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Autore: dreamlikeview    19/08/2017    3 recensioni
Dean, a quattro anni, assiste all'omicidio di sua madre. Nel corso degli anni inizierà a sentire il peso di quello che ha vissuto, a sentirsi in colpa per qualunque cosa negativa accaduta alla sua famiglia e molto altro.
Dopo molti anni di solitudine e vita travagliata, un ragazzo impacciato e un po' nerd, Castiel, porterà un po' di luce nella sua vita. Riuscirà ad essere felice?
[Destiel, Human!AU, nerd!Cas, long-fic]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
Capitoli:
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DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro. 
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC.
PPS. Questo capitolo è più lungo rispetto agli altri perché non sapevo come dividerlo. Enjoy!


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6 anni dopo, 2009.
Without you, I feel torn.
Like a sail in a storm.
 
Da quel pomeriggio infernale erano passati sei anni, sei lunghi anni, in cui Dean aveva cercato di combattere contro i suoi demoni, e cercare di sconfiggere quel senso di impotenza che aveva avvertito quando aveva affrontato John. Il senso di colpa per aver lasciato che suo fratello guardasse quella scena ingiustificabile lo perseguitava, ma Sam sembrava non esserne stato poi tanto traumatizzato. Era stato difficile raccontare tutta la storia a Sam, era stato difficile confessare di avergli mentito per il suo bene. I ricordi, nel racconto, emergevano con violenza, giungevano alla sua mente e più parlava, più si rendeva conto di quanto fosse stato codardo quella sera, sedici anni prima. Raccontò del litigio, del fatto che avesse scambiato il whisky con del tea alla pesca, di averli visti abbracciarsi ed essere corso in camera. Raccontò dei tonfi, delle urla e di aver visto la mamma per terra, con del sangue che le usciva dalla testa – e difficilmente avrebbe tolto quell’immagine dalla sua mente – Sam lo guardava allibito, forse spaventato, e quando Dean arrivò alla fine del racconto, quando la mamma gli aveva chiesto di prendersi sempre cura di Sam e lui aveva promesso, il minore lo guardò con gli occhi spalancati e l’aria davvero persa. Infine, raccontò dei poliziotti, degli assistenti sociali e della prima notte a casa di Bobby, quando lo aveva stretto forte, mentre piangeva, fino a che non si era addormentato. Raccontò di essere rimasto sveglio a vegliare su di lui, fino a che le forze non gli erano mancate. Raccontò tutto, si sentì svuotato, triste e per niente sollevato, ma si sentì leggermente meglio quando Sam lo abbracciò ringraziandolo per essersi sempre impegnato a mantenere quella promessa. Da quella sera erano passati sei anni, e tutto sembrava andare bene. Dean, adesso, studiava ingegneria meccanica al college – perché Bobby lo aveva quasi costretto e non ti farò buttare la tua vita, quando puoi studiare, capra e quando Dean aveva obiettato dicendo che Sam era quello che meritava il college, il padre adottivo lo aveva abbracciato e l’aveva rassicurato, anche Sam sarebbe andato al college – ma viveva a casa, frequentava il campus solo per le lezioni, preferiva così, in fondo gli piaceva guidare e, da quando Bobby gli aveva ceduto una delle auto della rimessa, una bellissima Impala che lui stesso aveva messo a nuovo con l’aiuto del padre adottivo, era automunito, quindi non aveva problemi per gli spostamenti. Era sereno, era un ventenne in salute, e anche se aveva un oscuro passato alle sue spalle, poteva dire di stare abbastanza bene, anche se a volte, il dubbio che potesse essere un errore, lo tormentava ancora. Ciò che importava davvero era suo fratello Sam. Era cresciuto tanto, ormai aveva sedici anni, e i classici problemi degli adolescenti, o almeno così credeva Dean; lo vedeva davvero molto giù di morale, per non dire triste. E no, si era battuto tutta la vita per non vederlo in quello stato, si chiedeva se fosse il trauma, ma non sembrava così, non aveva mai parlato di quel che era accaduto quel giorno. Non avrebbe mai voluto vederlo soffrire, e aveva cercato più volte di parlargli, di capire cosa non andasse, e il perché fosse così triste, ma Sam ogni volta lo respingeva, gli diceva di farsi gli affari propri, che era solo la scuola molto pesante e lui era molto stanco, lo liquidava sempre con queste frasi, ma Dean sapeva cosa significasse tenersi tutto dentro, era ciò che aveva fatto lui, continuamente, fin da quando John gli aveva fatto del male. E fino a che non ne aveva parlato, e quell’uomo era stato sbattuto di nuovo in prigione per il resto dei suoi giorni, aveva vissuto un vero e proprio inferno, e non voleva che suo fratello vivesse lo stesso inferno. Dean sapeva di non meritare la felicità, ma Sam – santo cielo – Sam doveva essere felice, doveva vivere bene la sua vita e non deprimersi. Dean avrebbe sempre fatto di tutto per renderlo possibile, per questo non riusciva a farsi una ragione che lui non volesse parlare dei suoi problemi, e che si chiudesse in se stesso. Bobby gli diceva che probabilmente era l’età – era un adolescente dopotutto e studiava al liceo – ma Dean sapeva che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato, insomma, Sam era sempre lo stesso ragazzino che sei anni prima aveva fondato il club dei piccoli chimici in garage e voleva far credere al maggiore che per lui la scuola fosse difficile?
