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Autore: Ghost Writer TNCS    19/08/2017    8 recensioni
Raémia è un mondo ricco di magia, dove i contadini vivono del lavoro nei campi, i soldati in armatura girano da un villaggio all’altro per garantire pace e sicurezza, e i saggi maghi offrono i propri servigi in cambio di cibo e rispetto.
I numerosi Reami, popolati da altrettante specie diverse, sono posti sotto il controllo di sei Re: persone illuminate che garantiscono pace e prosperità al mondo intero. O almeno così era un tempo. Oggigiorno i Re si preoccupano più che altro di godersi le proprie ricchezze, e i nobili cercano sempre nuovi espedienti per guadagnare maggiore potere.
In questa precaria situazione, Giako – un Gendarme solitario cresciuto da una strega – verrà a conoscenza di una grande macchinazione volta a ribaltare gli equilibri del mondo. Da solo non potrebbe fare nulla, ma questa volta non sarà solo: quante persone servono per salvare il mondo?
Domande? Dai un'occhiata a http://tncs.altervista.org/faq/
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '2° arco narrativo'
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5. Le lacrime degli sventurati

Un rumore di foglie smosse risvegliò la tetra foresta, attirando l’attenzione di alcuni lugubri uccelli. Una persona si muoveva con passi lenti e incerti, troppo rumorosa per essere un cacciatore, troppo robusta per essere un vagabondo. Aveva una mano premuta sul fianco, là dove era conficcata una freccia, con l’altra invece si reggeva a un bastone. No, non era un bastone: era una lancia di circa un metro e sessanta, il cui corpo centrale aveva l’aspetto di cinque impugnature di spada messe una dopo l’altra. L’estremità superiore terminava con una lama lunga e aguzza, perfetta per gli affondi, ma adatta anche ai colpi di taglio.

L’uomo sollevò il capo per guardare in avanti. I suoi occhi ambrati erano opachi, stravolti dalla stanchezza, ma in essi ardeva ancora una flebile scintilla di volontà. Aveva la pelle scura e i suoi capelli corti e ricci erano attraversati da striature nere e arancioni. La sua struttura fisica ricordava quella degli elfi e dei myketis, ma le sue orecchie erano spostate sulla sommità della testa e somigliavano in tutto e per tutto a quelle di una tigre. Non ci voleva un esperto per capire che era un felidiano[12].

Sulle guance aveva tatuati due triangoli neri, partivano dagli zigomi e avevano la punta verso il basso, al punto che sembravano due zanne.

Il lancere strinse i denti da predatore e continuò ad avanzare, la coda ad anelli neri e arancioni che si muoveva al ritmo lento dei suoi passi. Doveva raggiungerla. Doveva raggiungerla a qualsiasi costo. Lei era l’unica persona di cui si potesse fidare nel raggio di giorni di cammino, e lui aveva il preciso dovere di trovare qualcuno affidabile a cui riferire quanto aveva scoperto.

Senza accorgersene mise il piede su alcune foglie viscide, per un attimo perse l’equilibrio e una nuova fitta al torace lo travolse.

Ormai aveva la vista offuscata, non gli restava molto tempo, ma non poteva fermarsi. Doveva arrivare da lei, doveva farlo a qualsiasi costo. Quello che aveva scoperto era troppo importante.

Trascinato dalla sola forza di volontà, il felidiano continuò ad avanzare, sostenuto come sempre dalla sua inseparabile lancia. Quell’arma lo aveva accompagnato fin dal suo ingresso nel Corpo di Gendarmeria, e ancora adesso continuava a servirlo e a infondergli fiducia. Il fatto di essere un’arma modulare era un indubbio vantaggio: in pratica si componeva di due pugnali – di cui uno si trovava nel fodero al fianco destro – e di due blocchi centrali. Questi ultimi potevano essere combinati con i pugnali per ottenere due armi lunghe come spade, oppure uniti tra loro in un più lungo bastone, fino ad ottenere una lancia completa dotata di lame a entrambe le estremità.

Un passo, un altro, un altro ancora.

