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Autore: marea_lunare    21/08/2017    0 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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(19) Demons and truths

Ognuno ha i propri demoni.

Ognuno ha i propri segreti, i propri incubi, le proprie fobie.

Non sempre però i demoni sono solamente qualcosa di immateriale, possono essere addirittura persone.

Per Rachel, l’incubo più spaventoso era suo padre.

Da quando l’aveva incontrata, John le aveva chiesto poche cose su quell’uomo che le aveva sempre fatto del male, che l’aveva picchiata, umiliata. A volte temeva di chiedersi se non si fosse spinto oltre, sentendo immediatamente una terribile rabbia salirgli in tutto il corpo.

Una volta prigionieri di Eurus, aveva persino scoperto che quel verme aveva rischiato di ucciderla e ciò gli aveva causato diverse notti insonni che Sherlock aveva passato a discutere con lui. La ragazza non aveva voluto nemmeno denunciarlo, considerandolo semplicemente un capitolo chiuso della sua vita nonostante spesso lui e Sherlock avessero tentato di convincerla.

“Vi ho detto di lasciar perdere. Ora sono con voi e solo questo conta” rispondeva severamente ogni volta uscendo dalla stanza in cui si trovavano e lasciando i due con l’amaro in bocca.

Per quanto Sherlock potesse sembrare impacciato riguardo ai sentimenti, si era molto affezionato a Rachel e persino ai suoi occhi sembrava inaccettabile che una persona del genere rimanesse impunita.
 
 
 
Erano passati ormai due mesi dal ritorno della ragazza dopo il coma, periodo nel quale si era ripresa perfettamente, circondata dall’amore e da tanta sicurezza datele da quelli che erano ormai dei genitori a tutti gli effetti tranne che sulla carta.

Una sera si ritrovarono tutti in salotto, nella tranquillità familiare che ormai incorniciava le loro giornate.

Sherlock stava scrivendo freneticamente sul laptop, aggiornando il suo amato blog, John stava leggendo un libro, Rachel stava guardando la televisione seduta sul divano a gambe incrociate mentre Rosie le dormiva beatamente in grembo.

Per un momento la ragazza distolse lo sguardo dallo schermo illuminato e osservò Watson e Holmes sereni, immersi nel loro mondo.

Studiò ogni ruga del loro volto, ogni sfumatura delle loro iridi e contò i capelli che avevano in testa, rendendosi conto di quanto per le altre persone potessero sembrare due comuni uomini londinesi, mentre lei li considerava come le persone più meravigliose che avesse mai conosciuto.

Continuava a ringraziarli ogni giorno per ciò che avevano fatto per lei e capì che l’avrebbero sempre protetta, in qualsiasi caso. L’avevano amata fin dal primo giorno, le avevano aperto le porte ad una nuova vita e finalmente sapeva cosa significava sentirsi accettata, coccolata, accudita.

Fu questa consapevolezza a spingerla a parlare, a dire una frase che non avrebbe mai pensato di riuscire a pronunciare, per dimostrare loro la sua gratitudine e l’immensa fiducia che nutriva nei loro confronti.

“Voglio parlarvi del mio padre biologico”

Lo disse tutto d’un fiato.

Sherlock interruppe bruscamente il suo frenetico scrivere, John sbarrò gli occhi e alzò lo sguardo dal libro, osservandola come se venisse dalla luna.

“C-cosa hai detto?”

“Ho detto che voglio parlarvi del mio padre biologico, John” gli sorrise lei, determinata e sicura di sé.

Quell’ambiente le dava tanti sentimenti positivi e benediceva se stessa per aver avuto il coraggio di fuggire dalla sua vecchia casa piena di dolore e rancore.

“Ne sei sicura, Rachel? Sai che non devi sentirti obbligata, dato l’impatto emotivo che avrebbe su di te” disse il consulente investigativo.

John ormai conosceva Sherlock, ma riusciva a stupirlo ogni volta di più con il fare paterno che aveva assunto da quando Rosie e la ragazza erano entrate nelle loro vite.

Aveva avuto un enorme tatto nel parlarle e per questo fu incredibilmente orgoglioso dell’uomo che amava.

“Sì, Sherlock. Devo… smettere di avere paura, parlarne non potrà farmi altro che bene” sorrise la ragazza di rimando.

