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Autore: Vago    19/08/2017    4 recensioni
Questo mondo è impazzito ed io non posso farci nulla.
Non so cos'hanno visto in me, ma non sono in grado di salvare chi mi sta vicino, figurarsi le centinaia di persone che stanno rischiando la vita in questo momento.
Sono un allenatore, un normale allenatore, non uno di quegli eroi di cui si parla nelle storie sui Pokémon leggendari.
Ed ora, isolato dal mondo, posso contare solo sulla mia squadra e sulle mie capacità, nulla di più.
Sono nella merda fino al collo. No, peggio, sono completamente fottuto.
Non so perchè stia succedendo tutto questo, se c'entrino davvero i leggendari o sia qualcosa di diverso a generare tutto questo, ma, sicuramente, è tutto troppo più grande di me.
Hoenn, Sinnoh, due regioni in ginocchio, migliaia di persone sfollate a Johto dove, almeno per ora, pare che il caos non sia ancora arrivato.
Non ho idea di come potrò uscirne, soprattutto ora che sono solo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Rocco Petri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Videogioco
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Abbassai il volume al minimo, prima di ascoltare la comunicazione in ingresso.
- Situazione della giornata.- gracchiò la cassa dell’apparecchio.
- Squadra 2?-
- Al momento siamo fermi di stanza a Johto con la squadra 4. Nonostante la disponibilità degli abitanti, il numero di sfollati è estremamente complicato da gestire. -
Sono ancora vivi.
- 3?-
- Stiamo navigando in direzione di Hoenn. Siamo stati investiti da un temporale ma i danni sono stati ridotti al minimo. Chiudo –
Per ora vivi, ma tornando ad Hoenn potrebbero esporsi troppo a dei rischi.
- 4?-
- La squadra 2 ha esposto la nostra situazione. Posso solo aggiungere che è stato avvistato qualcosa che potrebbe essere Lugia sulle coste meridionali della regione.
Vivi anche loro.
- 6?-
-...-
Non so se sto facendo bene. Se rispondessi, forse, potrei chiedere un supporto…
- 8?-
- …-
Devo riuscire a trovarli. Vivi, possibilmente.
- Centro medico principale?-
- Tutti i feriti che sono stati recuperati si stanno riprendendo, fatta eccezione per l'allenatore della squadra 1, che versa ancora in condizioni critiche. È probabile che i meno gravi potranno fornirci informazioni riguardanti ciò che gli è capitato entro un paio di giorni.-
Non so se sia un bene.
Ipotizzando che Rocco abbia ragione e ci sia una talpa nei piani alti, i ragazzi che si stanno riprendendo potrebbero essere in pericolo.
Non posso trovare la squadra 8 e raggiungerli in tempo utile. Quanto meno, se qualcuno di loro dovesse morire in circostanze misteriose, avrei la certezza che la parte che ho scelto è quella giusta
- L’allenatore della squadra 6 e la squadra 8 sono tutt’ora dispersi.-
La comunicazione venne chiusa.
Male. Non so se la situazione stia migliorando o peggiorando, comunque continua a fare schifo.
Riposi il PokèNav al suo posto con un gesto stizzito.
La coppia di anziani ci mise a disposizione un paio di brandine decisamente vecchie per passare la notte.
La criniera fiammeggiante del Ponyta illuminava blandamente la parete opposta, scaldando l’aria della stanza per portarla a una temperatura piacevole.
Mi sdraiai, facendo cigolare la rete metallica che sorreggeva il mio materasso.
Memoride non era troppo lontana dalla nostra posizione, mi aveva detto Jacob. Entro l'indomani pomeriggio saremmo dovuti arrivare a destinazione.
Da lì in poi sarei rimasto di nuovo da solo.
Improvvisamente, quell’idea mi parve meno allettante di quanto mi era sembrata inizialmente. Se avessi incontrato di nuovo l’allenatore che mi aveva attaccato nella Fossa Oceanica? Oppure se fosse ricomparso Darkrai?
Sarei dovuto rimanere estremamente cauto.
Chiusi gli occhi, cercando di regolarizzare il mio respiro.

Mi svegliai placidamente nello stanzone. Strano, era da molto che non mi capitava.
Mi misi a sedere sulla branda, guardandomi intorno.
Non c’era nessuno, oltre a me. Né gli anziani, né i ragazzi, né tantomeno Jacob o i pokémon che avrebbero dovuto dormire con noi.
La luce del sole penetrava dal vetro sporco della finestra, illuminando i vortici di polvere che riempivano l’aria.
Che fossero scesi al piano di sotto?
Aprii la porta che mi avrebbe condotto al piano inferiore, iniziando a scendere la scala che si trovava dietro a questa.
I gradini si susseguivano infiniti, avvolti nell’oscurità più totale, mentre lo spesso strato di terra che aveva invaso il pian terreno non si decideva ad arrivare.
Mi voltai, ma, alle mie spalle, non riuscii a scorgere la porta da cui ero entrato.
