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Autore: Sospiri_amore    20/08/2017    0 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Maschere e menzogne 





«Signorina, dove credi di andare?». Papà mi urla dal salotto di casa.

«Mi aspetta un amico, devo fare delle cose», gli dico scocciata mentre apro la porta d'ingresso.

Papà mi si para davanti sbarrandomi il passaggio: «Ultimamente sei strana, il tuo aspetto è così...».

«Curato?», dico io.

«Artificioso. Un po' forzato», precisa lui.

 

Prendo un profondo sospiro e gli sorrido, trattengo il nervoso che mi sta montando dentro. Non ho voglia di spiegare cosa stia succedendo e poi, tanto, non capirebbe.

 

Papà, Victor e Tess mi guardano con le braccia incrociate, sembrano poliziotti: «Mi è giunta voce che a scuola, i cartelloni di un tuo amico siano stati rotti. Tu centri qualcosa?».

«Adrian non è mio amico e poi, no, non c'entro nulla», dico sempre sorridente.

«Perché hai quel sorrisetto? Dimmi la verità, ti droghi? Se scopro che usi certe cose io...». Papà mi si è fiondato addosso prendendomi il volto tra le mani. 

«No. Che dici. Mica sono scema», gli rispondo mentre schiaffeggio le sue mani per allontanarlo.

«Con tutto questo trucco non riesco a capire se hai gli occhi arrossati o meno».

 

Alzo gli occhi al cielo, detesto quando fa il padre apprensivo. Se non bastasse ci sono pure Tess e Victor che mi squadrano da capo a piedi, il loro atteggiamento non aiuta di certo ad alleggerire la situazione.

Andrew mi sta aspettando sotto casa, non mi va di fare tardi. Stamattina mi ha mandato un messaggio dicendo che aveva importanti notizie da dirmi, quindi non vedo l'ora di stare con lui.

 

«Papà, il mio amico sta aspettando da dieci minuti. Sai quanto detesti fare tardi... Posso andare?», gli chiedo sbattendo gli occhi e posizionandomi vicino alla porta d'ingresso spalancata.

«Hmm... Chi sarebbe questo ragazzo? James? Jo?», mi chiede.

«Nessuno di loro. L'ho conosciuto durante il volontariato in biblioteca, si chiama...».

«Mi chiamo Andrew. Piacere», il mio amico è sulla porta. Sembra diverso, indossa gli occhiali, ha la camicia fuori dai pantaloni, non ha cravatta e neppure la giacca. I capelli non sono acconciati come al solito, anzi sono spettinati. Sembra la versione trasandata dell'Andrew che conosco.

Papà lo guarda ben bene, lo osserva con molta attenzione: «Quindi tu saresti il fantomatico amico di mia figlia... Ci stai provando con lei?».

«No Signore. Non lo farei mai, mia madre mi ha insegnato a rispettare le donne e poi ho una sorella poco più piccola di noi, alla quale sono molto affezionato. Che esempio sarei se trattassi Elena come un oggetto?». Andrew sorride timidamente. Non l'avevo mai visto così, sembra un'altra persona, più dolce e insicuro.

A papà piace, lo capisco da come ha rilassato le spalle, sotto la barba intravedo un sorriso: «Dove dovete andare oggi? Mia figlia sembra avere una fretta particolare».

«A dire il vero era una sorpresa, non le ho ancora detto nulla. Alla biblioteca Universitaria c'è bisogno del nostro aiuto per organizzare la conferenza che terrà il Rettore di Yale per gli studenti dei licei. Hanno bisogno di aiuto extra per allestire e gestire gli ospiti, una cosa dell'ultimo momento. So che Elena avrebbe voluto partecipare, per questo sono passato», Andrew allunga un volantino a mio padre.

 

L'evento di cui parla è reale, ma il fatto che abbiano bisogno di aiuto è una bugia. Gli allestimenti sono già tutti pronti e lo staff è al completo. Decido di stare al gioco per capire dove vuole parare.

 

«Davvero? Che bello, speravo che ci lasciassero aiutare nell'organizzazione. Credi ci lasceranno partecipare alla conferenza?», dico con voce allegra.

«Sì, inoltre dopo l'evento hanno organizzato una cena tra noi: pizza per tutti», dice Andrew mentre si sistema gli occhiali sul naso.

Cercando di sembrare il più naturale possibile saltello e batto le mani euforica.

«Papà. Papà. Papà. Papà. Ti prego, posso andarci?».

«A che ora finisce?», chiede al mio amico.

«Sul volantino c'è scritto che l'evento durerà fino alle 23.00. Consideri che potrebbe dilungarsi un po' di più, se fanno molte domande gli spettatori. Non saprei, direi che con la pizza e tutto il resto per mezzanotte e mezza riesco a riportare a casa Elena. Può andare?», chiede Andrew a mio padre.

Papà ci pensa un po', poi sorride: «Va bene, ma se farà tardi me la prenderò con te, chiaro?», gli dice dandogli una pacca sulla spalla.

