Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: VeganWanderingWolf    20/08/2017    0 recensioni
questa è la seconda storia della serie '4 di picche' - Vero che Danny si aspettava di poter rivedere qualcuno dei “colleghi” dei 4 di picche, ma forse non così presto e in una situazione tanto potenzialmente grave. Non solo. Dal suo passato rispunta una vecchia conoscenza che sa essere tutt’altro che innocua. E per finire, sembra che la sua vecchia conoscenza abbia individuato con precisione uno dei suoi punti deboli per eccellenza… e che sia ad un passo dall’affondarci le zanne…
Genere: Comico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie '4 di picche'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 36

(LA CLIENTE)

 

Danny era estremamente grato di essere finalmente uscito dalla casa-laboratorio di Mordecai, e con Uther lo spiava appena di sottecchi mentre camminavano affiancati lungo la via quasi deserta, si stava godendo appieno tutto quanto: dalla luce solare del tramonto estivo al caldo tepore d’essa sulla pelle, e persino i rumori e gli odori di quel lato antico della città di Tairans che un tempo era stato più propriamente un quartiere-ghetto ebraico, semplicemente perché persino quelli erano inequivocabili segni di vita che scorreva tranquillamente attraverso le ore, dimenticandosi sovente di contarle magari.

Rimase piacevolmente stupito anche dalla domanda che gli rivolse Uther dopo un poco, giusto perché gli dava segno che ora anche lui si preoccupava almeno di quel tanto di verificare che tutto fosse abbastanza a posto relativamente alla loro effettiva situazione di potenziale pericolo.

«Nessun sentore di mezzi lupi, a parte te naturalmente, nelle vicinanze?»

E Danny sogghignò appena tra sé e sé, perché naturalmente l’inspirare a pieni polmoni l’aria esterna gli aveva chiaramente permesso di verificare anche quello, e il risultato faceva parte appieno, viste le circostanze, del modo in cui si stava godendo quella sorta di passeggiata.

«No. A quanto pare non ci hanno ancora trovato.» rispose, con una certa dose di soddisfazione.

«Ed è perché siamo estremamente in gamba quando si tratta di seminare mezzi lupi, oppure perché sono mezzi lupi con una capacità di seguire le tracce da due soldi?» si informò Uther, con fare rilassatamente discorsivo, ma un sorrisetto sogghignante sulle labbra.

Danny sorrise di nuovo un poco. «Forse… semplicemente entrambe le cose.» commentò con distratta tranquillità.

Nel quieto silenzio che seguì, mentre continuavano a camminare con calma affiancati, Danny si ritrovò a pensare alle ultime rassicuranti parole che aveva loro rivolto Mordecai mentre li congedava: a riguardo di come avrebbe approfondito ulteriormente la faccenda di ciò che gli avevano raccontato, si sarebbe fatto venire alcune idee e avrebbe sviluppato alcune accurate analisi, e si sarebbe recato da loro l’indomani per parlarne ancora e meglio. Si sentiva piuttosto rinfrancato, anche se era difficile stabilire esattamente per che cosa al momento: forse perché avrebbero avuto almeno un’altra opinione dalla loro, oltre che un’altra persona che potesse concentrarsi sul problema con una certa esperienza lucida e calma, o forse perché dopotutto e banalmente non sarebbe più stato l’unico “esperto in fatto di mezzi lupi” nella faccenda lì presente a Tairans, o ancora perché l’incontro fissato per l’indomani con Mordecai non gli avrebbe richiesto di ritornare in quella stanza piuttosto buia e dalle pareti e soffitto cosparsi di ritratti. Rabbrividì al solo pensiero, e Uther parve accorgersene.

«Ancora mi sembra incredibile… che dopo tutto quello in cui siamo incappati come ‘4 di picche’, tu possa essere così impressionato da dei… ritratti.» osservò, come se gli avesse letto nel pensiero, o come se avesse giusto intuito il motivo di quel suo rabbrividire inquieto.

Danny lo guardò per un breve momento. «Anche a me, a dire la verità. Ma era come… una sensazione per contrastare la quale non riuscivo a fare niente. Forse è solo come ha detto Mordecai. Forse è solo una questione puramente istintiva da mezzo lupo…» commentò infine, alzando le spalle.

Gli sembrava quasi superfluo, ora, starne a ricercare troppo motivo e significato, quando non doveva più subirla nel presente o nell’immediato futuro.

«Anche se… a ripensarci…» aggiunse tuttavia «Preferirei credere che Mordecai sia solo una specie di visionario, o che stesse mentendo, magari semplicemente per prenderci in giro o qualcosa del genere.»

Uther emise un leggero verso divertito. « È quello che ho pensato all’inizio. E comunque non è da escludere del tutto. Ma… dopo un po’ ho avuto la sensazione che facesse sul serio. Anche se probabilmente ci sono molti modi per poter creare quell’effetto di luci e tutto il resto, e chi inganna le persone per mestiere recitando la parte a dovere per farsi pagare, beh, di solito sa abbastanza il fatto suo da risultare credibile. Però… se così fosse, sarebbe strano che tu ti sia sentito così a disagio, no? Insomma, ne abbiamo visti di tizi e tizie che si presumevano chissà cosa, e aldilà dello scetticismo di cui abbiamo sempre fatto tesoro nelle nostre… già, sortite da ‘4 di picche’… beh, tu stesso hai detto che non avevi mai provato nulla del genere prima. A meno che non sia solo l’effetto postumo di quella roba che ci ha dato da bere il falso Mordecai. O forse quello vero non ci ha narcotizzato ma ci ha dato qualcosa che ha aumentato in qualche modo la nostra soggezione, e tuttavia non quadrerebbe col fatto che ti sei sentito così già prima di bere il secondo tè, oppure che io non mi ci sia affatto sentito a quel modo.»