Non di nuovo…
Continuai a scendere, un passo dopo l’altro, sempre più in basso, finché il mio piede sinistro non riuscì a trovare uno scalino sul quale appoggiarsi.
Caddi in avanti, precipitando nel nulla più assoluto.
Stavo roteando? Forse no.
Da che parte era il soffitto? Non ne avevo idea.
Le mie gambe si mossero, ma non incontrarono nulla ad ostacolarle, così come le braccia.
Come la luce di una torcia, la criniera bianca di Darkrai si accese di fronte a me.
Pian piano, lentamente, la sua figura divenne più definita nell’oscurità che ci avvolgeva.
Svegliati! Svegliati! Svegliati!
- Con chi sei? –
Ha cambiato domanda. Non mi ha chiesto dove sono diretto.
Me ne stetti in silenzio.
- Chi ti segue? –
Tu mi segui, maledetto bastardo.
Il signore degli incubi avvicinò alla mia testa la sua mano artigliata, toccandomi la fronte con le dita gelide.
Accanto a me comparve Jacob, immobile nei suoi vestiti  viola, come fosse una statua di sé stesso.
Darkrai si voltò alla sua sinistra, come attratto da qualcosa, il suo sguardo dardeggiante, però, non si allontanò da me per molto.
Era come se qualcuno gli avesse parlato o si fosse intromesso. In ogni caso, io non avevo percepito nulla.
- Scappa! –
Scappa? Scappare da te? Non c’è bisogno che tu me lo dica.
Una luce accecante cominciò a farsi strada nell’oscurità, cancellando le ombre che mi tenevano prigioniero e l’immagine di Jacob che si era formata.
Oh, forse non era un ordine per me, ma una cosa che tu avresti dovuto fare.
- Scappa, su, forza. Scappa! – gli urlai, mentre il pokémon dalla criniera bianca scompariva rapidamente.
Riuscii a scorgere per poco la figura di Cresselia, avvolta nella sua aurea arcobaleno, poi aprii gli occhi.
Le mie narici vennero riempite da un odore piacevole, caldo, forse familiare.
Schiusi completamente le palpebre, trovandomi a guardare il soffitto pendente di quel sottotetto.
Ma quest’odore…
Mi alzai.
L’anziana Catherine stava in piedi, davanti al fornello alimentato dalla coda fiammeggiante del Ponyta.
Sul piano cottura, due pentole stavano facendo scaldare il loro contenuto.
Solo dopo un paio di secondi la padrona di casa si accorse del fatto che mi fossi svegliato.
- Oh! Il tuo amico, Andy e mio marito sono scesi di sotto a controllare i Combee. Dormivi così bene che non hanno voluto svegliarti. –
- Dubito che gli sarei stato di qualche aiuto, comunque. – le risposi, agganciando il supporto per le sfere alla mia cintura.
Tania e suo fratello stavano giocando sotto la finestra con un mazzo di carte consumato e decisamente troppo piccolo per poter contenere tutte le carte con cui era nato.
- Non preoccuparti. – ribatté Catherine con il sorriso sulle labbra – Mio marito ti avrebbe trovato qualcosa da fare, fosse stato anche solo potare i Bonsly. Intanto, visto che sei sveglio, preferisci il latte delle Miltank o la tisana? –
- Quale miscela ha? –
La donna parve un attimo interdetta, poi il suo sorriso si allargò ulteriormente. – Finalmente qualcuno che si intende di tisane! Eccolo, senti tu. –
L’anziana mi piazzò sotto il naso una bustina di plastica stropicciata, al cui interno brandelli di foglie erano rimaste a seccare per chissà quanto tempo.
Inspirai profondamente.
La fragranza mi riempì i polmoni. Sapeva di miele e fiori, con una nota che non riuscii a riconoscere.
Era buono, decisamente.
- Ti piace, vero? È una miscela di Giadinfiorito. –
- È ottima, davvero. –
Catherine si tornò a voltare verso il fornello, dove l’acqua dentro la pentola di destra cominciava a riempirsi di piccole bolle.
La miscela di erbe cadde dalle mani magre dell’anziana, per tingere di un inteso color arancione il contenuto della pentola.

La sostanza calda scese rapida nella mia gola, scaldandomi il ventre.
Mi mancava questa sensazione.
Davanti a me, Tania stava addentando voracemente un pezzo di pane scuro, coperto da un velo di miele appena visibile. Ad ogni morso, decine di briciole dure cadevano sul tavolo, rimbalzando un paio di volte sul duro legno su cui era appoggiata la sua tazza colma di latte caldo.
Non so per quanto tempo potranno andare avanti così. Non importa che possano sopravvivere per sempre grazie ai pokémon che allevano qua sotto. Catherine e Vincent sono anziani, questo non è il posto in cui dovrebbero vivere. Chris e Andy dovrebbero essere a casa con i loro genitori, con i loro pokémon. E Tania… dai, è una bambina, dovrebbe stare tutto il tempo a giocare con i suoi amici e ad immaginare il viaggio che intraprenderà non appena gli verrà affidato uno starter.
