a volermi illudere di questo.

Avvicinò la sua testa alla mia, mentre il mio cuore perdeva un battito ed io mi ritrovai immobile, in balia dei suoi gesti, succube di lui come capitava sempre quando mostrava quel suo lato così diverso e così tanto vicino a me. Era in momenti come quelli che Castiel confondeva il mio cuore e la mia mente. Mi aveva in pugno; perché in quegli istanti sembrava quasi che gli importasse di me, di noi. Ma esisteva realmente un noi? C'era mai stato? Nella mia testa si formavano sempre più domande, domande che non sarebbero mai state destinate a ricevere risposta. Tuttavia bastò quell'ennesimo gesto inaspettato a svuotarmi nuovamente di ogni pensiero. Quasi come se ne fosse a conoscenza, come se potesse leggermi dentro: posò le sue labbra sulla mia fronte, proprio lì dove quei mille pensieri girovagavano sin dal primo giorno che lo conobbi. Apparve come un gesto protettivo, neanch'io seppi spiegare il motivo di quello che fece, ma subito dopo come se nulla fosse accaduto riprese la mia mano e mi trascinò per la direzione opposta da quella che avevo intrapreso precedentemente.

«Vieni, dobbiamo uscire da una porta secondaria se non vuoi farti beccare prima del previsto»

«Ah quindi è anche già previsto che ci becchino?» risposi allarmata ma senza fermarmi o staccare le sue mani dalle mie. Non ci era mai capitato prima d'allora di avere un contatto per così tanti secondi di seguito. Sembrava patetico, ebbene sì, stavo contando i minuti dal momento in cui aveva legato le nostre mani. Erano trascorsi esattamente tre minuti quando arrivammo all'uscita; e quando decise che quel contatto era durato per troppo tempo, staccò le nostre mani e aprì la porta di sicurezza.

Pregai che a quella porta non ci fosse collegato nessun allarme e strinsi gli occhi per paura, immobilizzandomi. Quando però sentii una risata provenire da fuori la porta, ancora impaurita aprii lentamente gli occhi; prima quello sinistro, poi quello destro.

«Sei davvero impossibile, ragazzina» mi derise smettendo di ridere.

«Guarda che ci passiamo solo due anni, smettila di chiamarmi così. Ragazzino sarai tu» gli feci la linguaccia ed incrociai le braccia.

«Due anni cambiano molto, invece... e poi guarda te» posizionò la mano nella mia direzione per mostrarmi «e guarda me» si mostrò «chi è il maturo tra noi due?» aveva usato la parola "noi". Non intendeva quel tipo di noi, ovvio. Eppure quella parola pronunciata dalla sua voce roca e bassa suonava divinamente. Arrossii di colpo e sperai che non potesse vedermi date le illuminazioni basse dei lampioni.

«Di certo non uno che si fa vedere in giro con i capelli tinti color rosso pomodoro» deridendolo cercai di mascherare l'emozioni che mi aveva procurato qualche istante prima e dopo essermi calmata percorsi l'uscio della porta e mi ritrovai fuori.

M'invase un leggero venticello che mi fece rabbrividire e mi maledissi di non aver indossato vestiti più pesanti. Stranamente Castiel non rispose a quella provocazione e anzi, senza aggiungere altro iniziò a camminare verso la destinazione della nostra scommessa.

«Hai intenzione di proseguire a piedi? Ma sei matto? Hai idea di quanto dista da qui?»

«Sta' zitta e cammina» rispose in modo scontroso, lo stesso tono che utilizzava con il mondo intero, quel tono che con me non usava da un bel po' ormai. Pensavo avessimo superato quella fase ma evidentemente lui non la pensava allo stesso modo.

Quei suoi modi di fare lunatici mi facevano impazzire ogni giorno. Un minuto mostrava il suo lato solare, il minuto dopo quello scontroso e incazzato con il mondo. Era impossibile avere a che fare con lui ed uscirne illesi, eppure da un po' di tempo amavo le situazioni impossibili. Avrei dato qualsiasi cosa per capire il motivo dei suoi continui sbalzi d'umore, gli avrei anche permesso di distruggermi con la sua personalità se solo mi avesse permesso di entrare dentro i suoi pensieri. Ma non sarebbe accaduto mai. Insomma... era di Castiel Black che stavamo parlando.

Il tragitto fu molto silenzioso, nessuno dei due si permise di parlare. Nell'aria si udivano solamente i clacson delle auto che nonostante l'ora tarda continuavano a percorrere le strade caotiche di Roma, e di tanto in tanto qualche sospiro che la mia bocca emetteva dall'ansia. Castiel sembrava tranquillo, come sempre emanava l'aurea di chi è sicuro di sé e di tanto in tanto fumava una sigaretta per impiegare il tempo. 

Come previsto, arrivammo dopo un'ora alla nostra destinazione e le mie gambe, già stanche per il lungo cammino appena compiuto, cominciarono a tremare al sol pensiero di quello che avrei dovuto fare. Iniziai a guardarmi intorno per controllare la zona e assicurarmi che non ci fossero passanti, ovviamente i passanti e i visitatori c'erano eccome.

Mi voltai verso Castiel che già aveva i suoi occhi posati su di me e cercai di trovare le parole adatte per mostrare il mio sconcerto per la scommessa assurda che gli era venuta in mente di propormi, ma non riuscii a fiatare. Pensai ai suoi occhi; dovevano per forza avere un potere sovrannaturale perché altrimenti non si sarebbe spiegato il motivo per il quale appena li guardai attentamente mi rilassai non riuscendo a collegare più i pensieri tra loro. Il primo a spezzare il contatto visivo fu Castiel che si voltò verso la fontana di Trevi e... «Allora lo facciamo questo bagno, oppure no?» si voltò nuovamente e mi rivolse il suo sorriso sghembo.

«Ho altra scelta?» non mi preoccupai di nascondere la preoccupazione e la tensione.

«Sì, di sottostare alle mie dipendenze per un mese intero» sorrise di sbieco, questa volta alzando anche le sopracciglia.

«Vieni con me, almeno? O mi lasci sola?» non avevo nessuna intenzione di mollare dopo un'ora di cammino e poi volevo assolutamente togliere quel sorriso del cavolo dalla bocca del rosso.

«No, no. Penso che mi gusterò la scena...» lasciò la frase in sospeso e iniziò a camminare fino al bordo della fontana «proprio da qui». Concluse sedendosi sulla recinzione che precedeva la fontana ed incrociò le braccia in segno di attesa.

Deglutii rumorosamente e le mani iniziarono a sudarmi; il momento era giunto realmente. Nella mia mente iniziò a ripetersi un mantra per trasmettermi coraggio e riuscire a fare un passo verso quella fontana che da quella notte avrei iniziato ad odiare con tutta me stessa. 

"Se lo fai vincerai e potrai far fare a Castiel quello che vorrai" era il mantra che girava nella mia testa peggio di un disco rotto.

