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Autore: edoardo811    20/08/2017    1 recensioni
Un lungo viaggio da fare, un ignoto passato completamente da scoprire, un intero mondo da salvare.
La vita di Rachel è caduta a pezzi di fronte ai suoi stessi occhi, prima che lei potesse anche solo rendersene conto. Ma dietro ad una ragazza abbandonata, tradita, distrutta, si cela in realtà ciò che probabilmente è l’unica speranza di salvezza dell’intero genere umano. Perché lei non è una ragazza come le altre: lei è una conduit. Un demone, agli occhi dei più, un’eroina agli occhi dei meno.
In compagnia dei suoi nuovi amici, la giovane sarà costretta a dover agire al più presto, in una vera e propria corsa contro il tempo, prima che tutto ciò che con tanta fatica e sacrifici è riuscita a riconquistare venga spazzato via ancora una volta.
Ma essere dei conduit non è facile e lei, nonostante abbia raggiunto una consapevolezza del tutto nuova di sé, presto sarà costretta a scoprirlo.
Perché per raggiungere il controllo ci vuole tempo, tenacia, dedizione.
Per perderlo, invece, basta un attimo.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Raven, Red X, Robin, Sorpresa
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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7: SEGRETI

 

 

Fortunatamente, la scia di luce arancione rimase visibile nel cielo ancora per diversi minuti, permettendo alla giovane di riuscire a trovare il luogo da cui era provenuta con estrema facilità. Ciò che non si aspettava di trovare, comunque, era quell’enorme bosco in cui l’autostrada correva in mezzo. Dall’automobile, a causa della lontananza, e del buio, non era riuscita a scorgerlo, ma ora che si trovava lì poteva notare benissimo gli alti alberi dai rami fitti e ricoperti dalle prime foglie primaverili.  Scoprire che il razzo segnalatore era provenuto da un luogo come quello aveva abbassato notevolmente la possibilità che qualcuno avesse davvero chiesto aiuto.

Rachel si abbassò di quota, iniziando a volare tra le punte degli alberi, in modo da essere ancora più nascosta. Era abbastanza sicura che nessuno l’avrebbe vista in ogni caso, ma prevenire era meglio che curare; del resto, anche se era una conduit, i proiettili facevano male pure a lei. E non doveva nemmeno escludere la possibilità di incontrare qualche altro suo simile.

Infine, vide ciò che da diverso tempo ormai non era più abituata a vedere: automobili completamente intatte, più delle persone radunate vicino ad esse.

Si trovavano esattamente in mezzo alla strada e diversi falò accesi fecero pensare a Rachel che quello si trattasse di una specie di accampamento. La giovane scese fino a terra, rimanendo nascosta tra la vegetazione. Raggiunto il suolo, ritornò in forma umana, rimanendo nascosta dietro al tronco di un grosso albero. Da lì si sporse, osservando perplessa ciò che si trovava di fronte a lei.

Gli uomini erano seduti accanto ai falò, chi con in mano dei barattoli di cibo in scatola, chi con delle birre, chi con delle armi. Era evidente che nessuno di loro avesse bisogno di aiuto. Ma allo stesso tempo, non sembrava nemmeno il luogo per un’imboscata, quella. Come avrebbero potuto tenderne una a qualcuno rimanendo lì, in bella vista?

Uno di loro in particolare catturò la sua attenzione. Era un afroamericano, con i capelli raccolti in delle piccole treccine. Un tatuaggio rosso acceso, in netto contrasto con il colore del resto della pelle, risaltava sopra di lui. Una semplice decalcomania che non sembrava rappresentare nulla di particolare, partiva dalla sua clavicola, scendendo lungo il petto nudo e parecchio muscoloso, ricoprendolo per buona parte, fino ad arrivare alla vita. La cosa che catturò l’attenzione della corvina fu proprio questo tatuaggio, il quale non sembrava nulla di comune. Sembrava quasi... formicolare, sopra la pelle dell’uomo.

Tra gli uomini presenti, quello fu colui che più di tutti lasciò perplessa la ragazza. Qualcosa le suggeriva che non era una persona normale.

Si accorse poi che l’attenzione di tutti era incentrata su uno dei veicoli, un pick-up grigio chiaro. Rachel posò così lo sguardo sull’auto. A quel punto, sentì il proprio sangue gelarsi nelle vene. Due persone si trovavano a terra, un uomo ed una donna, la quale era legata ed imbavagliata. Produceva dei versi terrorizzati dalla bocca e aveva gli occhi gonfi e rossi di pianto. Accanto a lei, il prigioniero maschio giaceva stravaccato contro l’automobile, con un foro di proiettile sulla fronte. Sangue ancora fresco gocciolava dalla testa, ormai il suo intero volto ne era ricoperto.

Una figura, l’unica in piedi, osservava i prigionieri, intenta a stringere una pistola in una mano e a farne roteare un’altra, più grossa ed arancione, nell’altra. Corvina non poteva vederlo in faccia, visto che le dava le spalle, tuttavia poteva vedere i suoi capelli, o meglio, i pochi che gli restavano, ossia due ciuffi tirati all’insù, tinti di verde, disposti ai lati del cranio, dando quasi l’impressione che avesse due corna sulla testa. «Dimmi, anche tu sei in vena di scherzetti?» domandò alla donna, sollevando la pistola arancione, con tono parecchio adirato.

Solo in quel momento Rachel si accorse delle mani libere del prigioniero privo di vita. A quel punto, spalancò gli occhi. Tutto le fu chiaro: quello doveva essere riuscito a liberarsi e a sparare quel razzo segnalatore con quella strana pistola, anche se le cose non erano affatto finite bene per lui.

«No?» proseguì l’uomo in piedi, con la sua voce roca e stridula al tempo stesso. Porse la pistola verso i prigionieri, scrutandoli uno per volta. «Ne sei davvero sicura? Sono certo che se ci riprovi questa volta faranno la fila per venirvi a salvare!»

Non ricevendo alcuna risposta, l’uomo si allontanò da lei, per poi cominciare a camminare avanti ed indietro, gesticolando. «Sai, questa mattina mi sentivo particolarmente di buon umore. Oggi non volevo fare del male a nessuno, sai? Voglio dire, pensa solo al ragazzino di qualche ora fa’, non gli abbiamo torto un capello, gli abbiamo solamente fatto saltare in aria la macchina. Un lavoro veloce e pulito. Perché, vedi...»