“Va bene. Però interrompiti quando non te la senti più, d’accordo?” affermò l’altro alzandosi dalla scrivania e accomodandosi sulla sua poltrona nera, esattamente di fronte a John.

“D’accordo”

John chiuse lentamente il libro e si mise il più comodo possibile, imponendo a se stesso fin da quel momento di controllarsi, sapendo che sarebbe stato difficile.

“Bene” iniziò la ragazza prendendo un bel respiro “Il mio padre biologico si chiama Lionel Campbell. Il nostro appartamento era un monolocale molto spoglio, semplice ma illuminato, nella periferia di Londra. Eravamo solamente io e lui. Nell’arco di diciotto anni, non ho mai incontrato nessun altro parente, perciò non avrei avuto nemmeno a chi rivolgermi una volta scappata. Come vi ho già detto, era un ubriacone e non aveva un impiego, dato che vivevamo con la sua pensione di invalidità. Credo che avesse avuto un brutto incidente sul lavoro che gli aveva compromesso la corretta mobilità, infatti passava metà delle sue giornate a dormire. L’altra metà beveva e, quando era molto arrabbiato, mi metteva le mani addosso. Come ha detto Eurus, una volta mi ha mandata all’ospedale”

“Che cosa è successo, quel giorno?” sussurrò Watson.

Lei sospirò, mantenendo la sua fermezza “Quel giorno Lionel era particolarmente ubriaco e nervoso. Io ero ancora piccola, avrò avuto all’incirca 14 anni e, nonostante mi rendessi conto di dover tacere, mi sono fatta sfuggire una domanda su mia madre”

“Non ci hai detto che era morta quando eri molto piccola?” le chiese Sherlock.

“Sì, ma solo perché questa è l’unica versione che conosco. Mi ha detto che è morta, ma io non ne sono mai stata del tutto sicura. Non mi ha mai detto il giorno della sua morte, non mi ha mai portata al cimitero a vedere la sua tomba, per casa non c’era nessuna foto che la ritraesse. O meglio, non c’erano foto e basta”

“Quindi tu pensi che possa averti abbandonata”

“Esattamente. Penso che sia proprio per questo che Lionel non ha lasciato alcuna foto di lei in casa. Perché sapeva che sarei potuta andare alla polizia e chiedere notizie di lei, riuscendo magari a rintracciarla e fuggire dal suo controllo, ritrovandosi senza nessuno a fare le faccende di casa”

“Si appoggiava molto a te, vero?” domandò Sherlock, intrecciando le mani sotto il mento.

“Io ero praticamente la sua unica fonte di sostentamento. Facevo tutto per lui: la spesa, cucinare, pulire. È anche a causa di questo e della sua mancanza di soldi che non sono potuta andare alle scuole superiori. La retta e i libri costavano fin troppo”

“Perciò lui non voleva che te ne andassi, perché aveva bisogno di te” affermò John.

“Esatto, lui mi voleva obbligare a rimanere lì per sempre. Infatti quando quella sera ho osato chiedergli il nome di mia madre, ha iniziato a picchiarmi forte come non aveva mai fatto. Prima mi ha tirato i capelli e poi mi ha gettata a terra, prendendomi a calci dove capitava tranne che sul viso, l’unico punto che non potevo coprire in qualche modo. È un uomo incredibilmente stupido, ma sa essere furbo quando vuole” continuò lei con disprezzo e disgusto nell’intonazione “Faceva male, davvero molto. Sentivo la punta della scarpa colpire con forza ogni parte del mio corpo e mi ricordo di aver iniziato a piangere, addirittura gridavo, ma nessuno nei dintorni mi ha sentita o, perlomeno, nessuno è venuto a bussare alla nostra porta”

John artigliò il bracciolo della poltrona con le unghie, sentendo l’imminente bisogno di alzarsi e uscire per una lunga passeggiata.

Sherlock non mosse un muscolo, rimanendo freddo ed impassibile, sapendo che il compagno era sul punto di perdere le staffe e osservando Rachel con sguardo penetrante, invitandola silenziosamente a continuare.

