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Autore: Veni Vidi Jackie    19/08/2017    1 recensioni
Guidare sicuri in via Trieste, a Lido di Ciomarea
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi trovavo in motorino lungo via Trieste, a Lido di Ciomarea.

Non posso dimenticare quel giorno.

A bordo di “Will” (così chiamavo il mio scooter), non vedevo l’ora di raggiungere il mio stabilimento balneare per passare il pomeriggio coi miei amici. Come facevo tutte le estati, d’altronde. Sempre lo stesso tragitto, tra l’altro.

Sapevo quindi benissimo, lungo via Trieste, del cartello “strada dissestata”, delle tantissime buche e dei dossi naturali creati dalle radici sottostanti che rialzavano la carreggiata di diversi centimetri. Tuttavia, non so perché, quel pomeriggio non feci troppa attenzione.

Superai il cartello “strada dissestata” e un paio di buche, ma proprio non vidi quel rialzamento della carreggiata dovuto alle radici sotterranee di un pino, che cresceva lì accanto.

Andavo a circa 45 chilometri orari (il massimo consentito era 50), quando notai la presenza di quel pericolo. Tentai solo di rallentare: ero troppo vicino, non avrei potuto fare altro.

Ma era troppo tardi anche per frenare.

Salii sul dosso a più di quaranta chilometri orari e il mio Will si impennò, librandosi nell’aria.

Fu allora che successe.

Sorprendentemente, presi il volo. Letteralmente. Volai. E’ scontato dire quanto rimasi scioccato e sconvolto. Non facevo altro che girarmi a destra e a sinistra o a guardare in basso per vedere se stessi sognando oppure no. Non era affatto un sogno, era realtà. Stavo volando.

Quando fui ad una quindicina di metri da terra, decisi di spegnere il motore: continuai a volare, come se nulla fosse cambiato. Potevo vedere tutta Lido di Ciomarea dall’alto: era bellissima, ma non riuscii ad apprezzarla perché ero spaventato a morte. Le macchine, le persone e le case si facevano sempre più piccoli mano a mano che io mi alzavo in alto. Fu quando mi trovai a un centinaio di metri da terra che provai a spostare il peso in avanti, per cercare di scendere un pochino: accadde. Will scese di qualche metro, prima di assestarsi a quell’altezza ad un altro mio movimento.

Mi misi a giocherellare col motorino: mi abbassavo, tornavo in alto, andavo a zig zag, facevo capovolte…

Fu durante una delle mie acrobazie che incrociai un’altra persona su di uno scooter, in direzione opposta alla mia. Era una ragazza di circa vent’anni, che guidava come se non avesse mai lasciato terra: sguardo fisso davanti a sé, in assoluta tranquillità.

- Ehilà! - la salutai, ma lei non mi considerò nemmeno. Mi sorpassò, come se nulla fosse avvenuto. La seguii con lo sguardo per un pochino, per poi tornare a guardare davanti a me. Fu così che evitai per pochissimo un frontale (sembra molto strano parlare di frontali a diverse centinaia di metri d’altezza, ma fu quello che accadde).

Una macchina sterzò e mi evitò per pochi centimetri, mentre il guidatore al suo interno gridò e inchiodò a pochi metri da me. Mi fermai pure io e fu allora che notai quanto fosse bella quella macchina: stile anni ‘60, con la capotte del tutto aperta, lunga, affilata e bellissima. Non sono mai stato un amante delle auto, ma quella mi affascinò.

Ero talmente preso da quella vettura che inizialmente non sentii nemmeno le lamentele del suo guidatore, ancora seduto al suo interno e rivolto verso di me.

- Ma ce li hai gli occhi o no? Mi stavi per prendere in pieno! -

Scioccato com’ero, non dissi niente. Lo fissai e basta.