L’uomo si chinò di fronte a lei, costringendola ad indietreggiare il più possibile con il capo e a chiudere gli occhi terrorizzata. «... magari non potrebbe sembrare, ma anche io ho un cuore» disse, battendosi il petto con il calcio della pistola, per poi afferrare di colpo i capelli della donna, tirandola verso di sé e facendole emettere un urlo di dolore soffocato dalla benda. «È solo che voi persone, a volte, sapete essere davvero, davvero irritanti!» gridò, per farsi udire sopra i versi disperati di lei, mentre la strattonava. «Perché non potreste per una volta, una sola dannatissima volta, lasciarvi catturare senza fare storie?! Lo volete capire che io non voglio farvi del male?! Avete capito bene, non voglio farlo, ma siete voi che mi costringete!» esclamò, spingendola di nuovo con forza contro il veicolo, facendole sbattere la testa contro la portiera. Quella gridò ancora una volta, poi chinò il capo, iniziando a singhiozzare, forse per il dolore, forse per la paura, forse per entrambe.

«Ecco, visto? È successo di nuovo!» L’aguzzino si sollevò di nuovo in piedi, sospirando esasperato e scuotendo la testa. «Questa è solo colpa vostra, lo sapete?»

Per tutto il tempo Rachel osservò scioccata la scena. Quindi... erano stati loro ad attaccare Jack. E sempre loro avevano rapito quelle persone. Sinceramente, Corvina dubitava che avessero davvero un valido motivo per farlo. A giudicare da come quel tizio parlava e si comportava, non doveva essere altro che l’ennesimo schizzato mentale. La ragazza stava seriamente cominciando a stancarsi di loro.

«Era tuo marito, quello?» chiese poi l’uomo, con voce più calma. La prigioniera continuò a piangere e a fare di tutto per non guardarlo, a quel punto il suo interlocutore parve irritarsi nuovamente. «RISPONDIMI!» urlò, costringendola ad aprire gli occhi. Quella la osservò terrorizzata, per poi annuire freneticamente, con gli occhi che imploravano pietà.

«Sì, capisco. Beh, mi spiace che sia dovuta finire così. Dico davvero. Anch’io avrei preferito che fosse ancora vivo.» L’aguzzino si risollevò sulle proprie gambe, sospirando rumorosamente. «Che ci vuoi fare. La vita a volte da e a volte toglie.»

La donna continuò a piangere, ignorandolo. L’uomo la scrutò dall’alto, poi grugnì. «Ah, al diavolo.» Afferrò di nuovo la donna per i capelli, facendola strillare di nuovo terrorizzata. La fece sbattere a terra con violenza, strappandole un verso soffocato, poi le puntò contro la pistola. Rachel strabuzzò le palpebre. Fu l’unica cosa che riuscì a fare. Lo sparo che si udì riecheggiò a miglia di distanza. La donna giacque poi a terra, senza più emettere un suono, con il capo insanguinato.

La corvina si coprì la bocca, trattenendo a stento un conato di vomito, ed indietreggiò, inorridita da ciò che aveva appena visto. Rischiò quasi di inciamparsi e fare rumore. Si appiattì contro il tronco dell’albero, con il cuore che batteva all’impazzata ed il respiro irregolare. Era successo tutto così in fretta, era bastato un semplice attimo per permettere a quell’uomo di strappare via quella vita innocente. Rachel non aveva avuto neppure il tempo di pensare.

Se solo fossi stata più veloce..., pensò amareggiata, quasi disgustata da sé stessa.

«Chi era incaricato di perquisirli?» domandò poi l’uomo. La ragazza non avrebbe voluto continuare ad assistere a tutto quello, ma con un enorme sforzo decise di farlo comunque. Tornò ad osservare gli individui armati, e notò l’assassino dei due prigionieri mentre si voltava, mostrando un volto pieno zeppo di piercing. Aveva un anello al naso, come i tori, uno sul labbro, un piercing per ciascun sopracciglio più due dilatatori alle orecchie. E quando parlò, Rachel ne vide uno perfino sulla lingua.

«Ero io.» Uno degli uomini si alzò in piedi. Non sembrava avere più di trent’anni, aveva i capelli castani, corti, un volto che la conduit non avrebbe mai scambiato per quello di un criminale, od un assassino.

«Avvicinati» ordinò il capo. Quello obbedì, facendo diversi passi avanti e trovandosi di fronte a lui. «Come hai fatto a non notare questa, mentre li perquisivi?» domandò l’uomo con i capelli verdi, sollevando la pistola del razzo segnalatore.

«Ecco... credo che ce l’avesse nascosta nei pantaloni.»

«Come puoi dirlo?»

«Perché non li ho controllati.»

«E perché non gli hai controllato i pantaloni?»

Il castano esitò. «Beh... non pensavo che avrebbero potuto nascondere qualcosa lì dentro...»

«Oppure non volevi semplicemente mettere le mani lì sotto, ho ragione?» interrogò ancora il capo, la cui espressione pareva indecifrabile. Sembrava accigliato, ma in quel momento sembrava riuscire a mantenere il controllo senza troppe difficoltà.

«Beh...»

«Ehi, io non ti biasimo di certo!» proseguì l’uomo con i piercing, per poi sogghignare. «Insomma, non volevi certo farci fare la figura dei pervertiti, no? Hai fatto bene, hai fatto bene.»

«Davvero?» domandò il castano, apparendo piuttosto sorpreso.

«Ma certo» proseguì il suo capo, per poi rivolgersi al resto della banda. «Anche se una mano nei pantaloni della signora io ce l’avrei messa. E voi, invece?» Scoppiò a ridere, seguito ben presto dalla folla. Anche il castano cominciò a ridere, apparendo improvvisamente più rilassato.

Ma prima che Rachel potesse anche solo pensare che quella scena fosse surreale, il capo della banda tornò serio di scatto, voltandosi veloce come un fulmine e sferrando una poderosa legnata con il calcio della pistola alla tempia del castano, facendolo crollare a terra. Tutti smisero di ridere all’improvviso, mentre l’uomo con i capelli verdi si chinava sul suo sottoposto per continuare ad infierire, colpendolo alla tempia così tante volte da fargliela sanguinare. Un rumore orribile si udì ad un certo punto e Rachel sentì il proprio sangue gelare nelle vede, desiderosa di non scoprire quale ne fosse stata la causa.

«Ti avevo. Dato. Un ordine!» stava esclamando il loro capo, tra un colpo e l’altro. «E tu non l’hai eseguito!»

