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Autore: Rorschach D Wolfwood    21/08/2017    2 recensioni
La città dei sogni di qualunque animale, la bellezza, la maschera dietro la quale si cela la verità: un letamaio che non aveva conosciuto nè pietà nè bontà.
Ispirato dal fumetto Blacksad, la storia di una giovane volpe solitaria dal carattere chiuso e senza alcuna speranza in un futuro migliore, un incontro inaspettato, uno spiraglio di luce in una spirale di eventi oscuri.
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Judy Hopps, Nick Wilde
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Furry
Capitoli:
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11- Ho vagato nel buio per così tanto tempo...
 
 
 
 
Il rinoceronte fu sbattuto violentemente al tappeto. Il ring, chiazzato di sangue e sudore al pari del manto di un leopardo, sembrò sul punto di crollare, ma fortunatamente si macchiò solo dell'ennesimo rivolo di sangue sputato abbondantemente dal rinoceronte, assieme al paradenti. 
Tra le scatenate e roboanti urla, tra chi lo incitava a rialzarsi e chi gli consigliava, tra vari e pittoreschi insulti, di rimanere a terra, l'arbitro, un tapiro, iniziò il conteggio; l'avversario, un gorilla, indietreggiò fino all'angolo neutro, sostenendosi contro le corde e con i guantoni lungo i fianchi, il muso indiscutibilmente segnato dalla stanchezza. Entrambi i pugili avevano il muso così tumefatto e sporco che definirli una maschera di sangue era un eufemismo; tra un numero indefinibile di lividi, l'occhio destro del gorilla era completamente chiuso, una ferita dalla fronte sanguinava copiosamente assieme al naso, probabilmente rotto, scendendo lungo la bocca e la gola per gocciolare sul tappeto assieme alle perle di sudore penzolanti dalla pelliccia, l'occhio sinistro aperto con grande fatica, per non dire di quanto fosse annebbiata la vista. Il rinoceronte non era messo di certo meglio, senza badare al dettaglio del corno rotto... Anche se non costò un'ammonizione al gorilla, poichè si ruppe dopo l'impatto con il tappeto. 
Il conto arrivò a sei e il rinoceronte non accennava a rialzarsi. Dell'imponente forza di cui era pregno il suo corpo non ne era rimasta neanche una briciola. 
Sette.
Otto.
Nove.
Dieci! 
Un unica voce si levò dagli spalti e l'arbitro sollevò trionfante il braccio destro del gorilla dichiarandolo vincitore. E a quelle urla si unirono anche le mie, anche se mi trovavo davanti al televisore. Come qualsiasi cucciolo che si rispetti mi alzai in preda alla totale eccitazione, iniziai ad imitare il vincitore, Gerart O'Rilla, il campione dei campioni, e l'ampio spazio che separava la tv dal divano e la poltrona era l'ideale per imitare il ring.
"Ehi, Nicholas?" 
"Si, mamma?"
"Cos'è tutto questo baccano?" 
"Mamma! Mamma!" urlai correndole incontro, senza preoccuparmi del frastuono che le mie zampette provocavano calpestando pesantemente il pavimento "Mamma, O'Rilla ha vinto! Ha mandato al tappeto il rinoceronte e ha vinto!" 
Scandivo quelle parole come fosse accaduta la cosa più bella dai tempi della Creazione, ma suppongo sia normale quando, da piccoli, vediamo il nostro idolo, o eroe, battere quelli che consideriamo i cattivi. E O'Rilla era il mio eroe. Quando lo vedevo combattere sul ring, vedevo in lui l'eroe più forte di tutti, e nei suoi avversari i cattivi più perfidi che avrebbe dovuto sconfiggere. Aveva collezionato innumerevoli vittorie, e finalmente aveva conquistato il titolo più agognato di tutti: quello di campione del mondo. Lo dichiarò nel corso di un'intervista tenuta subito dopo l'incontro - non gli diedero nemmeno il tempo di prendere fiato e riposarsi!- 
Tra flash abbaglianti e scatti incessanti, milioni di domande inondarono il povero pugile sfinito, e la maggior parte di esse chiedeva "E ora che ha vinto cosa farà, signor O'Rilla?"