“Quel giorno mi ha incrinato due costole. Probabilmente dopo è stato preso da un moto di lucidità e mi ha portata in ospedale, giustificando le tumefazioni e il danno alla gabbia toracica con una mia misteriosa caduta dalle scale. Quella fu l’unica volta in cui ebbi veramente paura di morire. Le altre volte ero spaventata dalle sue grida e da quanto potesse far male ogni schiaffo. Mi diceva che ero la rovina della sua vita. Se commettevo un errore, mi puniva picchiandomi”

“Ricordo bene l’incubo che hai avuto anni fa” disse Sherlock, ripensando a quella notte in cui aveva per la prima volta abbracciato Rachel, piangente e spaventata tra le sue braccia per un sogno oppressivo fin troppo realistico, causato dalla sadica mente di Moriarty.

“Io purtroppo non rammento nulla se non i flash con impresso il viso di Moriarty…” sospirò la ragazza, accarezzando il volto della bambina sdraiata su di lei “In ogni caso, è un uomo per cui non ho mai nutrito né nutrirò il minimo affetto o di cui mai avrò la minima stima. Proprio per questo ho deciso, appena compiuti diciotto anni, di fuggire da lì. Mi ero resa conto che la mia vita ormai non aveva più alcun senso, perché vivevo esclusivamente per prendermi cura di quell’ameba che aveva contribuito alla mia procreazione. Iniziai a provare un fortissimo rancore nei suoi confronti, ma capii che non potevo oppormi al suo volere, altrimenti avrebbe capito la mia intenzione di scappare e, soprattutto, mi avrebbe picchiata ulteriormente”

“Rachel… Lui ha anche…” domandò John titubante, non sapendo se avere più paura della risposta o del crollo emotivo che la figlia poteva avere.

“Abusato sessualmente di me, vuoi dire?” domandò lei sorridendogli teneramente “No, fortunatamente questo no. Era più interessato alle prostitute che a me, perciò mi ha sempre lasciata in pace” gli rispose, così il dottore poté tirare un sospiro di sollievo, rendendosi subito dopo conto di quello che la ragazza aveva detto.

“Un momento, andava a prostitute?” domandò sconcertato.

“E’ ovvio, John. Un uomo con un quoziente intellettivo simile e, vista la scarsa cura personale che possiamo dedurre dai racconti di Rachel, quale donna con un minimo di buonsenso andrebbe mai al letto con una bestia del genere se non sotto cospicuo pagamento?” disse Sherlock con tono beffardo.

“Continua tesoro” le disse John alzandosi in piedi ed iniziando a camminare avanti e indietro per tutta la stanza, prendendosi il volto tra le mani.

“Papà, stai calmo. Ora è tutto passato, sto bene e sono qui con voi. Mi fa molto male parlare di tutto questo, ma avevo bisogno di raccontarvelo. In anni di convivenza e di adozione ancora non ufficiale, questa è l’unica cosa riguardo alla quale non mi sono mai aperta con voi e ho capito che era giunto il momento di farlo. Tenendomi tutto dentro mi sono praticamente fatta da sola del male, perché avevo paura che sareste andati voi stessi a denunciarlo. Non lo conoscete e vi assicuro che è una persona tutt’altro che tenera o comprensiva. Voi siete diventati la mia luce, mi avete dato una speranza dopo anni praticamente di reclusione, continui pianti e abusi fisici e non avrei mai permesso al mio passato di intrufolarsi in questa nuova armonia. Sapevo che denunciandolo, Lionel avrebbe fatto di tutto per riprendersi la sua vendetta. Inoltre la fama che ha Sherlock avrebbe giocato solamente a vostro sfavore, perché sarebbe potuto venire qui a distruggermi di nuovo quando voleva. Non voglio che voi ci andiate di mezzo, non mi perdonerei mai di aver distrutto la mia nuova esistenza con le mie stesse mani, solamente per far pagare un torto ad un uomo che io non considero nemmeno tale”

“Rachel, io capisco cosa tu voglia dire, ma sai che non è giusto. Hai vissuto nel terrore per quasi due decenni. Denunciare un abuso fisico o una violenza su minore è sempre la cosa giusta da fare, perché a questo punto Lionel sarebbe in carcere già da un pezzo” disse John fermandosi in mezzo al salotto a guardarla.