- Cos’è? Ora hai perso anche la bocca? -

Era un uomo sulla cinquantina, piuttosto magro e vestito molto bene: portava un abito scuro a mezza fodera, con sotto una camicia bianca e una cravatta nera. Era anche pettinato di tutto punto: i capelli castani erano ben ordinati e pettinati verso la sua destra. Degli occhiali marroni dalla pesante montatura si frapponevano tra me ed i suoi occhi rabbiosi.

- Mi rispondi o no? -

Mi scossi, quasi rendendomi conto solo allora che stava parlando con me.

- Mi scusi...- riuscii solamente a dire

L’uomo inclinò la testa, scrutandomi da sotto quei pesanti occhiali. - E’ sicuro di stare bene? -

Di nuovo non riuscii a dire niente: ancora non sapevo se stessi sognando o meno. Fu allora che l’uomo aprì lo sportello e...scese. Quel tizio stava camminando nell’aria!

Si avvicinò a me barcollando e ogni volta che rischiava di perdere l’equilibrio imprecava sottovoce. Quando finalmente mi fu davanti mi studiò ancora per qualche secondo senza dire nulla.

- Sei nuovo di qui, non è vero? - domandò poi. - Non ti ho mai visto, ora che ci penso -

Io annuii (non sapevo cosa altro fare!).

- Oh, ma allora devi perdonarmi. - L’espressione dura si era adesso trasformata in un grande sorriso. - Io mi chiamo Louis Sinatra. -

Allungai la mano per ricambiare la sua stretta, senza poter fare a meno di guardare in basso e vedere gli edifici piccoli piccoli.

- Vedo che guardi giù, eh? - continuò – Scommetto che sei sorpreso. Ovvio che lo sei, come potresti non esserlo? -

- Che...che diavolo succede? - balbettai

- Scommetto che ti è preso un colpo quando mi hai visto scendere dall’auto, eh? E non ti sei accorto, quando ti sei fermato col motorino, di non cadere? - fece una grossa risata – Diavolo! E’ così divertente vedere i novellini! -

Poi si ricompose. - A parte gli scherzi, qui non è sicuro parlare. Vieni sulla mia macchina e saliamo un po’ di quota, ti spiegherò alcune cose. -

Non lo feci. E come potevo farlo? Sotto di me c’era il vuoto. Sapevo che se non eravamo già caduti non mi sarebbe capitato nulla, ma avevo comunque paura. Sotto di me non c’era un pavimento, c’era il cielo.

- Oh, forza! - mi incoraggiò lui. - Non vedi che non ti succede nulla? Metti un piede per terra, da bravo. O meglio, dovrei dire: “metti un piede nel vuoto”! -

Rise di nuovo, dandomi una pacca sulla spalla. - Scherzavo, scherzavo. Senti, come ti chiami? -

Lo fissai e basta.

- E su! Non ti voglio mica fare del male! Anzi, sono qui per aiutarti! Come ti chiami? -

- Al...Alessandro...- balbettai ancora

- Oh, molto meglio adesso! Senti, Alessandro, metti un piede dove penseresti che ci sia il pavimento. Non ti succederà nulla, te lo prometto. -

Non lo feci.

- Forza! - mi esortò – Non vedi che sei fermo sul motorino e non stai precipitando? Non ti succederà nulla, fidati. Dammi la mano. -

Con molta riluttanza obbedii e misi il piede in basso, nel vuoto...e non caddi. Sentii come se ci fosse un piano, un pavimento a sorreggermi. Lo guardai stupito e lui ridacchiò.

- Buffo, eh? Sì, sì, molto divertente. Soprattutto le prime volte. -

Dopo essermi tolto il casco mi accompagnò fino alla sua stupenda auto, tenendomi sempre per mano e sorreggendomi ogni qual volta perdevo l’ equilibrio. Mi ero infatti accorto che ogni tanto mi sentivo scivolare in basso, come se rischiassi di cadere da un momento all’altro.

- Non ti preoccupare, non ti preoccupare – mi rassicurò, notando la mia paura – anche io prima barcollavo, hai visto? Tra poco ti spiegherò il motivo. -

Mi fece accomodare al posto del passeggero e partì.