"Per prima cosa" esordì O'Rilla "Ho intenzione di prendermi un periodo di riposo, cosa che voi non mi state permettendo nemmeno adesso. Secondo, con i soldi vinti, ho intenzione di aiutare mio fratello con la sua..."
Il discorso si interruppe: mio padre aveva spento la televisione. 
"Papà! Perchè hai.."
"Pensa ad andare a dormire, piuttosto!" 
"Ma stavo guardando O'Rilla! E' diventato il campione del.."
Uno schiaffo mi colpì in pieno la guancia, forte e doloroso alla stregua di una frustata. Mio padre mi urlò di obbedirgli, e, guardandolo storto, trattenendo qualche lacrima, gli diedi le spalle e mi ritirai in camera, chiudendo violentemente la porta. 
Sebbene sdraiato sul letto, non chiusi occhio tutta la notte. Saltai giù dal letto, presi un paio di federe per cuscini, ci avvolsi le zampe e sferrai pugni contro l'aria senza sosta, e la piccola e silenziosa cameretta, ai miei occhi, si trasformò in un immenso stadio, il pavimento divenne il ring e davanti a me, O'Rilla, imponente, titanico, con i muscoli tesi e il pugno affondato nel  muso dell'avversario. Un altro nemico sconfitto, un'altra vittoria conquistata.
Eccitazione, felicità, esaltazione, ammirazione, tutte cose che, di lì a due giorni appena, si sarebbero spente inaspettatamente, come la debole fiamma di una candela zittita da un dolce soffio d'aria. Ma l'aria che mi colpì fu tutt'altro che dolce: un paio di giorni dopo l'incontro, i notiziari riportarono la notizia del ritrovamento del cadavere di O'Rilla in un lago di sangue sotto il lavandino del bagno di casa sua. Il cranio era stato sfondato,  il ventre squarciato e le budella ammucchiate sul pavimento. Dissero che la porta era stata buttata giù, e la casa mostrava i segni di una lotta; tutto era a soqquadro, ma niente sembrava esser stato rubato. 
 
 
 
"Nick?" 
.......
"Niick?" 
......
"NICK!" 
Sobbalzai come quando si riceve uno schiaffo in pieno muso. 
"C-che c'è?"
"Dovrei essere io a chiedertelo, ti sei improvvisamente incantato" disse "Forse... Ti stai annoiando?" 
- Perchè devi sussurrare e guardarmi in quel modo?! Odio i tuoi genitori per averti fatto così !-
"Ma finiscila!" esclamai con una piccola smorfia "Se mi stessi annoiando l'avrei detto da almeno... Trenta minuti"
Judy annuì, afferrò il panino ripieno di verdure grigliate e gli diede un grosso morso. Ridacchiai nel vedere quelle soffici guance gonfiarsi e muoversi con dolcissima goffaggine per masticare un boccone più grande delle sue zampine. 
Era sera. Il quartiere viveva della frenesia e dell'incessante vociare degli animali che calpestavano i marciapiedi e le strade, tutti impegnati a divertirsi tra di loro, gruppetti di giovani seduti sulle scalinate a fumare e scambiarsi pettegolezzi, vecchie affacciate alle finestre dei palazzi circostanti che osservavano tutto come gufi silenziosi appollaiati sui rami, coppie zampa nella zampa che mi passavano davanti gli occhi quasi a sfregio; non tanto perchè fossero coppie, quanto più perchè si trattava di animali della stessa razza, due creature che condividevano l'aspetto fisico, esclusi gli organi sessuali, che avrebbero potuto stare insieme senza alcun problema, mentre io e Judy...
"Certo, lo so..." continuò lei "Ma non mi dimentico mai di avere a che fare con una volpe dalle capacità attoriali non indifferenti, ahimè!" 