Poteva farcela, doveva farcela. Ciò che aveva scoperto era il risultato di mesi di ricerche sotto copertura, non voleva nemmeno pensare all’eventualità che quelle informazioni andassero perdute. La Regina Blu doveva sapere cosa stava accadendo, e Alisha era la sola a cui potesse riferire la sua scoperta.

Una fitta all’addome gli paralizzò i muscoli. Provò a reggersi alla lancia, ma nemmeno la sua arma poteva più sostenerlo: cadde in ginocchio e poi, esausto, stramazzò sulla terra fredda e umida.

Provò a rialzarsi, ma il suo corpo non ne volle sapere di muoversi.

Vinto dalla disperazione, non riuscì più a trattenere le lacrime. Perché doveva finire così? Aveva affrontato mille pericoli per capire il motivo che stava dietro alla deportazione di intere famiglie di demoni, aveva sacrificato ogni cosa per il bene di tutti. Perché doveva fallire proprio ora che era così vicino al successo?

Cercò di trascinarsi con le braccia, ma le sue dita strisciavano sul terreno cosparso di foglie senza farlo avanzare di un singolo centimetro.

Era ormai sul punto di abbandonarsi alla disperazione, quando un rumore di passi giunse alle sue orecchie feline. Sì, aveva ancora una possibilità. Era sicuro di essere vicino al villaggio di Alisha, doveva solo farsi portare da lei.

Con il poco fiato che gli rimaneva, si sforzò di chiamare aiuto. Temeva che la sua voce sarebbe stata troppo flebile, ogni secondo che passava gli sembrava un’eternità di disperazione, ma gli bastava sentire ancora il rumore delle foglie calpestate per ritrovare la determinazione. Non poteva arrendersi!

«Ehì, là c’è qualcunò!»

L’avevano trovato, doveva solo farsi portare da lei.

«Prestò, è ancora vivò!»

Delle mani lo presero e lo misero supino. A trovarlo erano stati tre myketis, non li aveva mai visti, ma questo non aveva importanza.

«A… Alisha… Be… Belle…cœur… Strega… Alisha… Ali…sha…»

In pochi istanti tutto divenne nero e la coscienza lo abbandonò.

Aveva fatto tutto ciò che aveva potuto. Ora doveva solo sperare che quei myketis capissero la sua ultima, disperata richiesta.

***

Alisha era impegnata a studiare un vecchio formulario di magia quando il suo zombie bussò alla porta aperta della stanza.

«Padrona, sono arrivati i signori Guillard, Rénou e Jacquemin» annunciò il cadavere animato con voce impassibile.

A sentire quei nomi, la strega si lasciò scappare un sospiro di disappunto. I tre abitanti del villaggio andavano spesso nella foresta per cacciare qualche animale, ma la maggior parte delle volte tornavano indietro solo con qualche taglio o contusione. Stava per dire allo zombie di farli sedere nella stanza delle visite, ma lui continuò a parlare: «Hanno portato un corpo, sembrerebbe il signor Moros.»

A sentire quel nome, la donna si bloccò improvvisamente. Sembrava paralizzata. Le sue mani cominciarono a tremare, poi di colpo tornò lucida e scattò in piedi. La sedia di legno si piegò all’indietro e cadde a terra, lei però non la sentì nemmeno e corse verso l’ingresso.

I tre myketis, che conoscevano abbastanza bene la porzione della casa di Alisha dedicata alla cura dei malati, avevano già deposto il felidiano sul tavolo imbottito che la strega usava abitualmente per visitare i suoi pazienti. L’avevano portato lì più in fretta possibile, ma purtroppo si trovavano parecchio distanti dal villaggio quando l’avevano trovato e, a causa della differenza di stazza, ci avevano messo quasi un’ora per raggiungere la dimora della strega.

Appena lo vide, lei lo riconobbe subito: i tatuaggi, la pelle scura, i capelli striati, le orecchie tonde e la coda ad anelli erano dettagli che mai avrebbe potuto confondere, esattamente come la lancia appoggiata in un angolo della stanza.