Prima di avanzare decisi di osservare di nuovo il territorio per tentare di accrescere la mia audacia. La fontana di notte era favolosa, non c'erano dubbi. Delle luci gialle risaltavano le statue dei vari Dii ed animali presenti all'interno della vasca. Una serie di luci al bordo della fontana illuminavano l'acqua limpida e altre luci erano poste dove finivano le statue e dove una piccola cascata permetteva all'acqua di riciclarsi.

Ma guardarla non faceva altro che aumentare la mia tensione. Le forze dell'ordine mi avrebbero scoperta fare il bagno lì dentro e avrebbero chiamato zia Kate in Francia che mi avrebbe messo in punizione per il resto della vita o addirittura avrebbero potuto chiamare la direttrice della mia scuola che di conseguenza mi avrebbe sospesa. E se avessi perso l'anno scolastico?

Poi la mia attenzione si spostò su Castiel e bastò quella figura a farmi compiere dei passi avanti. Sembrava quasi che stessi per affrontare una condanna con pena di morte per quante cerimonie stavo facendo. Ma era tutto più forte di me, non avevo mai trasgredito le regole in quel modo così esagerato.

Più passi compivo, più i piedi diventavano pesanti. Più mi avvicinavo alla fontana, più l'ansia s'impossessava del mio corpo. Avevo il respiro pesante e un peso al centro dello stomaco.

Giunta quasi accanto a Castiel mi voltai in tutte le direzioni per sbirciare quanti passanti o visitatori erano presenti in quel momento. Non erano molti, ma non erano neanche pochi. Iniziai a contarli con gli occhi, ma fui interrotta quando arrivai al numero quindici. Qualcuno mi aveva sfilato velocemente il piccolo zainetto che avevo portato sulle spalle fino a quel momento, ma non ebbi il tempo di voltarmi e capire di chi si trattasse perché non sentii più il pavimento marmoreo sotto i piedi; qualcuno mi aveva sollevata e in un battito di ciglia mi ritrovai in acqua senza capire un bel niente.

Ovviamente mi affogai con l'acqua che inevitabilmente mi entrò dentro i polmoni ed iniziai a tossire quando riuscii a levare la testa fuori dalla fontana. Non ero riuscita a togliere neanche le scarpe, avevo tutti i vestiti e i capelli zeppi di acqua. Ero imbestialita ed infreddolita per quel contatto improvviso ed inaspettato con l'acqua gelata.

Mi voltai verso colui che -sebbene al momento del lancio non avessi visto in volto- aveva pensato intelligentemente di buttarmi in acqua prima del dovuto e andai verso la sua direzione. Si trovava seduto sul bordo della fontana e stava tentando di trattenere le risate, ma ci riuscì malamente. Davanti a quell'espressione anche per me fu difficile trattenermi, ma restai seria ugualmente aspettando con ansia il momento in cui avrei avuto e mi sarei gustata la mia rivincita.

Per un attimo pensai che Castiel avesse intenzione di farmi vincere quella scommessa sin dall'inizio, altrimenti non avrebbe avuto senso. Per quale motivo mi aveva gettata in acqua se proprio quello era l'oggetto della scommessa, una scommessa organizzata da lui stesso? Forse lo avrebbe divertito ancor di più la mia vincita e l'eventuale sua perdita? Era tutto contraddittorio con Castiel, ogni situazione era come un puzzle con l'ultimo tassello perennemente mancante.

Scossi la testa per rimandare quei pensieri ad un altro momento e proseguii nella sua direzione cercando di apparire il più innocente possibile e di nascondere le mie intenzioni.

Quando gli fui abbastanza vicino, mi assicurai che non avesse nessun apparecchio elettronico tra le mani, mi alzai facendo fuoriuscire più di metà corpo dall'acqua e, approfittando del basso fondo che mi permetteva maggiore stabilità e forza, iniziai a spingerlo verso l'acqua. Dalla sorpresa pronunciò parole irriconoscibili e perse quasi l'equilibrio, ma non riuscii ad immergerlo totalmente, gli si bagnarono solo le braccia per qualche secondo visto che era seduto sul bordo della Fontana. Ovviamente Castiel era molto più forte di me e, da perfetta stupida accecata dalla sete di vendetta, precedentemente avevo tralasciato pienamente quel fattore. In un micro secondo misi in atto un "piano B" pensato all'istante. Non potendo trascinare Castiel nella fontana per carenza di forza, iniziai a schizzare l'acqua nella sua direzione aiutandomi con entrambi le mani e come se non bastasse ad un certo punto mi misi in posizione orizzontale e, mantenendomi a galla, utilizzai anche i piedi che con il contatto dell'acqua produssero un forte rumore e tanti schizzi. Avrei pagato oro per poter vedere l'espressione del volto di Castiel in quell'istante, peccato che l'enorme quantità di acqua che stavo facendo fuoriuscire dalla fontana mi copriva la visuale. Quando decisi che poteva bastare il teatrino appena messo in atto, smisi di schizzare acqua da tutti i lati e mi accertai del lavoro svolto. Scoppiai a ridere per l'immagine che mi si presentò davanti. La figura di Castiel era quasi completamente bagnata, i capelli fradici gli coprivano gran parte del volto e fungevano da contorno alla smorfia presente sulla sua bocca; stava letteralmente sbuffando. Le braccia conserte e lo sbattere continuato del piede sul pavimento marmoreo di quella piazza, mi fecero intuire che forse quella mia vendetta gli avesse cambiato l'umore per l'ennesima volta in quella giornata. Così tornarono a torturarmi le solite domande nella mia testa. E se si fosse innervosito parecchio e mi avesse lasciata lì, in quella fontana, sola a risolvere i guai che sarebbero inevitabilmente accorsi? E se mi avesse considerata una stupida e patetica ragazzina dopo quel gesto?

E se...

Non ebbi il tempo di pensare oltre perché uno scroscio abbastanza rumoroso di acqua mi distrasse. Mi voltai nella direzione del rumore e non potei credere ai miei occhi: Castiel aveva appena fatto un tuffo nella fontana poco profonda e si stava dirigendo verso di me. Non ero a conoscenza delle sue intenzioni, fatto stava che ora aveva tutt'altra espressione sul volto. L'espressione nervosa aveva lasciato spazio ad un'espressione maliziosa; con lo sguardo rivolto alla sottoscritta e con il suo solito sorrisetto che tanto mi faceva impazzire decretò il mio KO finale.

«Adesso ti faccio vedere io...» lasciò la frase in sospeso e quando fu abbastanza vicino mi sollevò reggendomi dai fianchi e, senza permettere alla mia mente di pensare come divincolarmi dalla sua presa, mi mandò sott'acqua liberandomi i fianchi ma iniziando a trattenermi sott'acqua facendo pressione con le mani sulla mia testa. Era stato lui a cercare un contatto, lui mi aveva stretta a sé, lui era capace di farmi smettere di respirare; non era la mancanza d'ossigeno sott'acqua, ma solo e soltanto Castiel Black, le sue mani e i suoi atteggiamenti contraddittori mi toglievano il respiro ogni secondo di più. Quando decise che la mia visita sotto le acque della Fontana di Trevi poteva concludersi, lasciò libera la mia testa ed io fuoriuscii dall'acqua iniziando a boccheggiare. Forse avevo passato trenta secondi sott'acqua, troppi, considerato il non aver preso aria prima di esser stata immersa.