Danny ora lo stava fissando, sinceramente incuriosito. Raramente aveva sentito Uther dilungarsi così tanto in qualche discorso, e non poté fare a meno di sospettare, visto il comportamento dell’altro negli ultimi giorni, che ci fosse qualcosa sotto.

Uther registrò il suo sguardo con un solo breve e fugace spostamento delle pupille. «Ma comunque, visto che si presume ci dovrebbe dare una mano, sarebbe meglio decidere una volta per tutte se pensiamo che sia un visionario completo oppure qualcuno che sa quello che fa.» osservò allora semplicemente, permettendo a Danny di cogliere il punto.

Danny notò allora che Uther sembrava decisamente più propenso ad accogliere finalmente la prospettiva di chiedere aiuto a qualcuno in generale, e soprattutto a qualcuno che non avesse fatto parte dei ‘4 di picche’; e sperò intensamente che non fosse quello ad essere solo un effetto postumo del narcotizzante. L’altra opzione, era che semplicemente Uther avesse apprezzato le prime impressioni a riguardo di Mordecai, il che, se da un lato poteva rendere molto più facile collaborare col necromante, dall’altro lato non lo entusiasmava particolarmente, se non altro perché in fondo continuava a preferire aspettare l’arrivo di almeno Kumals.

Danny sospirò appena e alzò brevemente le spalle, commentando solo «Se non altro, almeno non dovrò tornare là dentro, non a breve perlomeno.»

Uther si limitò ad emettere un piccolo sornacchio divertito a mo’ di commento.

Dopo qualche altro minuto di silenzio, Danny esclamò di punto in bianco «Ecco chi mi ricorda!»

Uther gli gettò uno sguardo sorpreso, alzando appena le sopracciglia, tra l’ironico e il complicemente divertito. «Chi? Mordecai?»

Danny lo guardò con quell’ingannevole convinzione, data da eccessivo entusiasmo, che chiunque a cui ci si stia rivolgendo stia automaticamente capendo immediatamente di che cosa si sta parlando. Annuì in fretta per confermare, e aggiunse con una certa vittoriosa soddisfazione «Quel personaggio di quella serie… ‘Buffy the Vampire Slayer’*… come si chiamava, accidenti…?»

Uther sbatté appena le palpebre, continuando a fissarlo con un sorrisetto ancora più divertito ma anche più significativo, e di colpo Danny parve imbarazzato come se avesse realizzato qualcosa.

«Beh… ne ho vista qualche puntata dal Conte…» spiegò Danny, passandosi una mano dietro la nuca, decisamente meno entusiasta «Sai, lui mira a collezionare tutta la filmografia, bibliografia e via dicendo che tratti di vampiri… Non poteva mancargli quella serie televisiva… Anche se la sua opinione in proposito è che tratti del vampirismo in maniera troppo puerile per la maggior parte del tempo…»

«Stai cercando una giustificazione, Danny?» gli chiese Uther, sogghignando appena sotto i baffi.

Danny gli lanciò un’occhiata e crollò le spalle, prima di borbottare «Hum… sì, decisamente sì.»

Uther ridacchiò appena e sommessamente, e dopo qualche istante e un lieve sospiro, disse solo una parola «Doc.»

Danny lo spiò come se sospettasse di aver sentito male. «Come?»

Uther fece una vaga smorfia di tenue sorriso, tra il rassegnato e il dolentemente ironico. «Mi sembra di ricordare che il personaggio a cui ti riferisci si chiamasse Doc. A meno che non mi confonda con la serie di ‘Ritorno al futuro’**» aggiunse, fingendo brevemente una scherzosa espressione riflessiva come se il dubbio fosse davvero così significativo.

Danny rimase per lunghi istanti in silenzio, guardandolo fisso e trattenendosi solo in parte dallo sbattere le palpebre per lo stupore e, probabilmente, per lo sforzo di cercare di comprendere meglio dallo studio dell’espressione dell’altro quanto stesse cercando di prenderlo in giro.

Alla fine Uther sospirò di nuovo e ammise a sua volta «Anch’io ne ho viste diverse puntate di quella serie.»

Danny continuò comunque a cercare sospettosamente qualche accenno di ironia bugiarda nella sua espressione, pur sapendo che quando Uther voleva mentire, anche solo a scopo ludico, lo sapeva fare perfettamente.

Ed Uther aggiunse, senza attendere la domanda ma come se l’avesse perfettamente intuita dalla sua espressione «Me le ha propinate Kumals, sostenendo che avessero un contenuto potenzialmente istruttivo.»

Danny aggrottò un poco la fronte, in un incerto e ancora più sospettoso sforzo di concentrazione interrogativa. «Qualcosa di… ‘istruttivo’?» ripeté, perplesso.

Uther gli gettò un’occhiata con un sorrisetto di compunta rassegnazione piuttosto divertita, continuando a camminare con le mani in tasca. «Quando mi sono rifiutato di vederne altre puntate e ho insistito nel chiedere a Kumals che cosa ci fosse mai da poter “imparare” guardando quella roba, mi ha detto… ‘Chiaro! E’ pieno di vampiri. Ed ecco, rappresenta benissimo come non sono i vampiri. Sono molto peggio!’»

Danny osservò la smorfia sempre rassegnata ma ora anche abbastanza infastidita di Uther, e non sapendo se tutto quello gli faceva più venir da ridere o da abbandonarsi ad una nuova incredulità riguardo a Kumals e al suo pretendere di aver visto dei “veri” vampiri, si risolse a dire «Non fa una piega, almeno secondo Kumals. Io non ho mai visto dei vampiri “veri e propri” comunque… ma a me Kumals ha detto che non potrei nemmeno averne sentito l’odore, dal momento che sostanzialmente non ne hanno alcuno, non proprio, tutt’al’più riflettono gli odori di ciò che sta loro intorno…»

Uther alzò appena le spalle. «Non so nemmeno se esistono i vampiri, al di fuori delle affermazioni di Kumals. Potrebbe essere solo uno dei suoi modi di scherzare...»