"Avrò pure il diritto di sfruttare qualche capacità - positiva- che la natura mi ha gentilmente concesso, o sbaglio, agente?" 
"Mmh, credo che, prima o poi, questa tua capacità gentilmente concessa finirà per farti cadere tra le braccia dell'animale sbagliato". Non la credevo capace di un simile sarcasmo. Era un lato che avevo visto poche volte dal giorno in cui l'avevo conosciuta; lo stesso sarcasmo col quale mi aveva praticamente infinocchiato.
"Nah, impossibile"
La sua bocca era sigillata da un altro boccone, ma il suono che emise fu un semplice "perchè?"
Senza rendermene conto chinai il capo, chiusi gli occhi e sorrisi, sussurrando "Perchè sono già caduto fra le zampe di qualcuno..."
Temevo di averlo detto ad alta voce. Temevo scioccamente di dire apertamente qualcosa che, ormai, visto il recente episodio, era più che palese, ma qualcosa mi bloccava. Forse  l' imbarazzo? 
Alzai lo sguardo cercando di non farmi notare, e vidi le sue guance passare dal grigio al rosso in meno di un secondo, e una piccola zampa portata a coprirle dolcemente. Sapevo che non avrei potuto resistere in quelle condizioni ancora a lungo, così mi alzai e la esortai ad andarcene da locale, portando con noi i nostri panini, gentilmente offerti da me, ci tengo a sottolinearlo!
La paninoteca scomparve alle nostre spalle, e il branco di animali si aprì al nostro passaggio come le acque in un racconto che lessi una volta in un famoso libro; la serata procedette tranquilla, nessuno si curò particolarmente di noi, nessuno ci disturbò. Passeggiammo senza preoccupazione alcuna. Io, lei e quel panino che faticava a finire. 
Un giretto in tram concluse la serata. 
 
"Beh, allora..." 
"Allora...Domani passi a trovarmi?"
"Domani? All'ora di punta? Con tutti gli agenti in pausa che, metti caso, non mi permetterebbero di fare quello che vorrei neanche se potessi?"
"Ehm... Si?" con quegli occhioni dannatamente supplichevoli e una smorfia imbarazzata.
"Ovvio!" 
Lei ridacchiò, un suono dolce e soffice come la neve che scendeva dal cielo grigio e si posava sotto le nostre zampe e sulle nostre teste; ci salutammo e io iniziai a contare i secondi che ci separavano dal giorno dopo. Ma mi fermai praticamente subito perchè iniziai a sentirmi un povero scemo da teen drama da quattro spiccioli. Come mi stavo riducendo... Aveva ragione Finnick a sfottermi!
Mi sentivo solo senza di lei al mio fianco. Era una sensazione del tutto nuova per me, o meglio, conoscevo bene la solitudine, come una vecchia compagna di giochi d'infanzia, ma ora, qualcosa era cambiato. Era un tipo di solitudine diversa, più amara, come il gusto schifoso di una bevanda oleosa incollato alle mie nere labbra. 
L'unica sensazione diversa che riuscivo a provare era quel piacevole freddo provocato dai marciapiedi ghiacciati che calpestavo a zampe nude.
Tutto questo finchè non capitai davanti al negozio di elettronica di una mia vecchia conoscenza; i televisori in esposizione, come sempre, trasmettevano la stessa cosa sullo stesso canale, e quella notte, chissà per quale curiosa coincidenza, capitai nel momento in cui il telegiornale trasmetteva la notizia dell'anniversario della morte di Gerart O'Rilla. 
O'Rilla, il mio eroe d'infanzia, un idolo di cui, col passare degli anni, mi ero dimenticato. Eppure andavo sempre al cimitero di Zootropolis a visitarne la tomba. 
La sequenza di immagini scatenò un'onda di ricordi nella mia testa, ricordi di una vita passata durante la quale, per un certo periodo di tempo, sapevo cosa significava essere felice. Ma il tempo dei ricordi è qualcosa che ha vita molto breve, soprattutto quando a soffrire non è solo il tuo cuore... Ma l'anima.