«Tu... tu... tu sei un deficiente» lo insultai tra un respiro e l'altro. E lui invece di rispondere rise leggermente. Non faceva nient'altro che ridere davanti ai miei insulti quel giorno. Chissà cosa gli stava passando per la testa, non era da lui reagire in quel modo così giocoso.

«Sorridi. È per la stampa!» se ne uscì dopo qualche secondo di silenzio, voltandosi in direzione di alcuni passanti.

Mi voltai per capire meglio quello che intendeva il rosso e mi paralizzai dalla paura e dalla vergogna per la scena che mi si presentò davanti agli occhi. Almeno cinque persone erano intente a scattarci foto e forse girare anche qualche video con i loro cellulari. Certo, non capitava tutti i giorni di vedere due ragazzi scambiare la fontana di Trevi per il mare a quell'ora della notte.

«Mi spieghi come diavolo riesci a fare del sarcasmo in questa situazione assurda? Ci metteremo nei guai se non ci sbrighiamo ad uscire da qui» dissi quasi esasperata. Più minuti passavano e più l'ansia di essere scoperta da Stefania o dalle forze dell'ordine aumentava. 

Ad un tratto tutto il divertimento provocato dallo giocare in acqua, svanì. O meglio.. solo il mio divertimento.

Perché Castiel come risposta preferì utilizzare un gesto. Si spaparanzò in orizzontale sull'acqua senza preoccuparsi dei vestiti e dei capelli ormai zuppi e, chiudendo gli occhi, iniziò a girovagare per tutta la fontana prendendo le sembianze di un morto. Il suo volto apparve rilassato, come se non lo tangesse niente, come se non stavamo disubbidendo alla legge. Restai immobile e sbigottita davanti a quella scena assurda. Intanto, mentre osservavo il rosso girovagare per la fontana, mi assalirono nuovamente le paranoie. E seppur riuscissimo a scampare alle forze dell'ordine ma l'indomani saremmo stati sbattuti in prima pagina di qualche giornale locale? La Signora Lamberto ne sarebbe venuta a conoscenza? Sicuramente i nostri capelli, soprattutto quelli di Castiel, erano inconfondibili.

«Ehi voi due. Uscite subito fuori da lì. Datemi i vostri nominativi. È severamente vietato gettarsi nelle acque della prestigiosissima Fontana di Trevi!» ci urlò contro una voce possente; e subito drizzai il mio corpo e mi misi in piedi lasciando solamente le gambe nell'acqua vista la scarsa profondità del fondo della vasca.

Cercai d'individuare il corpo che aveva emesso quella voce, ma non riuscii a vedere niente sia a causa delle luci che non illuminavano bene tutto lo spazio e sia a causa dei passanti che stavano aumentando sempre di più. Stavamo dando spettacolo, perfetto. A quel punto pensai ci potessero capitare le peggiori cose ed ebbi la certezza che tutte le mie supposizioni e domande sarebbero divenute reali in un battito di ciglia.

Ma feci giusto in tempo d'individuare la figura di un uomo all'interno della divisa da vigile urbano farsi sempre più vicina che sentii subito una grande mano circondare la mia minuta, e trascinarmi fuori da quella maledetta fontana. Mi feci guidare da lui per il semplice motivo di sapere con certezza a chi appartenesse quella mano. Non ero riuscita a guardarlo in faccia, ero pietrificata e sotto stato di shock, ma l'istinto e la familiarità di quel calore e di quei brividi -che al mio corpo riusciva a provocare soltanto lui- mi fecero abbandonare interamente a quella persona che, dopo avermi fatto scavalcare il bordo della fontana, prese il mio zainetto poggiato precedentemente malamente sulla pavimentazione marmorea ed iniziò a correre nella direzione opposta alla figura del vigile, senza lasciare neanche per un secondo la mia mano.

«Dove credete di andare? Venite qui. Non mi sfuggirete, teppisti!» continuava ad urlare il vigile senza essere ascoltato.

A quel punto non seppi come, non seppi il motivo ma bastò vedere la sua figura alta davanti a me, bastò la sua stretta di mano, l'essere guidata con sicurezza verso un nascondiglio per farmi calmare completamente. All'improvviso non temetti più nulla, né i giornali, né Stefania o zia Kate, una probabile sospensione da scuola, una denuncia o addirittura il carcere. Mi sentii protetta come non mi ero mai sentita in sedici anni di vita. Era una sensazione meravigliosa e rabbrividii nonostante lo sforzo immane che stavamo continuando a fare con quella dura e lunga corsa. 

Castiel era diventato il mio posto sicuro.

Il vigile continuava ad inseguirci ma era molto distante da noi e a meno che non avesse una vista sovrannaturale, non avrebbe potuto vedere ogni nostro movimento. Così Castiel -lasciando per un secondo la mia mano- pensò di depistare l'inseguitore strappandosi un bracciale di cuoio che portava al polso e di simularne la perdita gettandolo all'entrata di una viuzza. In quel momento pregai che il vigile si accorgesse di quel piccolo particolare in modo da andare nella direzione opposta rispetto alla nostra effettiva. Riprese la mia mano senza permesso e senza vergogna e ricominciammo a correre; dopo qualche altro secondo all'improvviso Castiel decise di svoltare in una via poco illuminata e minuscola tanto da non poter contenere neanche una piccola macchina. La piccola via si trovava dalla parte opposta e a qualche metro di distanza da dove aveva lasciato cadere il suo bracciale. In tutti quei suoi movimenti non aveva ancora lasciato la mia mano e non lo fece neanche quando si poggiò al muro di pietra di quella via antica, così ci ritrovammo l'uno difronte all'altra, ad una piccola distanza. Potevo sentire il suo respiro accelerato a causa della precedente corsa e lui poteva sentire il mio. Mi sentii avvampare per quel piccolo particolare così intimo e, come accadeva ogni volta, pregai ogni Dio che Castiel non lo notasse.

