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Autore: Lupe M Reyes    18/08/2017    3 recensioni
A Blair piace fare i turni di notte alla biblioteca dell'Arca. Fino alla sera in cui il Cancelliere Jaha non si presenta alla sua porta... Per impedirgli di inviare sulla Terra John Murphy, Blair cede al ricatto e contribuisce al progetto sui Cento. Ma l'incontro con Bellamy Blake cambierà ogni equilibrio. Fino al giorno in cui non diventerà lei stessa la persona numero 101 a raggiungere la Terra.
[Arco temporale: prima stagione]
Personaggi principali: Blair (personaggio nuovo), Murphy, Bellamy, Raven, Clarke, Jaha
Personaggi secondari: Finn, Octavia, Kane, Abby, Sinclair, Jasper, Monty
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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IL PIANO B

Fuori, è il caos.
Una folla urlante si è radunata alle soglie degli uffici del Governo. La guardiamo ammassarsi sulle vetrate del salone d’ingresso, trattenuta a stento dalle forze dell’ordine armate di teaser e scudi. E armi da fuoco.
Il rumore, per quanto ovattato, è comunque assordante.
Sugli schermi lungo le pareti è rimasto un fotogramma della mia faccia, distorto dal fermo immagine. Sono riusciti ad interrompere il video ma a giudicare dalla massa di gente con la bava alla bocca non l’hanno fatto abbastanza in fretta. Riconosco il minutaggio del mio discorso, grazie ad un numerino bianco a destra della mia testa. A quel punto ho già spiegato tutto: la decomposizione dell’Arca, il piano del Governo, i Cento.
Il primo colpo di pistola risuona nell’aria. Una nuova onda d’urto scuote la folla.
 
Shenden e l'altra guardia che mi tengono prigioniera si sono fermati, spaesati. E io con loro. Jaha è dietro di noi. È corso fuori dall’ufficio in perfetto silenzio. Tutti noi all’interno non facciamo il minimo rumore. La segretaria si era nascosta sotto la scrivania, in lacrime. Io ho finito la forza per piangere.
Guardo le vene che sporgono dalle gole della calca e penso che è opera mia. Non so cosa dovrei provare.
Conscia della mia ingenuità, cerco Bellamy nella ressa.
 
Invece vedo Raven.
Non vedo lei. Vedo la sua maschera protettiva da saldatore, riconosco il ritmo dei suoi movimenti. Sta spintonando le persone intorno a sé a gomiti alzati, facendosi strada fino all’ingresso. Ma è troppo piccola. È costretta a restare a margine, sotto un bocchettone d’ossigeno, a qualche metro di distanza dal primo corridoio percorribile. Cerco di registrare la sua posizione, pregando che non si sposti di lì. Ragiono come se avessi qualche chance di evitare l’espulsione, di scappare e raggiungerla e insieme dirigerci alla navicella. Più probabilmente Raven sarà l’ultima persona che conosco che vedrò prima di morire. 
 
Jaha da ordini precisi, veloci. Si è preso a malapena qualche secondo per valutare la situazione prima di tornare operativo. Lo odio e lo ammiro in egual misura.
Le guardie intorno a me iniziano a muoversi. Uno dei miei carcerieri deve allontanarsi.
“Resto io.”,
dice Shenden, e il suo collega segue gli altri.
La stretta al mio polso si fa più intensa. Shenden mi sta facendo male senza motivo. Io non sto combattendo. Jaha si rivolge direttamente a lui, con un tono che non ammette repliche:
“Portala via. All’isolamento. E resta con lei.”
Poi afferra la manica di un’altra guardia, che indossa un’uniforme diversa da Shenden e gli intima di correre dal Consigliere Kane e di affrettare le operazioni di lancio.
 