Era maledettamente preoccupato per lui, e non lo nascondeva, solo che il fratellino evitava il maggiore di proposito, e Dean avrebbe davvero voluto essere più forte per poterlo sostenere in quel momento. Sam non stava bene, e dopo i primi mesi dall’inizio della scuola, Sam era al secondo anno, anche Bobby iniziò a sospettarlo, perché Sam rientrava sempre con l’umore nero; si vedeva il suo malessere, ma si ostinava a non parlarne, e Dean aveva fin troppa poca pazienza per non intervenire anche in modo abbastanza rude, a volte. Non sapeva come aiutarlo a stare bene, ed era colpa sua. Non era un buon fratello maggiore, non riusciva a far aprire suo fratello con sé e non riusciva ad aiutarlo. In testa, spesso gli risuonavano le parole di John, ma cercava di evitarle – non era riuscito a salvare sua madre, come avrebbe potuto farlo con suo fratello? – tuttavia Sam gli aveva sempre detto tutto negli anni precedenti, come quella volta in cui – a tredici anni – si era preso una cotta per una bambina della sua classe, e Dean gli aveva organizzato un piccolo appuntamento nel salotto di casa: cartoni animati – anche se Sam si era lamentato perché a lui proprio non piacevano – tea al limone e dolcetti. Sam era stato così felice che aveva sorriso per tre giorni di seguito. Aveva chiesto aiuto quella volta, a otto anni, quando un bambino più grande gli aveva rubato il suo quaderno preferito; così il maggiore era andato a scuola di Sam, aveva cercato il malvagio bambino e lo aveva bonariamente minacciato – perché tu sei quello grande, Dee – aveva detto il minore, e lui non aveva potuto far altro che sorridere felice. E Dean, davvero, sapeva che non fossero quelle stronzate ad assillare suo fratello, perché lo conosceva. Voleva aiutarlo come in passato, ma non sapeva come, non poteva fare nulla se lui non si apriva, perché, al momento, brancolava nel buio. Spesso durante la notte lo sentiva piangere, del resto condividevano ancora la stanza, scivolava fuori dal letto e lo abbracciava forte – esattamente come quando erano piccoli – ma Sam lo scacciava in malo modo, lo respingeva, si alzava in gran fretta, gli urlava contro di lasciarlo in pace, che non aveva bisogno di lui e correva nel bagno, chiudendosi dentro con la chiave e continuava a piangere. Dean moriva dentro ogni volta che udiva quel pianto. Avrebbe solo voluto fermarlo, ma si sentiva impotente. Non poteva fare niente.
Perché non poteva mai fare niente per le persone che amava? Perché era così un fallimento? Sam aveva dei problemi, perché non ne parlava con lui? Era certo che insieme avrebbero superato anche questa difficoltà, se solo il minore si fosse sfogato con il più grande. Chi era a farlo soffrire così?
Quando, un giorno, Sam tornò a casa con uno zigomo livido e gli occhi gonfi dal pianto e Dean lo vide, iniziò a capire cosa accadesse, così decise di prendere la situazione in mano e di agire da bravo fratello maggiore qual era. Avrebbe pestato a sangue chiunque avesse osato alzare un solo dito sul più piccolo. Era una promessa che aveva fatto a sua mamma, proteggere Sam era stato l’ultimo desiderio della donna, e Dean avrebbe fatto di tutto per mantenere fede alla parola data.
Un paio di giorni dopo aver visto suo fratello tornare con lo zigomo gonfio, Dean decise che, dopo le lezioni del mattino, sarebbe andato a prendere Sam a scuola per tornare a casa insieme, magari a Sam faceva anche piacere evitare l’autobus per una volta. Era preoccupato e ansioso e non sapeva cosa aspettarsi da ciò che avrebbe scoperto, mentre guidava e stringeva i pugni sul volante dell’auto, sentiva i palmi sudare per il nervosismo, davvero, chiunque fosse a far del male a suo fratello, avrebbe vissuto il quarto d’ora peggiore della sua vita, e non solo. Quando arrivò fuori dalla scuola superiore di Lawrence, la stessa che aveva frequentato lui, attese qualche minuto. Gli studenti già uscivano dalle classi, e si riversavano nel cortile della scuola felici di essere liberi da quel luogo infernale. Dean scrutava ognuno per scorgere il suo fratellino. Poi lo vide, avanzava lentamente, con i libri stretti al petto, gli occhiali leggermente storti – aveva iniziato a portarli da poco – e dopo poco si rese conto di quanto fosse raccapricciante la scena a cui stava assistendo. Suo fratello stava uscendo da scuola con due ragazzi più grandi dietro di lui, intenti a ridere di lui e a spintonarlo. Sam non reagiva, ma stringeva i libri al petto, aveva gli occhi pieni di lacrime e cercava di avanzare più veloce di loro. Il minore non poteva subire tutto ciò, non era giusto. Già quello sarebbe bastato a fare scattare il maggiore dei Winchester, poi però, le cose peggiorarono davanti ai suoi occhi, nell’esatto momento in cui uno dei due lo spinse più forte, gli fece perdere l’equilibrio, e Sam cadde rovinosamente per terra, tutti i suoi libri si sparsero al suolo e perse anche gli occhiali nella caduta. In quel preciso istante Dean perse il controllo, uscì dall’auto come una furia e raggiunse i ragazzi e suo fratello in pochissimi istanti. «Ehi, stronzi!» urlò ai due raggiungendoli. Sam impallidì notando che il fratello fosse lì e soprattutto che avesse visto ogni cosa.
Dean gli porse una mano e lo aiutò ad alzarsi da terra, poi gli raccolse gli occhiali e sibilò un adesso ci penso io. Subito dopo si voltò verso i due ragazzi e li guardò in cagnesco. Non voleva essere violento, non voleva imitare quel bastardo di John, ma non poteva permettere che due stronzi distruggessero Sam, aveva davvero intenzione di parlare, ma quelli ridevano ancora, ridevano di Sam e Dean, arrabbiato come mai, perse completamente la lucidità mentale, afferrò uno dei due per il colletto della maglietta e lo avvicinò a sé, minacciosamente.
«Non avvicinatevi mai più a lui, chiaro?» domandò furioso. Quello non smise di ridere, per niente intimorito.
«Chi è questo? Il tuo fidanzatino, Sam?» chiese lo stronzo numero uno, quello che Dean teneva ancora per la maglietta, il ragazzo gli tirò un pugno nello stomaco lasciandolo andare, il bullo si piegò su se stesso e tossì.
«Sono suo fratello e tu devi lasciarlo in pace» disse di nuovo, la voce intrisa di rabbia e risentimento. L’altro ragazzo sbiancò, non disse niente, ma Dean sottolineò il concetto tirando un pugno ben assestato anche a lui. Sam, in piedi dietro il fratello, lo guardava terrorizzato, e cercava a bassa voce di farlo smettere, era terrificante, assomigliava a John, e nella mente di Sam ritornarono le immagini di quella giornata, in cui aveva visto John picchiare Dean.