Andò avanti in quel modo per molto più tempo di quanto Rachel avrebbe potuto pensare. Quando riuscì finalmente a calmarsi, si rialzò in piedi, respirando affannosamente e con la mano ricoperta di sangue. Il volto del suo sottoposto, invece, era ormai una maschera formata dalla sostanza vermiglia.

«La prossima volta...» rantolò, spostando lo sguardo sui propri uomini. «... controllate anche i pantaloni. Chiaro?! E adesso fate sparire questo sacco di merda dalla mia vista» ordinò, dando un calcio al corpo ormai privo di vita ai suoi piedi. «E preparatevi. Ripartiamo immediatamente.»

Rachel osservò gli uomini iniziare lentamente a rialzarsi e a svolgere ognuno la propria mansione. Anche l’afroamericano che aveva visto prima si rialzò, per poi mettersi le mani sui fianchi. Si guardò attorno per un breve momento, poi qualcosa parve attirare la sua attenzione, perché si bloccò all’improvviso. Si voltò poi di scatto, esattamente verso di lei. La ragazza strabuzzò le palpebre alla vista dei suoi occhi: due bulbi rossi e vitrei, privi di iridi e pupille. Trattenne il fiato e si nascose istantaneamente dietro al tronco. Si mise una mano di fronte alla bocca ed attese, immobile come una statua. Diverse perle di sudore scivolarono lungo la sua fronte.

Passarono trenta secondo abbondanti prima che lei decidesse di sporgersi di nuovo. Quando lo fece, riuscì di nuovo a respirare: l’uomo non stava più guardando verso di lei. Corvina sospirò di sollievo, poi si lasciò scivolare contro il tronco. A quel punto, i suoi sospetti erano più che confermati, quel tizio era un conduit, anche se non aveva idea di che genere. I suoi occhi erano molto simili a quelli che aveva avuto Richard quando era fuori controllo, ma c’erano molti fattori che le facevano dubitare che le cose fossero davvero collegate. Vide alcuni di loro trascinare via i tre cadaveri, i due ostaggi più il sottoposto. Si sentì terribilmente in colpa, nonché un’incapace, per non essere riuscita a fare nulla per salvare almeno la donna, ma non avrebbe mai potuto aspettarsi uno scatto d’ira così repentino da parte di quel tizio. E in ogni caso... dubitava che sarebbe davvero riuscita a fare qualcosa per lei, non senza dover combattere contro quei tizi e vista la presenza di quello strano conduit, dubitava che le cose sarebbero finite bene. Avrebbe potuto chiamare i suoi compagni, ma non sarebbero mai arrivati in tempo per aiutarla.

Distolse lo sguardo dagli uomini armati, incapace di reggerlo ancora. Si trasformò immediatamente in corvo e si sollevò in aria, intenzionata ad andare via di lì il più presto possibile, ben conscia che quella donna tenuta in ostaggio, quei versi spaventati e quello sguardo terrorizzato non sarebbero svaniti tanto facilmente dalla sua mente.

 

***

 

Quando Rachel fece ritorno alla macchina, trovò ad attenderla anche Amalia, Tara e Jack. Le prime due erano occupate a parlottare con Rosso, l’ultimo, invece, se ne stava in disparte, appoggiato contro la macchina e lo sguardo basso. Dall’altra parte del veicolo, Richard faceva la medesima cosa. Fu solo quando la corvina scese a terra, ritornando in forma umana, che entrambi alzarono lo sguardo.

«Allora?» domandò Lucas, avvicinandosi a lei. «Scoperto qualcosa?»

Rachel annuì, cupa in volto. «Ho trovato chi ha attaccato Jack.»

Il ragazzo sgranò gli occhi udendo quell’affermazione. «Chi è stato?»

«C’erano degli uomini armati, laggiù. Quello che molto probabilmente era il loro capo ha accennato ad un ragazzo a cui hanno fatto esplodere la macchina... non mi è stato difficile capire di chi parlavano.»

«E il razzo segnalatore? Perché l’hanno sparato?» interrogò ancora Rosso, perplesso.

Corvina sospirò profondamente. «Non sono stati loro. Avevano degli ostaggi. Uno di loro si era liberato ed era riuscito a sparare quel razzo, ma non ha fatto una bella fine... e anche l’altro, sua moglie, è stata uccisa davanti ai miei occhi. Io...» Rachel esitò. Abbassò lo sguardo, per poi scuotere il capo. «Mi... mi dispiace... è successo tutto troppo in fretta, non ho potuto fare niente per loro...»

«Ehi» cercò di rassicurarla Lucas, posandole una mano sulla spalla. «So bene che tu avresti voluto salvarli, ma non devi accusare te stessa per la loro morte. Non è stata colpa tua. Gli unici che hanno colpa sono i loro assassini, lo sai.»

La conduit tenne gli occhi bassi, non trovando la forza, od il coraggio, di incrociare lo sguardo del partner. L’unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento era lo sguardo terrorizzato di quella povera donna.

«E perché questi tizi avrebbero attaccato Jack?» interrogò Tara, facendosi avanti in quel momento.

«Per lo stesso motivo per cui hanno catturato ed ucciso due persone» replicò Rosso. «Nessuno. L’hanno fatto perché gli andava di farlo.»

«Già, ne so qualcosa...» mugugnò Komi.

«E... quei tizi dove sono adesso?» domandò Jack, titubante. Anche lui sembrava parecchio scosso.

Rachel sospirò. «Poco prima che io me ne andassi, il loro capo ha detto loro che stavano per ripartire. Non so dove sono diretti, ma credo che abbiano proseguito dritti. Sinceramente, spero di non doverli mai più rincontrare...»

«Credo proprio, invece, che sarà proprio quello che succederà...» mugugnò Richard, distogliendo lo sguardo da tutti loro.

«Cavolo, tu sì che sai come risollevare l’umore...» borbottò Amalia, roteando gli occhi.

«Non voglio fare il guastafeste» aggiunse Robin, incrociando le braccia. «Sono solo realista. Sono andati dritti, giusto? Quindi, verso ovest. E noi dove stiamo andando?»

«Ovest...» mormorò Corvina.

«Esattamente.»

«Non credo proprio che siano diretti verso la comunità» replicò Rosso, il quale non sembrava per niente desideroso di dare ragione all’ex Mietitore.

«Anche perché non sappiamo nemmeno se esiste davvero» rispose a sua volta Richard, scoccandogli un’occhiata, quasi come gli stesse lanciando la sfida di provare a contraddirlo ancora una volta.  

