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Autore: EffyLou    20/08/2017    2 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
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Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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Rossane
il fiore di Persia

 
Angolo autrice:
Ve lo imbuco in alto stavolta, vi avviso in anteprima HAHAH
Anche questo capitolo sarà un po' di passaggio e, nell'ultima parte, ci sarà un vago romanticismo (?).
Come al solito grazie a tutti che leggete silenziosamente o recensite, mi fa sempre tanto piacere vedere che qualcuno spende un po' del suo tempo per sbirciare questa storia o per scrivermi due righe! Critiche costruttive e consigli son sempre ben accetti e se avete domande o volete esporre la vostra opinione non preoccupatevi che non mordo nessuno. Solo quando c'è la luna piena, ma è un altro discorso (simpaticissima). Fatemi sapere cosa ne pensate se vi va, buona lettura e alla prossima! ♥

 


۵ . Panj
 
Gandhara, inverno 327 a.C.
 
All’accampamento erano rimasti alcuni dei servitori dell’esercito. Un manipolo di trecento persone.
I giorni scorrevano lenti, tutti uguali, scanditi dal susseguirsi delle ore. Il sole che disegnava il suo arco nel cielo, dall’alba al tramonto, proiettando ombre sempre diverse intorno a loro.
La sera prima di partire Alessandro aveva fatto visita a Rossane nella sua tenda, per rimproverare la ragazza di aver preso una piccola lezione di spada da Cratero. Si era poi scusato, l’aveva accarezzata, ed era stato il contatto più intimo avuto fino a quel momento.
Rossane si era addormentata con lo stomaco in subbuglio e all’alba, durante lo stato di dormiveglia, sentì labbra calde posarsi sulla sua spalla nuda.
Alessandro la stava salutando prima di partire per l’assedio della roccaforte di Aorno.
Si svegliò con questo pensiero e le farfalle nello stomaco.
Rossane contava i giorni. Due, massimo tre, fino alla rocca. Quanti per l’assedio? Si mordicchiava le dita presa dall’ansia, Bagoa che le toglieva le mani dalle labbra per farla smettere di tormentarsi.
Quel pomeriggio erano insieme, sulle rive del fiume, a tirare sassi piatti e farli rimbalzare sulla superficie dell’acqua. Non avevano più parlato di Alessandro o del loro passato. Avevano parlato di loro. Rossane aveva trovato in Bagoa un amico sincero e prezioso, alla stregua di un fratello.
Suo padre apprezzava gli eunuchi, come tutti i nobili persiani e anche i greci e macedoni di alto lignaggio, ma al contempo non si fidava di loro. Le diceva di tenerli alla larga ogni volta che le fosse stato possibile poiché covavano invidia, rancore e vendetta.
A Rossane non era affatto sembrato che Bagoa fosse capace di tradire qualcuno, ma anzi era molto devoto.
C’erano tante domande che avrebbe voluto fargli sulla sua condizione di eunuco, ma probabilmente non era saggio andare a toccare certi tasti dolenti.
«Tu… - cominciò, prima che potesse fermare le parole. – Ricordi come ti chiamavi prima?»
Lui le lanciò un’occhiata. «Che importanza ha?»
«Non mi piace chiamarti Bagoa, non è il tuo nome. È come se cominciassi a chiamarmi “regina” come se fosse il mio nome.» brontolò.
Bagoa, infatti, era il nome che acquisivano tutti gli eunuchi quando venivano evirati prima della pubertà. Non era un nome proprio.
Il ragazzo non le rispose, si limitò a sollevare le spalle.
«Ti manca la vita che facevi prima?» le chiese d’un tratto.
Rossane assottigliò lo sguardo, lasciandolo vagare sulle increspature dell’acqua del fiume. Il sole dava fastidio agli occhi. Rifletté sulla domanda.
Le mancavano Amu e Darya, sentiva il bisogno di parlare con loro e abbracciarle quasi ogni giorno. Era così lontana da Battria, adesso. Sembrava passata una vita da quando faceva il bagno nell’hammam e i servitori si prendevano cura della sua pelle e dei suoi capelli, una vita da quando prendeva lezioni private di politica ed economia da un precettore, una vita da quando passeggiava nei giardini del palazzo di Al-Khanoum o restava relegata nell’harem a leggere o danzare con le concubine.