«Dean, basta…» mormorava, ma Dean non lo ascoltava, aveva davvero voglia di picchiarli ancora. «Ti prego, Dean» disse dopo che il maggiore ebbe colpito ancora una volta i ragazzi. La sua voce intrisa di paura spinse l’altro a fermarsi all’istante, perché si rese conto di aver fatto vedere a Sam la parte di lui che detestava, quella che somigliava troppo a John, che cazzo sto facendo? Dean lasciò andare immediatamente i due ragazzi, sussurrò uno sparite che li fece tremare e scapparono con la coda tra le gambe, quasi singhiozzando. Dean cercò di riprendere il controllo di se stesso, e poi si voltò verso il minore, il suo volto era una maschera di terrore e rabbia. Lo aveva solo protetto, perché lo guardava così?
Il minore lo spinse via in maniera brusca e si incamminò cercando di mettere distanza tra sé e il maggiore che lo seguì immediatamente.
«Sammy!» lo fermò per un braccio «Quando cazzo mi avresti detto che sei vittima di bullismo?»
«Mai!» urlò Sam cercando di liberarsi il braccio, spingendo via di nuovo il fratello «So cavarmela da solo! Non ho bisogno di te che vieni qua e mi salvi il culo!» urlò ancora. Dean non lo aveva mai visto in quel modo, e si sentì in colpa. Aveva cercato di proteggerlo, no? «Adesso lo sai che diranno? Che Sam Winchester non sa difendersi e chiama il fratello maggiore! Grazie tante, Dean, ne avevo proprio bisogno!» commentò, ad alta voce, sarcasticamente. Dean non capiva il perché della sua reazione, aveva cercato di fare qualcosa per lui, mica per se stesso.
«Sì, te la cavi così bene che stai male! Dannazione, Sammy!» esclamò Dean. Perché Sam si stava chiudendo con lui?
«Non ho bisogno di te che vieni a prendere a pugni la gente, okay?!» domandò furioso «Sei uguale a quello lì!» urlò ancora. Dean cercò di incassare il colpo al meglio, ma ogni cosa si stava pian piano sgretolando davanti a sé. No, lui non era come John, non era minimamente come John, lui non era un assassino, perché Sam gli dava dell’assassino?
«Ti stavano picchiando, Sam! Non potevo permetterlo! Dovevo proteggerti!» esclamò. Come poteva lasciarlo in difficoltà? Aveva fatto una cazzo di promessa a sua madre, non poteva evitare di mantenerla.
«Non sono affari tuoi!»
«Lo sono, sono tuo fratello!»
«Non ho chiesto io di avere te come fratello!» urlò a perdifiato «Ti odio!» crack, Dean sentì il cuore spezzarsi nel petto, Sam non era mai stato tanto arrabbiato con lui, e quello che Dean leggeva nei suoi occhi puro disprezzo, lo stesso che lui stesso provava per se stesso, il medesimo che lui provava per John. «Lasciami in pace, non ho bisogno di te!» urlò ancora «Sparisci, Dean!» urlò allontanandosi da lui, dirigendosi alla fermata dell’autobus. Dean si chiese cosa avesse sbagliato con Sam, mentre rientrava in auto e metteva in moto, guidando verso qualche luogo imprecisato. In realtà, il luogo lo conosceva bene; qualche minuto dopo, si fermò fuori al cimitero. Restò diverse ore sulla tomba di sua madre, scusandosi con lei per essere stato un pessimo figlio, ed essere un pessimo fratello. Forse avrebbe dovuto dire a Sam che temeva di perderlo, come aveva perso lei. Si guardò le mani, aveva i pugni ancora stretti e arrossati. Santo cielo, si era comportato esattamente come John, era ovvio che Sam lo odiasse. Mi dispiace, mamma – pensò, sospirando pesantemente – non voglio essere come lui, ti prego, aiutami a non essere come lui – la pregava, in silenzio. Restò lì per quelle che parvero ore, poi Bobby gli inviò un messaggio dicendogli di tornare, che lui e Sam avevano bisogno di chiarire. Dean baciò la foto della madre, pregandola di dargli la forza, di affrontare suo fratello dopo la stronzata che aveva fatto; era una motivazione valida il fatto che avesse visto suo fratello in pericolo? Iniziava ad avere dubbi.
Al suo ritorno, Dean più calmo si avvicinò al fratello, che era ancora arrabbiato con lui – come dargli torto – si scusò per il suo orribile comportamento, ma non si pentiva di averlo difeso, perché Sam non meritava di soffrire. Dean, con la dolcezza che riservava solo a lui, con giusto un po’ d’ansia in corpo, prese una profonda boccata d’aria e poi iniziò a parlare, era difficile parlare dei propri sentimenti, soprattutto con il proprio fratello sedicenne, ma era necessario.
«Ti ho parlato di quando è morta la mamma, no?» Sam annuì «Le ho promesso che ti avrei protetto, sempre» Sam annuì ancora «Ho paura di perdere te, come ho perso lei quella notte, per questo a volte mi comporto da stupido» spiegò, sospirando pesantemente «Mi dispiace, se oggi ho fatto quello che ho fatto… è stato solo per proteggerti. Non posso perderti, sei mio fratello». Sam annuì di nuovo, senza rispondere e lo abbracciò. Si chiarirono, ma Dean sapeva di dover stare all’erta, perché la questione era lontano dall’essere risolta una volta per tutte.
Infatti, le cose precipitarono in fretta.
Dopo la comparsa di Dean a scuola, le cose per Sam non migliorarono, anzi, forse peggiorarono solo, come preannunciato dal minore. Dean si sentiva davvero in colpa per aver causato una cosa del genere al fratello, avrebbe solo voluto proteggerlo e invece aveva peggiorato le cose, come al solito la colpa era sua.
Sam detestava Dean, gli aveva reso la vita un inferno, chiunque lo vedeva lo derideva come cocco del fratellone o come codardo. E per lui era davvero troppo, suo fratello aveva giurato che avrebbe fatto di tutto per proteggerlo e invece lo aveva messo solo di più nei guai. Era colpa di Dean se adesso soffriva così tanto. E non tardò a dirglielo: una sera, dopo cena, Bobby gli chiese cosa avesse all’occhio sinistro – un ragazzo della sua classe di letteratura gli aveva lanciato una penna che aveva sfiorato l’occhio – e Sam guardò Dean con disprezzo.
«Chiedilo a Dean» rispose «È colpa sua» la sua voce era intrisa di rabbia, e non passò inosservata a nessun presente.