Mi guardò per un'istante negli occhi con uno sguardo duro, io invece ero pietrificata; subito dopo staccò le nostre mani e si spostò da quella vicinanza pericolosa. Iniziò a camminare verso l'entrata della via, lasciandomi sola, indifesa e con il gelo nel cuore. Chiusi gli occhi e mi poggiai al muro dove un attimo prima c'era stata la sua schiena, la sua figura possente e mi sentii già meno sola. Sapevo di risultare patetica, ma non m'importava più. Erano accadute troppe cose in quei pochi giorni di permanenza a Roma, ero fragile, non riuscivo a sopportare il peso di tutti quegli avvenimenti, da sola. Avevo bisogno di qualcuno o meglio desideravo solo una persona al mio fianco per sopportare tutto; forse risultai egoista a desiderare di voler appesantire Castiel con il mio passato, con le mie paranoie giornaliere ma involontariamente era entrato a far parte di quella storia e ora che c'era dentro non avevo nessuna intenzione di liberarmi da lui. Desideravo la sua presenza e non m'importava se da amico o qualcosa di più. Il problema era sapere se a lui stesse bene o meno la mia vicinanza, la mia amicizia o quello che era. 

Subito mi balenò nella testa che avesse deciso di lasciarmi lì sola e che quindi poco gli importava del mio passato triste e di quella stupida scommessa che mi avrebbe portato inevitabilmente altri guai.

«Ha abboccato come un pesce. Non rischiamo più nessuna multa o il carcere» ghignò ad un certo punto fiero del suo piano.

Non mi aveva abbandonata, era solo andato a controllare se il vigile ci stesse ancora inseguendo o se avesse abboccato alla trappola. Aprii gli occhi e sollevai la testa -che precedentemente avevo poggiato contro il muro- di scatto per la sorpresa. Ero convinta mi avesse lasciata sola; sorrisi involontariamente e sinceramente per la felicità istantanea nell'udire quelle parole e nel saperlo di nuovo accanto a me.

«Allora?!?» si avvicinò sempre più verso la mia figura «Visto che ho perso, cosa mi toccherà fare?» proseguì fino a ritrovarsi a pochi centimetri dal mio volto.

Non avevo idea di cosa inventarmi, non ero brava in quelle cose e poi lui aveva facilitato la mia vincita gettandomi di sua spontanea volontà nella fontana. Avrei tanto voluto chiedergli il motivo; mi si accese una lampadina nella testa in un lampo.

«Per iniziare... Risponderesti ad alcune mie domande?» gli chiesi speranzosa e sorridendo leggermente. Intanto i nostri respiri si unirono data la vicinanza dei nostri volti. Ero imbarazzata, continuava a guardarmi negli occhi ed io di tanto in tanto abbassavo lo sguardo. Era intimidatorio sebbene avesse solo diciotto anni.

«Forse » rispose accennando uno dei suoi sorrisi maliziosi.

La presi come risposta affermativa ed iniziai a mettere in ordine le idee in testa. Avevo tante, troppe domande da porgli ma allo stesso tempo non volevo che lui s'infastidisse per una domanda troppo invasiva o sbagliata.

«Avevi già programmato di far vincere a me la scommessa? Ti divertiva di più, vero?» iniziai.

«Forse » mi rispose semplicemente aumentando il sorrisetto. Mi accontentai di quella risposta e andai avanti.

«Tu e Debrah state ancora insieme?» avevo bisogno di chiarezza, sperai in una sua risposta sincera.

«Forse sìforse no... Chi lo sa» ghignò nuovamente. Aveva voglia di prendermi in giro. Ma stava solo confondendo la mia mente ancora di più. Lasciai cadere lì quella risposta ambigua. Non volevo litigare e tanto meno stare male.

«Ti piace ancora come il primo giorno?»

«Forse» era ovvio che provasse ancora attrazione per lei, altrimenti non avrebbe continuato a fare il suo cagnolino per tutto quel tempo.

«Ed io... Io ti piaccio?» non seppi come e dove trovai il coraggio, ma finalmente riuscii a chiederglielo direttamente e perlopiù guardandolo dritto negli occhi grigi che in quel momento apparvero divertiti per la mia improvvisa sfrontatezza.

L'acqua della fontana doveva contenere qualcosa di strano, qualcosa peggiore del vino tanto da riuscire ad ubriacare, perché in quel momento era proprio in quel modo che mi sentivo. Ubriaca. In un battito di ciglia ero diventata coraggiosa, non avevo paura delle sue reazioni, delle sue risposte. Nel mio sangue circolava quell'audacia e quella sfacciataggine che solo l'ubriachezza dona.

«Ed io invece? Ti piaccio?» mi chiese senza rispondere. 

Mentre parlava, in un battito, poggiò le mani al muro, di lato alla mia testa come per non lasciarmi scappare, come per farmi capire che avrei dovuto rispondere per forza a quella domanda.

Sebbene quella sua vicinanza, quei suoi gesti mi scossero da dentro, cercai di non farlo notare così incrociai le braccia e continuai a non staccare gli occhi dai suoi. Fu difficilissimo per quanto erano belli.

E mi sembrò di tornare indietro nel tempo, ad un mese prima; a quando aveva interrotto la mia cena con Nathaniel con un messaggio... a quando ci eravamo detti quelle mezze verità. Ma la realtà era solo una: un mese prima nessuno dei due aveva avuto il coraggio di ammettere qualcosa, e un mese dopo non era poi cambiato così molto, bagnati fradici d'acqua eravamo ancora troppo orgogliosi per rivelare verità. Mancanza di coraggio ed orgoglio; due sentimenti differenti ma anche piuttosto simili vista l'identica conclusione.

Scossi la testa dopo quel breve flashback e mi decisi a rispondere alla sua domanda scomoda che continuava a girare e rigirare nella mia testa confusa ogni secondo di più: "Ed io... io ti piaccio?" 

«Non ti hanno mai detto che ad una domanda non si risponde con un'altra domanda?» perché se solo lui mi avesse dato un segno, anche uno minuscolo io gli avrei rivelato ogni cosa. Non aveva più senso nascondere cosa la sua presenza provocava al mio cuore.

«Non sono uno a cui piace seguire le regole» sorrise a metà.

«In questo caso, devi!»

«Altrimenti?»

«Dai.. rispondi» lo pregai con voce cantilenante.

«Prima tu. Allora, rispondi... ti piaccio?»

Per non dargliela vinta interamente e per porre fine a quello straziante battibecco che altrimenti sarebbe durato ancora per molto, decisi di fare il suo gioco e risposi con la parola che stava utilizzando come risposta dall'inizio della mia specie d'interrogatorio: «Forse. Ora rispondi tu».

«Forse sì, forse no... Chi lo sa!» e lui che aveva capito il mio gioco, fu ancora più stronzo di me a lasciare maggiori dubbi.

«Bene» risposi convincendomi che quella risposta fosse discreta per quel momento.

«Bene!»

«Mi baceresti in questo momento?» fui ancora più sfacciata, ma ne avevo bisogno. Avevo bisogno di un suo bacio. Quella distanza era troppo poca per il mio cuore, per il mio corpo. Aver avuto un assaggio di lui, due giorni prima in hotel, aveva risvegliato qualcosa che pensavo di non avere. Lo desideravo come non era mai capitato nella mia vita. 

«Forse »

«Fallo, allora!» sebbene non fossi convinta se quel suo forse fosse stato detto in senso positivo, fui presuntuosa per una volta e volli convincermi che anche lui volesse ciò che bramavo io, ogni qualvolta i nostri volti si trovavano a quella misera vicinanza.