Di fatto non era passato molto. Nella sua testa sembravano passati anni. Si sentiva quasi invecchiata, nonostante la giovanissima età. Le mancava la vita di sfarzo che faceva a Battria, le sue pergamene, i suoi giochi, i suoi dispetti bonari alla servitù.
Ma lì, nell’accampamento di un esercito, si sentiva viva. Non era sicura che fosse proprio quello il suo posto nel mondo, tutto ciò che sapeva era che grazie al matrimonio combinato era riuscita a respirare un’aria diversa da quella profumata d’incenso del palazzo di Al-Khanoum. Si sentiva una donna, si sentiva libera nonostante i vincoli con Alessandro e tutte le questioni da regina.
In qualche modo, sentiva che la campagna d’India era solo un momento transitorio. Che una volta portata a termine, sarebbe andata a Babilonia con Alessandro e lì sarebbe cominciata la vita di corte, molto simile a quella che conduceva ad Al-Khanoum. Con tutti i vantaggi e gli svantaggi.
Almeno finché la sete di conoscenza e di scoperta del re non avrebbero di nuovo bussato alle porte della mente e avrebbe riorganizzato un esercito per ripartire verso l’est.
«Mi mancano le mie sorelle.» si limitò a dire.
Bagoa le fece un sorriso, lanciò un altro sasso piatto. Fece due rimbalzi sull’acqua, creando lievi increspature. «A me un po’ manca la vita con re Dario. Preferisco stare in un posto chiuso, al sicuro, piuttosto che in un accampamento in cui la nostra vita è sempre in pericolo solo perché seguiamo un esercito.»
«Non ti annoi a stare rinchiuso?»
«Negli harem con le concubine c’è sempre tanto da fare.»
Rossane gli fece un sorrisetto malizioso, sollevando un sopracciglio. «Ah sì, immagino.»
Bagoa sfarfallò le ciglia, le guance si imporporarono. «Sei una maliziosa! Cosa hai capito? I-Io non…!»
«Rilassati! – scoppiò a ridere, in quella risata contagiosa che tanto piaceva al suo amico. – Stavo solo scherzando. Lo so che non sei interessato alle donne in quel senso.»
«Le donne… - sospirò. – Sono creature meravigliose. I corpi armoniosi, eleganti. La donna ha un corpo perfetto, non c’è niente che stona. Amo le donne, sono una forma d’arte vivente.»
«Mi confondi, Bagoa. Ti piacciono le donne o gli uomini?» ridacchiò Rossane, immergendo i piedi nelle acque del fiume.
Era fresca, pulita. Il suolo era coperto da ciottoli tondeggianti che non davano fastidio al piede.
Non faceva poi così freddo, nonostante fosse inverno. L’aria era fresca sulla pelle, ogni tanto tiravano fili di vento più gelidi, soprattutto verso sera, e la notte le temperature si abbassavano costringendoli a coprirsi con pellicce.
Loro si trovavano in prossimità di uno degli affluenti dell’Indo. A pochi chilometri dalla valle sua valle.
«Gli uomini, perché io mi sento una donna qui. – si indicò il petto. – Ma non nego la bellezza delle donne. L’uomo è più grottesco, più rude e grezzo, forse è per questo che mi piacciono di più i maschi.»
«Non sono sicura d’aver compreso appieno. – sorrise. – Ma anche gli uomini sono belli, Bagoa. Sì, più rudi e forse grezzi, ma c’è dell’armonia anche nei loro corpi, non trovi?»
Le sorrise, quasi compatendola. «Hai mai visto un uomo nudo, Rossane? Completamente.»
Lei sfarfallò le ciglia e boccheggiò. «Beh in realtà no. Solo fino ai fianchi, al massimo.»
«Devi sapere che tra le gambe un uomo ha…» le fece un gesto eloquente, che lei si rifiutò di guardare mettendosi le mani sul viso.
«Va bene, ho capito!»
«Ed è sgraziato!» continuò imperterrito, mentre scoppiava a ridere.
«Finiscila, ho capito ti dico!» si prese il volto fra le mani, le guance arrossate.
Bagoa non smetteva di ridere, dalla riva asciutta. «Oh, non farti impressionare! Prima o poi dovrà succederti di vederne uno.»