No, devo mettere fine a tutto questo anche per loro. Devo.
Catherine prese dal tavolo le tazze vuote, appoggiandole all’interno del lavabo vuoto.
Jacob si alzò dal suo posto, dirigendosi verso la finestra. – Nail, ci sei? Andiamo? –
- Certo. – gli risposi, alzandomi a mia volta.
- Già dovete andare? – la vocina stridula di Tamia mi colpì le orecchie.
- Si. – le risposi sorridendo – Altrimenti chi farà smettere di piovere? –
Sul volto della bambina comparve una smorfia di tristezza, mentre le sue piccole dita giochicchiavano con una briciola rimasta sul tavolo.
Jacob si mise indosso il suo impermeabile giallo per poi aprire la finestra, facendo entrare nello stanzone una corrente d’aria gelida e umida.
- Grazie per la vostra ospitalità. Buona fortuna. – disse ancora l’allenatore veleno, rivolto ai nostri ospiti.
Una mano ossuta si protese verso di me mentre mi muovevo per raggiungere la finestra.
Vincent mi guardava con quei suoi occhi duri, così tanto contrapposti a quella mano che aspettava di stringere la mia.
Rimasi un attimo interdetto, per poi stringere tra le mie dita il magro palmo dell’uomo.
- Buon viaggio. – mi disse bofonchiando, per poi spostarsi per fare altrettanto con il mio compagno di viaggio.
- Tieni. – non ebbi nemmeno il tempo di pensare alla finestra e alla scala sotto di essa che la voce di Catherine mi fece voltare il capo. Nella sua mano, tra il pollice e l’indice, teneva un piccolo sacchetto in plastica trasparente, al cui interno potevo riconoscere una manciata della miscela di quella mattina. – Prendi questa, per quando potrai di nuovo far bollire un po’ d’acqua. –
Le sorrisi in risposta, prendendo la bustina per riporla con cura nel mio zaino.
- Grazie. Grazie davvero. Quando questo finirà, magari, potrei tornare a salutarvi. Potrei anche portarti un po’ del nostro tè da assaggiare. –
- Come sei tenero. – le rughe sul volto dell’anziana si fecero più profonde quando sorrise – Non devi preoccuparti per dei vecchi come noi. –
Mi portai lo zaino sulle spalle, pronto a partire.
Il bordo della mia giacca venne tirato verso il basso.
Tania era lì, che mi fissava con gli occhi lucidi.
Davvero? Stava piangendo?
- Ciao. – mi disse velocemente mangiandosi le parole, per poi scappare in direzione del Ponyta.
Era il momento di andare.
Jacob cominciò a scendere lentamente la scala, con la sigaretta appena accesa stretta tra le labbra.
Feci un cenno del capo a Chris ed Andy che, in silenzio, ci guardavano mentre ce ne andavamo, poi misi il piede sul primo scalino, iniziando la mia discesa verso il terreno.
Cominciai ad avvertire quasi subito il picchiettare della pioggerella sulla mia schiena, ma non era nulla di insopportabile.
Riprendemmo la strada che proseguiva verso nord in silenzio, lasciandoci alle spalle il market distrutto e la casa dove avevamo passato la notte, con i cinque proprietari che ci guardavano attraverso lo sporco vetro della finestra.
Mi ero fatto spiegare velocemente da Jacob cosa avremmo dovuto superare per arrivare, finalmente, a Memoride e la sua risposta non era stata delle migliori.
Il sentiero originale serpeggiava ai piedi dei monti, attraverso basse colline rocciose collegate le une alle altre da ponti in legno e corda. Ponti che, sicuramente, erano stati spazzati via dalla furia del fiume che, secoli fa, aveva scavato quelle insenature.
Impiegammo poco più di mezzora dalla nostra partenza per raggiungere il bivio di cui mi aveva parlato il mio compagno di viaggio. A destra, verso il mare, ci sarebbe stata Rupepoli ad accoglierci. Procedendo dritti, invece, saremmo arrivati alla nostra meta.
In mezzo a quel crocevia, come una lugubre lapide, rimanevano i ruderi di una casa solitaria.
- Qui vendevano un ottimo latte… - fu il commento scarno di Jacob, prima che riprendesse a camminare verso nord.
Ci addentrammo nel percorso 215, salendo sulla prima formazione rocciosa che incontrammo in modo da avere una visuale migliore su quello che avremmo incontrato più avanti sul nostro cammino.
Nubi scure, intanto, si stavano tornando ad accumulare sopra le nostre teste, facendo inspessire la coltre d’acqua che ci cadeva addosso.
Sarebbe stato un lungo viaggio, quello.
Ogni ponte di collegamento aveva ceduto e, alla base delle collinette, il fiume scorreva impetuoso ben più in alto delle sue sponde.
- Superato questo, siamo arrivati. – mi disse l’allenatore dall’impermeabile giallo al mio fianco.
   
 
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