- Allora, Alessandro, come diavolo sei finito qui? -

- Ehm...-

Malgrado la mia paura fosse un poco diminuita, ancora non mi fidavo totalmente di quell’uomo. E tanto meno di me stesso…

- Andiamo! Di me ti puoi fidare! Parla in tranquillità -

Lo guardai: tutto sommato mi sembrava un brav’uomo. Decisi di dovermi fidare di lui.

- Sono...ehm...io stavo andando al mare...-

- Okay, okay. Vai avanti -

- E...ehm...come posso...non saprei come...-

- Usa le tue parole -

Sospirai, quasi non credendo a quello che stessi per dire. - Dunque...stavo andando al mare...e...e poi...poi mi sono ritrovato qui...io...io stavo volando -

Lui annuì. - Sei per caso finito in una buca o qualcosa di simile? Forse un sollevamento della carreggiata? - chiese

- Sì! E’ proprio così! - esclamai, quasi per auto convincermene

- Come immaginavo. Dov’eri? -

- Come? -

- Dov’eri quando hai preso il volo?

- A Lido di Ciomarea -

- Dove? Non ho capito. Parli così piano! Stai tranquillo! Ti ho già detto che di me ti puoi fidare, alza un po’ la voce -

Deglutii, sperando che quel gesto mi sciogliesse ancora un po’.

- A Lido di Ciomarea... -

- Ah! - esclamò – La conosco bene! Una bella città tutto sommato...sì, una bella città. In realtà qui in Versilia di belle città ce ne sono molte -

A questo punto si girò verso di me e cambiò totalmente argomento.

- Sai che macchina è questa? - mi domandò, riportando l’attenzione davanti a sé

- No -

- Ti piace? -

- Sì -

- Davvero? -

Avrei voluto dirgli che era la più bella macchina che avessi mai visto, ma non lo feci. Mi limitai, per adesso, a rispondergli con poche parole.

- Sì, mi piace -

- E’ una Lincoln Continental, la stessa auto su cui fu ucciso Kennedy. L’unica differenza è che questa è bianca. -

Guardai gli interni marroni con rinnovata ammirazione, per poi riportare gli occhi su di lui.

- Cosa mi è successo? - chiesi

- Ricordi come mi chiamo? - cambiò subito argomento

- No -

- Louis Sinatra. - Mi guardò come aspettandosi che io dicessi qualcosa. - Proprio come Frank, Frank Sinatra. Anche io sono italo americano, sai? E’ per questo che parlo così bene l’italiano. Sono di La Spezia, la conosci? -

- Certo. -

La nostra auto stava ancora percorrendo una strada invisibile nel cielo e presto mi accorsi, con enorme stupore, che eravamo saliti di quota rispetto a dove ci eravamo incontrati.

- Sai come sono finito qui? - chiese

- No -

- Sai quanti anni ho? -

Lo guardai stupito. - Come? -

- Hai capito bene. Secondo te quanti anni ho? -

Riportai l’attenzione sul suo volto, cercando di studiarlo meglio. - Quarantotto? -

Rise. - Ne ho cento due. -

Non so perché ma non mi stupii, forse perché mi ero già sorpreso troppo nei momenti precedenti.

- Allora, non mi chiedi come faccio ad averne così tanti e a sembrare così molto più giovane? - mi domandò

- Come fai? -

Louis Sinatra sorrise. - Ora ti spiego come sono finito qui. Era il 1961, stavo passando un’estate in Versilia. Ti ho già detto che sono italo americano, no? Bene, ero qui in vacanza. Più precisamente ero a Eriga Vigo, in via Indipendenza...non so se la conosci. Ah, sì? Ottimo. Volevo andarmene in Darsena, in spiaggia libera. Sai com’è via Indipendenza, no? Onestamente non ricordo nemmeno se allora si chiamasse già così...comunque, ti assicuro che già a quel tempo era piena di buche e sollevamenti del manto stradale. E io cosa feci? Stavo guidando quando presi uno di quei rialzamenti della carreggiata...maledette radici! Quegli alberi andrebbero tenuti sotto controllo! Comunque, mi capitò quello che è successo poco fa a te: mi innalzai in volo...ed eccomi qui. -

Avevo ascoltato attentamente e ora stavo cercando di metabolizzare il tutto.