Non gli piaceva pensare che sarebbe stato Alessandro, quell’uno. Nonostante l’affetto che provava nei confronti di Rossane, non aveva ancora metabolizzato il fatto che fosse la moglie del suo amato re. Forse perché lei cercava di evitare il discorso, di non farglielo pesare sulla pelle ben conscia dei suoi sentimenti verso Alessandro. Ma Bagoa lo sapeva che prima o poi avrebbero consumato il matrimonio, e non ne era molto felice.
Non riusciva a capire cosa provasse Rossane per il re. Forse non lo aveva chiaro nemmeno lei.
«Non vieni a rinfrescarti?» lo incalzò, riscuotendolo dai suoi pensieri.
Ormai si era immersa fino ai fianchi, muoveva le mani nell’acqua e girava creando lievi onde sulla superficie.
Bagoa mosse un passo nella sua direzione, incerto. L’acqua era fredda, i brividi gli percorsero la schiena.
«Ma è gelida, come fai!»
«Ti ci abitui, poi. Come a vivere in un accampamento di bruti soldati: ti ci abitui.» gli fece un sorrisetto scherzoso.
Bagoa non riuscì a non ricambiare. «Io non sono come te, io non mi abituo mai a niente.»
«Alla mia presenza ti sei abituato però.»
«Perché sai come prendere le persone. Un accampamento e un fiume freddo non sanno come prenderti!»
Rossane gettò la testa indietro e scoppiò a ridere. Si lasciò cadere in acqua di schiena e riemerse poco dopo, tirando indietro i capelli. Li strofinò per lavare via le impurità e la sporcizia.
Bagoa si allontanò verso l’accampamento per recuperare un telo da porgere alla regina una volta uscita dall’acqua. L’aiutò ad avvolgersi nella morbidezza del tessuto e la accompagnò nella sua tenda.
A terra c’erano tappeti per proteggere i piedi dall’erba, all’angolo sinistro c’era il giaciglio fatto di pelli e pellicce, e un po’ di paglia morbida, con cuscini coperti di seta e raso ricamati con fili d’oro. In fondo c’era un telo che nascondeva il catino di ferro in cui Rossane si lavava. All’angolo destro c’era il baule con i pochi abiti che aveva con sé, una toeletta con incensi e oli per il corpo e i capelli, cosmetici, portagioie. Niente a che vedere con ciò che la regina aveva ad Al-Khanoum, ma aveva mantenuto un minimo della sua femminilità. Nel portagioie ce n’erano ben poche, di gioie, in effetti. Una collana, un bracciale, una cavigliera, un paio d’orecchini e un fermacapelli.
Poi c’erano piccole candele disseminate ovunque e i rotoli di pergamena dell’epopea di Gilgamesh accatastate ai piedi del giaciglio. C’erano anche un paio di sgabelli di legno.
Di solito le tende della regina erano sempre aperte per far entrare aria e luce, se si trovavano chiuse voleva dire che si stava lavando o riposando, o semplicemente non voleva essere disturbata. Era un tacito codice che ormai tutti avevano imparato nel campo. La servitù agli inizi le ronzava intorno, poi si era resa conto che Rossane non necessitava di tutto questo servizio: solo quando doveva sistemare i capelli aveva bisogno di aiuto, in quanto non sapeva fare le trecce e farglielo imparare risultava impossibile.
Bagoa si sedette su uno sgabello mentre lei appendeva il telo su un filo che percorreva la tenda e si toglieva la veste zuppa. Non aveva vergogna a mostrarsi nuda di fronte a lui, tanto non provava niente per le donne. Solo una grande ammirazione e, secondo lei, anche una punta d’invidia.
L’eunuco osservò le forme di Rossane, il mento poggiato sulla mano.
La regina aveva un corpo tonico, era magra e atletica, le gambe lunghe e sinuose. I glutei tondi, il girovita delineato, il seno piccolo. Le sue forme erano meno accennate rispetto a quelle di altre nobildonne persiane più in carne e voluttuose, ma erano armoniose ed eleganti, aggraziate.