Shenden mi trascina nell’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle. Le urla si attenuano.
Mi tira il braccio come se fossi una bambola di pezza. Incespico, e anche se non sto facendo resistenza, lo rallento.
Raggiungiamo un passaggio in fondo alla stanza, chiuso da un pannello di vetro spesso. Shenden lo apre con un Pass simile al mio e ci ritroviamo dentro un cubicolo a pianta quadrata, minuscolo. Ci stiamo a malapena in due. Il pannello si chiude alle mie spalle con un ronzio. Shenden mi lascia il polso. Tanto non potrei comunque scappare da qui.
L’uomo mi passa un braccio accanto al viso: c’è uno schermo sulla parete alle mie spalle. Digita un codice sulla tastiera. Il pannello dietro di lui scorre di lato, aprendo una nuova uscita, che affaccia su un lungo corridoio spoglio.
Shenden mi afferra di nuovo. Per le spalle, stavolta. Sporge tanto il viso sul mio che i nostri nasi si sfiorano e fatico a mettere a fuoco i suoi occhi. Ne colgo soltanto l’ansia bruciante, la stessa che fa correre la sua voce:
“In fondo gira a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a sinistra. Ti ritroverai nel retro dell’archivio governativo. Sarai costretta ad arrivare fino alla fine al salone. Lì troverai un pannello simile a questo. Aprilo, e sei fuori. Nel settore due, all’altezza dell’ultimo anello.”
Si toglie il Pass dal collo e me lo infila dalla testa.
“Vai!”
Ho qualche istante di smarrimento, che lo costringe a scuotermi.
“Blair! Hai capito? Vai, vai!”,
mi sposta di peso, scambiandoci di posto. Mi spinge fuori dal cubicolo. 
Mi infilo nel corridoio barcollando per lo shock. Prima di scappare mi volto verso l’uomo che mi sta salvando:
“Jaha saprà che sei stato tu a liberarmi.”
“C’è mia figlia, nei Cento.”,
è la sua risposta.
Vorrei dirgli che non è sicuro, che potrebbe rientrare nei ventinove salvati. Guardo i suoi occhi castani, la stempiatura sale e pepe che mi ricorda mio padre.
Torno indietro, facendolo urlare:
“No! Vattene da qui!”
Sono costretta a mantenermi a distanza, per timore che mi prenda a schiaffi se non gli obbedisco. Alzo le mani, come se mi trovassi di fronte alla canna della sua pistola.
“Andrò alla navicella. C’è qualcosa che vuoi dirle?”
Thomas Shenden ha un fremito, un brivido di dolore. Sa che non la rivedrà più. Che lei verrà espulsa verso la Terra e lui verrà espulso e basta. Io mi illudo per un momento che invece il mio destino non sia scritto, che se sopravviverò, sopravviveranno anche i miei genitori, e potrò rivederli. Stupida bambina.
Dei rumori ci raggiungono dall’ufficio. Lui si frappone tra me e la porta.
“Che la amo.”,
dice, in fretta.
“Che l’ho perdonata il giorno che l’ho persa. Che è meravigliosa, che si deve ricordare tutto della nostra vita insieme, che ce la fa.”,
continua, mentre i rumori si avvicinano.
Scuote ancora la testa nella mia direzione.
“Che la amo.”,
ripete, con la voce rotta.
Poi si sporge, digita un nuovo codice sullo schermo e mentre il pannello ci separa chiudendosi, mi grida ancora un volta di sbrigarmi. Ho il tempo di intercettare il movimento del portello opposto al mio che si apre e il suono di uno scontro fisico.
Un gemito mi scivola dalle labbra, rimbombando nel silenzio del corridoio.
Mi volto e inizio a correre.
 