Si portò una mano sulla bocca, atterrita. «Bengal…» Corse verso di lui e gli premette due dita sul collo per controllare il battito.

«L’abbiamò trovatò nella forestà,» iniziò uno degli uomini del villaggio «l’abbiamò…»

«Fuori!» ordinò la strega con voce più alta di quanto avrebbe voluto. «Andate fuori!»

Sapeva di essere stata molto scortese con loro, ma non riusciva a pensare ad altro se non al felidiano steso di fronte a lei. Il battito era assente, il corpo stava diventando freddo e anche le sue percezioni magiche le facevano capire che ormai era troppo tardi. Ma non voleva arrendersi, non poteva farlo. Non poteva accettare di perdere così l’amore della sua vita. Avrebbe fatto l’impossibile per farlo tornare da lei.

«Sbrigati, fagli un massaggio cardiaco» ordinò al suo zombie, anche se dentro di sé sapeva che sarebbe stato del tutto inutile.

Il suo servitore, impassibile, fece come ordinato, lei intanto evocò un incantesimo. Alcune scintille crepitarono dalle sue mani e lo zombie capì quello che voleva fare. Senza bisogno di ricevere l’ordine, spezzò la freccia per essere in grado di rimuovere i vestiti, aprì la robusta giacca di Bengal e sollevò la spessa maglia di lana. Alisha appoggiò le mani sul petto del felidiano e fece partire la scarica elettrica.

Non servì a niente.

Provò ancora, e ancora, ma sempre inutilmente. Ormai era morto, rianimarlo era impossibile.

Si asciugò le lacrime sul dorso della mano, ma subito altre scesero lungo la guancia. Esausta, si lasciò cadere a terra e lì continuò a piangere, incapace di affrontare quella perdita terribile.

La sua mente era dominata da un vortice straripante di emozioni – dolore, rabbia, solitudine – eppure dentro di sé avvertiva solo un vuoto incolmabile. Come poteva vivere senza l’uomo che amava?

Dopo un tempo che le parve interminabile, si rimise in piedi. I suoi occhi completamente blu erano ancora gonfi per il pianto, le sembrava di aver versato tutte le lacrime che aveva. Il suo zombie aveva lasciato la stanza e si era messo vicino all’ingresso, così che nessuno venisse a disturbarla.

Con un movimento lento e insicuro la donna allungò una mano verso il volto del felidiano. La sua mano tremava, ma si calmò quando toccò la guancia di lui. Lo accarezzò con dolcezza, quasi senza accorgersi del freddo innaturale della pelle.

Bengal era l’uomo più coraggioso, nobile, altruista e devoto alla causa che avesse mai incontrato. Lei sapeva che quello del suo amato era un mestiere pericoloso, ma sarebbe stato impossibile prepararsi a una simile perdita.

Ora che aveva versato tutte le sue lacrime, la sua mente stravolta dal dolore cominciò lentamente a riprendersi e uno dopo l’altro affiorarono numerosi pensieri. Uno in particolare sovrastò tutti gli altri: l’ultima volta che si erano incontrati, Bengal le aveva spiegato che avrebbe dovuto intraprendere un’importante missione nella zona sud-est del Reame e che non sarebbe tornato da lei prima di averla conclusa. Quindi, dato che si trovava lì, voleva dire che aveva completato il suo incarico. Ma era stato in grado di riferirne gli esiti?

La strega rimase immobile, lo sguardo fisso sugli occhi chiusi del suo amato.

Bengal lavorava come spia, lo sapeva, quindi probabilmente era stato ucciso perché aveva scoperto qualcosa di importante.

Inaspettatamente, questo fece sorgere un accenno di sorriso sul suo volto.

Il lavoro del felidiano era importantissimo, ne era certa, e non poteva permettere che le informazioni che aveva raccolto andassero perdute.

Aprì i palmi verso di sé e questi si accesero di energia magica.

Doveva… Sì, doveva resuscitarlo. Doveva farlo per il bene dei Reami. La sua maestra le aveva detto almeno un milione di volte che resuscitare i morti era sbagliato, oltre che rischioso, ma non lo stava facendo per se stessa. No, lo stava facendo per… per tutti, sì. Lo stava facendo per il bene di tutti.