«Ecco cosa intendo quando dico che il corpo femminile è un’opera d’arte.» sospirò, quasi malinconico. Probabilmente non rispecchiava il fisico idoneo per una femmina destinata alla procreazione: non aveva fianchi larghi e seno prosperoso, cosce morbide e ventre paffuto. Eppure risultava così elegante e sinuosa nel suo essere sottile e atletica. Si era domandato perché Alessandro l’avesse scelta: i greci amavano le donne carnose, era segno di buona salute e buona capacità di procreazione, ma lei non era così. Per un momento, si chiese cosa ne avrebbe pensato il re quando l’avrebbe vista. Ma scacciò il pensiero.
Rossane accennò un sorriso mentre infilava una tunica bianca con ricami in oro. Gli fece un cenno, Bagoa comprese che doveva avvicinarsi per intrecciarle i capelli.
Si posizionò dietro di lei, seduta su uno sgabello, mentre guardava il loro riflesso sul vassoio d’argento posato tra la toeletta e la parete della tenda.
«Ti piacerebbe essere una donna?» gli domandò, a bassa voce.
«Sì. Di fatto ho ben poche cose che mi differenziano da voi, ma ho pur sempre le fattezze di un uomo. Sono sgraziato, sono… a disagio col mio corpo. Mi sento una donna, questo corpo sento che non mi appartiene. Mi guardo allo specchio e non lo riconosco.» aggiunse piano.
Rossane sentì stringersi il cuore. Poteva solo immaginare il disagio di Bagoa nel vivere in un corpo che non sentiva proprio. Era una situazione dolorosa per lui. Lei non l’aveva mai provata: si era sempre sentita bene con sé stessa, si era sempre apprezzata.
Darya stava attraversando un’età in cui il suo corpo cambiava, non si piaceva e si sentiva a disagio. Ma era un tipo di sensazione molto diversa da quella che provava l’eunuco.
«Insomma, sono già donna per metà, in un certo senso. Perché non posso esserlo del tutto?» continuò, con una nota di dolore nella voce.
Rossane non sapeva bene come consolarlo. Era diverso dal consolare sua sorella.
«Posso renderti una splendida concubina, Bagoa.» gli propose, guardandolo maliziosa.
Gli occhi del ragazzo brillarono appena.
Rossane lo fece sedere sullo sgabello, gli pettinò i capelli neri lunghi fino alle scapole e li acconciò alla maniera delle donne persiane, fissandoli con un fermacapelli d’oro. Era ancora mascolino.
Gli truccò le guance con le polveri tenui, ammorbidendo i lineamenti, gli passò una linea di kajal egiziano sulla palpebra allungandola fino ad oltre la coda dell’occhio. Gli delineò le sopracciglia, gli mise alle orecchie i suoi vistosi orecchini d’oro. Una collana di pietre preziose, i bracciali ai polsi.
Lo fece alzare in piedi, lo aiutò ad indossare una delle sue vesti viola ricoperta di ricami floreali d’oro. Era abbastanza larga da stargli bene, nonostante la differenza d’altezza. Lei gli legò un cinturino d’oro rigido attorno al girovita stretto, ma con la morbidezza della veste non si notavano i tratti mascolini del corpo.
Dopodiché, Rossane prese il vassoio d’argento. L’oggetto restituì a Bagoa l’immagine di una donna bellissima ed elegante.
L’eunuco si toccò il volto, il petto. Era una donna davvero. Si sentì donna. Gli mancava il seno.
Rossane sembrò intuire i suoi pensieri e alzò le spalle.
«Consolati: nemmeno io le ho, ma questo non ci rende meno donne, giusto?»
Parlava al plurale. Come se fosse anche lui una donna davvero.
Questo gli scaldò il cuore, gli fece salire le lacrime agli occhi. Abbracciò forte Rossane, affondando il viso nella sua spalla. Le differenze erano tante, ma in quel momento Bagoa si sentì donna grazie a lei, e questo gli bastava più di ogni altra cosa.
 
 
Due settimane più tardi, era arrivato un messaggero da parte della roccaforte di Aorno.
Comunicava che la rocca era stata presa e che le truppe attendevano di essere raggiunte per proseguire il viaggio.
Bagoa, dopo quel pomeriggio con Rossane, si era sempre vestito come una donna e truccato come tale.
La regina si sentiva felice per lui e gli prestava volentieri i suoi abiti. Tanto lei ormai metteva solo i pantaloni, di rado le tuniche.
Cominciarono il viaggio seguendo il corso del fiume come al solito, Rossane in testa alla marcia a cavallo della sua giumenta bianca, pezzata con macchie nocciola, di nome Artemide. Era il regalo di nozze che le aveva fatto Efestione.