E lo fece.

Lasciò le braccia ai lati della mia testa, poggiate al muro di mattoni, ed eliminò del tutto quella piccola distanza dapprima presente tra di noi. Avvicinò il suo capo lentamente e squadrò ogni dettaglio visibile del mio viso, quasi come se volesse ricordare ogni piccolo particolare di quel momento. Mentre io, come capitava spesso in quelle situazioni, restai immobile con gli occhi spalancati e quasi impaurita per l'emozioni che riusciva a provocarmi quel cattivo ragazzo dai capelli rossi. Ero contraddittoria al massimo... sin dai nostri primi incontri, avevo fatto credere a Castiel che io avessi molta esperienza con i ragazzi, avevo fatto credere di non essere vergine, indossavo la mia solita maschera da ragazza facile con chiunque; eppure lui lo aveva capito sin dall'inizio. Non aveva mai creduto che avessi esperienza, nella quotidianità addirittura mi derideva per le bugie che raccontavo in giro sul mio conto; ma quando capitavano quei momenti, nei nostri strani e particolari momenti lui non mi faceva pesare la mia inesperienza, anzi il contrario. Un po' come fece in quell'istante.

Occhi grigi in occhi neri; respiro lento contro respiro accelerato; battito cardiaco nella norma contro battito mancato. Lui era tranquillo ed io agitata. Un ragazzo incazzato ed una ragazza incasinata. Rovina e salvezza. Qualcosa di sbagliato per lui, per il mondo, ma dannatamente giusto per me, per il bene che provocava alla mia anima. Forse era innamorato di un'altra, forse non lo era più. Ma bastarono quelle labbra sottili e morbide a farmi dimenticare di ogni nostra incompatibilità e differenza. Fu un bacio casto ma dolce, in netta contrapposizione con la sua personalità forte, arrogante e passionale. Fu un bacio lento ma bagnato a causa del recente tuffo pazzo fatto nella Fontana di Trevi. Alcuni ciuffi dei suoi capelli rossi gocciolarono sul mio viso già umido, e rabbrividii per quelle gocce che finirono dritte sulle nostre labbra come per volerci risvegliare da quello stato di trance che stavamo avendo; infatti eravamo rimasti attaccati l'uno alle labbra dell'altra senza riuscire a muovere un muscolo, esterrefatti da quella nostra rara dimostrazione d'affetto. 

Quando si separò dalle mie labbra non si allontanò, gettò un lieve sospiro di sollievo, e restò a pochi millimetri dal mio volto e dal mio cuore, mentre i suoi occhi continuavano a fissare la mia bocca. Forse voleva di più ma preferiva non rischiare. Non riuscivo a capirlo, ma rabbrividii per l'ennesima volta quella sera e non per il fatto che fossi fradicia d'acqua -acqua che continuava a scendere inesorabile su tutto il mio corpo- ma per lui; rabbrividii per la sua insicurezza lievemente visibile; aveva quasi abbassato le difese, lo aveva fatto con me. M'illusi che neanche Debrah era riuscita a vedere quel suo lato. Bastò quel nome però, ad accendere una strana sensazione all'interno del mio corpo, mi sentii bruciare, invasa da un nuovo coraggio. 

Castiel era con me quella notte, non con lei; qualcosa doveva pur significare. Lui era mio anche se per solo qualche istante. E se non fossimo stati per strada, in una via antica di Roma, se avessimo avuto maggiore privacy, quella sera gli avrei concesso tutta me stessa. Qualcosa era mutato tra noi, lo percepivo.

Di scatto portai entrambi le mie mani sul suo viso, gli circondai le guance ed eliminando nuovamente quella millimetrica distanza, lo baciai con foga come non avevo mai fatto con nessuno. Lessi stupore nei suoi occhi, ma assecondò il bacio. Quella volta non fu casto, anzi semmai l'esatto opposto. E mi sentii finalmente a casa in quel valzer di lingue che stava avvenendo nelle nostre bocche; nessun imbarazzo, nessun senso di colpa... solo io, lui e le mille farfalle che svolazzavano nel mio stomaco. Chiusi gli occhi e mi godetti quel bacio con tutta me stessa. 

Sapevo di essere un controsenso continuo, di essere una contraddizione e un'incasinata in piena regola. Un attimo prima ero imbarazzata per la vicinanza con il rosso, per i suoi gesti sfacciati e temevo il fatto che lui fosse ancora impegnato con un'altra; un attimo dopo prendevo l'iniziativa e addirittura gli ficcavo la lingua in gola. Ero assurda; ed era ancora più assurdo cosa mi provocava. In alcuni istanti ero talmente tanto egoista e sfacciata dentro di me... da sentirmi quasi, io, la sua ragazza.

Fu lui a porre fine a quel bacio. Staccò le mani da quel muro di mattoni e le posò sul mio busto facendo una lieve pressione per farmi capire che mi sarei dovuta allontanare. Lo assecondai ma dentro di me ogni organo protestava. Ogni parte del mio corpo si era abituata talmente tanto a lui da farmi credere di soffrire della "sindrome da abbandono". Mi sentii letteralmente uno schifo quando potei iniziare di nuovo a contare i centimetri che ci dividevano. Ero improvvisamente vuota; le mille farfalle che poco prima stavano svolazzando nel mio stomaco morirono e si seppellirono automaticamente sole, dopo lo sguardo di sufficienza che mi lanciò Castiel.

«Torniamo in Hotel, ormai abbiamo seminato la polizia» mi voltò le spalle e prese a camminare senza aspettarmi.

"Tutto qui? Cosa ne è stato di poco fa? Del nostro momento? Mi sono appena baciata sola o cosa?" urlai dentro me. Avrei tanto voluto prenderlo a schiaffi. Come poteva gettare nell'immondizia anche quei piccoli momenti speciali?

«Sì, certo!» risposi visibilmente infastidita e m'incamminai dietro di lui. Non poteva far finta di nulla. Era per colpa di quei suoi comportamenti strafottenti se io continuavo a pormi ininterrottamente tutte quelle domande. Perché diavolo doveva rovinare tutto? Ero stanca dei suoi giochi. 

Quella notte avremmo messo ogni cosa in chiaro anche a costo di ferirmi.

«NO!» urlai contro lui furiosa.

A quelle mie parole si bloccò di colpo ma non si voltò, restò di spalle teso quasi come se fosse già a conoscenza di quello che sarebbe accaduto da lì a pochi minuti. Cinquanta centimetri a dividerci fisicamente e anni luce a dividerci mentalmente.

«Non... noi... noi non possiamo continuare così, Castiel. Mi baci, ti dimostri simpatico e... e l'attimo dopo mi tratti con indifferenza e arroganza. Voglio solo sapere perché? Perché Castiel?» risultai disperata e incavolata allo stesso tempo.

«Mi hai chiesto tu di baciarti. Non sembravi così tanto contrariata un minuto fa.»