Danny sorrise un poco tra sé e sé, tutto sommato affettuosamente. «Potrebbe tranquillamente essere così.» commentò semplicemente, prima di lasciar cadere un silenzio che, con sua stessa sorpresa, suonò decisamente più confortevole di tutti gli altri che c’erano stati tra lui e Uther negli ultimi giorni.

Dopotutto, l’inattendibilità voluta di Kumals quando decideva di prendersi gioco di qualcuno di loro poteva benissimo essere un punto sul quale concordare senza bisogno di spendervi troppe parole.

 

***

 

Una volta accomiatati i suoi due ospiti, Mordecai tornò nella stanza più ampia del piano terra della sua casa, che fungeva sia da sala ricevimento dei clienti che da laboratorio e cucina, e si lasciò cadere su una delle poltrone radunate attorno al tavolino con una leggera dose di abbandono e un po’ meno di quella compunta precisione chirurgica con la quale solitamente eseguiva ogni movimento.

Pur se non aveva nemmeno gettato un’altra occhiata nella confusione di oggetti che regnava ancora per la stanza, provocata dal “fantoccio” che aveva avuto anche la malaugurata idea di imprigionare i suoi due nuovi conoscenti nonché amici e colleghi di Kumals, si sarebbe detto che il lungo e tutto sommato comunque calmo sospiro rassegnato che emise dopo un poco fosse dovuto proprio a tutto quello.

Dopo essersi limitato ad osservare per qualche lungo silenzioso momento semplicemente il tavolino davanti a lui, emise un altro genere di sospiro, più breve e paziente, e si raddrizzò meglio con la schiena sulla poltrona, che avvicinò nel contempo al tavolo. Una volta assunta quella posizione più elegantemente composta, si tolse gli occhiali dalla montatura sottile, e iniziò a pulirne meticolosamente le lenti con un fazzoletto che si era tratto dal taschino della giacca del suo completo. Gli occhi chiusi e un’indecifrabile espressione di tranquilla meticolosità dipinta sul volto, sarebbe stato incerto dire se si stesse rilassando e recuperando calma e concentrazione, oppure ordendo chissà quali complicati piani.

Quando ebbe risistemato occhiali e fazzolettino da taschino accuratamente ripiegato al loro posto originale, riaprì gli occhi, lo sguardo calmo e concentrato con un che di professionale e abituato, apparentemente rivolto a nulla in particolare. Sollevò quindi le braccia, piegandole, e appoggiò le mani aperte e a palmo in giù sulla tovaglia del tavolino, dicendo solo, apparentemente rivolto solo al quieto silenzio della stanza che lo circondava – silenzio che eppure sembrava vibrare di qualcosa di sottile in attesa, che pizzicasse l’aria appena e con la grazia di un delicatissimo suonatore di qualche strumento a corda lieve come una sorta di arpa: «Molto bene.»

Come se quelle parole costituissero in realtà una specie di formula magica, davanti a molti dei ritratti che ricoprivano le pareti e il soffitto della stanza le lucine iniziarono a riaccendersi, qualcuna fiocamente e timidamente, qualcuna più energicamente, altre con un ché di compassata lentezza elegante.

«Prima di tutto… avrei bisogno di rivolgervi una domanda. E prima di tutto vorrei parlare con chi saprebbe darmi una risposta.» annunciò allora Mordecai, la voce tranquilla e perfettamente piana, eppure anch’essa, come se fosse perfettamente adattata all’atmosfera di quella stanza tanto da appartenervi per qualità innata, lievemente vibrante di qualcosa che poteva solo a malapena sembrare un’emozione pacata, ma soprattutto un’acuta e sensibile intelligenza accorta. Il suo sguardo era ancora rivolto dritto davanti a sé, come se non stesse guardando nulla di particolare, o come se stesse fissando dritto dritto nei suoi stessi pensieri, o forse in qualche mondo altro.

Alle sue parole, quasi tutte le lucine che si erano accese o che si andavano accendendo parvero emettere qualche bagliore lievemente diverso, come una sorta di risposta, o come se fossero state pervase da una specie di incuriosita attenzione.

Sebbene non le stesse affatto guardando, Mordecai annuì lentamente e brevemente, in qualche modo con un che di grato e gentile, come se le sue aspettative di mutuo rispetto avessero trovato la soddisfazione che si aspettava, con fiducia ma anche una certa severità paziente e ferrea.

«La domanda è questa: che cosa sta succedendo qui?»

Le lucine davanti ai ritratti vibrarono di nuovo di una diversa moltitudine di accendersi o spegnersi, di accentuarsi o affievolirsi, come se tra quella folla d’esse si fosse diffuso una sorta di intenso chiacchiericcio. Mordecai rimase fermo e in silenzio, perfettamente calmo e impassibile come una sfinge, o come un gatto infinitamente paziente capace di attendere per ore prima di decidersi a spiccare il balzo decisivo su una preda adocchiata. Pareva si fosse dimenticato del tempo che scorreva, o che per lui avesse perso di importanza, come se si basasse su altri calcoli tutti suoi. Se qualcuno glielo avesse chiesto – e una volta Kumals lo aveva fatto con la sua intrattenibile curiosità piena di candore apparente – Mordecai avrebbe risposto solamente: ci vuole una pazienza quasi inimmaginabile con chi non appartiene più del tutto e interamente al mondo dei viventi.

Dopo lunghi minuti di svariate danze di lucine lungo le pareti e il soffitto della stanza, che avevano disegnato un susseguirsi di sfumature luminose e chiaroscuri sui lineamenti sempre immobili di Mordecai, qualcosa sembrò cambiare nel loro agitarsi. Iniziarono a spegnersi: qualcuna più nettamente e d’improvviso, qualcuna affievolendosi molto lentamente, qualcuna con una singolare indecisione di riaccendersi e spegnersi, ma indubbiamente quelle che rimanevano accese erano sempre di meno. Mordecai non parve cogliere la cosa con nessuna reazione anche solo della sua espressività facciale: era ancora semplicemente come se attendesse con infinita pazienza e nulla lo potesse turbare, né tantomeno stupire; o forse, si aspettava che sarebbe accaduto esattamente quello.