«Dean?» domandò l’uomo, guardando l’altro. Il ragazzo si morse le labbra e scosse la testa, stringendo forte la forchetta tra le mani. Jody li guardava preoccupata, perché non aveva mai sentito tanta tensione tra i due fratelli, di solito erano molto affiatati.
«Io non ho fatto niente» disse sulla difensiva, capiva Sam a cosa si riferisse, lo guardava con disprezzo e aveva ragione.
«Non hai fatto niente?» domandò sarcasticamente «Ma se sei venuto un paio di settimane fa ad annunciare che fossi mio fratello maggiore! E che dovessero lasciarmi in pace!» esclamò arrabbiato «Indovina? Non l’hanno fatto! Anzi! È tutto peggiorato! Per colpa tua, stronzo! È colpa tua!» esclamò a voce alta, Dean accusò il colpo. Non avrebbe mai voluto far soffrire il fratello, e invece lo aveva fatto, aveva fatto del male a Sam.
«Sammy, io…» cercò di dire, ma Sam si alzò di scatto e lo interruppe.
«No! Non ti ascolto, mi hai peggiorato le cose! Andava bene, avevano detto che se gli avessi fatto tutti i compiti mi avrebbero lasciato in pace, invece per colpa tua, non lo faranno! E perché? Perché mio fratello è una testa di cazzo che viene a rompermi le scatole a scuola! Grazie tante, Dean!»
Prima che Bobby potesse dirgli di calmarsi, che non era il caso di parlare in quel modo con il fratello, Sam si era già alzato da tavola ed era corso di sopra. Dean si alzò immediatamente dopo di lui, lo seguì urlandogli Sam, aspetta! - ma Sam non si fermò non aspettò e corse nel bagno, chiudendosi dentro.
«Sam per favore! Mi dispiace!» urlò il maggiore contro la porta del bagno.
«La mia vita è un disastro!» singhiozzò il più piccolo dei Winchester «Non potevi farti gli affari tuoi?!»
«Mi dispiace, davvero! Non credevo di creare tutto ciò! Volevo proteggerti, Sammy!»
«E invece non lo hai fatto, non lo fai mai!»  urlò ancora «È tutta colpa tua, ti odio!»
Dean, pur sentendo un dolore atroce al petto a causa delle parole del fratello, cercava di scusarsi con lui, di fargli capire quanto gli dispiacesse, sapeva che avrebbe dovuto fare di più, fare di meglio, sì era solo un fallimento, uno stupido fratello maggiore che non sapeva mantenere una promessa. Era un inetto, non meritava niente. Era la storia della sua vita, falliva sempre quando cercava di fare qualcosa; non doveva accadere una cosa del genere a Sam, una volta intuito come stavano le cose, avrebbe dovuto parlare con Bobby, chiedergli di far cambiare scuola al fratello, mandarlo in una dove fosse stato al sicuro, forse avrebbe dovuto parlare con quei ragazzi, non picchiarli. Aveva aizzato tutti contro Sam e se ne pentiva. Aveva sbagliato, e Sam ne stava pagando le conseguenze, avrebbe dovuto farlo lui.
Sentì dal bagno dei rumori raccapriccianti. Sam stava rompendo qualcosa.
«Sammy! Sammy, aprimi!» urlò Dean, battendo i pugni sulla porta, ma Sam non apriva. Sam stava cercando gli antidolorifici di Jody, quelli che teneva nel mobile del bagno, sopra al lavandino. Non voleva più vivere, non voleva in quel modo, non in una famiglia in cui suo fratello picchiava gente per una promessa fatta alla madre morta, e il suo padre biologico era un assassino. Sam buttò giù un paio di pillole, ma non fecero effetto, così ne prese altre, e ancora altre, fino a che non finì tutto il flaconcino e perse i sensi.
Quando Dean riuscì a forzare la porta del bagno, suo fratello giaceva privo di coscienza sul pavimento del bagno, il flacone delle pillole vuoto nel palmo della sua mano e il mondo di Dean, crollò di nuovo.
Ho ucciso Sammy, perdonami mamma.
I secondi passarono inesorabilmente lenti, e gli ci volle qualche istante per chiamare Bobby, e dirgli di Sam. Lui non riusciva a pensare, non riusciva a muoversi, era completamente paralizzato, il terrore di aver perso suo fratello gli passò davanti agli occhi e dovette reggersi al muro dietro di sé per non cadere a terra svenuto. Il padre adottivo arrivò in pochissimo tempo anche lui spalancò gli occhi: Dean non riusciva a dire altro se non: ho ucciso mio fratello, ho ucciso mio fratello… immediatamente Bobby gli mise due dita in gola, per farlo vomitare. Riuscì a fargli rigettare una parte delle pillole. Jody, accorsa anche lei, chiamò immediatamente l’ambulanza, mentre Dean si lasciava scivolare contro il muro. Sam era vivo, ma non per merito suo, lui l’aveva quasi ucciso. L’ambulanza arrivò in pochi minuti, Bobby controllava che Sam non svenisse di nuovo, ma era debole e Dean non riuscì a guardare mentre i paramedici arrivavano, lo caricavano su una barella e lo portavano via. Dannazione, cosa aveva fatto? Come era successa una cosa simile? Quando era diventato il fratello più inetto della storia? Non si sarebbe mai perdonato il gesto disperato che il fratello aveva compiuto, lo avrebbe avuto per tutta la vita sulla coscienza, ne era certo; così come la morte di sua madre, adesso anche il tentativo di suicidio del fratello, era una sua colpa, una sua responsabilità.
Jody era salita in ambulanza con lui, mentre Dean e Bobby li avevano raggiunti in ospedale con l’auto. Man mano che avanzavano, il ragazzo sentiva su di sé il peso dell’azione del fratello, nonostante il padre adottivo gli ripetesse che non fosse così, non era affatto colpa sua, Sam stava male già da molto.
«Se non avessi fatto lo spaccone come lui…» mormorò Dean, alludendo a John «Sammy starebbe bene».
«No, Dean» ribatté l’uomo che guidava «Tu non c’entri nulla, Sam stava male, lo hai visto» gli disse calmo, guardandolo con la coda dell’occhio, mentre si torturava i pollici «Se c’è qualcuno a cui dare la colpa sono io. Ho lasciato che soffrisse e non mi sono accorto prima dei sintomi» spiegò. Dean spalancò gli occhi e scosse energicamente la testa. Come poteva pensare, Bobby, che fosse colpa sua?