«Sai che non parlo solo di oggi, Castiel. Io.. io non capisco; se hai una ragazza perché continui a venire anche da me? Perché m'illudi?» quell'ultima frase mi era scappata involontariamente, non volevo dargli soddisfazioni, fargli capire che io ci tenessi ai nostri momenti più del dovuto. Ma ormai quel che era fatto, era fatto.

«Non mi risulta di averti giurato amore eterno. Ci siamo semplicemente baciati un paio di volte. La gente si bacia continuamente e con chiunque... Che diamine!»

Quella frase sarebbe rimasta impressa dentro me per molto tempo. Ero "chiunque" per lui mentre lui per me era "l'unico". Breve storia triste senza alcun lieto fine. D'altronde non eravamo in una favola e per una come me, figlia di nessuno, era impossibile essere considerata la protagonista che dopo tante peripezie avrebbe vissuto il suo "per sempre felice e contenta" con il suo bel principe azzurro. Io ero solo una triste e misera comparsa, la ragazza di passaggio, quella che aveva intenzione di sedurre ma poi finisce lei per essere sedotta e abbandonata.

«La gente si bacia continuamente e con chiunque ma non dovrebbe se è già impegnata in una relazione». Mi finsi ancora intera davanti a lui, mentre dentro ero già in mille pezzi da un po'.

«Mi spieghi cosa vuoi da me? Eh Miki? Quando è capitato ti ho baciata perché mi andava. Sei una bella ragazza, e poi mi pare che tu non ti sei mai tirata indietro in quei momenti, anche se ora fai la moralista del cazzo.. Ed io... Io non sono gay per cui le donne mi fanno sempre un certo effetto, da impegnato o meno. STOP! Fine della storia».

«Se amassi la tua ragazza non guarderesti le altre, non cederesti così facilmente...» Ignorai il fatto che lui mi considerasse bella. Non aveva più importanza ormai. Le restanti frasi avevano annullato quella sua confessione che in un momento di lucidità non avrebbe mai ammesso.

«Incredibile!» rise sarcasticamente «sembra quasi una scenata di gelosia la tua» si voltò finalmente verso me, ma quando vidi la sua espressione rimpiansi la visuale delle sue spalle che salivano e scendevano in respiri accelerati per l'evidente nervosismo. Era visibilmente confuso e forse stava venendo a contatto con la realtà dei miei sentimenti per lui, ma non volevo capisse definitivamente. Non potevo mostrargli cosa provavo, sebbene fossi pronta a dire la verità, non dopo le sue parole. Non potevo più mostrarmi debole davanti ai suoi occhi.

«Ti sbagli! Sono solo leale e odio i tradimenti. Nessuno merita di essere tradito ripetutamente, neanche Debrah anche se non è nella lista delle mie persone preferite».

"Oh no, lei merita eccome di essere tradita". Nonostante le mie menzogne, lui sembrò convincersi.

«Sono io a dover giudicare se lei lo meriti oppure no, non credi?!» Perfetto. Come volevasi dimostrare.

«Ecco spiegato tutto. Sono il mezzo per la tua vendetta nei confronti di Debrah, la vuoi punire per averti abbandonato due anni fa. Ma quei baci, quei cazzo di baci sono stati troppo speciali per esser stati dati per vendetta. Sono una persona in carne ed ossa, ho dei cazzo di sentimenti... Io non sono un manichino, stronzo!» 

Ero furibonda ormai, così mi voltai e m'incamminai dalla direzione opposta a quella che avrebbe portato in hotel. Non volevo doverlo guardare in faccia dopo le sue confessioni, non volevo più mettere la mia dignità sotto i piedi come era già accaduto a causa sua. Gli avevo già rivelato troppo a causa della rabbia. Era palese anche ai muri che avessi una cotta stratosferica per lui. 

Avevo avuto la verità a portata di mano, avevo anche pensato più di una volta che potessi essere semplicemente il mezzo per una vendetta, ma continuavo ad ignorare l'evidenza. Volevo illudermi e lo avevo fatto consapevolmente. Patetica illusa.

«Fai mente locale. Dimentichi troppo facilmente, piccola Miki».

Furono quelle parole a farmi bloccare di colpo e girare nuovamente nella sua direzione. Aveva ragione, ma non l'avrei ammesso neanche in un'altra vita. Il nostro primo bacio. Lui mi aveva baciata prima che tornasse Debrah. Maledizione. E dopo quella sua osservazione si voltò, mettendo le mani nelle tasche anteriori dei suoi jeans ancora fradici d'acqua e s'incamminò verso l'hotel. Scostumato com'era, non aspettò neanche una mia relativa risposta alla sua insinuazione. Era uscito di scena pronunciando una frase ad effetto, un po' come gli attori protagonisti dei film... Ma d'altronde, lo sapevamo entrambi; risposta adatta a quello che mi aveva appena ammesso implicitamente, non esisteva.



 

ADELAIDE

"Tra due settimane dovremo intervenire obbligatoriamente, prima che sia troppo tardi."

Quella mattina, dopo gli ennesimi esami, il medico aveva parlato chiaro e tondo. Avrei dovuto subire un'operazione d'urgenza per cercare di salvare il salvabile. E quelle parole, le parole riferitami senza scrupolo continuavano a girare e rigirare nella mia testa. Mi sentivo come un animale selvatico in un recinto. Sarei stata costretta a raccontare a Castiel ogni cosa nel giro di pochi giorni. Non avevo scampo, era tenuto a sapere; sicuramente l'avrebbe presa molto male, non mi avrebbe parlato ancora chissà per quanto e forse non si sarebbe neanche recato in clinica il giorno dell'operazione, ma non potevo tenergli nascosto un dettaglio del genere. Se tutto fosse andato male, se per un motivo o per un altro fossi finita in coma o se addirittura non fossi sopravvissuta all'operazione avevo il diritto di salutare il mio unico figlio, l'unico che, seppur con modi tutti suoi e abbastanza bruschi, mi era rimasto accanto. Lo avrei stretto a me come non avevo mai fatto. Ed anche se lui mi avesse negato l'abbraccio, avrei insistito fin quando non avrebbe ceduto. Avevo già fatto troppi errori che lo riguardavano e lo ritraevano come vittima, non potevo permettermi di sbagliare ancora. 

Mentre cercavo di prendere sonno, pensai alle giuste frasi da comunicargli una volta tornato dall'Italia. Avevo deciso di parlargli il giorno successivo al suo ritorno e quindi una settimana prima dell'operazione; non c'era più tempo da perdere. Immaginai la scena e non riuscii ad avere buone sensazioni, temevo il peggio dopo quella confessione. Nel nostro rapporto mamma-figlio non avevamo mai avuto molto dialogo; tornavo rare volte a casa, non gli avevo mai mostrato l'affetto che meritava un figlio e mi ritenni responsabile, in parte, del brutto caratteraccio sviluppato da lui negli anni. La sua era quasi un'autodifesa, e sebbene fossi in parte responsabile riuscivo a capirlo, riuscivo ad amarlo da lontano. Non ero mai stata una di quelle mamme che, vedendo il proprio figlio una volta al mese, non lo conosceva o non lo amava; no, io amavo il mio bimbo... a modo mio, ma l'amavo con tutta me stessa. 