La mattina del terzo giorno, riprendendo il cammino, videro la rocca e i soldati alle pendici del promontorio su cui era arroccata. Li attendevano per ripartire.
Il cuore le balzò in gola.
Cratero li accolse, sorridendo a Rossane. «Mia regina. Avete fatto un bel viaggio?»
«Oltremodo noioso. – sorrise a sua volta. – Immagino che non vedrò Alessandro prima di stasera.»
«Ahimè, avete ragione.»
Tempo di riorganizzare la marcia e l’esercito continuò il cammino. Alessandro puntava ad un impero universale. Gran parte dell’India nord-occidentale era stata sottomessa ai persiani ai tempi di Dario I, il quale fece anche esplorare l’intera valle dell’Indo.
Procedevano verso sud, con l’obbiettivo di penetrare nel Punjab.
Al tramonto l’accampamento venne montato in una zona vicino ad uno degli affluenti dell’Indo. Era un territorio pianeggiante, a ridosso delle vette himalayane. C’era qualche albero sottile lungo la strada, arbusti, grossi massi. Dall’accampamento al fiume era una camminata piuttosto lunga tra le rocce e il terreno scosceso.
Cenarono sotto le stelle, Rossane si ritrovò a parlare con Cratero riguardo la prossima lezione di spada. Lui le disse che quella sera era troppo stanco per sopportarla, e le fece un sorriso.
La conversazione col generale andò scemando con la fine della cena. La regina si congedò con un sorriso, pensando di andare a salutare Alessandro.
D’altronde era ansiosa di vederlo, voleva sapere se stava bene. Ma sicuramente il re era in gran forma, altrimenti gliel’avrebbero fatto subito presente.
Si avvicinò alla sua imponente tenda nel momento in cui Bagoa era in procinto di uscire.
Il ragazzo indugiò con gli occhi all’interno e se ne andò allontanandosi, dando le spalle a Rossane. Non si era neanche accorto di lei.
La regina sentì montare una sofferenza sorda. Si sentì tradita da Bagoa, nonostante sapesse dei suoi sentimenti per il marito; si sentì presa in giro. Relegata al ruolo di seconda scelta.
Si avvicinò all’entrata, traendo profondi respiri nel tentativo di placarsi.
«È permesso?»
«Rossane.» esalò Alessandro, in piedi al centro della tenda.
Addosso non aveva altro che un paio di pantaloncini di stoffa scura e una vestaglia di colore rosso cremisi con ricami in oro, che lasciava scoperto il petto e parte degli addominali. Aveva qualche medicazione sul corpo, piccole strisce di cerotto in alcuni angoli del viso.
«Pensavo di ritrovarvi più ammaccato.» gli sorrise.
«È stata faticosa, ma non dolorosa. Io pensavo di non rivedervi fino a chissà quando, invece. Non mi aspettavo che sareste venuta.»
Lei esibì un sorriso tirato. «Sì, immaginavo.»
Alessandro si avvicinò come una pantera, i suoi occhi seri. Si fermò solo quando i loro corpi si attaccarono, Rossane non aveva fatto un solo passo indietro.
Le prese il volto fra le mani, accarezzandola con i pollici.
«Mi siete mancata, Rossane.»
«Non si direbbe. Avete fatto mandare Bagoa per tenervi “compagnia”. Non mi mentite, Alessandro, non sono una stolta.»
«E voi come potete dire che io l’abbia mandato a chiamare? Potrebbe essere venuto lui.»
«Conosco Bagoa. Non entra nella vostra tenda se non siete voi a chiamarlo. Ditemi, vi è piaciuta la sua trasformazione?» i suoi occhi lampeggiarono di sfida.
«Dunque è opera vostra. – si allontanò per versarsi un bicchiere di vino. – In effetti il suo abito mi sembrava di conoscerlo, l’avevo già visto addosso a voi.»
«Molto arguto, non vi sfugge nulla.» borbottò sarcastica.
Alessandro bevve senza staccare gli occhi dai suoi, si pulì le labbra con l’avambraccio in un gesto distratto.
«Stavate conversando con Cratero, non me la sono sentita di disturbarvi.» la guardò da sotto le ciglia, a volerla sfidare, il tono di voce tradiva una nota d’amarezza.