“Lo so papà, ma cosa avrei potuto fare, me lo spieghi? Non ero io che non me lo permettevo, ma la situazione. Ero da sola al mondo, John, ancora non avevo voi, non conoscevo nessuno oltre a mio padre, capisci? Ero una minorenne e sarei stata per forza affidata ad una casa famiglia, nella quale però Lionel avrebbe potuto rintracciarmi. Una volta maggiorenne, il discorso sarebbe stato sempre lo stesso, l’unica differenza è che avrei potuto fare tutto da sola. Poi una volta che ho trovato voi, ho considerato tutta quella storia come da dimenticare, anche se so bene che avrei dovuto denunciarlo. Ma ormai sono più di tre anni che non lo vedo, non so nemmeno se sia morto per qualche disfunzione al fegato causata dall’alcol, se si sia trasferito o cosa diavolo ne so io. Ma ve lo giuro, se vi avessi incontrati prima di fuggire di casa, state pur certi che l’avrei denunciato. Appena arrivata a Baker Street ero ancora troppo insicura e spaventata, perciò non me la sono sentita. Vi chiedo scusa per non solo aver avuto paura, ma avervi anche fatti preoccupare per me” concluse la ragazza con sguardo triste.

Sherlock si alzò dalla poltrona e le si sedette di fianco, accarezzandole con delicatezza la mano non occupata a sorreggere la piccola Watson.

“Va bene così, Rachel. Ti senti bene?”

“Sì, Sherlock, sto bene e sono felice” sorrise la ragazza, orgogliosa di non aver pianto e di aver reso John e Sherlock partecipi persino di quel frangente della sua vita

“Solo vorrei sapere cos’è veramente successo a mia madre. C’è una parte di me che mi dice che non è morta, anche se so che rimarrò per sempre con questo dubbio” continuò leggermente sconsolata.

“Possiamo provare comunque a cercare nei database di Lestrade, se Lionel ha qualche precedente sicuramente sarà schedato negli archivi di NYS e ci sarà anche scritto il nome di sua moglie, o ex-moglie” le disse Sherlock tentando di essere rassicurante.

“Pensi di poterlo fare?” chiese la ragazza speranzosa.

“Immediatamente se vuoi. John, per te va bene?” chiese Sherlock guardando il compagno, il quale gli sorrise stancamente, sentendo il peso della rabbia scivolargli addosso.

“Certo che va bene”

Il detective si alzò di slancio e aprì di nuovo il suo laptop, entrando, ovviamente con i dati che aveva carpito a Lestrade in uno dei suoi tanti momenti di noia, nell’archivio della polizia.

“Sei sicura di non ricordarti assolutamente niente di tua madre? Niente di niente?” chiese Watson alla ragazza che si era andata a rifugiare tra le sue braccia per calmare sia se stessa che lui.

“No. Non mi è mai stato raccontato nulla di lei, non so nemmeno il suo nome”

“Pensaci bene, tesoro, magari Lionel si sarà lasciato sfuggire qualcosa…”

“Mh…”
 
“Bene, vediamo… Lionel Campbell…” sussurrò Sherlock digitando il nome.

Immediatamente sullo schermo apparve una foto segnaletica dell’uomo, affianco i suoi precedenti penali.

“Sesso maschile, sulla cinquantina, cura estetica praticamente assente, sento la puzza del suo alito solo guardandogli i denti. Niente di esageratamente grave, solo ripetuti atti osceni in luogo pubblico. Probabilmente lo hanno trovato insieme ad una delle sue ‘compagne’ in un luogo troppo frequentato” sbuffò il detective sembrando quasi deluso dalla mancanza di dettagli cruenti, ma al contempo sollevato dato che si trattava dell’uomo con cui Rachel aveva vissuto tre quarti della sua vita.

“Sherlock, guarda… Non c’è nulla… Non vedo il nome della moglie o ex-moglie, non è nemmeno vedovo… Qui è segnato come scapolo!” esclamò John indicando lo schermo del PC.

“Già… Ma perché? Rachel, sai se i tuoi genitori fossero sposati? Magari non avevano celebrato alcun matrimonio, ma ti hanno avuta quando erano solo fidanzati, molte coppie lo fanno. O almeno, così ho letto su internet” continuò Sherlock, alzando gli occhi sulla ragazza alle sue spalle.

“Purtroppo non so dirti nulla, Sherlock, sai che Lionel non mi ha mai rivelato niente riguardo mia madre” sospirò la ragazza, tentando di concentrarsi per ricordare qualcosa.