Chiusi gli occhi, diedi le spalle al mio eroe e me ne tornai a casa.
Quando rincasai la casa era, come sempre, silenziosa e buia, con in sottofondo solo il russare bovino di Finnick. Accesi la luce del salotto e mi buttai sul divano dopo aver buttato a terra la giacca, per poi addormentarmi praticamente subito, con il profumo di Judy ancora vivido e limpido nelle narici.
 
 
 
La scalinata della centrale era assediata: zampe e zoccoli la calpestavano senza sosta, chi saliva, chi scendeva. Chi entrava, chi usciva. L'ora di pranzo, il momento preferito da tutti. 
Ero in piedi davanti alla scalinata; la struttura non destava in me alcun timore da tempo, la conoscevo bene, e tanto meno mi irritavano gli occhi di qualche fugace occhiata storta di qualche sbirro. Era questione di qualche minuto; lei sarebbe uscita, avremmo passato una normale mezz'ora insieme in qualche locale senza infamia e senza lode, poi lei sarebbe tornata al suo lavoro, chiusa in un ufficio fino a tardi probabilmente, e io avrei continuato a bighellonare per la città senza fare nulla. 
Attesi.
Attesi ancora, sotto le nuvole che piangevano acqua congelata, sotto lo sguardo vigile delle decorazioni, che mi ricordarono che mancava sempre meno al nuovo anno, appena cinque giorni. I cuccioli, per strada, avevano già cominciato a lanciare miniciccioli e petardi già prima che iniziassero le feste. Che rompiscatole. Certe volte speravo che quegli affari gli scoppiassero nelle zampe.
Passarono venti minuti, ma Judy non si era ancora fatta viva. Strano, di solito era tra i primi ad uscire. Mi guardai attorno pensando che magari era già uscita e io non l'avevo notata, ma, se fosse stato così, avrei sentito il richiamo della sua voce.
"Scommetto che sei tu Nick, vero?"
Al mio fianco si presentò un leopardo grasso, o corpulento, non lo so, con la camicia blu dalle maniche arrotolate fino ai gomiti e un sacchetto di ciambelle stretto in una zampa, mentre l'altra ne teneva una già azzannata che gli aveva sporcato la bocca di glassa. 
"Beh" risposi "Dipende da chi vuole saperlo..."
"Nessuno che voglia arrestarti. Almeno per adesso" rispose lui. "In ogni caso, Judy è stata trattenuta, colpa di uno svaligiatore che ha operato stanotte" 
Che rottura di palle.
"Non ci vorrà molto, tranquillo. Le tue pene amorose non dureranno ancora a lungo"
BAM! Un pugno in pieno stomaco con un guantone d'acciaio. Cominciai a temere che Judy si fosse lasciata scappare qualcosa che non avrebbe dovuto dire. O forse ero io a non essere più così bravo a nascondere ciò che provavo.
"Non so quali idee tu ti sia fatto, caro gattone maculato, ma se non ti sbrighi a mangiare quella ciambella, la glassa ti imbratterà anche la camicia, oltre alla bocca"
Il leopardo aggrottò le sopracciglia e ridacchiò "Lo sai che il sarcasmo si usa solo quando non hai modo di ribattere ad una cosa vera?" 
Sebbene non sopportassi quel leopardo, poco prima che sparisse dietro le porte della centrale, avvertii una strana complicità tra di noi, sottolineato da un particolare e, aggiungerei, singolare scambio di sorrisi.
Decisi che l'avrei aspettata seduto su un gradino, e se qualcuno mi avesse cacciato.. Beh mi sarei spostato su una panchina della piazza, senza degnarlo di una risposta o del più fugace sguardo. 
Le 13:30
Le 13:45
La mia zampa destra ballava nervosamente, le dita picchiettavano la coscia freneticamente, il culo mi si gelava sul gradino ghiacciato.