 

Non ci posso credere, Andrew è riuscito a convincere mio padre a farmi stare fuori di casa tutto il giorno, in più posso tornare tardi. Un miracolo.

 

«Dovresti cambiarti. Sei troppo elegante per il lavoro che dovremo fare, meglio una felpa e un paio di jeans. Magari portati il cambio. Io ti aspetto giù in macchina. È stato un piacere Signor Voli». Andrew stringe la mano a papà, poi esce di casa.

 

Mi verrebbe voglia di ridere istericamente, sono eccitatissima. Non ho idea cosa abbia in mente Andrew, ma di sicuro sarà qualcosa che mi farà dimenticare il milione di pensieri che ho in testa. I cartelloni di Adrian , le parole di James, gli sguardi di Nik e le frecciatine di Kate ormai fanno parte del passato, non ci voglio pensare più. 

 

Corro in camera, prendo dall'armadio un paio di jeans e un cardigan verde, una camicia bianca e un paio di scarpe da ginnastica. Mi lego i capelli in uno chignon alto.

Prendo uno zainetto, sto per infilare una camicia di scorta, quando mi squilla il telefonino. È Andrew.

 

«Ciao dolcezza. Ti è piaciuta la recita?», mi dice sghignazzando.

«Sei diabolico, come cavolo hai fatto ad inventare una storia simile?». Parlo a bassa voce, non vorrei mai che mio padre mi sentisse per sbaglio.

«Fai come ti ho detto, vestiti comoda, come se dovessi andare a spostare scatoloni, attaccare decorazioni e cose simili. Così tuo padre non si insospettirà».

«Già fatto», gli dico mentre mi ammiro allo specchio.

«Perfetto, adesso metti nello zaino il vestito più sexy che hai, un paio di scarpe con il tacco e lingerie provocante», mi dice Andrew.

«Ma...». Andrew non mi lascia finire la frase.

«Sbrigati, abbiamo un sacco di cose da fare». Poi butta giù.

 

Ho poco tempo, papà potrebbe entrare in camera da un momento all'altro. Rovisto tra la mia biancheria, di solito indosso capi di cotone molto semplici, non ho mai amato le cose troppo complicate. Recupero il completino che ho comprato quella volta che ho dormito da Rebecca, non è niente di particolare, ma è la cosa più carina che possiedo. Prendo un bellissimo paio di scarpe con il tacco. Le ho prese da poco, ma non ho mai avuto occasione di indossarle, sono nere lucide. L'unico vestitino sexy che possiedo è un baby doll con la parte superiore in pizzo nero, un regalo mai utilizzato, visto che copre poco e mette in mostra un po' troppa carne.

 

Sono pronta.

Adesso devo mantenere la calma e uscire di casa come se nulla fosse.

Attraverso il corridoio e mi affaccio in salotto, Tess e papà stanno leggendo una traduzione mentre Victor sta addestrando un paio di nuovi assistenti. Sembrano impegnati, non voglio disturbarli. Con passo veloce passo loro davanti puntando direttamente alla porta d'ingresso.

 

«Elena. Te ne vai senza salutare?». La voce di papà risalta sul brusio della sala.

«Scusa non volevo disturbarti», gli rispondo cercando di mantenere la calma. Se mi scoprisse credo mi manderebbe a pelare patate su una nave in mezzo al mare.

Papà mi abbraccia, mi bacia la fronte con molta dolcezza.

 

Ecco, i sensi di colpa stanno bussando forte nel mio cervello. 

Elena non seguire le tue emozioni.

Elena trattieni, diventa più forte.

 

«Adesso vado, Andrew mi sta aspettando», gli dico girandomi di scatto, voglio uscire alla svelta di casa. Se resto ancora un po' tra le sue bracca mi verrà da piangere.

«Una attimo. Hai lo zaino aperto», mi dice papà prendendomi per un braccio.

 

Sono bloccata.

Sudo freddo.

Possibile che non mi sia accorta di avere lo zaino aperto?

Se mio padre vede cosa ho dentro mi massacra.

 

Aspetto con ansia che papà prenda la cerniera e la tiri con decisione. 

Sono secondi che sembrano non passare mai.

Poi sento il rumore.

Lo zaino è chiuso.

Sono salva.

 

Accennando un sorriso lo saluto. Il cuore non ha smesso di battere, è ancora accelerato.

Scendo le scale tenendo strette le cinghie dello zaino, non riesco a smettere di mordicchiarmi il labbro. Non vedo l'ora di sapere cosa ha in mente Andrew.

 

Appena esco di casa lo vedo intento a pettinarsi i capelli, è tornato il ragazzo che conosco: Look impeccabile e sguardo magnetico.

Gli salto al collo: «Sei un fottuto genio, posso star fuori tutto il giorno e tornare a casa tardi. Grazie».

«Sei così pura che quasi quasi ti rimando a casa. I miei genitori hanno smesso da un bel pezzo di chiedermi a che ora tornerò a casa». Andrew mi prende il mento e mi osserva.

Arrossisco: «Ho un padre un po' impiccione, tutto qui. Non sono poi così pura e ingenua».