Tuttavia anni prima preferivo dimostrare il mio amore solo ad una persona, mio marito, senza che lo meritasse realmente. Castiel era cresciuto da solo, inizialmente sballottato da parenti a causa del lavoro impegnativo che io ed Isaac svolgevamo; poi più gli anni passavano e più il piccolo testone diventava responsabile, così già a dieci anni avevamo deciso di lasciarlo da solo in casa, ma ovviamente sotto la sorveglianza di qualche nostro amico e vicino di casa. Sebbene non glielo avessi mai detto esplicitamente ero sempre stata fiera del piccolo ometto nel tempo poi diventato un grande uomo. Non l'avevo sentito protestare neanche una volta sul fatto che fino all'età di nove anni aveva dovuto girare praticamente tutto il mondo per colpa del lavoro dei suoi genitori. Quando eravamo obbligati a vivere qualche mese in uno Stato, se ne avevamo la possibilità, decidevamo di portare anche Castiel che alloggiava a casa di qualche nostro parente o amico ed in quel periodo riuscivo a passare maggiore tempo con lui. Quando iniziò ad andare a scuola, iniziò ad impuntarsi mostrando la sua volontà nel voler studiare solamente in una scuola come tutti i bambini della sua età, nel suo Stato d'origine. Non poteva cambiare scuola e compagni ogni due mesi, e aveva ragione. Così iniziò a vivere solo e col tempo sviluppò quel carattere che iniziai a temere ogni giorno di più; e lo temetti maggiormente in quel momento che avrei dovuto dirgli la verità sulla mia malattia. Lo conoscevo, ma non avrei mai e poi mai potuto immaginare come avesse potuto accogliere la notizia di una malattia grave della sua mamma, la quale aveva iniziato ad avere quasi ogni giorno vicino da poco meno di un anno. 

L'ignoto, il non poter prevedere la reazione di Castiel e soprattutto una sua eventuale brusca reazione, mi fece paura e continuò a farlo per tutta la notte. 



 

MIKI

«Ditemi che non è vero. Ditemi che non è reale quello che sto pensando; che mi sono immaginata tutto... che quei due in questa foto non siete voi» la mia tortura, la mattina seguente, dopo aver dormito all'incirca tre ore, fu la voce stridula di Stefania che ci mostrava allarmata una foto sfocata di un giornale online. 

Fino all'ultimo, la notte prima, avevo sperato che Stefania avesse un cellulare senza connessione dati, uno di quei mattoni antichi con lo schermo in bianco e nero e invece le mie preghiere non erano state accolte. Avevamo appena concluso la nostra colazione quando, prima di partire per i monumenti da visitare quel giorno, a Stefania venne la brillante idea d'informarsi sui fatti accaduti nella sua città. Non sapevo come rispondere, come scusarmi, cosa inventare e Castiel aveva ben pensato di tenere la bocca chiusa quindi non mi avrebbe aiutata. 

Non ci eravamo più rivolti la parola dopo quel litigio, eravamo tornati in hotel con estremo silenzio e lontani sia con la mente che col cuore. Non ci eravamo augurati né il buongiorno né la buonanotte, niente di niente e faceva male dopo tutte le avventure e disavventure passate insieme, noi due, io e lui soli.

«Cosa... cosa glielo fa pensare, Signorina Lamberto?» cercai di essere il più decisa possibile, prendendo forza dal fatto che la foto non si vedeva molto bene.

«I capelli del ragazzo sono uguali ai capelli di Black ed anche la ragazza sembra somigliare molto a lei, signorina Rossi». Aveva calmato la rabbia della sera prima ritornando a rivolgersi a noi con un tono formale. 

«No, no le assicuro che ieri siamo rimasti chiusi in camera, eravamo esausti dopo la serata in cucina. E poi... ci pensi: se fossimo stati noi due non ci troveremmo qui ora, ma in una stazione di polizia; lì dove si troveranno quei due ragazzi imbecilli in questo preciso istante, magari..»

«Mmm... proverò a fidarmi di voi, per ora. Ma continuerò ad indagare su questo fatto ugualmente!»

«Mi creda, non ne ha bisogno. Ma se indagare la farà stare più tranquilla, faccia pure. A noi non cambia niente.» Mi mostrai il più tranquilla possibile decidendo di essere impassibile sul volere di Stefania d'indagare ulteriormente sulla faccenda. Ciak, il mio ormai ex migliore amico, mi aveva insegnato come mantenere l'impassibilità nei momenti di menzogna. Lo ringraziai mentalmente.

Dopo quelle mie parole, Stefania sembrò pensarci un po' su, ma passato qualche minuto si convinse e annuendo chiuse il discorso. Tirai un sospiro di sollievo sotto lo sguardo quasi divertito di Castiel, ancora seduto intorno al tavolo a braccia conserte che fungeva da spettatore alla scena. Cercava di trattenere il sorriso per fare il duro, fino allora era stato imbronciato a causa del battibecco della notte prima. La parte che avrei dovuto fare io praticamente... Lui aveva detto brutte parole, lui mi aveva definita come suo mezzo per la vendetta nei confronti della sua amata e cara Debrah; lui e solo lui aveva giocato con i miei sentimenti calpestando quel bacio speciale dato tra le vie di Roma.

Trascorso quel breve momento di tensione e timore di esser scoperta per la bravata della notte precedente, partimmo subito per l'itinerario stabilito nel secondo giorno di visita alla città eterna. Quel giorno arrivammo presso la Stazione Termini e dietro quella iniziammo a visitare i primi due posti: la Basilica di Santa Maria Maggiore e Piazza Vittorio Emanuele.

Al di fuori, la Basilica di Santa Maria Maggiore non mi attraeva molto, non era una di quei monumenti antichi -capaci di lasciare a bocca aperta- o particolari. Sembrava una classica chiesa più grande rispetto al solito. Ma una volta visitato l'interno dovetti cambiare opinione; restai esterrefatta. Era splendida. In effetti quella Basilica era molto famosa per i suoi 27 mosaici antichi presenti all'interno della struttura. Pur vivendo a Roma, non l'avevo mai visitata. I mosaici rappresentavano storie del vecchio Testamento e quindi varie figure importanti per la Religione Cattolica. Tra la bellezza dei mosaici e tra l'oro che li circondava, ascoltai la spiegazione della Signora Lamberto con la testa sollevata ammaliata ad osservare quelle opere d'arte.

Quando la spiegazione terminò ci recammo a piazza Vittorio Emanuele, nei tempi antichi famosa per i suoi mercati, oggi circondata sì dai mercati ma anche da murales; il segno dei tempi. Particolare era il giardino, situato proprio al centro della piazza dove era la cosiddetta "Porta Magica", un tempo residenza dell'alchimista Massimiliano Palombara.