Le 14:00
Era inutile, ormai, rimanere lì ed aspettare qualcosa che non sarebbe arrivato. Forse il leopardo aveva ragione, quel dannato rompipalle aveva trattenuto Judy fino al mio sfinimento, impedendomi di incontrarla. Non potei far altro che allontanarmi e farmi una lunga passeggiata per la città, nel sottosuolo, nel freddo mezzo di trasporto comunemente noto come metropolitana.  
Ma no, pensai, Judy era capace di sorprendere in ogni caso, me lo aveva dimostrato più volte. Forse, a costo di un'altra mezz'ora, sarebbe riuscita a raggiungermi, anche un solo minuto, cinque scarsi minuti della sua voce, del suo sorriso mi sarebbero bastati, e sarei tornato a casa con il sorriso anche io.
"Non riesco a credere che tu mi abbia aspettata fino ad ora..."
Il freddo attorno a me sembrò non esistere più, come sparito nell'aria, salito oltre le nuvole e dissolto silenziosamente nella stratosfera.
"Ti sarà più facile credere che stavo perdendo tutte le speranze, però" le risposi.
Lei sorrise, poi scese i gradini a gran velocità e si lanciò contro il mio petto, stringendosi alla giacca come se temesse di cadere. Sembrava una cucciola che abbracciava un genitore. 
"Non credi che un gesto così sia un po' troppo affrettato? In fin dei conti è poco che noi due..."
"Nick..." mi guardò dritto negli occhi "Per te è un problema?"
Tirai fuori ciò che pensavo veramente, senza discorsi preparati, senza frasi sarcastiche o sciocchezze per alleviare la tensione e i brividi più belli che la mia pelliccia potesse mai sperare di sopportare. "No, Carotina. Non lo è affatto"
 
 
 
"Non ci credo!" esclamai sgomento mandando giù un sorso ghiacciato di frappè ai mirtilli "Quel felino sovrappeso ha davvero detto così?"
"Te lo giuro, testuali parole. Se l'ho inquadrato bene, e di solito io sono una spada nell'inquadrare i canidi, sarà ancora lì fuori ad aspettarti" disse arrossendo. 
"Io direi piuttosto che è una spada nell'inquadrare le ciambelle e dolci vari. Insomma, quel tizio che ti ha trattenuta così tanto, che cosa ha combinato?" chiesi curioso.
"Era solo una vecchia iena impregnata di cocaina" esclamò seccata Judy "Si era intrufolata in una casa di Distretto Foresta Pluviale e aveva iniziato a svaligiarla in cerca di qualcosa di valore nella speranza di rivenderlo. Abbiamo dovuto faticare per comprendere ciò che diceva, era in preda al delirio per via dell'astinenza"
"E ci è riuscito?"
"Beh, qualcosa si stava portando via, ma poi gli inquilini lo hanno beccato e hanno chiamato McHorn e me. Per fortuna erano due alligatori belli forti" sottolineò con sarcasmo. Sembrava il racconto del classico ladro sgamato in pieno che non aveva niente di nuovo da raccontare, nulla che Zootropolis non avesse già visto dall'alba dei tempi, se non che un dettaglio fece scattare un allarme nel mio cervello: nel parlarmi della perquisizione effettuata alla iena, Judy disse che avevano trovato una catenina d'oro con un piccolo ciondolo a forma di  banana con una pietruzza blu incastonata nel mezzo.
"Stai.. Stai scherzando, Carotina?"
"Ehm no, perchè? Cos'ha di strano una catenina?"
Balzai sul tavolino con gli occhi sgranati e in una posizione tale da sembrare una scimmia abbarbicata su un albero, urlando a squarciagola "Quella è la catenina di O'Rilla!" sotto lo sguardo imbarazzante di tutti i presenti.
"....Sarà meglio uscire!" disse Judy prendendomi per una zampa e trascinandomi fuori, con le orecchie abbassate a coprirle il muso.