Prima ancora di rendersene conto, si trovò a sfogliare libri su libri alla ricerca dell’incantesimo che le serviva. La sua era una ricerca ossessiva, non avrebbe potuto pensare a nulla se non alla formula necessaria per riportare in vita il suo amato.

In passato aveva creato diversi zombie – il suo servitore ne era un esempio – ma la differenza che c’era tra animare un cadavere e resuscitare una persona era abissale. Quest’ultima era un’operazione ben più complessa e richiedeva una grande esperienza oltre che una notevole abilità. Non era sicura di farcela, una vocina nella sua testa continuava a dirle che se ne sarebbe pentita, eppure non riusciva a fermarsi. Si ripeteva che lo stava facendo per i Reami, per proteggerli da una qualche oscura minaccia che tramava nell’ombra, ma in realtà nemmeno lei ci credeva.

Ci volle quasi un giorno intero per trovare il libro e, quando lo aprì, il suo sguardo era opaco per la stanchezza. Non si era fermata un solo istante per mangiare o dormire, e ormai il suo corpo era allo stremo. Ma non le importava: il lavoro la aiutava a sopportare il dolore, era l’unica cosa che le impediva di gettarsi a terra e rimettersi a piangere.

Preparò tutto in fretta. Non voleva aspettare, non voleva restare un secondo di più senza il suo Bengal. Ordinò al suo zombie di portare il corpo all’esterno della casa e intorno a esso tracciò un cerchio magico.

Era talmente provata che, al momento di leggere l’incantesimo, fece fatica a distinguere le rune. Eppure nemmeno questo la fermò. Recitò la formula, la voce roca a causa della gola secca, e subito la magia cominciò a fluire attraverso il cerchio. La sentì palpitare dentro di lei, e questo ridestò la sua mente. L’incantesimo non era molto lungo, ciononostante il suo corpo era al limite e ogni parola le costava uno sforzo immenso.

Un rivolo di sangue arancione le uscì dall’angolo della bocca e disegnò una linea scura fino al mento. La prima goccia cadde sul pavimento, lei però nemmeno se ne accorse. La sentiva, sentiva l’anima del suo amato farsi più vicina.

Riuscì a sorridere debolmente. Finalmente avrebbe potuto riabbracciare il suo Bengal.

Le sue gambe cominciarono a tremare: non resisteva più, stava per crollare. Doveva fare in fretta!

Recitò il resto dell’incantesimo senza nemmeno prendere fiato e alla fine il libro le sfuggì di mano. Cadde in ginocchio, lo sguardo vacuo a contemplare i flussi di magia intorno al cadavere del felidiano. Riusciva a malapena a distinguerli, ma era felice: c’era riuscita.

Il corpo di Bengal ebbe un sussulto.

Strano, non era previsto.

Un altro sussulto, poi uno più forte. L’uomo spalancò gli occhi ambrati e lanciò un grido furioso, quasi quello di una bestia. Preda delle convulsioni, si piegò da un lato, rannicchiandosi su se stesso. Il suo corpo si muoveva a scatti e ben presto cominciò a gonfiarsi in maniera innaturale. I suoi vestiti si tesero fino a strapparsi e la sua pelle bruna venne ricoperta da un’ispida pelliccia.

Alisha osservò sconcertata quello spettacolo orribile. Cosa stava succedendo? Non era così che doveva andare la resurrezione!

Avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma ormai era senza forze. L’ultima cosa che vide fu il suo amato Bengal che si trasformava in una creatura mostruosa e fuggiva via, nella foresta.

Del tutto impotente, cercò di allungare una mano verso di lui nel disperato tentativo di trattenerlo accanto a sé. «Ben…gal…»

Quando Alisha finì di raccontare, sollevò lo sguardo verso lo specchio, incerta. Era sicura che la sua maestra si sarebbe infuriata, ma la rabbia che ardeva negli occhi dell’umana andava ben oltre l’essere infuriata.