«No, non dire stronzate» rispose il biondo deglutendo «Tu hai già fatto tanto per noi».
«Sono vostro padre, Dean, io ho promesso di prendermi cura di voi. Sono responsabile della vostra salute. Non tu» lo rimproverò scuotendo la testa «Andrà tutto bene, ragazzo. Te lo prometto».
«Già» mormorò appoggiando la testa al finestrino dell’auto. Come no, aveva sentito quella frase così tante volte, che ormai era solo un fastidioso ronzio. Nella sua vita, niente andava mai nel verso giusto, mai.
Il discorso fu lasciato cadere, Bobby non voleva turbare Dean ancor di più e il ragazzo non voleva che l’uomo continuasse ad accusarsi inutilmente, sapeva che la colpa fosse esclusivamente sua, che non aveva saputo prendersi cura di Sam. Aveva fallito, e ancora implorava mentalmente la madre di perdonarlo per non esserci riuscito.
Quando arrivarono in ospedale, si precipitarono da un medico, che comunicò loro le condizioni di Sam. Erano stabili, aveva subito una lavanda gastrica per eliminare i residui di pillole ed era sedato affinché riposasse. Uno dei dottori insistette per fargli vedere uno psicologo, perché evidentemente c’era qualcosa che non andava nel ragazzo; se aveva tentato il suicidio una volta, era molto probabile che se non avesse affrontato i demoni che aveva dentro, non ne sarebbe mai uscito e prima o poi avrebbe ricompiuto un gesto simile. Dean chiese se potesse vedere il fratello, il medico acconsentì, perché vide della sincera preoccupazione sul volto del giovane e gli indicò la stanza dov’era ricoverato. Dean corse immediatamente dal minore e gli afferrò la mano, con delicatezza, senza svegliarlo.
«Mi dispiace, Sammy» sussurrò piano, aveva bisogno di dirgli quelle cose «So che mi odi, e so che vorresti avere qualcun altro come fratello» gli disse ancora «Ti starò lontano, fratellino, te lo prometto» mormorò, sentiva gli occhi pungere, ma non avrebbe mai pianto, lui era un uomo, dopotutto «Ti voglio bene, okay? Guarirai, e ti cambieranno scuola… andrai dove potrai essere felice» disse ancora, a bassa voce per non svegliare il minore «Mi dispiace così tanto averti rovinato la vita, spero che un giorno tu potrai perdonarmi» concluse, lasciandogli un delicato bacio sulla fronte, come faceva quando Sam era piccolo, si sbucciava il ginocchio cadendo dalla bici e lui gli metteva un cerotto. Avrebbe voluto che fosse tutto facile come allora, quando l’oscurità non aveva ancora fatto breccia nelle loro vite non così completamente almeno, ma non poteva essere di certo così.
Dean si alzò, sopraffatto ed uscì dalla stanza d’ospedale del fratello, salutò Bobby e Jody, dicendo loro che aveva bisogno di stare un po’ da solo e tornò a casa, preparò una borsa rapidamente ed entrò nella sua auto, guidando senza una meta, non poteva restare lì a rovinare ancora la vita di suo fratello e della sua famiglia, non lo meritavano. Si ritrovò fuori ad un bar appena fuori città e decise di affogare la sua disperazione lì. Restò lì tutta la serata, bevendo fino a dimenticare anche il suo nome – nessuno in quel bar si era preoccupato di chiedergli i documenti e lui non aveva intenzione di dire di avere ancora vent’anni – e solo quando fu abbastanza ubriaco, riuscì a dimenticare il dolore e il senso di colpa. Forse quella sera la strada giusta da percorrere per espiare le sue colpe.
Nei giorni seguenti, Dean non tornò a casa, si presentò giusto qualche volta, per aiutare Sam a guarire, ma sapeva che la sua presenza non lo avrebbe aiutato granché; il litigio con Sam, prima che si chiudesse nel bagno, ingoiasse tutte quelle pillole, fino quasi ad uccidersi, si ripeteva nella mente di Dean come in loop, Sam glielo aveva detto chiaramente  è colpa tua, Dean, tutta colpa tua, e lui sapeva che avesse totalmente ragione. E dal tentativo di suicidio di Sam, erano passati circa sei mesi. Il ragazzo era in cura da uno psicologo che lo stava aiutando, Bobby gli aveva cambiato seduta stante scuola e Sam sembrava stare meglio.
I sensi di colpa, il dolore represso e forse anche alcuni conti in sospeso con il passato, lo avevano spinto in un tunnel dal quale sapeva che non sarebbe uscito facilmente. Era entrato in un giro clandestino di corse con le auto, beveva molto e a volte faceva anche uso di droghe, per non pensare, diceva. Solo quando correva con l’auto, beveva o si drogava, riusciva a smettere di pensare e di darsi la colpa, e quando vinceva c’era sempre il coglione di turno che aveva perso e dava inizio ad una rissa, a cui lui partecipava volentieri. Il dolore fisico che provava, quando veniva colpito, era niente paragonato al senso di colpa che lo affliggeva per ciò che era capitato al fratellino. Santo cielo, aveva peggiorato la sua situazione a scuola, con il suo atteggiamento, aveva fatto in modo che quei bulli lo tormentassero di più, aveva acceso i riflettori su di lui, perché aveva cercato di proteggerlo e aveva fallito. Ogni giorno chiedeva scusa alla madre per non averlo saputo proteggere, ogni giorno si incolpava perché non era stato un buon fratello maggiore. Le sue mani erano sporche del tentato suicidio di Sam.
Ad ogni rissa, assorbiva ogni pugno, ogni calcio, ogni insulto e li registrava come punizione per non essere stato un bravo fratello, Dean non meritava nessuno nella sua vita, non meritava di essere felice, a causa di tutti gli errori che stava compiendo, fin da quella notte del 1993. Invece, Sam meritava la felicità, lui non era colpevole in alcun modo, era stato vittima degli eventi, e si era ritrovato nel mezzo di tutto l’orrore che avevano vissuto. Le sue nottate brave, fatte di corse, alcool, droga e risse, però erano solo un palliativo, un mero espediente per evitare di pensare, perché se si fosse fermato a pensare, beh, le cose sarebbero andate decisamente peggio «Non ti vergogni?» gli chiedeva una voce nella sua testa, somigliante in modo impressionante a quella di John «Tuo fratello ha rischiato di morire, per colpa tua» gli diceva duramente. Durante le risse, Dean sperava che un giorno uno di quei pugni potesse essergli fatale, così da smettere di infastidire con la sua presenza la sua famiglia. Gli sarebbe bastato anche morire per overdose o soffocato nel suo vomito, sul serio. Aveva solo 20 anni e stava già perdendo ogni speranza di un futuro migliore, del resto ogni volta che l’aveva avuta, la sua vita era precipitata in un baratro senza via d’uscita.