- Sei un po’ confuso, eh? - mi chiese ridacchiando, dopo avermi dato una rapida occhiata. - E’ normale che tu lo sia. Ma dimmi un po’, sono la prima persona che hai incontrato qua su? -

- Sì. -

Mi resi subito conto di essermi sbagliato. - Ah, no! - esclamai – La seconda! Ho incontrato un’altra persona -

- Ah, sì? E chi? -

- Una ragazza bionda...avrà avuto più o meno la mia età...su un motorino -

- Descrivimela. -

Ero in difficoltà: l’avevo vista per pochi secondi e onestamente in quel momento ero ancora sicuro di essere in un sogno.

- Aveva una t- shirt verde se non sbaglio...era bionda...piuttosto carina...il suo motorino era bianco...- risposi, cercando di sforzarmi

- Mhm...-

Sinatra aggrottò le sopracciglia, prima di rallentare e fermarsi. Guardai in basso: eravamo ancora più alti di prima, stavolta le case erano difficile da riconoscere e si vedevano soprattutto campi verdi e boschi. Ma la vista che più mi impressionò fu quella del mare: quella distesa blu mi sconcertò non poco.

- Aveva per caso un casco blu? - mi chiese poi

- No, o almeno non mi pare...era grigio -

- Mhm...- Sinatra a questo punto si accese una sigaretta – probabilmente è qualcuna che si è persa...un po’ come te adesso -

- Eh? -

- Una ragazza che è arrivata qui da poco ed è ancora un po’ confusa -

- Ma perché mi è sembrata catatonica? Nel senso, ho avuto l’impressione che non mi avesse nemmeno visto. Mi ha superato senza neanche guardarmi. -

Si voltò verso di me. - Questo però prima non me lo hai detto -

- Mi è venuto in mente ora. - Feci una pausa. - E’ importante? -

- Assolutamente sì -

Feci un’altra pausa, fissandolo. - Come fai ad avere cento due anni? -

Sorrise e mi diede una pacca sulla spalla. - Oh, finalmente me lo hai chiesto! Cominci a svegliarti, allora! Bene, bene. Io vengo dal 1961, Alessandro. Ricordi come ti ho detto che sono arrivato fin qua su? Era il 1961, no? Bene, sono rimasto lo stesso da allora. Stessi vestiti, stessa auto e stesso fisico. Non sono invecchiato per nulla, sono ancora un uomo vicino alla cinquantina. Non so come questo sia possibile, dal momento che me lo chiederai. Ci sono delle regole qua su e non tutte le conosco, ma questa sì: il tempo qui non scorre. -

Mi diedi il tempo di immagazzinare quelle informazioni prima di fare altre domande.

- Come facciamo a non cadere? E perché prima mi hai detto che non è sicuro parlare nel punto in cui ci siamo incontrati? -

- Risposta alla prima domanda: non lo so. Non so come sia possibile che non precipitiamo nel vuoto, so solo che non accade. Risposta alla seconda domanda: perché eravamo troppo bassi. A soli cento metri da terra il “pavimento” (così lo chiamiamo noi, anche se invisibile) è molto fragile, bisogna salire per trovarlo più compatto. Il motivo di tutto questo? Indovina un po’: non lo so. Conosco molte regole, ma non le loro motivazioni -

- Tu prima hai detto che nel 1961 stavi andando al mare quando...insomma...quando ti è capitato quel “fatto”...-

- Esatto, sì -

- E mi hai anche detto che sei rimasto tale e quale a come eri allora...-

- Giusto, sì. -

Stavo cercando di ragionare, di mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. - E allora perché sei in giacca e cravatta? Andavi al mare vestito così? -

Mi guardò con uno strano sorrisetto sulla faccia, per poi rilasciare tutto il fumo della sigaretta.