Dopo qualche altro tempo, una sola lucina rimase accesa, mentre tutte le altre si erano definitivamente spente. Mordecai rimase comunque fermo per svariati altri minuti, come se stesse cercando di vincere assolutamente e con larghissimo vantaggio una sorta di gara a chi dimostrava la maggior assenza di sollecitudine o impazienza, o qualsiasi altro genere di emozione.

Solo dopo lunghi altri minuti, finalmente Mordecai si mosse di nuovo. Si alzò dalla sedia, e si girò su se stesso, camminando con calma fino al piano cucina che occupava una piccola parte del lungo bancone, e una volta raggiuntolo iniziò a scaldare l’acqua per preparare un tè. Quella che in altro contesto sarebbe sembrata un’azione assolutamente ordinaria, per qualche motivo che probabilmente aveva molto a che fare con un’impalpabile lieve sensazione che chiunque fosse entrato nella stanza non avrebbe potuto fare a meno di percepire, o forse anche per la meticolosa estrema tranquillità e precisione con cui Mordecai la stava eseguendo, aveva un che da rituale particolarmente importante e segreto. Quando Mordecai constatò che l’operazione sarebbe risultata un poco più impegnativa del previsto per via della confusione disseminata dal fantoccio che per settimane aveva messo a soqquadro la sua abitazione pretendendo di essere lui, uno dei suoi sopraccigli si incrinò appena, intaccando solo per un fugacissimo istante la sua espressione per il resto neutra ed estremamente nonché impassibilmente tranquilla.

Una voce si udì nella stanza alle sue spalle, poco dopo quella minima perturbazione della sua espressione, e la commentò come se chi parlava avesse potuto coglierla perfettamente nonostante lui desse le spalle al resto della stanza. «Davvero sgraziata creatura, quella che deve aver scombussolato con tanto caos insensato la sua casa.» disse la voce, come se avesse perfettamente inteso, e non avesse dubbi su questo, che cosa stava infastidendo Mordecai.

Questi inclinò appena un angolo delle labbra, in un sorriso leggero e colmo di un sentimento ambiguo, tra la distanza imperturbabile e il sincero affetto, lo sguardo diligentemente abbassato sull’acqua disposta sulla fiamma all’interno di un contenitore, sebbene non vi fosse alcun bisogno del suo intervento per i prossimi minuti, finché l’acqua non fosse giunta alla temperatura di ebollizione.

«Ero sicuro che anche lei avrebbe trovato riprovevole questa confusione, signorina Azaziel***.» si limitò a rispondere Mordecai, la voce così tranquilla che pareva stesse parlando in qualità di esperto ad un corso di come esprimersi il più neutralmente possibile.

Dopo lunghi istanti di silenzio, la voce si fece udire di nuovo. Era una voce femminile, piuttosto bassa d’intonazione, e dal suono ottuso come se provenisse dall’altra parte di una qualche parete frapposta, e il ritmo delle parole aveva qualcosa di indefinibilmente singolare. Per il resto, tuttavia, sembrava una voce d’impronta arguta e colloquiale.

«Per quello che ne posso ritenere, quella creatura capace di tanta maleducata intromissione ha meritato in pieno ogni cosa che le è accaduta.»

Di nuovo un angolo delle labbra di Mordecai si inclinò in un lievissimo accenno di sorriso, troppo fugace e minimale per poterne cogliere appieno la corretta sfumatura, che era tuttavia diversa dalla precedente, e aveva qualcosa di più familiare, appena divertito, e tuttavia severo. «Suvvia, Azaziel. Non spetta certo a lei dare certi giudizi.» osservò molto cortesemente.

Dopo un altro lungo silenzio, la voce replicò con un lieve accenno di ironia «Oh, e a chi spetterebbe dunque? Conosco la sua risposta, Mordecai. ‘A nessuno.’ direbbe certamente lei. E qualcosa come ‘ogni volta che sprechiamo un giudizio è come dunque se rubassimo qualcosa che non ci appartiene’. Ma dal momento che è qualcosa che non appartiene a nessuno, come sarebbe possibile rubarlo?»

Mordecai non rispose, ma il silenzio sembrò tuttavia calare con naturalezza, come se fosse esso stesso una risposta in qualche modo. Si limitò a finire di preparare il tè, prima di girarsi di nuovo su se stesso con due piattini in mano, ognuno recante la sua tazza e il suo cucchiaino e una zolletta di zucchero bianco.

C’era una figura seduta ad una delle sedie del tavolino, ma Mordecai evitò accuratamente di guardarla direttamente come se fosse sua precisa intenzione, sebbene dovesse pur intravederla almeno con la coda dell’occhio, mentre si avvicinava e appoggiava le due tazze una proprio davanti alla figura e una davanti alla sedia sulla quale poi lui stesso si accomodò con garbata eleganza di movimenti calmi.

La donna non si mosse di un solo millimetro.

Che fosse una figura femminile si poteva appena dedurre solo da alcuni tratti della sagoma intuibili al di sotto dell’abito: un prodotto di sartoria che sembrava risalire a fine ‘800 o forse primi ‘900, foggia inglese e stile vittoriano, completamente nero e inequivocabile nel suo essere un vestito da lutto, adatto per partecipare in modo adeguato in quell’epoca e in quella latitudine del globo ad un funerale se si era una delle parenti più strette di chi era defunto. La pesante stoffa nera ricopriva completamente la figura celandola completamente, poiché le mani erano coperte da un’accoppiata di guanti e il capo da un cappellino dotato di un velo di pizzo nero che spioveva a tendina da tutta la lunghezza della circonferenza della tesa, la lunga gonna si drappeggiava fino al pavimento, e da sotto i lembi di quest’ultima spuntava appena la punta di scarpe chiuse. Il tutto dava l’impressione di essere stato acquistato in blocco in piena era vittoriana da un negozio inglese dalla rinomata clientela elegante e generosamente rifornita nella cultura oltre che nel portafoglio; e il tutto era della stessa identica tonalità di nero profondo e indiscutibile.