All’improvviso spalancò gli occhi mormorando “Aspetta…Ci sono!”

“Cosa ti è venuto in mente?” le chiese John.

“Una volta… Lionel si è infuriato con me perché gli avevo detto che il mio colore preferito era il rosa” disse la ragazza socchiudendo le palpebre, come a focalizzare le testuali parole del padre biologico.

“Perché si sarebbe dovuto infuriare per una cosa del genere?” domandò Sherlock inarcando le sopracciglia.

“Mi ha detto che mia madre era ossessionata dal rosa” affermò Rachel.
 
 
 

Nello stesso momento, Sherlock e John girarono di scatto il volto per guardarsi negli occhi.

“Sherlock…” espirò il dottore “il rosa…”

“Il nome di Rachel scritto sul pavimento con le unghie…” il detective sembrò essere colto in pieno da un fulmine, perché si alzò di scatto dalla sedia gridando “Uno studio in rosa! Oh buon Dio come ho potuto essere così idiota! La donna di uno studio in rosa, era lei tua madre!”

“Non può essere… John sul suo blog ha scritto che Rachel era il nome della figlia nata morta di quella donna” protestò la ragazza.

“Ed è qui che sono caduto in errore” le disse il detective “Lei stava pensando a te. Alla figlia che aveva abbandonato appena nata. Lionel era il suo amante, non il marito.

Era una donna in affari e nonostante il suo matrimonio fosse molto infelice, non sembrava il tipo da lasciarsi maltrattare e picchiare. Perciò Lionel non doveva essere un tipo violento. Ma poi la donna in rosa lo ha lasciato brutalmente. Lionel non sapeva fosse sposata e il marito di lei era sul punto di scoprire la relazione extraconiugale, così lei l’ha troncata immediatamente. Sicuramente ti avrà lasciata a Lionel perché suo marito era sterile e perciò impossibile che fosse rimasta incinta di lui, altrimenti ti avrebbe tenuta come possibile punto di ricongiungimento del loro rapporto fallito. Essendo praticamente sempre fuori casa per lavoro è riuscita a portare avanti la gravidanza senza che il marito lo scoprisse, mantenendo la più completa segretezza. Credeva fossi in buone mani, ma Lionel deve aver pensato che fossi tu la causa della rottura tra lui e tua madre e questo spiega tutti gli anni di punizione fisica ingiustificata che ti ha inflitto, oltre al fatto di essere un completo imbecille” sparò a raffica il detective.

“Il suo matrimonio, oltre che infelice, sarà stato il risultato di un amore troppo passionale. Avrà conosciuto il marito quando era molto giovane e si sono sposati altrettanto presto, ecco perché il rapporto si è deteriorato così in fretta. Ma tua madre, invece di sprecare tempo e denaro per il divorzio, ha deciso di farsi un amante, o più. E qui si intrecciano le tempistiche. Tua madre e Lionel si sono conosciuti poco più di diciotto anni fa. Si saranno frequentati per qualche mese, all’insaputa del marito di lei, e poi ti hanno concepita ma tu non eri una figlia voluta, come ti ho spiegato prima. Perciò dopo diciotto anni con tuo padre sei fuggita ed hai incontrato noi” concluse Sherlock sfregandosi le mani, felice di aver finalmente trovato la soluzione a quel caso.

“Quindi mia madre ha pensato a me nel momento della sua morte, come se volesse redimersi dall’avermi abbandonata, giusto?” chiese la ragazza.

“Sì, tesoro. Però, come ha detto Sherlock, pensava che fossi al sicuro con il suo amante, non credo sapesse che razza di mostro sarebbe diventato…” le disse John, nascondendo i suoi reali pensieri.

Per il bene di Rachel, doveva mantenere una facciata tranquilla e rimanere calmo, ma dentro di sé sentiva un turbinio di emozioni prendere forma. Come poteva una donna aver abbandonato sua figlia in quel modo? Perché non aveva lasciato il marito invece di Lionel, risparmiando così a Rachel un’intera vita di soprusi?