«Adesso è colpa mia?»
«Voi non avete capito, Rossane. – si avvicinò di nuovo, le strinse le mani sui fianchi, possessivo. – Io non voglio condividervi.»
«Sarò io quella che dovrà condividervi con altri, veramente.» borbottò imbronciata.
Le concubine, Bagoa, Efestione. Doveva abituarsi all’idea di condividere Alessandro con altre persone, uomini e donne.
«Siete gelosa?» si leccò il labbro inferiore.
«No.» mentì spudoratamente.
«Bugiarda.» le sussurrò, baciandole uno zigomo.
Rossane vacillò. «Non vi fidate della vostra regina?» replicò mal celando l’ironia nel riproporgli la frase che lui stesso le disse tempo prima.
«Io mi fido degli occhi della gente, Rossane, dei loro sguardi. Il vostro… Zeus solo sa cosa si cela nel fondo di questi vostri occhi verdastri. Ma adesso hanno brillato di qualcosa, hanno avuto un bagliore di gelosia.»
«Non è vero.»
«Non sapete mentire, smettetela di provarci. – le baciò il lato della bocca, la guancia, la curva della mascella. – Perché non rimanete con me stanotte?»
Rossane aggrottò le sopracciglia, si districò dal suo abbraccio passionale. Lui la tenne ferma per le braccia.
«Avete giaciuto con Bagoa! Come posso? Voi amate lui, amate Efestione, non me! Smettetela di illudermi e mentirmi!»
«Vi sbagliate, non ho giaciuto con Bagoa stasera. – si difese, aggrottando le sopracciglia. ─ Ci sono tanti tipi di amore. Quello che provo per voi è molto diverso da quello che provo per lui, è molto più profondo e intenso, dovete credermi.»
«Ma a chi volete ingannare! – sbottò, strattonando le braccia per allontanarlo. – Mi sta bene che mi avete sposata per interesse politico, ma non sopporto di venire illusa con queste parole melense e prive di sentimento. Relegatemi con le altre puttane, o con la servitù. Non mi interessa. Ma non vi permettete di mentirmi e di illudermi in questo modo!»
Quello che seguì fu confusionario. Lei cercò di mollargli uno schiaffo, accecata dalla frustrazione.
Alessandro non sopportò di essere stato preso per bugiardo, tentò di rabbonire Rossane tenendola ferma tra le braccia. Lei si divincolò con energia, riuscì ad assestargli anche un paio di sonori schiaffi in viso.
Il re la fece cadere sul letto, senza farle troppo male, liberandosi della vestaglia.
In ginocchio uno di fronte all’altro. Alessandro che cercava di tenerle le braccia per non essere schiaffeggiato di nuovo, Rossane che si divincolava.
Gli mollò uno schiaffo più forte, lui fu svelto e le tirò i capelli attorcigliandoli intorno al polso. La costrinse ad avvicinare l’orecchio alle sue labbra.
«Adesso basta.»
«Lasciatemi.»
Alessandro le liberò i capelli lentamente, le tenne le mani sulle sue braccia. Rossane lo guardava in cagnesco, la guerra nello sguardo. L’ironia negli occhi eterocromatici del re.
Arricciò il naso e simulò un ringhio. Lei aggrottò le sopracciglia, contrariata.
«Voi siete irrispettosa, forte, e ingestibile. Non avete nemmeno paura.»
Rossane sembrò rabbonirsi, rilassò i muscoli. Quelle parole suonavano come complimenti, nonostante avessero un retrogusto amaro sulla bocca del re. Si lasciò cadere sul letto, tra i grossi cuscini di seta e le pellicce. Guardò il soffitto della tenda, le venne da ridere per averlo schiaffeggiato. Aveva schiaffeggiato il Re dei Re, il faraone d’Egitto e il re di Macedonia.
Ossiarte non avrebbe mai approvato. Suo padre non avrebbe approvato niente degli atteggiamenti sfrontati che la ragazza aveva avuto. Ma cosa le importava? Lei non voleva l’approvazione di nessuno.
«Ridete di me?» le domandò Alessandro.
«Rido di me, mio re.» mormorò con dolcezza.
Lui rilassò le spalle, inclinò la testa verso sinistra. «Voi siete una donna così strana a volte, mia Rossane.»