I suoi errori si riversavano sulle persone che amava, e ogni cosa bella che aveva svaniva in un lampo di luce.
Si stava lasciando completamente andare, e per poter dimenticare ogni cosa, per sfuggire a quel dolore, a quelle colpe, a quel peso che portava sul cuore. Quando non  c’erano gare, guidava fino a qualche bettola puzzolente e, avendo l’età per bere, ingurgitava ettolitri di alcolici, senza darsi un freno, se era fortunato, passava anche la nottata con qualche bel ragazzo, e rientrava all’alba della mattina seguente, perché non aveva niente di meglio da fare. Non aveva uno scopo, non aveva un appiglio, sentiva solo lo sconforto prendere possesso di lui, e non vedeva nemmeno uno spiraglio di luce in quel mare di oscurità. Ma l’alcool e il sesso non sopprimevano tutto il male che sentiva dentro, non affievolivano nemmeno un po’ quel dolore che provava; non annullavano il senso di colpa, lo assopivano per un paio d’ore, ma poi questo tornava, più forte di prima. Dean ci aveva provato con tutte le sue forze, ma niente era riuscito a mandare via quel magone che provava all’altezza del cuore. Era tutto inutile, niente avrebbe potuto espiare le sue colpe.
Viveva con il suo migliore amico in un appartamento, del quale pagava la sua quota con gli incassi delle corse – perché Dean, sebbene distrutto, quasi sempre ubriaco o fatto, era bravo al volante – delle quali però non parlava, sapeva che Benny non avrebbe mai approvato quel genere di cose. Non aveva avuto il coraggio di tornare a casa sua, dopo il tentato suicidio di Sam. Poteva anche sparire dalla circolazione, a chi sarebbe importato? Sam, anche se non lo diceva più apertamente, lo reputava colpevole di avergli rovinato la vita a scuola, Bobby aveva solo il peso di un ragazzo che stava gettando al vento la sua vita. Che senso aveva continuare quella farsa? Che senso aveva continuare a vivere?
Dean sapeva che quella strada lo avrebbe portato all’autodistruzione, ma era l’unico modo per fermare il senso di colpa che cresceva dentro di lui, e più sentiva la colpa e il peso di ciò che era accaduto, più voleva correre, bere o drogarsi e dimenticare ogni cosa, ogni piccola colpa semplicemente svaniva con l’adrenalina che provava mentre correva, o veniva accantonata mentre beveva o faceva sesso. Ecco, erano le uniche cose che riuscivano a tirarlo fuori dal baratro in cui stava piombando. In pochi mesi era diventato un fenomeno delle corse clandestine, era un campione indiscusso e, anche per il fatto che partecipava alle risse, era forse uno dei più tosti che fossero lì presenti.  I suoi avversari potevano solo mangiare la sua polvere e questo li faceva imbestialire, ma Dean non diceva mai di no, ad una sana scazzottata con qualcuno, anche solo perché in quel modo, pensava di espiare ogni colpa che aveva, perché tutto era cominciato a causa sua; Dean sapeva che se quella notte avesse fatto qualcosa per fermare John, Mary sarebbe ancora viva, John allontanato dalla famiglia per sempre, e Sam non avrebbe mai tentato il suicidio. E invece, era stato lui a gettare la sua famiglia in quell’orrore, quando era rimasto paralizzato dietro lo stipite della porta, e poi era corso a letto, aspettando la mamma. Dentro di lui, quel bambino, la stava ancora aspettando, solo che non sarebbe mai arrivata.
Forse, Dean aveva bisogno d’aiuto, ma ancora non lo sapeva, aveva bisogno di soffrire così, per espiare i suoi peccati e le sue colpe.
Quando si rese conto che i pensieri negativi lo stavano sopraffacendo, decise di uscire di casa e prendere una boccata d’aria, erano ancora le sette di sera, non aveva alcuna corsa quella sera, ma sapeva che se fosse rimasto a casa ancora un attimo sarebbe impazzito. Si fermò in un negozio di liquori, acquistò una bottiglia di qualcosa di forte e guidò fino al cimitero. Stranamente, era l’unico posto in cui si sentiva meno un errore. Non ne sapeva il motivo, ma andare al cimitero gli metteva una strana calma interiore. Parcheggiò l’auto ed entrò in quel luogo tetro e poco accogliente, ma per lui calmante. Si diresse con passi lenti verso la parte che gli interessava, dove c’era la tomba di sua madre e raccolse un fiore da una pianta lì vicino e si sedette per terra, di fronte alla lapide di sua madre.
«Ciao mamma» disse a bassa voce «Non voglio disturbarti…» mormorò «Ma avevo bisogno di venire qui, perché mi sentivo oppresso a casa…» disse in un sussurro «Mi dispiace, mamma, ti prego, perdonami» mormorò, la voce leggermente incrinata «Mi dispiace non aver protetto te e Sam, io… mi odio» continuò, dire di se stesso cose del genere era davvero come ammettere di avere un problema, ma Dean lo classificò come insulto utile «So di essere un fallimento, non riesco ad essere diverso e mi dispiace, mi dispiace così tanto» disse ancora, aprendo la bottiglia d’alcool che aveva comprato. Ne bevve un lungo sorso e sentì la gola bruciare, santo cielo, doveva aver preso qualcosa di davvero forte, voleva dimenticare, voleva che tutto il dolore finisse «Vorrei poter rimediare… ma tu sei morta, e Sam… Sam è quasi morto per colpa mia… colpa mia, mamma…» non piangeva, ma dalla sua voce si poteva capire quanto fosse spezzato e distrutto, bevve ancora, svuotando mezza bottiglia «John mi diceva sempre che sono nato per errore, e penso che quel grandissimo figlio di puttana abbia ragione!» ormai l’alcool circolava veloce nelle sue vene e stava anche alzando la voce, mentre continuava a scolarsi la bottiglia, fino a che non la lanciò per terra, accasciandosi anche lui «Lui ti ha ucciso, ha gettato me e Sam nella merda ogni giorno e ha anche ragione, perché sono un codardo!»