- Ottima osservazione – commentò – infatti mi sono espresso male: stavo tornando a casa da lavoro per poi andare al mare -

- Ah...e che lavoro fai? -

- Facevi – mi corresse – devi usare il tempo passato, ormai. Comunque, ero un avvocato -

- Capisco...-

Sinatra spense la sigaretta e indossò un cappello nero di feltro che prese da qualche parte dietro il suo sedile.

- Come mai non sei più tornato indietro? Voglio dire: perché non te ne torni a casa, invece di restare qui? Se non sbaglio sono più di cinquant’anni che sei qua... - chiesi

- E’ esatto. Non me ne torno perché non ho nessuno: nessuna moglie, nessun parente, nessun amico...nessuno. Sto meglio qua che sulla terra. -

Lo guardai dubbioso. - Siamo...morti? -

Scoppiò in una grossa risata. - Morti? No! Assolutamente no! Non è il paradiso questo, se è quello che cerchi di dire -

- E allora come fai a non invecchiare mai? Sei...- esitai a finire la frase – sei...immortale? -

- Te l’ho detto: non conosco il motivo. Per quanto riguarda l’immortalità...beh, so solo che da quando sono qua non mi sono mai sentito male. Certo, ho qualche acciacco alla schiena, ma quello lo avevo anche sulla terra. Quindi...beh, non saprei che dirti. Sì, può darsi che non morirò mai -

- Come faccio a tornarmene indietro? Intendo, sulla terra -

- Quello è importante che tu lo faccia presto, in effetti -

- Che intendi dire? -

Si sistemò meglio sul sedile. - Ricordi quando parlavamo di quella ragazza, prima? Quella che hai incrociato sul motorino? Bene, sei fortunato a non essere finito come lei. Hai detto che ti è sembrata catatonica, no? E’ una reazione che hanno molti quando finiscono qui per la prima volta, sei fortunato che non ti sia capitato lo stesso -

- E perché non mi è successo? -

Mi guardò sorridendo.

- Ah, ho capito – dissi – non lo sai -

- Esatto. Non lo so. Come ti ho già detto prima: “succede e basta”. Non ha senso chiedersi il motivo. -

Annuii. - Comunque, come posso tornare giù? -

- E’ molto semplice: basta inclinare leggermente verso il basso il tuo motorino. E’ molto facile, ricorda che stai volando e non guidando -

- Perché hai detto che è importante che lo faccia presto? -

- Perché è la verità: più tempo starai qui e più difficile ti sarà tornare indietro. E’ un’altra regola -

- Cosa significa che mi sarà più difficile tornare indietro? -

- Esattamente quello che ti ho detto. C’ è come una forza qua su...- si guardò intorno, con espressione dubbiosa - ...qualcosa che non vuole che torniamo giù, non so cosa sia. Più presto te ne andrai e meno resistenza incontrerai -

Anche io, seguendo il suo esempio, mi ero guardato intorno. Non avevo visto altro che cielo azzurro e qualche nuvoletta in lontananza.

- Cosa dovrei fare una volta tornato sulla terra? - chiesi

- Assolutamente niente – rispose con improvvisa fermezza, guardandomi direttamente negli occhi – non devi fare niente -

- Perché? -

- Fidati, è meglio così. Continua a vivere la tua vita. Non fare domande, non fare niente -

- Non capisco...-

Sinatra sospirò, accendendosi un’altra sigaretta. - Te l’ho già detto: c’è come una forza...una forza contraria che non vuole che approfondiamo il senso della nostra esperienza...non so cosa sia ma la percepisco...la percepiamo tutti -

- “Tutti”? Quante sono le persone come noi, che volano nei cieli? -

Rise. - Migliaia, immagino. Tu hai visto solo una minima parte di questo mondo. -

Questa volta fui io a sospirare. - Okay, voglio andarmene di qui -

- Ottimo – Sinatra batté le mani – prima lo fai, meglio è. -

  
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