Lucas serrò la mascella. Rimase in silenzio per un breve istante, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, Jack si intromise, lasciando di stucco tutti i presenti: «No…» mugugnò, posandosi una mano sulla tempia, quasi come se si stesse concentrando talmente tanto da provare dolore. «La comunità... esiste...»

Tutti i ragazzi si voltarono di scatto verso di lui, guardandolo come se provenisse da un altro pianeta.

«Che... che cosa?» Rachel fu l’unica che riuscì a trovare il coraggio di parlare.

«I-Io... io...» Il ragazzino espirò profondamente, per poi scuotere la testa. «... io ci sono stato. Nella comunità, intendo. Non... non riesco a ricordarla bene, però... so che è successo.»

La ragazza corvina lo osservò basita. La comunità... esisteva. Scoprire questa cosa in quel modo, all’improvviso, la lasciò completamente di sasso. Non se l’aspettava, come poteva aspettarselo? Certo, aveva sperato con tutta sé stessa che il loro viaggio potesse condurli dove volevano andare, tuttavia lo scoprire che la comunità esisteva davvero, che non stavano compiendo un’impresa inutile, cambiò drasticamente tutto quanto il suo modo di vedere la cosa.

Sapere che una volta giunti in California avrebbero trovato ciò che cercavano, sapere che avrebbero trovato un luogo sicuro, con altri sopravvissuti, magari perfino altre persone che potevano conoscere, improvvisamente infuse in Rachel una sensazione di fiducia e speranza che poche volte aveva provato. Perché lì non si trattava più solo di lei, ma dell’intera popolazione. La comunità era il primo piccolo, ma grande passo, verso un mondo nuovamente in pace. 

Improvvisamente, fu grata di aver scelto di accogliere Jack nel loro gruppo: nonostante continuasse a sentirsi a disagio in sua presenza, aveva dimostrato di sapere qualcosa di vitale importanza per loro, nonostante la sua memoria smarrita. Chi poteva sapere quante altre cose avrebbe potuto ricordare restando insieme a loro.

«Speriamo che loro non lo sappiano, allora» concluse Richard, distogliendo lo sguardo da tutti loro ancora una volta, quasi con fare altezzoso.

Diversi versi di sdegno si sollevarono tra i ragazzi, infastiditi dalla sua mania di rovinare sempre tutto.

«Oh, andiamo!» sbottò Amalia, accigliata. «Non puoi dirmi che questa volta non l’hai fatto di proposito!»

Richard fece schioccare la lingua, evitando di rispondere, anche se Rachel poté giurare di aver visto un sorrisetto divertito sul suo volto. Tara, nel frattempo, stava facendo i complimenti a Jack per essersi ricordato di una cosa tanto importante, mentre Komi osservava la scena non molto entusiasta, come facilmente prevedibile. La corvina si voltò poi verso di Rosso, il quale stava sorridendo a sua volta. I loro sguardi si incrociarono ed entrambi si scambiarono un cenno di intesa: sarebbero arrivati alla comunità il più presto possibile, ormai Rachel era pronta anche a viaggiare venti ore di fila al giorno se necessario.

«D’accordo, gente» esordì Lucas, ottenendo l’attenzione di tutti quanti. «Direi che qui non c’è più molto da fare. Abbiamo una comunità da raggiungere.»

 

***

 

«D’accordo... sei pronta?»

Rachel inspirò profondamente. No, non era affatto pronta. Le sue gambe parevano gelatina, sentiva lo stomaco tutto attorcigliato e probabilmente nel giro di poco tempo le sarebbe perfino venuta voglia di vomitare. Che razza di comportamento stupido per una scemenza come quella.

Una scemenza che potrebbe valere l’intero semestre..., pensò, con una smorfia.

«Sì, sono pronta.»

Richard sorrise, per poi posarle una mano sulla spalla. «D’accordo, andiamo!»

I due ragazzi procedettero lungo il corridoio, diretti verso una parete sotto la quale una folla di ragazzi si era radunata, ognuno sicuramente con la stessa intenzione di Rachel.

Ci volle diverso tempo prima che i due giovani potessero riuscire a farsi strada tra quella calca di studenti, ma poco per volta si avvicinarono alla parete. Infine, si trovarono di fronte ai tabelloni afflissi.

«Vuoi andare prima tu?» domandò la corvina all’amico, facendo vagare lo sguardo in ogni direzione eccetto che di fronte a lei.

Il ragazzo ridacchiò. «Forse faresti meglio a guardare prima tu, prima che ti venga un collasso.»

Rachel avvampò, poi abbassò lo sguardo. Quanto le sarebbe piaciuto essere sicura di sé come lui. Era una settimana ormai che la giovane si stava torturando interiormente per colpa di quel dannato esame di matematica, mentre Richard non aveva mai avuto nemmeno l’ombra di essere agitato e anzi, spesso e volentieri l’aveva punzecchiata per questo motivo, dicendole di non preoccuparsi, di stare tranquilla, che sicuramente sarebbe passata, e siccome lei era convinta al duecento percento che le gufate esistessero, ogni volta gli aveva quasi urlato di smetterla di dire così, con l’unico risultato di peggiorare solamente la situazione.

E ora erano lì. La corvina non aveva il coraggio di alzare lo sguardo, era quasi pietrificata.

«Vuoi che guardi io per te?» Ora la voce di Richard giunse molto più morbida e gentile. Rachel sollevò gli occhi verso di lui, rispondendo con una supplica muta di farlo, o sarebbe svenuta per davvero.

Il moro ridacchiò. «D’accordo, d’accordo... non posso dire di no a quegli occhi...» rispose, per poi iniziare a cercare il nome della giovane sopra i tabelloni.

La ragazza arrossì spropositatamente dopo quell’affermazione, tuttavia quella sensazione non durò molto.

«Oh, no...» mormorò Richard, smettendo di sorridere improvvisamente, al che la corvina si allarmò per davvero.

«Richard, che succede?» domandò, sentendo i battiti del proprio cuore accelerare all’improvviso per la tensione. Lui si voltò verso di lei, volgendole uno sguardo che mai prima aveva visto su di lui. Sembrava demoralizzato e la cosa non fece altro che peggiorare l’umore della ragazza, che ora si sentiva quasi in procinto di svenire direttamente.

«Mi dispiace...» sussurrò lui, abbassando il capo.

Rachel sgranò gli occhi. Il suo cuore ora saltò un battito.