Per sua fortuna, il cimitero a quell’ora era deserto, altrimenti qualcuno avrebbe chiamato la polizia per disturbo della quiete pubblica. Era completamente ubriaco, e continuava a sbraitare di essere solo un fallimento, una delusione per la sua famiglia, di essere lui stesso un assassino, quando qualcuno, forse il guardiano notturno, che aveva da poco iniziato il suo turno, lo trovò e gli intimò di andare via. Dean lo guardò male, lo insultò dandogli del figlio di puttana e poi se ne andò, arrancando sulle gambe. Non poteva tornare a casa, Benny lo avrebbe sicuramente assillato di domande a cui sapeva di non voler rispondere, o peggio, avrebbe chiamato la sua famiglia, per questo si ritrovò ad andare a piedi in un bar lì vicino. Entrò già ubriaco e chiese qualcosa da bere a un barista davvero carino. Ci provò spudoratamente con lui, fino a che, alla fine del turno del ragazzo, non si ritrovò nel bagno del bar, con la schiena schiacciata al muro e il ragazzo inginocchiato di fronte a lui. Non ricordava esattamente come fosse finita quella notte, ma la mattina dopo si risvegliò in una stanza non sua, con un post-it attaccato sulla fronte che diceva “è stato il miglior sesso della mia vita, richiamami” e riportava il numero del telefono di un ragazzo che si era firmato Jack. Dean si alzò borbottando per il mal di testa e si guardò intorno. Ovviamente, erano andati in uno stupido motel e avevano fatto sesso, anche se lui aveva vaghi ricordi di quello che era accaduto dopo essere stato cacciato dal cimitero. Si rivestì in fretta, accartocciò il biglietto e andò a riprendere la sua auto. Non voleva legami con nessuno, di nessun genere, non poteva permettersi di rovinare la vita a qualcun altro, era un’azione ingiusta e totalmente sbagliata.
Rientrò che erano le nove del mattino, l’amico lo guardò e provò a chiedergli dove fosse stato, ma Dean lo zittì con un gesto brusco e un po’ maleducato e se ne andò in camera sua, gettandosi a peso morto sul letto. Quando fu sicuro di essere solo in casa, si recò in cucina, per prepararsi un sandwich o qualsiasi cosa commestibile per poter fermare l’atroce fame che l’aveva colto. Aprì il frigo trovando del prosciutto e del formaggio, poi prese del pane dalla credenza e si farcì un panino, iniziando a mangiarlo lentamente, seduto davanti al tavolo della cucina, scrutando il vuoto. Decise che quella sera sarebbe uscito, avrebbe corso e dimenticato ogni dolore, quella sera, nel bene o nel male, tutto sarebbe finito per lui, non ne poteva più di soffrire così, non ne poteva più di avere quei sensi di colpa e non sopportava più nemmeno la voce irritante di John nella sua mente. Si odiava per quello che era, per ogni cosa e forse era meglio se quella sera, avesse messo fine alla sua insulsa esistenza. Sì, quella sera avrebbe rischiato più delle altre volte.
Quando uscì di casa, lasciò un post-it al coinquilino, dicendogli che sarebbe uscito e non sapeva a che ora sarebbe tornato, sapeva che molto probabilmente non sarebbe tornato affatto, la corsa che doveva affrontare era una delle più difficili, sarebbe stata sul versante di una montagna, fuori città, con delle curve da far spavento ai piloti professionisti e il rischio di andare fuori strada e precipitare nel vuoto era altissimo. Dean non aveva niente da perdere, per questo decise che sì, per lui andava più che bene quella corsa. Arrivò con un largo anticipo al luogo di ritrovo, intorno alle dieci di sera, la strada era già deserta e non v’era anima viva da quelle parti, a parte i suoi sfidanti.
Una delle ragazze al traguardo gli faceva gli occhi dolci, ma lui tendeva ad ignorarla, non gli interessava avere a che fare con lei o con altre persone. La corsa sarebbe iniziata a mezzanotte, Dean aveva il tempo di sistemare l’auto e bere qualcosa prima di mettersi alla guida. Poi improvvisamente, qualcuno attirò la sua attenzione; era un ragazzino di qualche anno più piccolo di lui, che già aveva visto qualche volta vagare su quelle piste, aveva sempre creduto che fosse lì per puro spirito di curiosità, ma quella sera lo aveva visto a bordo di una delle auto che erano lì per la sfida. Poteva avere più o meno l’età di Sam, forse qualche anno in più. Qualcosa di strano scattò dentro di lui.
«Ehi, moccioso, non sei troppo piccolo per gareggiare?» chiese con tono sarcastico, avvicinandosi a lui.
«Forse sei tu che sei vecchio» rispose acidamente, lanciandogli un’occhiataccia «Hai paura di perdere contro un ragazzino?» domandò con tono di sfida, alzando lo sguardo verso lo sfidante.
«Come no» borbottò «Sai chi sono io?»
«Dean Winchester, chi non ti conosce nel giro. Hai fatto mangiare la polvere a molti» disse, Dean non riusciva ad immaginare che un ragazzino poco più grande di suo fratello parlasse in quel modo, ma soprattutto che già rischiasse la vita «Ma non succederà con me. Ti farò uscire fuori strada». Il più grande alzò gli occhi al cielo e gli venne da ridere, perché davvero, quel moccioso non sapeva a cosa stesse andando incontro, era pericoloso per la sua incolumità.
«Sono serio, queste gare non fanno per un ragazzino come te, tornatene a casa» disse con serietà. L’altro lo guardò con sfida, e scosse la testa. Dean comprese che non si sarebbe arreso e avrebbe giocato sporco pur di vincere. Non gli era mai capitato di trovarsi davanti persone così giovani, che gli ricordassero Sammy, di solito sfidava suoi coetanei o persone più grandi, o persone come lui che non avevano nulla da perdere nella vita.