«Sali dolcezza». Andrew accenna un sorriso e mi apre la portiera.

 

Senza farmelo dire due volte mi accomodo sul sedile e con un gesto rapido mi metto la cintura. Non voglio sembrare una ragazzina, quindi decido di tenere la bocca chiusa finché non sarai lui a dirmi cosa ha in mente.

 

Una pioggia finissima bagna il vetro dell'auto, il cielo è grigio. Giocherello con la cinghia del mio zaino che ho appoggiato sulle gambe. Andrew guida sicuro, segue la strada con attenzione. 

Arriviamo in una zona della città che non conosco, ci sono parecchi locali e ristoranti. Molti sono chiusi a quest'ora, non c'è molta gente in giro, è la classica zona che pullula di persone durante i weekend. 

 

Andrew ha posteggiato in un parcheggio sul lato della strada principale, sta giocando con un mazzo di chiavi: «Stasera avrai modo di mettere nel sacco Rebecca. Il Trinity sarà definitivamente tuo». 

«Non capisco». Effettivamente non riesco proprio ad immaginarmi cosa abbia in mente.

«Mio padre e mia madre sono tra i ristoratori più importanti della East Coast. Diversi loro ristoranti hanno ricevuto premi e stelle Michelin. Non disdegnano i locali notturni, portano un sacco di soldi e sono un luogo dove, quelli come noi, possono divertirsi lontano dagli occhi indiscreti della gente... Come dire... Comune». Andrew mi ha aperto la portiera, stiamo andando verso un locale con le finestre oscurate dall'aspetto molto elegante. Una folta edera si arrampica su parte della facciata, numerosi faretti sono sparsi all'ingresso, un scritta in metallo campeggia sulla facciata principale: Masques.

«Cosa ci facciamo qui?». Sono un po' a disagio, non sono mai entrata in un locale del genere.

«Stasera ho organizzato una festa privata per Rebecca. Ci saranno i giovani rampolli di New Heaven e Boston, ex studenti del Trinity. Lei ha bisogno di supporto e sa che può trovarlo in chi avrà il vero potere tra qualche anno. Per adesso tu puoi essere la regina, ma tra qualche tempo nessuno si ricorderà di te. Se vuoi mantenere il tuo ruolo devi crearti le opportunità per costruire fondamenta solide». Andrew apre la porta principale del locale. Un tappeto di velluto rosso adorna il pavimento, una carta da parati damascata è sulle pareti. Specchi, lampade con cristalli, poltroncine dorate sono sparse per il locale. È talmente elegante che ho paura di sporcarlo.

«Buonasera Signore». Una donna dalle lunghe gambe color ebano ci accoglie, indossa uno striminzito completino in pizzo color rosso ciliegia, ha labbra carnose e muove i fianchi con malizia. Sul volto ha una maschera nera.

«Buonasera mia cara. È tutto pronto per stasera?», le chiede Andrew.

«Certo Signore, come sempre», miagola la donna.

«Tra un attimo ti mando la mia amica, si chiama Elena. Deve diventare una di voi», le dice Andrew mentre le da una pacca sul sedere.

 

Sbianco.

Ho le fauci secche.

Ho paura.

Andrew mi vuole trasformare in una escort?

 

Come se mi leggesse nel cervello, Andrew mi fissa divertito: «Non ti preoccupare, non dovrai svolgere nessun servigio. A meno che tu non voglia». Con delicatezza mi accarezza i capelli: «Avrai bisogno di una parrucca, altrimenti ti riconosceranno in un attimo. Intanto prendi questa».

 

 Andrew mi sta allungando una maschera. È nera, in pelle lucida.

La rigiro tra le mani, il pensiero ritorna all'ultima volta che ne ho indossata una. È stato durante la festa a casa di Rebecca l'anno scorso. 

Quella sera Jo mi ha baciata.

Quella sera James mi ha quasi baciata.

Sembra che da allora siano passate mille vite, piuttosto che un anno appena.

 

«A cosa pensi dolcezza?», mi chiede Andrew.

«Perché indossare delle maschere?». Non riesco a smettere di fissare quella che tengo in mano.

«Quelli come me ne hanno bisogno. Una maschera ti permette di essere chi sei veramente. Nessun giudizio. Nessun obbligo. Posso vivere quello che sento senza troppi problemi. Sono più me stesso con una maschera come questa, che senza». Andrew mi bacia la mano e intreccia le sue dita con le mie.

«Quindi stasera tutti ne indosseremo una?», gli chiedo.

«No. Solo i ragazzi e le ragazze che lavorano al Masques la metteranno, per questo dovrai passare per una di loro. La differenza con loro è che tu avrai una cosa in più degli altri». Andrew mi passa una fotocamera digitale: «C'è un programma per fare foto in posti con scarsa illuminazione come questo. Al momento giusto tu scatterai il più possibile».

«Ma chi devo fotografare?», chiedo mentre osservo il dispositivo.

«Ovviamente Rebecca».

«Ma se non dovesse fare nulla di strano o compromettente?».

«Tranquilla, al Masques nessuno resta a guardare».

 
   
 
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