D’altro canto, però, sapeva che se tutto questo non fosse successo, la ragazza non sarebbe mai entrata a far parte della sua vita e, probabilmente, lui non sarebbe stato nemmeno lì a raccontarlo. La parte cattiva di sé, la stessa che aveva picchiato Sherlock a sangue, sembrava sul punto di prendere di nuovo il controllo, stavolta però aveva una giusta motivazione.

Quando Sherlock intrecciò la mano con la sua mentre continuava a parlare con la ragazza, sentì quell’ira rinchiudersi istantaneamente in un angolo buio della sua mente, dove sapeva sarebbe rimasta fin quando il compagno fosse rimasto al suo fianco.
 
 
 
 
 
Rachel sospirò e si diresse in cucina, mettendo a bollire l’acqua per il tè.

John guardò Sherlock titubante.

Il detective gli sorrise, gli strinse con più forza la mano e con l’altra gli diede una leggera spinta in direzione della ragazza che si era seduta al tavolo.

L’ex soldato tirò fuori tre tazze e il miele, dato che a Rachel piaceva così, e si sedette al suo fianco.

“Che succede?” le chiese accarezzandole la testa.

“Non lo so…” rispose la ragazza appoggiando la fronte sul palmo della mano “Ora che so cosa le è successo, che so che è veramente morta… Mi sento strana, quasi vuota, forse persino tradita da lei”

“Oh Rachel” mormorò John abbracciandola “So cosa provi, perché è esattamente ciò che provavo io appena arrivato qui a Londra”

“Cosa vuoi dire?”

“Intendo dire che ero solo. Mi sentivo perso, non avevo nessuno che potesse ospitarmi, soprattutto perché con Harriet le cose andavano più che male, Sherlock lo aveva capito fin dal primo momento” continuò il dottore sorridendo, strappando un sorriso anche al detective che ora teneva in braccio Rosie.

“Non avevo nessuno a parte Harry, perciò pensavo che presto me ne sarei andato da lì e non avevo la minima idea di dove sarei finito. Non avevo alcuna prospettiva futura, ecco. Poi però ho incontrato Sherlock, e da lì la mia vita ha assunto tutta un’altra forma. Sherlock mi ha dato di nuovo una ragione per continuare ad andare avanti che non fosse la guerra, mi ha mostrato cose nuove e, che tu ci creda o meno, mi ha aiutato a capire meglio persino me stesso e la mia sessualità. Mi ha saputo perdonare, perciò io ora so di non essere più solo, come non ero solo quando ci siamo ritrovati insieme io e te perché Sherlock era in Est Europa. Insomma, quello che voglio dire è che purtroppo tua madre non ha mai fatto parte della tua vita, ma questo non ti impedisce di considerarla come la tua genitrice. Ti ha abbandonata, ma so che non lo ha fatto con cattiveria nonostante il mio cuore mi dica altro. Tu sai però quanto io sia caratterialmente impulsivo, perciò ascolta il tuo cuore, Rachel, non il mio. Che cosa ti dice?”

Sherlock si era fermato in mezzo al salotto con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, freddato da quell’inaspettata dichiarazione, nonostante il loro rapporto avesse già raggiunto un determinato livello. Erano parole uscite spontaneamente dalle labbra di John, un fiume in piena di concetti sfuggiti a quell’animo romantico, lasciandolo basito dalla facilità con la quale il suo compagno riuscisse a mettere a proprio agio le persone.

Rachel alzò lo guardo prima su John, poi sul detective e sorrise, ricacciando indietro gli enormi lacrimoni che le si erano formati sugli occhi “Il mio cuore mi dice che sono al sicuro, che ho una vera famiglia e che Sherlock o è sul punto di avere un attacco di cuore o vuole disperatamente abbracciarti”

John si girò e rise nel vedere l’impaccio e l’imbarazzo comparire sul viso di Sherlock come due grandi macchie rosse sulle guance cerulee. La ragazza si alzò e si diresse verso Sherlock, gli accarezzò una guancia e gli prese la piccola Watson dalle braccia con un sorriso.

“Vado a prendere qualche biscotto dalla signora Hudson, chiamami quando il tè è pronto” gli disse scendendo le scale.

L’uomo le fece un cenno d’assenso e si voltò a guardare John, ancora seduto alla sedia della cucina.

Gli si avvicinò e sfiorò le labbra con le sue, sorridendo.

“Allora, lo vuoi questo abbraccio?” gli chiese John. 
   
 
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