No, no, no, no, no...

La ragazza cominciò a cercare il suo nome tra i tabelloni, con ansia ed orrore crescenti. A stento riusciva a vedere quali nomi ci fossero su quei fogli, a causa dell’enorme numero di studenti che avevano sostenuto il test e a causa dell’agitazione che ormai minacciava davvero di mandarla all’ospedale. Non le sembrava vero, non poteva essere stata rimandata, aveva studiato così tanto, si era impegnata così tanto, aveva rinunciato ad uscire con Richard così tante volte a causa degli studi, avrebbe dovuto saper fare quel test ad occhi chiusi per via di tutto quel tempo che aveva passato sui libri! Non poteva davvero aver sprecato tutti quei giorni per niente.

Perle di sudore scivolarono lungo la sua fronte, ormai stava quasi per mettersi ad urlare disperata e per la frustrazione, quando finalmente riuscì a leggere il suo cognome. Tremando come una foglia, spostò lo sguardo verso destra, superando il proprio nome, per poi finire con le iridi esattamente sul punteggio che aveva ottenuto. E quando fece ciò, prima sopragiunse lo shock, poi l’incredulità e poi, infine, la rabbia.

80. Aveva preso 80. Era passata a pieni voti. Rachel si voltò verso di Richard, scrutandolo quasi come se volesse incenerirlo.

«Beh, che c’è?» domandò il ragazzo con tono innocente. «Perché mi guardi così?»

«Sei... sei uno stronzo!» esclamò lei, tuttavia cominciando lentamente a sentire i propri nervi sciogliersi. «Mi hai quasi fatto venire un infarto!»

«Addirittura» sogghignò il ragazzo, per poi darle una pacca sulla spalla. «Non devi arrabbiarti così, sei passata!»

«Sì, ma...» la ragazza si interruppe. In effetti... sì, era passata. Era passata!

Rachel sgranò gli occhi, rendendosene davvero conto solo in quel momento. C’era riuscita, aveva passato l’esame, per di più con un bel voto. Lentamente, un tenue sorriso si distese sul suo volto. «Oh... oh cavolo! Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!»

«Sì, Rachel. Ce l’hai fatta» sorrise Richard, avvolgendole un braccio attorno alle spalle. «Dobbiamo festeggiare, che ne pensi?»

La ragazza annuì, entusiasta. «Sì, dobbiamo... ehi, ma tu non guardi il tuo risultato?»

«L’ho già visto sta mattina» ammise il ragazzo. «Sono passato. E avevo già visto anche il tuo.»

«Ma...» Rachel dischiuse le labbra. «E non potevi dirmelo subito che ero passata?»

«E dove sarebbe stato il divertimento?» rispose lui, scoccandole un’occhiatina complice.

La corvina roteò gli occhi, facendo un’altra smorfia. «Hai uno strano concetto di divertimento...» mugugnò, strappandogli una risatina che contagiò suo malgrado anche lei, perché la fece sorridere nuovamente. Non poteva davvero tenere il broncio o addirittura odiare Richard per qualcosa, le era impossibile.

«Che ne dici, ci prendiamo una pizza e ci guardiamo un bel film?» propose lui, stringendola più forte.

Lei annuì, poggiando la guancia sulla sua spalla, felice, serena e rilassata come mai si era sentita, ancora troppo sconvolta da quella bella notizia per crederci davvero. «Mi sembra perfetto.»

«Ehi, scusate, permesso!» gridò qualcuno alle loro spalle. I due ragazzi si voltarono, solo per trovarsi di fronte un Garfield catapultato a tutta velocità verso di loro. Rachel si separò da Richard e si fece da parte, rischiando quasi di venire travolta da biondo, che si piombò di fronte ai tabelloni.

«Gar, fai attenzione!» esclamò Victor, il quale stava giungendo proprio in quel momento.

«Scusate, scusate» farfugliò Logan senza nemmeno voltarsi verso di loro, osservando i tabelloni concentrato come mai lo era stato. Rachel temette che il suo cervello potesse cominciare a fumare da un momento all’altro.

Victor si mise accanto ai due amici, sospirando e scuotendo la testa, sconsolato dal comportamento del ragazzo biondo.

«Andiamo, andiamo, dove cavolo è la ‘L’?» Garfield fece scorrere il dito sui tabelloni, fino a quando non trovò il suo nome. A quel punto, sollevò le braccia al cielo e si mise sulle ginocchia. «SÌÌÌÌÌÌÌ!!!» urlò a pieni polmoni, facendosi sentire probabilmente fino alla dirigenza, dall’altra parte della scuola. «Sessantuno! SESSANTUNO! WHOOOOO!»

I tre ragazzi ridacchiarono osservando quella reazione così esagerata, per un voto così mediocre. Ma del resto, era Logan. Rachel si sorprese del fatto che non si fosse portato dietro una tromba da stadio o dei coriandoli per festeggiare.

«Devo chiamare Tara!» esclamò poi il biondo, rimettendosi in piedi. «Questa sera dobbiamo festeggiare!»

«Voi festeggiate già tutte le sere...» osservò Richard, facendo sghignazzare Victor.

«Ma questa volta è diverso, questo è un festeggiamento per le occasioni speciali!»

«Non voglio sapere quale sia la differenza...» mugugnò Rachel, strappando due risate ai compagni vicino a lei.

Garfield la ignorò, iniziando a smanettare con il cellulare con enfasi. «Bene, vi saluto, ci becchiamo più tardi!» esordì, per poi allontanarsi in fretta e furia ed avvicinandosi il telefono all’orecchio, per poi annunciare alla sua fidanzata la buona notizia.

«E a te, Victor? Com’è andata?» domandò Richard all’afroamericano, dandogli di gomito.

Il massiccio ragazzo gonfiò il petto inorgoglito. «Ho preso ottantasette. Vediamo se riesci a battermi anche questa volta, cervellone.»

«Già, vediamo se il mio novantuno può battere il tuo ottantasette...» replicò Grayson, prendendosi il mento e facendo finta di rifletterci su.

«Novantuno?!» sbottò l’afroamericano, basito. «Ma come diavolo...?!»

«Ritenta, sarai più fortunato» sorrise il moro, battendo il pugno sulla sua spalla. L’espressione da bambino offeso che fece Victor dopo fu una delle cose più divertenti che Rachel aveva visto nei tempi recenti.