«Ma si può sapere che cosa ti è saltato in mente?!» esclamò, sconcertata. «Hai eseguito un rituale di resurrezione nel peggior modo possibile, hai trasformato l’uomo che ami in un’aberrazione, e poi cos’hai fatto? Hai chiesto alla persona a cui tieni di più di andare a uccidere quel mostro senza nemmeno dirgli cosa stava per affrontare?! Quante volte ti ho detto che la magia non è un gioco!»

La myketis abbassò il capo, incapace di ribattere. La sua maestra aveva ragione, aveva completamente ragione. Ciò che aveva fatto era imperdonabile.

«Alisha, io voglio aiutarti, ma non sono sicura di poter rimediare a tutto questo. Cosa farai se l’aberrazione ucciderà Giako?»

Al sentire quelle parole, la strega avvertì una stretta al cuore. Poi però sollevò il capo. «Non succederà» affermò, determinata nonostante gli occhi lucidi. «Ho dato a Giako una pozione: in caso di ferite gravi simula la morte e poi cura le ferite.» Strinse la presa sul manico dello specchio. «Lui non morirà.»

L’umana si portò una mano al capo, cercando di riordinare le idee. «Ok, questa è stata una buona idea. Hai un modo per localizzare il tuo amico?»

Alisha annuì.

«Bene. In questo momento sono impegnata a curare alcuni Gendarmi, tu intanto preparati: appena avrò sistemato le cose qui, ti raggiungerò e insieme andremo da Giako.»

Il viso della myketis si illuminò di gioia. «Certo, grazie maestra.»

«Ma non cantare vittoria troppo presto. L’anima del tuo amato potrebbe essere perduta per sempre.»

L’entusiasmo di Alisha svanì di colpo, sostituito da un velo di triste amarezza. «Sì, lo so.»

Il viso della sua maestra scomparve dallo specchio e lei fu di nuovo sola. Rimase immobile per alcuni lunghi secondi, poi sollevò lo sguardo verso il comò posto a ridosso di una parete. I primi raggi di luce filtravano dalla finestra, illuminando con delicata riverenza la lancia di Bengal. L’aveva pulita e lucidata, quasi illudendosi che da un momento all’altro lui sarebbe venuto a riprenderla.

Subito sentì le lacrime agli occhi e abbassò lo sguardo. La sua maestra aveva ragione: l’anima del suo amato poteva essere perduta per sempre. Per colpa sua.

Appoggiò lo specchio sul letto, si alzò e andò a prepararsi per partire.

Ancora non sapeva cosa fosse peggio – aver cercato di resuscitare Bengal senza prestare attenzione all’incantesimo o aver chiesto a Giako di uccidere l’aberrazione – ma di una cosa era certa: non poteva starsene lì a tormentarsi nella speranza che le cose si risolvessero da sole.



Note dell’autore

Ben ritrovati, e grazie per aver letto il capitolo :)


Un doppio flashback per presentare Bengal e rivelare l’origine del mostro.

Ora che sapete più nel dettaglio quello che è successo, cosa ne pensate di Alisha e di ciò che ha fatto?

Shamiram si è arrabbiata parecchio, ma credo sia del tutto comprensibile dal suo punto di vista. Dalla sua allieva si sarebbe aspettata un comportamento più maturo e giudizioso; allo stesso tempo però si è messa a disposizione per aiutarla a risolvere il problema. Basterà il suo intervento a rimettere a posto le cose?

Nel prossimo capitolo torneremo da Giako e Jehanne, la loro caccia al mostro continua :)


Anche per questo capitolo non ho nessun disegno da mostrarvi, in compenso potete dare un’occhiata ad Anna Bad’der di Bandiera Nera, ecco il link: http://tncs.altervista.org/articoli/anna-badder-chibi/


Appuntamento al primo weekend di settembre per il prossimo capitolo.

A presto! ^.^


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[12] Sottospecie originale di TNCS, appartenente alla specie dei faunomorfi (da “fauna”, ossia l’insieme delle specie animali). Il termine deriva dalla famiglia dei Felidae, che nella classificazione scientifica raggruppa i felini.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

   
 
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