"E ora spiegami un po', perchè quella scenata imbarazzante?"
"Te l'ho detto, quella è la catenina di O'Rilla!"
"Chi è questo O'Rilla?" chiese Judy completamente disorientata.
"Come chi è? Gerart O'Rilla, uno dei più grandi pugili che il mondo animale abbia mai visto!"
"... Tu sai che io non seguo il pugilato, vero Nick?"
"Non ha importanza questo, ma quella iena probabilmente è il folle che ha ammazzato O'Rilla!"
"Calmati!" disse posando le zampe sulle mie spalle, guardandomi nelle palle degli occhi "Come fai ad essere sicuro che sia proprio la sua? E cosa ti fa pensare che sia stata proprio quella iena a uccidere questo pugile?"
Ok, cercai di darmi una calmata, quell'idea mi aveva decisamente sconvolto. "Lo so perchè solo lui aveva quella catenina, la mostrava in continuazione in tutte le interviste, la considerava il suo portafortuna. E d'accordo, forse non è stato proprio lui ad ucciderlo ma sicuramente la catenina ci sarà finita in qualche modo nelle sue tasche!"
Judy assunse un'aria pensierosa. "E se ti stessi sbagliando, Nick?" 
Sospirai. "Non lo so nemmeno io, Carotina, ma è qualcosa che sento dentro. Ho bisogno di saperlo. E' importante per me..."
"Ma... Cosa faresti se dovesse rivelarsi tutto vero? Ti vendicheresti di lui come fossi il protagonista di un film noir degli anni '40?"
"Tsk, ovviamente no, Judy! Ma O'Rilla è stato l'eroe della mia infanzia. Quando la mia vita da cucciolo era una schifezza, lui era l'unico che riusciva a darmi la forza per sopportare tutto. Non saprei spiegartelo, e probabilmente mi giudicheresti anche un povero scemo" o meglio, un cucciolo troppo cresciuto che stava palesemente tentando di trattenere qualsiasi forma di emozione negativa, per non dire qualche lacrima " E' qualcosa che devo sapere..."
 
 
 
Arrivò la notte. 
Aspettai Judy nella metro, una fermata prima della piazza principale. La metro era buia e l'aria fredda penetrava non solo dall'entrata, ma da ogni foro, ogni spaccatura del muro di mattoni e l'intonaco, una volta bianco, quasi candido, era macchiato di verde, un verde putrido e puzzolente che avrebbe distrutto l'olfatto all'animale dal naso più forte. 
Pezzi di giornale e altri tipi di carta svolazzavano e si posavano tra i binari, forse in attesa di un treno che li investisse. Una volta pensai seriamente di suicidarmi, di ritirarmi in qualche vecchio motel all'entrata di Zootropolis, chiudermi nel bagno e squartarmi le vene con un pezzo di vetro acuminato, o di buttarmi sotto la metro. Quest'ultimo mi sembrava il metodo più rapido e indolore per andare all'altro mondo. Sarebbe stata una botta secca, una frazione di secondo e il mio cervello sarebbe stato spalmato sui binari come una fetta viscida e poltigliosa di burro, e non si sarebbe più distinto dal sangue. 
Non ricordo nemmeno per quale motivo ad essere sincero.
Sentii una zampa gentile posarsi sulla mia spalla, coperta da una vecchia e pesante giacca marrone. Era lei.
Uscimmo dalla metro e ci dirigemmo alla macchina. Con mia grande sorpresa, alla guida trovai il grosso leopardo violento della legge, non intento a mangiare ciambelle ma a sorseggiare serenamente qualcosa da una fiaschetta.
Di nuovo non mi guardò con diffidenza, non mi lanciò occhiate storte, non fece alcun discorso che nascondesse doppi sensi riguardanti la brutta fama di noi volpi. Sembrava così assurdo. 
"Come stai, amico ?" mi chiese lui.
"Non riscaldato quanto te dopo un sorso di.. Cos'è che stai bevendo?"