La donna continuò a restare così completamente immobile che sarebbe potuta benissimo esserci in realtà una statua di cera al di sotto di quell’abito, tanto più perché era un’immobilità che aveva qualcosa di non esattamente adatto ad un vivente. Solo uno sguardo particolarmente acuto e preciso sarebbe forse stato in grado di scovare il particolare che rendeva quell’immobilità così innaturale, perché era assai difficile riuscire a scorgere, al di sotto dello spesso strato di stoffa confezionata per non essere troppo sconvenientemente aderente, la totale assenza a livello del busto dei movimenti prodotti dalla respirazione.

Mescolando lentamente il tè nella sua tazza dopo avervi immerso la zolletta di zucchero, con lo sguardo sempre abbassato sulla tazza e mai rivolto alla figura seduta quasi perfettamente di fronte a lui, Mordecai rimase ancora un poco in un quieto silenzio, in qualche modo grave e riflessivo, prima di parlare di nuovo.

«Lei sa bene, signorina Azaziel, quanto io tenga in grande considerazione il nostro discorrere a proposito di qualsiasi argomento possa essere di comune interesse. Tuttavia, in questo momento c’è una questione a proposito della quale mi premerebbe in modo particolare confrontarmi con lei, avendo, come sempre ho, grande stima della sua opinione su qualsiasi faccenda, e in particolar modo quando si tratta di un argomento come quello di questa portata.»

Dopo qualche momento, la figura mosse un braccio con lenta calma, portando la mano guantata alla tazza, prendendola per il manico e sollevandola per portarsela al volto. Se qualcuno avesse guardato direttamente la tazza, avrebbe notato uno strano fenomeno e avrebbe sospettato di avere le allucinazioni, ma a giudicare dal suo contegno si sarebbe detto che il signor Mordecai, nonostante non stesse in effetti fissando direttamente il movimento, fosse perfettamente consapevole di quello che doveva pur stare cogliendo con la coda dell’occhio, e che lo trovasse perfettamente consueto. L’immagine della tazza vibrò e, mentre la mano guantata della donna la prendeva e sollevava, si sdoppiò effettivamente, come se fossero di colpo diventate due tazze perfettamente identiche: una rimase al suo posto sul piattino, mentre l’altra, che pareva uscita dal corpo della prima, seguì il percorso verso il viso velato della donna, stretta nelle sue dita guantate e ottimamente piegate in modo da impugnarla secondo un certo costume di etichetta, il dito mignolo dritto e sporto all’infuori.

La donna tenne sospesa la tazza per qualche momento di fronte al suo viso, poi la riappoggiò sul piattino, senza che si udisse nemmeno un accenno del tintinnio che comunemente produce questo gesto.

Se qualcun altro avesse assistito a quella singolare scena, avrebbe potuto dedurre due cose. La prima apparteneva alla categoria di cose che può capitare di vedere forse a qualcuno nel corso della sua vita e, salvo la possibilità di decidere fermamente di avere le traveggole, bisogna in qualche modo venire a patti col fatto di averle pur viste, che piaccia o meno: quella figura ammantata di nero si era portata al volto non la tazza vera e proprio poggiata davanti a lei, bensì una sorta di fantasma della tazza stessa. La seconda era una valutazione molto più semplice di cui prendere atto: la tazza da tè era completamente vuota. E così Mordecai stesso l’aveva servita alla sua ospite, ovvero senza versarvi del tè. Questo, non certo perché Mordecai fosse solito giocare scherzi o essere volutamente maleducato con i suoi ospiti, tutt’altro: sapeva bene che cose come fissare direttamente la figura di certi suoi ospiti, od offrire loro vero cibo o bevanda, era quanto di più maleducato e indelicato si potesse fare nei loro confronti.

Da dietro il pizzo nero che celava completamente il volto della figura provenne il suono di un piccolo e delicato schiocco di labbra, tipico di chi gusta qualcosa con piacere. E poco dopo la signorina Azaziel disse «Mordecai, lei vuole lusingarmi? Mi offre il mio tè preferito e così tanti complimenti, quando sa perfettamente che anch’io adoro conversare con lei e la avvertirei di ogni eventuale pericolo che potrebbe toccare da vicino lei, i suoi interessi, o le persone a cui tiene.»

Mordecai sorrise leggermente ed in modo talmente sussiegosamente composto da risultare pressoché ingessato. Tuttavia, dalle piccole rughe che si intravidero discretamente ai lati dei suoi occhi, si sarebbe detto un accenno di sorriso estremamente sincero.

«Lei mi conosce, signorina Azaziel. Non è certo perché dubito della sua leale amicizia nei miei confronti che ci tengo ad essere particolarmente gentile con lei, in queste nostre conversazioni. Ma temo, da quello che ho appreso nelle ultime settimane, e dalle informazioni che lei stessa ha potuto raccogliere, che la situazione sia sempre più complicata e pericolosa. Il disegno che si sta disvelando, mano a mano che un evento si aggiunge ad un altro, e che molti altri accadono al di sotto della superficie della spudorata eloquenza già da prima che io, o qualcun altro che possa darvi la giusta attenzione e il giusto peso, ne veniamo a conoscenza, lascia intendere che saremo messi di fronte a un pericolo serio e grave. E mi rendo perfettamente conto in tutto questo che lei, signorina Azaziel, sta compiendo da settimane un notevole sforzo nel rimanere così concentrata sugli eventi che si stanno muovendo su questo piano dell’esistenza al quale anch’io appartengo. Così come mi rendo perfettamente conto che nulla la costringerebbe a farlo, tanto più considerando quanto per lei sia stancante.»