La regina sospirò, non gli disse niente e non lo guardò neppure.
Seguì un silenzio lungo ma sorprendentemente privo di imbarazzo.
«Io non vi relegherò con le concubine o con la servitù. – le disse piano, interrompendo la calma. – Voi siete la mia regina. Ci siamo sposati per accordi politici, ma tutto quello che c’è tra noi, nel bene e nel male, non è frutto di un accordo. Se lo fosse stato, ora avremmo già consumato il matrimonio e voi sareste gravida; se lo fosse stato, voi non sareste così irriverente e così gelosa. Vi sareste comportata seguendo l’etichetta, i doveri e tutto il resto come tutte le altre mogli.»
«Ma il mio comportamento o le mie sensazioni sono lecite.» replicò piccata, sollevandosi sui gomiti.
«Forse. Ma una buona moglie non si sarebbe comportata come voi: penserebbe solo a compiacere il marito e non parlerebbe se non interpellata, sarebbe gentile e sottomessa. Voi vi sfogate e vi ingelosite, mi schiaffeggiate e mi urlate contro, v’infiammate, eruttate come un vulcano, e poi diventate di ghiaccio.»
«Se non vi sto bene poiché non sono una buona moglie, perché non volete rilegarmi con le altre concubine? Prendetevi un’altra donna e lasciate stare me, se non vi vado bene. Io non cambierò il mio atteggiamento per voi. Voglio tornare alla mia tenda, se non vi dispiace, sire.» borbottò inacidita.
Alessandro sghignazzò, il naso che si arricciava ogni volta che sorrideva. Ma lei non mosse un muscolo per alzarsi. Forse non lo voleva davvero, e il corpo lo sapeva.
«Non ho mai detto che non mi andate bene. Io non voglio una moglie come se fosse un oggetto da tenere per bellezza o solo per procreare. Preferirei mille donne come voi, piuttosto che una sola donna che non mi dà niente.»
Rossane boccheggiò. Non se l’aspettava.
Alessandro inarcò le sopracciglia, con un sorriso dispettoso.
«Ovviamente scherzavo, una sola Rossane basta e avanza. – scoppiò a ridere. ─ Vi giuro su tutto ciò che volete, che stasera non ho giaciuto con Bagoa. Non lo faccio da un po’. Ve lo giuro. Alla luce di ciò e di quello che vi ho detto, cosa avete intenzione di fare? Resterete con me?»
Rossane non fece in tempo a rispondere che lui incontrò le sue labbra. Delicate, morbide, il miele della saliva. Non fu un bacio casto. Alessandro desiderò approfondire ogni contatto.
Quando si allontanò, la guardò così intensamente che lei arrossì. Come se le stesse chiedendo il permesso.
«Io non voglio costringervi, Rossane.» sussurrò, scuotendo appena la testa come a sottolineare il concetto.
«Non mi state costringendo, mi state conquistando. Per stavolta, forse potrei provare a fare la brava moglie.»
Arricciò il naso con un sorriso ironico, che lui ricambiò.
Si stava aprendo a lui, stava aprendo il suo cuore di pietra.
Alessandro lo sentì come terra tra le dita. Concreto, tangibile, per la prima volta. Non più vento sfuggente, non più sabbia che si perde. Non voleva perdersi o lasciarsi sopraffare dai piaceri della carne, ma non gli era mai accaduto di essere così vicino a perdere il controllo. Rossane lo faceva infuriare e lo mandava fuori di testa, sia per i suoi atteggiamenti sfuggenti e sia per il suo essere così: bella e testarda, maliziosa e innocente. Ma non l’avrebbe mai scambiata per nessun’altra donna, e di questo se n’era reso conto da quando imparò a conoscerla. L’unica che sembrava tenergli testa almeno un po’.
Quella sera un pezzo di cuore le era sfuggito al controllo e gliel’aveva mostrato senza volerlo. Alessandro lo trovò inebriante, sentì come se non avesse più potuto farne a meno.
«Da stanotte sarete mia davvero, Rossane. Mi apparterrete e io apparterrò a voi.»
Vi sbagliate, mio re. Io sono mia, appartengo solo a me stessa.
E anche voi non apparterrete mai a nessuno se non a voi stesso e al mondo che tanto bramate.

 

 
 

 
   
 
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