Dopo ci avvicinammo al centro storico, nel tragitto e durante tutte le spiegazioni stranamente Castiel era silenzioso e appariva persino interessato alle parole della nostra buffa guida. Che si fosse fatto intimorire dal potere che inevitabilmente deteneva -anche se malamente- la Signorina Lamberto? Che fosse ancora imbronciato per il litigio con la sottoscritta, della notte prima? No, sicuramente no. Non ero così importante per lui, da avercela con me per tutto quel tempo.

Arrivati a destinazione, trovammo il Quirinale, e la Lamberto insistette affinché visitassimo i due musei presenti all'interno.

Poi fu la volta di Piazza Venezia con il suo Altare della Patria, simbolo dell'unità nazionale italiana e di libertà. Quello era da sempre uno dei monumenti più fotografati e visitati della storia a Roma. E come dare torto ai turisti? Era molto particolare per le sue colonne poste al centro dell'attenzione e senz'altro per le sue statue di uomini valorosi incise su pietre, sotto le colonne.

E dopo ancora visitammo i Fori Imperiali, piazze monumentali costruite da vari imperatori sin dagli anni prima di Cristo. 

Per terminare quella seconda giornata: uno dei monumenti più importanti e imponenti di Roma ma anche conosciuto e apprezzato in tutto il mondo; il Colosseo. Era immenso, imponente, ancora recintato da reti arancioni con le scritte "lavori in corso"... insomma proprio come l'avevo lasciato due giorni prima. E tremai appena lo vidi, non perché fossi emozionata come se lo vedessi per la prima volta, ma perché lì, proprio lì avevo passato gran parte della mia infanzia e adolescenza insieme a Ciak. Provai nostalgia per quel ragazzo e quel rapporto che molto probabilmente non avremmo riavuto mai più indietro. Mi sentii un peso al centro dello stomaco nel ricordare la mia casa d'infanzia, lì proprio a pochi metri da quel monumento famoso; lì proprio dove solamente due giorni prima Debrah aveva ben pensato di rovinare un altro aspetto della mia vita italiana; lì proprio dove Teresa mi aveva abbandonata come alcuni padroni insensibili facevano con i loro cani nei mesi d'estate quando, dovendo partire per le agognate vacanze, non potevano più prendersi cura di loro. Ed io ero proprio così che mi sentivo, un cane, bastonato e abbandonato. Fu proprio in quei minuti che mi persi nei miei pensieri ancor più del solito. Stefania aveva iniziato a spiegare la storia dell'imponente monumento ora in fase di ristrutturazione -storia che tra l'altro avevo appreso milioni di volte- ed io pensavo alla mia cara "mamma".

Mamma, che parola grossa per una come lei. Erano sin troppo strane le sensazioni che si stavano susseguendo nel mio cuore ed anche nel mio stomaco. Suonava davvero strano il fatto che entrambe stessimo respirando la stessa aria, entrambe ci trovavamo nello stesso Stato e lo eravamo state da sempre, fin dal suo abbandono. Per tutti quegli anni avevo creduto fosse in qualche tour, sparsa chissà dove in giro per il mondo, con il suo amore e invece non mi ero mai potuta sbagliare più di così. Era rimasta nella sua città, lì, dove faceva la prostituta durante la mia tenera età con l'unica differenza che, con gli anni, come unico lavoro aveva imparato a fare la mamma e la mogliettina perfetta. L'avevo incontrata dopo otto anni ed era schifosamente ricca senza il bisogno di dover alzare neanche un dito. Lei... lei e la sua nuova ed unica vera famiglia facevano schifosamente venire il disgusto per quanto erano perfetti e senza alcun difetto. 

Oh sì... forse un difetto c'era; la sera prima Micaela Rossi aveva intaccato la loro sfera di perfezione, macchiando di un peccato grave l'allegra famigliola. Perché Miki Rossi era un difetto, come una macchia sugli stivali D&G costosi di Teresa. Che peccato! E pensare che anche Castiel -se in futuro avesse sposato o continuato a stare con Debrah- avrebbe potuto iniziare a far parte di quella famiglia, mi fece ancora più ribrezzo. All'improvviso avevo la nausea. Dovevo rimettere tutta quella cattiveria e ingiustizia subita per anni, non riuscivo più a contenermi.



 

CASTIEL

Per l'ennesima volta si era persa nei suoi pensieri. Lo faceva sempre. Ma quella volta ci fu una sola differenza: riuscii a capire perfettamente cosa le stesse passando per la mente. Le altre volte, quando le capitava, cercavo di comprendere i suoi pensieri ma ci riuscivo raramente. 

Miki era quasi come un problema di aritmetica difficile da risolvere, un teorema da scoprire, qualcosa che mi attraeva pericolosamente ma che non ero in grado di ammettere a me stesso, ancora. E più di tutto tenevo alla sua incolumità, volevo che stesse bene anche se potrebbe sembrare un controsenso visto che la maggior parte delle volte ero io a fare del male alla bella ragazza italiana. 

Vero, quel giorno non le avevo ancora rivolto la parola, ero parecchio in collera per quello che era accaduto la notte prima, ma nonostante ciò non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Avevo una strana necessità, che mi logorava le viscere, di sapere ogni suo movimento o espressione del volto, o stato d'animo; a volte quando litigavamo godevo nel saperla così risentita nei miei confronti perché dimostrava di tenerci a me, in qualche modo. 

Come in quel momento; aveva un'espressione triste e pensierosa più del solito, ma quella volta non era colpa mia. Avevo capito ogni cosa visto il luogo in cui ci trovavamo in quel momento. La vicinanza con la sua vecchia casa l'aveva inevitabilmente fatta tornare indietro negli anni, a quando quella stronza di madre che si ritrovava, l'aveva abbandonata come un cane. Stava pensando inevitabilmente al suo passato. E ringraziai il suo diario segreto per avermi fatto venire a conoscenza di molti aspetti del suo passato tortuoso.

Volevo aiutarla, rassicurarla e farle pensare ad altro per il momento. Sapevo bene che in quei giorni avrebbe dovuto incontrare nuovamente la madre, Teresa, ma per il momento non le serviva fasciarsi la testa d'inutili pensieri. Così mi avvicinai pericolosamente a lei, fermandomi ad una distanza il meno compromettente possibile, poggiai entrambe le mani sulle sue spalle mentre era ancora voltata -non la superai per metterci occhi negli occhi- altrimenti non sarei stato in grado di pronunciare quelle parole...

Abbassai il volto per raggiungere l'altezza del suo orecchio e le sussurrai quella promessa che ero intenzionato a mantenere a tutti i costi, in ogni caso, a prescindere da come sarebbero andate le cose tra noi:

«Io ci sarò sempre per te. Ricordalo, Miki!»

  
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