Crollo carponi sul pavimento di metallo. Mi rivolto sulla schiena, ansimando.
Ce l’ho fatta. Ho seguito le istruzioni di Shenden e sono arrivata fino alla fine del settore due. Stringo il suo Pass al cuore, mentre il mio petto si alza e si abbassa di corsa.
Intorno a me c’è il vuoto.
Distinguo a malapena delle grida in lontananza, che mi raggiungono attraverso i corridoi e i condotti dell’areazione.
I condotti dell’areazione. Mio padre ci lavora, so per certo che non ci sono telecamere lì.
Apro gli occhi e guardo il bocchettone sul soffitto. Senza Bellamy ad issarmi non potrò raggiungerlo.
Mi alzo e mi rimetto a correre. L’unico posto in cui posso nascondermi è il laboratorio di Raven. È anche la migliore possibilità che abbiamo per ritrovarci e riorganizzarci. Da lì, in due, potremmo davvero infilarci nei condotti e avvicinarci il più possibile alla navicella e da lì farci strada... come potremo. La nostra unica pistola è tra le mani di Bellamy.
La milza mi sta pulsando nel fianco, delle fitte dolorose mi scivolano per tutto il corpo.
Raggiungo il primo bivio, il secondo, al terzo mi blocco. Se giro a sinistra, c’è il settore quattro. Casa mia. Forse i miei genitori sono nel lotto. La rabbia mi strappa un urlo. Giro a destra senza voltarmi indietro. 
I corridoi sono deserti. L’intero settore sembra essere stato evacuato. Finchè non arrivo all’ultimo anello.
 
Sono a mezzo chilometro dal laboratorio. Le sirene d’emergenza ululano, sento degli spari, altre grida. Qualcuno corre fuori dal proprio lotto, altri ci si fiondano dentro, con i bambini in braccio. Ora ci sono più persone intorno a me, tutte che scappano, tutte che strillano, sempre di più. Finora credo di non aver avuto nemmeno il tempo di spaventarmi. Ma adesso, spintonata a destra e a sinistra, sovrastata dalla confusione della calca, inizia davvero a mancarmi il fiato. Come un tic che ormai non posso combattere, penso a Clarke, come ogni volta che ho difficoltà a respirare.
 
Tre mesi fa ci trovavamo in mezzo ad una folla urlante non molto diversa da quella che mi circonda oggi: la manifestazione contro Kane. Io avevo iniziato a perdermi qualche battito del cuore, la testa girava e piccoli puntini neri si sgranavano sui miei occhi.
Clarke mi aveva trascinata fuori dalla ressa, in un angolo nascosto del salone. Mi aveva fatta sedere a terra, accovacciandosi di fronte a me. Sopra gli slogan e i cori, Clarke era riuscita a farsi sentire:
“Foer, ascoltami bene. Trattieni il fiato finché non dico stop.”
Avevo provato ad obbedirle ma senza successo. Allora lei mi aveva messo gli occhi negli occhi, ad appena qualche centimetro. Quell’azzurro limpido, le sue ciglia curve e lunghe, mi avevano arpionata.
“Con me.”
Con una mano sulla mia pancia, aveva cominciato a fare respiri profondi. Inspirava, concentrata, fissandomi, e poi espirava, molto lentamente, spingendo dolcemente con la mano.
Avevo faticato a starle dietro ma piano piano ce l’avevo fatta. La mia respirazione aveva ripreso un ritmo adeguato anche se il petto mi faceva ancora male e sentivo la necessità di sdraiarmi.
“Stavi per avere un attacco di panico.”
Stavo per?”
Clarke aveva sorriso, uno dei suoi minuscoli sorrisi appenna accennati, assottigliando gli occhi chiari, che brillavano sempre.
“Stavi per, sì.”
Avevo provato ad alzarmi, ma lei mi aveva tenuta giù soltanto toccandomi la spalla.
Mi piaceva quando faceva il dottore, completamente al servizio degli altri, dimentica di sé stessa al punto da scordarsi di mangiare. Ma mi piaceva di più l’altro lato della medaglia, quando si trasformava nel sergente Griffin. Da quando John era stato arrestato si era preoccupata sia di mantenermi in buona salute mentale che di farmi rigare dritto. Non avevo più acquistato niente da Monty Green per mesi, solo perché la mia bionda diceva che rifugiarmi nello stordimento dei sensi per evadere dalla rabbia e dalla tristezza mi avrebbe messa su una brutta china, da cui sarebbe stato difficile risalire. Diceva che non ne avevo bisogno e io avevo finito per credere di essere forte abbastanza da non dover scappare dal dolore, da poterlo affrontare. Diceva che niente era merito suo, e diceva una bugia.
“Griffin, come farei senza di te?”
Clarke non si era concessa il lusso di accettare il complimento. Aveva mugolato, per niente convinta di quella che io sapevo essere la verità: che se avessi perso John senza incontrare lei, non sarei sopravvissuta. Sarei impazzita.
Avevo appoggiato la testa al muro alle mie spalle, tirando giù Clarke al mio fianco, dove avrei desiderato averla per sempre.
 