Per qualche lungo momento seguì solo il silenzio alle parole di Mordecai; ma egli attese senza alcun segno di dubbio o inquietudine o impazienza, come se potesse attendere anche per sempre. Semplicemente attese, come se qualsiasi cosa fosse successa sarebbe stata da lui accolta semplicemente come tale, e come se anche se non fosse accaduto nulla e tutto il resto dell’eternità fosse rimasto congelato in quell’istante comunque non avrebbe rappresentato per lui un grave problema. Una delle cose che quel genere degli ospiti di Mordecai non tollerava assolutamente era la mancanza di pazienza; per loro sembrava essere alla stregua di dimostrare nel modo più infimo e terribile possibile quanto non li si rispettasse, e su un piano di gravità tale che ‘prenderla sul personale’ sarebbe stato un pallidissimo eufemismo.

Quando parlò di nuovo, la signorina Azaziel lo fece con tono particolarmente calmo e attento, e tuttavia c’era in sottofondo una nota di lieve divertimento cristallino, come se appartenesse alla creatura più innocente e candida del mondo, e allo stesso tempo impersonale come se fosse lo stesso tipo di divertimento che avrebbe potuto scorrere sulla superficie di un’anima genuinamente capace secondo propria natura di uccidere chiunque senza provare alcun tipo di emozione a riguardo.

«La ringrazio per la sua cortesia, Mordecai. Ma bando alle formalità, mio caro. Sa bene che questo genere di cose tendono a divertirmi un poco, a loro modo. È ormai chiaro che una trama così complicata e articolata non può che essere stata ordita da qualcuno che sa il fatto suo molto bene. Da più d’uno, in realtà. Tuttavia, aldilà della mia ammirazione per cotanto ingegno… ecco: questa confusione che ha fatto qui quella creatura di terracotta e i suoi pasticci… mi lasciano profondamente turbata. Voglio dire, questo sembra un vero spreco d’ingegno. E io deploro le sbavature così conclamate e distratte quando si tratta di un lavoro che andrebbe eseguito nel modo più preciso possibile.»

La signorina Azaziel tacque, e con molta eleganza riprese la tazza dal piattino e se la portò di nuovo davanti al viso. Tutto avvenne esattamente come prima, a riguardo della tazza fantasma e del tè che non c’era, e per via dell’imperturbabilità di Mordecai, che continuava a non fissare mai direttamente la figura e sembrava perfettamente abituato a quel genere di scena. Non meno abituato appariva a quel genere di discorsi, a come tendevano a perdere il filo e a prolungarsi e diluirsi. La concezione che certi suoi ospiti avevano del passare del tempo era molto diversa da quella di un completamente vivente, e così lo era il modo di pensare e di parlare e di esprimersi, soprattutto a riguardo di un certo filo logico di argomenti. Ma sapeva bene che la signorina Azaziel aveva voluto a suo modo rifondare un punto non indifferente, e che in qualche modo gli aveva risposto esattamente.

Se da un lato nel ‘detto e non detto’ di quella loro conversazione Mordecai le aveva indirettamente chiesto se lei fosse disposta ad aiutarlo ancora da lì in poi con una certa costanza, d’altra parte lei gli aveva ricordato a chi lo stava chiedendo. Ad una donna che, quando era stata completamente in vita, e quando ancora non si faceva chiamare Azaziel, era stata capace di uccidere il marito diluendo con pazienza per molti mesi minuscole dosi di veleno nel tè che gli preparava, e in seguito di presentarsi al suo funerale immedesimandosi completamente e senza alcun problema nella parte dell’affranta vedova. La signorina Azaziel, nome col quale aveva scelto di farsi chiamare da Mordecai, quando era ancora in vita era stata condannata e giustiziata per quell’assassinio solo diversi anni dopo, quando, dopo aver viaggiato in ogni parte del mondo fino a esaurire tutto il suo patrimonio, si era presentata in un commissariato di Scotland Yard a Londra dichiarando tranquillamente di aver assassinato il marito anni prima e spiegando come lo aveva fatto. Una sola cosa si era sempre rifiutata di dire: il perché. E una sola cosa aveva sempre negato: di aver mai anche solo ritenuto di doversene pentire.

Mordecai aveva appreso l’intera storia solo da una discendente del marito ucciso, una pronipote che credeva abbastanza in cose non del tutto terrene da rivolgersi a lui per chiedergli di contattare quella che poi si sarebbe fatta chiamare signorina Azaziel, per chiederle perché avesse assassinato il marito. In una sola conversazione con Mordecai, la signorina Azaziel gli aveva perfettamente fatto intendere che se non lo aveva mai detto quando era ancora completamente in vita il motivo del suo gesto, di certo non lo avrebbe nemmeno detto in quel momento, né mai. L’unica cosa che aveva detto che Mordecai poteva riferire alla giovane donna che si era scomodata così tanto per sapere perché avesse ucciso il marito era stata: ‘Perché se l’era pienamente meritato.’.

Da quel momento in poi, Mordecai aveva qualche volta invitato di nuovo la signorina Azaziel per una conversazione semplicemente perché, come a volte accadeva con alcuni dei suoi clienti non più completamente viventi, trovava interessante discorrere con lei. Solo in seguito si era accorto che la signorina Azaziel era particolarmente brava a celare estremamente bene una notevole e arguta intelligenza, nonché una grande capacità, che solo pochi non completamente viventi mostravano, di percepire con particolare sensibilità e acutezza alcune delle cose che accadevano sul piano dei completamente viventi. Che riuscisse a comunicarle a lui in maniera del tutto comprensibile era tutt’altra questione, poiché per i non completamente viventi tradurre in pensieri logici e parole di linguaggio dei viventi ciò che percepivano era particolarmente arduo. D’altro canto, era qualcosa che toccava loro fare solamente quando comunicavano con un completamente vivente, e per tutti coloro che occasionalmente dialogavano con Mordecai questo poteva avvenire solo ed esclusivamente quando comunicavano lui. Una delle regole fondamentali delle arti di un necromante era che i non completamente vivi coi quali dialogasse non stessero comunicando con nessun altro completamente vivente, per evitare che essi diventassero un mezzo per sapere cose gli uni degli altri tra completamente viventi, o per dirgliele, o per scoprirle. Era un principio insradicabile nell’arte di Mordecai, quello di non sfruttare mai i suoi clienti non completamente viventi per nessuno scopo.