I due ragazzi cominciarono a discutere su chi fosse più sveglio di chi, Victor difendendosi dicendo che "non stava tutto il giorno sui libri e che aveva anche una ragazza da portare a cena", Richard invece rispondendo con "alcune persone erano portate per fare determinate cose, altre no". Tuttavia tutto quel discorso giunse quasi come un eco distante alle orecchie di Rachel, la quale era semplicemente troppo felice di potersi trovare lì e di poter condividere quel momento tanto bello quanto banale con degli amici sinceri come loro. Erano cose come quella che riuscivano a farla stare meglio, magari non per molto, ma comunque riuscivano sempre in maniera eccelsa a scacciare i fantasmi del suo passato, e lei adorava quei momenti.

Si rese conto di star ridendo in quel momento, forse per una qualche battuta fatta dai due, e la cosa la stava facendo sentire bene. Tremendamente bene.

I tre ragazzi proseguirono lungo il corridoio, fino alla porta che conduceva fuori, nel cortile. Richard e Victor avanzarono di fronte a lei, spalancandola e continuando a chiacchierare. La ragazza li seguì, uscendo fuori e venendo travolta dalla luce del giorno, così intensa da costringerla a chiudere gli occhi con forza.

Quando li riaprì, tuttavia, non vide nessun cortile di fronte a sé. Di fronte a lei, vide il Centro Storico il giorno dell’esplosione. La ragazza pietrificò all’istante, osservando le macerie, i cadaveri mutilati ed irriconoscibili delle vittime sparpagliati tra i detriti, il cielo tinto di rosso per via degli edifici in fiamme, le sirene che trillavano all’impazzata e gli elicotteri che sorvolavano la zona alla ricerca di sopravvissuti con i riflettori.

Improvvisamente, tutte le belle emozioni provate fino a poco prima svanirono, lasciando invece spazio ad una tremenda angoscia, che le stritolò il petto come una pressa. Ogni cosa le tornò in mente di colpo. Quel luogo... era dove si erano trovati lei ed i suoi amici fino a qualche momento prima.

In quel luogo si erano trovate migliaia di persone, fino a qualche momento prima. Ora era tutto in fiamme. Migliaia e migliaia di vite, di uomini, donne, bambini, animali, erano state spazzate via. E lei era sopravissuta, esattamente nel bel mezzo di quel disastro.

I suoi amici, la sua nuova famiglia, coloro che erano riuscita di nuovo a farla sentire apprezzata, felice, a casa, erano spariti, tutti.

Era andato tutto in frantumi, di nuovo. La ragazza cadde in ginocchio, le guancie scavate dalle lacrime. Non avrebbe mai più rivisto nessuno dei suoi amici, nessuna di quelle persone che le avevano voluto bene e a cui lei stessa aveva voluto bene, anche se non sempre l’aveva dimostrato apertamente.

Era sola. Di nuovo. La ragazza gettò il capo all’indietro: non le restò altro che gridare tutto il suo dolore al cielo.

 

***

 

Rachel si svegliò di soprassalto. Si mise a sedere di scatto, con il fiatone e la fronte madida di sudore. Si guardò attorno, non trovando altro che le pareti di quella stanza in quell’ennesima stazione di servizio in cui si erano fermati. Il suo sguardo cadde poi su Lucas, il quale era addormentato proprio accanto a lei, sulla coperta che avevano posato su quel pavimento. A quel punto, osservando il moro, iniziò lentamente a rilassarsi.

Un incubo. L’ennesimo, per meglio dire. La ragazza sospirò profondamente, massaggiandosi una tempia. Sperava di non doverne avere più, ma a quanto pare qualche forza misteriosa era proprio ostinata a non darle ciò che desiderava. Oltretutto, quell’incubo non era nemmeno stato come gli altri: aveva preso uno dei suoi, pochi, bei ricordi che le erano rimasti, aveva preso tutte le belle emozioni che quel ricordo le aveva trasmesso e le aveva unite all’orrore che aveva provato quando aveva scoperto cos’era successo al Centro Storico.

Le aveva fatto assaggiare quella felicità così genuina, spontanea, che aveva provato in compagnia dei suoi vecchi amici e compagni di scuola e poi gliel’aveva strappata via con brutalità, ricordandole con prepotenza che, quei giorni, mai più sarebbero tornati.

Corvina aveva pensato che ci fosse un limite al sadismo della sua stessa mente, ma, anche in questo caso, si era sbagliata.

La ragazza chinò il capo, continuando ad osservare Rosso, il quale non si era accorto di nulla, sdraiato a terra con un braccio sotto alla testa a mo’ di cuscino. Riuscì a sorriderle flebilmente, guardandolo.

Quei giorni erano lontani, vero, mai più sarebbero tornati, vero, però non doveva più pensarci in quel momento: in quel momento, aveva lui, aveva Komi, aveva Tara e riaveva perfino Richard. E, per finire, la comunità esisteva davvero. Non aveva più motivo di guardarsi indietro e continuare a soffrire per causa di quei ricordi, fino a quando avrebbe avuto qualcosa da poter guardare di fronte a sé.

Passò una mano fra i capelli del ragazzo, distendendo il sorriso, sorprendendosi anche di quanto ispide fossero quelle ciocche color carbone. Per un momento pensò di sdraiarsi di nuovo accanto a lui, tuttavia il suo stomaco brontolò all’improvviso. La conduit fece una smorfia; il brutto di svegliarsi nel bel mezzo del riposo. Si alzò in piedi, diretta verso la macchina dove avevano lasciato i borsoni con le provviste.

Uscì dalla stanza e, girato l’angolo, trovò Jack, appoggiato contro al muro, le braccia conserte e la testa bassa, sicuramente immerso nei propri pensieri. La corvina si fermò di scatto, mentre l’ormai abituale sensazione di disagio che provava in sua presenza tornava a farsi sentire. Realizzò ben presto che avrebbe preferito incontrare chiunque in quel momento, meno che lui. Un po’ le spiaceva pensare cose così sgradevoli nei suoi confronti, in fin dei conti Jack sembrava davvero un bravo ragazzo, ma se c’era una cosa che la conduit aveva imparato, era fidarsi del suo istinto. E se il suo istinto le diceva di non abbassare la guardia, lei obbediva.

Il ragazzo sembrava talmente assorto che per un istante Rachel pensò che non si accorgesse di lei, ma poi sollevò il capo, incrociando il suo sguardo. «Ehi» sorrise.

«Ehi...» rispose lei, cercando di ricambiare il sorriso, sperando di non farlo sembrare una smorfia.