Nel laboratorio di Raven c’è un uomo.
Un uomo in divisa grigia, con grandi occhi scuri e i capelli brizzolati. Quando faccio il mio ingresso trafelato nella stanza, si volta a guardarmi con apprensione. Dall'espressione del suo volto è evidente che non stava aspettando me. D'altra parte, non è il solo ad essere sorpreso:
“Chi è lei? Cosa ci fa qui?”
L’uomo non reagisce, si limita ad appoggiare sul ripiano al suo fianco lo strumento che tiene in mano. È uno dei saldatori di Raven.
“Sei la ragazza del video?”,
mi chiede. Io balbetto, guardandomi intorno. Forse sto cercando un appiglio. Non riesco a smettere di ansimare. Mi stringo il fianco con la mano, credo di poter tenere ferma la milza pulsante.
Lui sta ancora aspettando una risposta, e mi incalza:
“Raven è con te?”
Scuoto la testa, con il cuore gonfio d’ansia al pensiero di averla lasciata in mezzo alla folla inferocita.
Mi sono affezionata anche a lei, alla fine. Nonostante la sua palese insofferenza per me e la mia mancanza di coraggio, di cervello e di risorse. Bellamy ha sempre ragione.
Mi sforzo di alleggerire il tono della voce, millantando sicurezza:
“Ma è Raven. Starà meglio di noi, in questo momento.”,
gli dico. Lui riconosce sul mio viso l’inquietudine che mi agita, e a chi è dedicata. In un attimo, decide che si fida di me, solo per il fatto che mi fido di Raven. Si avvicina.
“Devi aiutarmi a trovarla. Grazie a te, fuori sta…”
“Lo so.”
Ora che sono ferma mi accorgo di quanto sono sudata. Mi passo le mani dietro il collo, nel vano tentativo di asciugarmi. Finalmente riesco a respirare dal naso ma la fitta allo sterno non la finisce di tormentarmi.
Lo schermo del computer che occupa l’intera parete al nostro fianco all’improvviso si anima, spaventandoci entrambi. Il viso di Raven compare al centro di un riquadro apertosi automaticamente.
“Blair. Bellamy.”,
chiama, guardando in camera. I suoi occhi scintillano.
“Se siete arrivati qui e io non ci sono…”
“Ma come ha fatto?”,
mormoro tra me e me, mentre ascolto la registrazione.
L’uomo non stacca gli occhi dal video, ma mi risponde, orgoglioso:
“Un rilevatore. Ha installato un rilevatore acustico che ha riconosciuto la tua voce e ha attivato il filmato.”
Lui scuote la testa ammirato, mentre Raven prosegue:
“…avete capito? Non mi aspettate. Non fate i sentimentali, voi due. Seguite le mie istruzioni e diamo inizio al piano B.”
“Piano B?”
“Ssssh!”,
lo zittisco, alla ricerca di qualcosa con cui poter scrivere. Prego che Raven abbia tenuto conto di quanto io sia lenta a seguirla e che faccia almeno qualche pausa. Ma ne dubito.
“Ora vi dirò come dare inizio alla prima fase del lancio.”
“Il lancio di cosa?”
“Ssssh!”
Raven sorride, come se potesse indovinare le nostre reazioni.
“La vostra personale navicella per la Terra.”


****
18/08/17
Micro momento che mi prendo per ringraziare tutti coloro che seguono la storia, chi l'ha inserita in seguite/ricordate/preferite, chi la recensisce privatamente e pubblicamente... GRAZIE! 
A presto!,
LRM
   
 
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