Ma la signorina Azaziel era ‘la’ cliente. Quella che gli aveva detto, in una delle loro prime conversazioni, che lei stessa avrebbe finito per approfittare invece di lui, del suo permetterle di percepire alcune cose che accadevano nel piano dei completamente viventi. ‘Per non annoiarsi’ aveva detto. E tempo dopo, in una delle altre poche ma importanti occasioni in cui Mordecai le aveva chiesto opinioni a riguardo di faccende del mondo dei completamente viventi, poiché chiedere direttamente informazioni non era qualcosa di accettabile, e in ogni caso sarebbe stato pericoloso considerando le qualità dei non completamente viventi di finire per forza per storpiare – volutamente o involontariamente – ogni cosa percepissero in quel piano di realtà alla quale non appartenevano più in nessun modo, la signorina Azaziel aveva aggiunto ‘Si è mai chiesto, signor Mordecai, se non sia più lei il mio cliente, che io la sua cliente? Ma vede, lo scambio diventa dunque paritario. Lei può avere le mie opinioni, e io posso non annoiarmi.’

In qualche modo, quelle poche parole sembravano aver sancito tra loro una sorta di accordo che, sebbene potesse essere reciso da entrambi in qualsiasi momento, aveva sempre avuto una natura in qualche modo solenne. Così, ogni loro conversazione pareva un incontro molto educato tra due sfingi che sanno benissimo che muovendosi potrebbero scatenare potenzialmente una tempesta di sabbia, che nulla le potrebbe trattenere dal muoversi se solo lo volessero, che potrebbero decidere di scatenare la tempesta anche solo per capriccio momentaneo, e tuttavia continuano a non farlo per inspiegabile motivo, e per altrettanto intangibile motivo continuano semplicemente a dialogare come se, facendolo, si incantassero reciprocamente l’una del discorso dell’altra.

«Temo che la situazione si complicherà ulteriormente, purtroppo.» disse ancora la signorina Azaziel, di punto in bianco. Il suo tono era talmente scevro di ogni ombra di sentimento che non avrebbe potuto che suonare inquietante.

Mordecai nascose perfettamente la sua curiosità, e si limitò a prendere un altro sorso di tè con aria compassata.

«E sono sicura che lei ne è perfettamente consapevole, Mordecai.» proseguì la figura ammantata di elegante nero d’altri tempi.

Dopodiché, Mordecai la notò alzare molto lentamente un braccio, aprendo la mano e tenendola sospesa a mezzaria, le dita guantate che si muovevano appena, come se stessero accarezzando invisibili figure nell’aria. Il tono con cui parlò di nuovo pareva più assorto, in una concentrazione fredda. «Questo è solo la superficie. La trama è ben più profonda. Le forze che si stanno concentrando non sono di quel tipo che possano essere strette nelle maglie della logica volontà. Non sono ammaestrabili, in nessun senso, in nessun caso. Sarebbe sciocco pensare il contrario. Ma chi sta ordendo trame per liberarle usa appieno la sua logica dal punto di vista strategico. E… »

La mano guantata si spostò seguendo il comando del braccio, girandosi finché non fu sommariamente diretta verso la terza sedia vuota presso il tavolino. Mordecai seguì il gesto con la coda dell’occhio con meticolosa attenzione, lo sguardo attento; nonostante dalla sua espressione compunta non stesse traspirando molto più che una cortese attenzione, si era dimenticato di smettere di tenere le dita di una mano attorno all’impugnatura della tazza di tè, sebbene non stesse più bevendo.

«…è come se la morte si stesse concentrando. Una nuvola scura all’orizzonte. Di profondità insondabile. Questo è solo il tuono prima della vera e propria tempesta. Bazzecole, per dirla in altro modo.» proseguì la signorina Azaziel. «La morte… ha una natura molto profondamente radicata. La natura di morte, la reca chi sedeva in questa sedia poco fa. Quella creatura reca due nature doppie, di vita e di morte. Saprebbe riconoscere a fiuto l’odore della morte, sebbene non saprebbe mai definirla in parole con una qualsiasi superficiale definizione umana, che non arriva che a dipingersela con l’immaginazione. E chi sedeva qui ne conosce così appieno la natura poiché è almeno per metà insito nella sua natura recarla senza ulteriori fronzoli, snudata nella sua essenza capace di travolgere ogni cosa, e trasformarla irreversibilmente.»

Mordecai lasciò andare il manico della sua tazza di tè e appoggiò la mano sul tavolo. La testa della figura completamene rivestita di nero si voltò verso di lui, come se avesse percepito un cambio nel suo stato d’animo. E quando gli si rivolse, il suo tono aveva assunto un ché di compartecipe e lievemente sorridente. «Oh, non si preoccupi, Mordecai. Non sto dicendo che il mezzo lupo che sedeva qui potrebbe avere malevole intenzioni nei suoi confronti. Tutt’altro. Quello che intendevo dire è che, proprio perché la morte è nella sua natura, inseparabilmente, egli saprebbe districarsi molto bene persino attraverso la tempesta che si sta addensando sull’orizzonte. Ma è lontano dall’essersene consapevole. E le sue due nature di vita non passeranno mai del tutto illese. L’unica cosa che una creatura del genere non può proprio tollerare è la concezione del nostro attuale stare dialogando. Oh sì, l’ho sentita. La sua natura si contraeva come se questo luogo la stesse lancinando da dentro. Ma mi creda, non l’ho in alcun modo presa come un’offesa. Fa semplicemente parte della sua natura. La mia era piuttosto un’acuta curiosità. Non ho mai percepito nulla del genere così da vicino. Non ho mai visto una natura del genere così talmente da vicino.»