«Non hai sonno?» domandò lui.

«A dire il vero, pensavo di fare uno spuntino...»

«Capito.»

Rachel annuì, poi fece qualche passo avanti. «Beh... a più tardi» salutò, sperando che la conversazione finisse in fretta.

«Aspetta!» esclamò Jack, trattenendola per un braccio, facendola irrigidire come un palo. Si voltò, sollevando un sopracciglio.

Lui si ritrasse, quasi imbarazzato. «Ehm... volevo solo... ecco... ringraziarti come si deve, per ciò che hai fatto per me.»

Corvina corrucciò la fronte, impiegandoci qualche secondo per riuscire a ricordarsi di averlo guarito e di avergli proposto di entrare nel gruppo. Aveva la mente così affollata che faceva fatica a tenere presente sempre tutto. «Sta tranquillo, era il minimo che potessi fare. Siamo tutti sulla stessa barca, no?»

«Sì, lo siamo, però... volevo solo farti sapere quanto ti sono grato. Non ho mai conosciuto nessun conduit come te... beh, non ne sono davvero sicuro, visto che non ricordo niente, però sono abbastanza sicuro che sia così» ridacchiò lui, per poi rivolgerle un cenno del capo. «Sei una brava persona, Rachel. Lucas è molto fortunato.»

La corvina avvampò violentemente. «C-Che cosa? Che intendi dire, scusa?»

«Ehi, non c’è niente di male nello stare insieme a qualcuno. Anzi, è bello sapere che qualcuno riesce ancora a trovare spazio per queste cose nonostante l’inferno in cui viviamo.» Jack distese il sorriso. «Sono felice per voi.»

«Oh, beh...» Rachel non ricordava di essersi mai sentita così in imbarazzo. «Grazie, allora...»

«E di cosa? Ho solo detto la verità» le strizzò l’occhio lui, per poi staccarsi dalla parete. «D’accordo, forse farò meglio a riposarmi ancora un po’, prima che Lucas si svegli e ci obblighi tutti quanti ad alzarci tipo il sergente Hartman. A più tardi.»

«A più tardi» rispose Corvina, con un sorrisetto divertito dopo aver udito quel paragone.

I due ragazzi si separarono e Rachel cominciò a sentirsi sinceramente in colpa per ciò che pensava di Jack. Era davvero un bravo ragazzo. E allora perché il suo istinto continuava a non darle tregua?

Decise di lasciar perdere con un sospiro e si diresse verso l’uscita.  Una volta fuori dall’edificio, venne immediatamente accolta da una folata di aria fredda. Sollevò lo sguardo, verso il cielo tinto di rosso, proprio come nel suo sogno. Una visione molto sgradevole di cui avrebbe volentieri fatto a meno, ma se non altro il rossore in quel caso era naturale, visto che era tardo pomeriggio e il sole stava tramontando. L’idea di continuare il viaggio per la seconda notte di fila non la faceva impazzire, ma dopo tredici ore filate seduti in macchina tutti quanti avevano avuto bisogno di fermarsi per qualche ora, quel pomeriggio, pertanto era inevitabile dover ripartire verso sera. Il lato positivo era che, dopo una nottata del genere, non doveva più mancare molto a destinazione.

La macchina era parcheggiata vicino alle pompe, vuote, di benzina. La ragazza la raggiunse, tuttavia non aspettandosi di trovare altra compagnia: Richard era lì, appoggiato sul cofano, con il cappuccio alzato e lo sguardo perso nella vegetazione dall’altro lato della strada. Si voltò non appena Rachel si avvicinò, talmente rapido che per la ragazza non fu difficile intuire che avesse i sensi acuiti al massimo; un po’ come un felino timoroso di essere disturbato durante il proprio riposo.

I due si osservarono brevemente, ma nessuno disse nulla fino a quando non fu proprio il brizzolato a grugnire a distogliere lo sguardo. Non sembrava per nulla interessato ad iniziare una discussione e alla ragazza andò più che bene. Si avvicinò al bagagliaio e lo aprì, per poi frugare dentro ad uno dei borsoni e recuperare una delle loro barrette stantie. Con un piccolo moto di timore, la giovane si accorse che le provviste stavano cominciando a scarseggiare, e che anche le scorte di carburante non erano più molte. Avrebbero dovuto trovare una soluzione per quel problema, o presto si sarebbero ritrovati a piedi. Sospirò, pensando a come non avesse mai un attimo di tregua, poi chiuse il bagagliaio e scartò il suo frugale spuntino.

Fece quasi per allontanarsi, tuttavia il suo sguardo si spostò quasi contro la sua volontà su di Richard, il quale ora sembrava ignorarla bellamente. Il cappuccio perennemente alzato rendeva difficile poter scorgere il suo volto ed il suo sguardo, pertanto la conduit non poté capire a cosa stesse pensando, ma avrebbe scommesso tutte le scorte di carburante del mondo che si trattasse di Kori.

Corvina ripensò a ciò che aveva provato quando aveva creato quel legame con lui. Ripensò a quel dolore straziante che lo aveva travolto dopo la morte della sua fidanzata. Non era stato per niente bello, ma se non altro ormai per lei era passato... dubitava che la stessa cosa fosse invece successa per l’ex Mietitore. Anche lui nascondeva un enorme dolore sotto quell’abito con le effigi di uno scheletro.

Ripensò anche al suo sogno... e quanto il brizzolato fosse diverso rispetto al moro che andava a scuola con lei. Ogni volta che ci pensava, sentiva il proprio cuore venire trafitto come da una pugnalata.

«Che hai da guardare?» sbottò lui all’improvviso, facendola trasalire. La ragazza si maledisse in silenzio per essersi dimenticata di con chi stesse avendo a che fare in quel momento, ossia Richard, colui al quale non sfuggiva il minimo dettaglio.

«N-Niente...» mormorò lei, distogliendo gli occhi da lui. «Perché te ne stai qui fuori da solo?» domandò, cercando di svicolare in qualche modo.

«Controllo che nessuno ci rubi la macchina» replicò lui, con noncuranza.

«Oh.» Rachel spalancò le palpebre, sinceramente stupita, in senso buono, di quella risposta. Richard che finalmente agiva per il bene del gruppo? Sembrava fantascienza. 

«E comunque, sarei solo anche se restassi dentro» disse ancora il ragazzo, scrollando le spalle, sempre senza degnarla del minimo sguardo.