«Ritirati finché sei in tempo» lo avvertì. Poi si diresse verso la sua auto, per controllarla e sistemarla, prima che la gara avesse inizio. Sentiva le mani tremare un po’, forse per l’adrenalina che già sentiva, quando guidava, con il finestrino calato totalmente, e il vento tra i capelli, diventava un’altra persona, qualcuno di diverso dal Dean che tutti conoscevano, forse una versione migliore, priva di tutti i problemi che affliggevano la sua vita. Tuttavia, quella sera, non riusciva a smettere di pensare a quel ragazzino, non appena lo aveva visto, era come se un flash di suo fratello che tentava il suicidio tornasse alla sua mente e lo riportasse a quella notte. Dannazione. Si allontanò dall’auto ed andò dal responsabile della gara, e gli disse di aver scoperto che quel ragazzino fosse minorenne e non potesse affatto partecipare alla gara. Non sapeva perché lo stesse facendo, altre volte non avrebbe nemmeno badato ad un dettaglio tanto futile, ma quella sera era come se fosse tornato indietro nel tempo e avesse impedito a suo fratello di uccidersi.
Il moccioso fu subito squalificato – perché l’organizzatore non voleva guai con i minorenni implicati nel suo giro – e immediatamente corse verso l’artefice della squalifica. Dean cercò di ignorarlo entrando sotto la sua auto per controllare il motore, mentre il ragazzino sbraitava dicendogli che non fosse nessuno per intromettersi nella sua vita. il ragazzo dovette stringere gli occhi per non sentire la voce di Sam che gli urlava di avergli rovinato la vita.
Poi improvvisamente tutto precipitò. Il ragazzino chiamò due energumeni che di forza tirarono fuori Dean da sotto la sua auto e, mentre i due lo tenevano fermo, il ragazzino iniziò a sfasciargli l’auto.
Dean spalancò gli occhi e cercò di liberarsi, no, non potevano distruggere la sua auto, si dimenava urlando contro al ragazzino di fermarsi, quell’auto era tutto ciò che aveva, era un regalo di Bobby e la prima auto su cui avesse messo le mani. L’aveva riparata lui, quando il motore aveva fatto i capricci le prime volte. No, no, urlava, ma il ragazzino che gli stava sfasciando l’auto rideva. Dean si sentì un idiota per aver pensato che quel ragazzino fosse uno sprovveduto, un ragazzino da proteggere. Quello non è Sammy, idiota, si disse, ma ormai era tardi.
Quando riuscì a liberarsi, a raggiungere il ragazzino e a togliergli la chiave inglese dalle mani, lo spinse via in malo modo, fu tentato di colpirlo con un pugno. Non era diventato improvvisamente come John, no. Non avrebbe picchiato un ragazzino solo perché gli aveva sfasciato l’auto. Poi le cose peggiorarono ancora di più, i due energumeni – forse amici di quel demonietto – lo spinsero per terra e iniziarono a pestarlo. Dean subito reagì, colpendo a caso, cercando di difendersi, ma nel frattempo nella sua mente si ripetevano le parole di John che gli diceva costantemente che fosse un fallimento e un pessimo esempio per il fratello. Sapeva come sarebbe andata a finire quella notte, lo aveva saputo fin da quando aveva messo piede fuori da casa, ma sperava di farla finita volando fuori strada, senza sentire dolore. Quando riuscì ad alzarsi da terra e a reagire per bene, lui, già ferito, ebbe di nuovo la peggio contro quei due – o forse non si impegnò per niente. Perse i sensi dopo aver ricevuto altri colpi forti e fu abbandonato sulla strada insieme alla sua auto sfasciata.
Si risvegliò il giorno dopo in ospedale, gli dissero che un buon samaritano l’aveva ritrovato sulla strada e lo aveva soccorso, aveva chiamato l’ambulanza e gli aveva praticamente salvato la vita.
Quando Bobby arrivò in ospedale, per capire cosa diavolo fosse successo, Dean non poté mentire e dovette raccontare ogni cosa accaduta, fin da quando Sam aveva tentato il suicidio. Gli raccontò dei sensi di colpa, del fatto che si sentisse una completa delusione e fallimento camminante, che non meritasse di vivere. Bobby non riuscì ad arrabbiarsi con lui, e lo pregò di raccontargli chi lo avesse ridotto in quello stato. Dean gli raccontò delle corse clandestine, gli disse che aveva iniziato ad affogare il dolore nell’alcool, a volte nella droga, e nel sesso, e raccontò di quella sera, quando aveva cercato di proteggere un ragazzino dell’età di Sammy e questo suo gesto, gli si era ritorto contro. Dean aveva decisamente bisogno di aiuto. Fu difficile parlarne anche con Sam e scusarsi con lui, ancora una volta, per ciò che aveva fatto. Sam lo abbracciò forte e si scusò con lui per avergli riversato la colpa addosso, quando stava male, ma come al solito, Dean non credette alle sue parole, non meritava di essere aiutato.
Il giorno seguente, dopo essere stato dimesso dall’ospedale, fu ricoverato in una clinica di disintossicazione.

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Ben ritrovati, people!
Sembrava tutto risolto, eh? E invece no!
In questo capitolo non sono stata cattiva con un solo Winchester, ma con entrambi, yee. Sammy sta bene ora, eh. Sia lui che Dean hanno delle vite difficili, ma è tutto è bene quel che finisce bene (ahah, non gioite troppo però). Finalmente nel prossimo capitolo c'è il tanto atteso arrivo di Cas. 
Dean ha passato un periodo veramente orribile, si merita un po' di tranquillità, dopotutto si è quasi autodistrutto per il senso di colpa, facciamolo respirare un po'! Sentitevi liberi di insultarmi o picchiare quel ragazzino infame che non solo ha distrutto l'auto di Dean - ma Dean quando starà bene la sistemerà di nuovo, pft. 
Chiedo scusa per eventuali errori di battitura, ma come al solito alcuni mi sfuggono. Ho riletto e corretto questo capitolo più degli altri, but... ho sempre il terrore che ce ne siano.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto come gli altri e rinnovo i ringraziamenti alle persone che seguono, commentano e apprezzano la storia :3 ma anche a quelle che spendono un click per leggere. Ci si becca sabato prossimo come sempre, sempre su questi canali!
Ormai credo di aver preso questa cosa come un appuntamento fisso, tipo un episodio di una serie tv. A presto, people! 
   
 
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