La signorina Azaziel tacque, e con tranquilla posatezza di movimenti mosse di nuovo il braccio, stavolta per portarsi nuovamente la tazza vuota al viso. Quando la ebbe riappoggiata sul piattino, tornò ad alzare il volto completamente celato dal pizzo nero in direzione di lui. «Signor Mordecai. Per il rapporto di amicizia che ci lega, le garantisco che avrà la mia completa collaborazione, per aver a che fare con la tempesta che si sta approcciando al vostro mondo. Per quanto mi riguarda, può contare su questa mia promessa pienamente.»

Mordecai annuì lentamente. «La ringrazio, signorina Azaziel. Quanto potrà fare, sarà sicuramente estremamente utile e prezioso, come sempre. Le sono profondamente grato.»

La testa della figura femminile si mosse in un tenue cenno di assenso. Dopodiché, la voce proveniente da dietro il pizzo nero aggiunse «La ringrazio per il tè e per l’interessante conversazione. Come sempre, Mordecai, è un piacere discorrere con lei.»

Mordecai annuì di nuovo. Quindi si alzò, raccogliendo la sua tazza e il suo piattino, e voltò le spalle al tavolino, raggiungendo il lavandino sul bancone per riporveli, il tutto muovendosi molto lentamente, come se avesse bandito ogni sorta di fretta dai suoi gesti. Quando, sempre con gran lentezza, tornò a girarsi, la figura ammantata di nero era scomparsa.

Mordecai piegò le braccia e incrociò le mani all’altezza del petto, osservando distrattamente il tavolino. La sua espressione si corrugò decisamente, come se si fosse repentinamente immerso in accurate e preoccupate considerazioni tra sé e sé. Le lucine disposte davanti a tutti i ritratti lungo le pareti e il soffitto della stanza rimasero spente, e il silenzio parve diventare più denso e assorto su se medesimo, come se una preoccupazione intenta e inquieta fosse discesa in tutto l’ambiente, come se stesse cercando di sentire impalpabili rumori rivelatori di qualcosa di maestosamente temibile che si stesse potenzialmente avvicinando di soppiatto.

 

Soundtrack:

Don’t stop (Foster the people) – per la prima parte del capitolo

Living dead girl (Rob Zombie) – per la seconda parte del capitolo

 

Note per la comprensione (o più che altro, in questo caso, disclaimers):

*BUFFY THE VAMPIRE SLAYER: è una serie televisiva realmente esistente. E nonostante ne abbia guardato solo alcune puntate, mi deve essere rimasto impresso il personaggio di ‘Doc’ (uno dei villain che compare nella 5° stagione) per ragioni misteriose, al punto che quando mi è venuto fuori il personaggio di Mordecai l’ho immaginato con riferimento all’aspetto di questo personaggio (anche se il carattere del villain originale non me lo ricordo per niente, e comunque non credo proprio quello di Mordecai possa corrispondervi), e peraltro solo facendo qualche ricerca per poter citare correttamente questo disclaimer ho scoperto (non lo ricordavo) che anche l’originale Doc di Buffy aveva a che fare con la necromanzia… (devo aver associato il suo aspetto a personaggi necromanticihemvabbhé).

** RITORNO AL FUTURO (in originale BACK TO THE FUTURE): è una serie di film che… beh, se già non li conoscete… è un cult! E uno dei protagonisti era l’indimenticabile personaggio di Doc (niente a che vedere con quello della serie sopra-citata, e se dovessi scegliere tra i due il mio idolo sarebbe sicuramente questo Doc ;) )

***AZAZIEL: questo nome mi è saltato fuori da chissà dove nella mia testa, ma mi suonava fin troppo familiare con qualcosa che dovevo aver sentito da qualche parte… così ho fatto come di consueto le mie brave ricerche per fornire correttamente eventuali disclaimer. E stavolta si tratta di una sorta di “disclaimer parziale”, perché non è esattamente la stessa parola… ma poco ci manca. Troppo poco per non fare un disclaimer comunque. Anche perché a quanto pare il mio collegamento inconscio non è troppo casuale… Infatti ‘Azazel’ è il nome di un personaggio che compare nei testi sacri ebraici, ma io devo averlo assorbito da ‘Il maestro e Margherita’ di Bulgakov. Comunque il personaggio di questa storia non ha nulla a che vedere con quello di Azazel, ne ho solo ripreso il nome (modificato) perché… perché sì, e basta :p

LA CLIENTE: il titolo, che si riferisce come avrete capito alla seconda parte del capitolo (la prima è sostanzialmente giusto un intermezzo), merita un altro onesto mio disclaimer… dal momento che uno dei film che mi colpì annissimi fa è ‘The client’ (regia di Joel Schumacher, tratto dal romanzo di John Grisham), anche se trama e contenuto non hanno niente a che vedere con quello di questa storia.

 

Note dello scribacchiatore: capitolo lunghissimo, e ci ho pure messo un sacco a metterlo on-line. A mia “discolpa” dirò che ci ho messo tanto perché rivederne la seconda (e principale) parte è stato un lavoro un po’… notevole. Ovvero ho litigato con la mia stessa scrittura di getto per cercare di renderla almeno un po’ meno pesante e ridondante, nonostante sia volutamente così di base perché… beh, questo è lo stile della signorina Azaziel in fondo. Spero sia tutto sommato leggibile, come al solito (e con magre speranze). Al prossimo capitolo gente!

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: VeganWanderingWolf