Rachel provò un’altra fitta al petto udendo quella frase. «Non è vero...» mormorò, tuttavia con poca convinzione. Anche lei sapeva bene a cosa lui si stesse riferendo.

«Ti prego» borbottò ancora il ragazzo. «Là dentro mi odiano tutti. E il sentimento è reciproco.»

«Se solo tu non fossi così ostile nei confronti di chi vuole solamente cercare di starti accanto!» esclamò la conduit.

L’ex Mietitore, a quel punto, si voltò verso di lei. La ragazza sussultò quando vide quel suo sguardo di ghiaccio. Cercò di reggerlo, per apparire sicura di sé e delle sue parole di fronte a lui, ma non ce ne fu bisogno, perché l’espressione del brizzolato si ammorbidì all’improvviso, non apparendo più accigliata od irritata, bensì quasi... affranta. Richard chinò poi il capo, girandosi ancora una volta. «Lasciami solo» ordinò, anche se pure la sua voce parve tremolare lievemente.

Corvina lo osservò sempre più basita. Aprì bocca per rispondere, ma nessuna parola che potesse sembrare utile per quella situazione arrivò in suo aiuto. Non aveva idea di cosa dire, Richard l’aveva spiazzata completamente.

A quel punto, anche la giovane abbassò lo sguardo, per poi voltarsi. Fece per andarsene, ma la voce di Richard sopraggiunse ancora una volta. «Solo una cosa.»

Rachel si voltò di scatto, sorpresa di quanto entusiasta si sentì dopo averlo udito di nuovo. «Sì?»

«Jack» borbottò Richard semplicemente, tornando ad osservarla, ora con l’espressione di pietra di poco prima. «Non mi fido di lui. C’è qualcosa che non quadra con quel tizio. Non l’ho detto prima, di fronte agli altri, perché sapevo che tutti mi avrebbero dato contro, ma so che tu invece non lo faresti.»

La conduit annuì. «Hai ragione, non lo farei.» Rachel si sorprese della fiducia che lui aveva appena riposto in lei. E ancora di più, si sorprese del fatto che anche qualcun altro non si sentiva a proprio agio con la presenza Jack.

«Perché lo pensi?» domandò la ragazza, sperando che lui avesse delle vere motivazioni e che non si trattasse di semplici sensazioni a pelle, come nel suo caso.

L’ex Mietitore non la deluse: «Ha detto di essere già stato nella comunità, giusto?»

«Giusto.» Corvina annuì, cominciando lentamente a capire dove il brizzolato volesse andare a parare.

«E allora che ci faceva lui a più di mille chilometri di distanza dalla California?»

Rachel sentì il proprio respiro mozzarsi. Anche lei se l’era chiesto, poco dopo che l’entusiasmo della scoperta dell’esistenza della comunità era sfumato. «Non lo so» ammise, smorta.

«Se la comunità fosse davvero stata il posto giusto in cui vivere, lui non se ne sarebbe andato» proseguì Robin, dimostrando che, sotto all’aspetto di ex Mietitore, si celava ancora quel ragazzo arguto ed intelligente che la ragazza aveva conosciuto.

E amato...

«Pensi che... qualcosa lo abbia costretto a scappare?» domandò lei, titubante.

«Forse. Forse qualcosa lo ha spaventato. O forse, il motivo per cui non mi fido di lui...» Il tono di voce del ragazzo si fece molto più esaustivo. «... era lui a spaventare loro.»

Corvina dischiuse le labbra, colta come da un’illuminazione. Dal momento stesso in cui aveva incontrato Jack aveva cercato di spiegarsi il motivo per cui si sentiva così a disagio in sua presenza, ma non era mai riuscita a trovarlo. Ora, però, grazie alla deduzione di Richard, forse si era avvicinata alla soluzione.

«Dici che è scappato perché rappresentava una minaccia?»

Richard annuì. «Qualcosa del genere, sì. Anche se comunque rimangono diversi interrogativi. Ad esempio, se davvero fosse stato così pericoloso, non lo avremmo trovato in fin di vita in mezzo alla strada. Però, d’altro canto, se fosse stato un ragazzo normale non sarebbe nemmeno sopravvissuto a ciò che gli è capitato.»

«Non sembra avere dei poteri, però...» obiettò la ragazza.

«Non tutti i conduit ce li hanno. Ricordi Dominick? Non bisogna solo sparare palle di fuoco e raggi laser per essere dei conduit pericolosi.»

Rachel si mordicchiò l’interno della guancia. Ripensò a Dominick, a come il suo potere principale fosse quello di saper semplicemente copiare i poteri degli altri, e poi ripensò anche a Deathstroke. Lui non aveva nessun potere, aveva un semplice fattore di guarigione, eppure era stato uno degli avversari più duri che Rachel aveva mai incontrato. Però, se davvero Jack aveva un potere simile a quello di loro due, perché la gente lo aveva cacciato dalla comunità? Non erano nulla di tanto pericoloso, non nelle mani di un ragazzo normalissimo come lui. C’erano ancora troppi tasselli mancanti per riuscire a trarre un disegno completo.

«So che sembra un’accusa campata all’aria, ma sto solo dicendo di non abbassare la guardia.»

«Non intendo farlo» affermò la giovane con sicurezza.

Robin fece un cenno d’assenso con il capo. «Bene. Grazie per avermi ascoltato.»

«Grazie a te per avermene parlato.»

L’ex Mietitore distolse lo sguardo da lei ancora una volta, avvolgendosi nel silenzio. Non sembrava più intenzionato a continuare la discussione. La ragazza lo osservò ancora un per un momento. Strane emozioni vorticavano dentro di lei in quel momento, per lei fu impossibile riuscire a capire di quali si trattassero. Decise di voltarsi a sua volta e di andarsene da lì, tanto ormai non avevano più nulla da dirsi. Solo in quel momento si rese conto di avere ancora tra le mani la sua barretta, già masticata in diversi punti. La corvina la guardò pigramente. Fece per morderla ancora una volta, ma la fame le era passata all’improvviso. A quel punto sospirò, si mise la barretta in tasca e tornò dentro all’edificio.

Si domandò cosa Lucas avrebbe pensato se lei avesse parlato della faccenda Jack anche con lui, tuttavia... pensò quasi che non era il caso di parlargliene. Rimase sconvolta di quel pensiero, ma era la verità.

Rosso non aveva bisogno di sapere cosa lei e Richard si erano detti. Quello, sarebbe stato il loro piccolo segreto.

   
 
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