"Eheh, solo del sano, genuino e salutare bourbon. Sarà la seconda, o forse la terza fiaschetta della serata!"
"Ottimo esempio di rispetto della legge!"
Clawhauser abbozzò una risatina. "Fra animali di strada ci intendiamo, mi sembra. Su, saltate su, non abbiamo tutta la notte per agire!"
Ci volle poco per raggiungere la stazione di polizia. Clawhauser era riuscito a organizzare un incontro notturno con la iena nella prigione della centrale - probabilmente grazie al suo essere uno dei migliori agenti del distretto-. 
La stazione di notte aveva un che di decisamente poco attraente: le deboli luci dei lampioni lasciavano più spazio alle ombre, e dalle finestre e la cupola la luce emanata non sembrava la più rassicurante. A condire il tutto, una notte completamente buia, non una sola stella in cielo o la luna era presente. Cornice perfetta? La nebbia, seppur debole.
L'interno della centrale rifletteva perfettamente il suo esterno: senza un concerto di voci indistinguibili e un traffico interminabile di mammiferi, l'edificio sembrava così enorme, così vuoto. Tutto rimbombava in modo inquietante. Mi sembrava di essere stato catapultato in un vecchio film horror, o in un videogioco che avevo provato una volta, mi pare si chiamasse Five nights at qualcosa, non ricordo. 
Ad ogni passo, nonostante fossimo tutti a zampe nude, seguiva un suono ovattato che si disperdeva pesantemente nell'aria, dandoci l'impressione di essere seguiti. 
Stranamente, quando scendemmo le scale per raggiungere il "locale gabbia", come lo chiamavo io, ogni titubanza, ogni sega mentale svanì. Mi sentii più leggero, come se tutte le mie stupide idee/impressioni da ragazzino pauroso fossero state risucchiate dalla porta d'ingresso, come una qualche specie di portale. Percorremmo il corridoio tempestato di celle, almeno una dozzina, sei per lato, e nell'ultima, quella che, ironico, mi aveva ospitato più di una volta, la iena stava seduta sulla fredda branda di ferro. 
Aveva gli occhi completamente rossi, da sembrare un misto tra congiuntivite e chissà quale irritazione, tremava il naso, tremava l'intero corpo, come se la mano congelata del gelo in persona gli stesse accarezzando la pelle nuda e glabra. Era in tremenda astinenza. Biascicava, bofonchiava, emetteva versi apparentemente senza senso: chiamava a gran voce la sua sposa, la creatura della sua vita. La cocaina.
Clawhauser tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca interna del cappotto e con una di esse aprì la cella.
"A proposito" esordii io "Mi spiegheresti come hai ottenuto il permesso per questa visita notturna?"
"Semplice: non l'ho ottenuto!". La sua risposta lasciò sbigottiti me e Judy. Se ci fossimo trovati in un cartone animato, le nostre mascelle avrebbero toccato il pavimento.
"Ma-ma Clawhauser, questo vuol dire... Che noi stiamo trasgredendo!" esclamò indignata la Carotina.
"Oh, suvvia, Hopps! Sii un po' più sciolta, ogni tanto"
Devo ammetterlo, quel leopardo iniziò a piacermi, da quel momento.
La cella si aprì, io e Clawhauser entrammo, mentre Judy rimase fuori, battendo nervosamente la zampa. 
La chiacchierata sembrò durare un'eternità. Le nostre domande, la nostra curiosità, la nostra pazienza andata a puttane mentre lui continuava ad arrancare sillabe sconnesse e rivolte alla solita cosa.
Ci volle tempo, gli mostrammo la catenina -Clawhauser l'aveva "presa in prestito" prima di scendere le scale- ma finalmente riuscii ad ottenere quello che speravo, ma la verità mi sconvolse più di quanto avrei mai potuto credere: scoprimmo che la iena era l'ultimo membro di un gruppo mafioso di Piazza Sahara, quando io ero un cucciolo, alle dipendenze di Mr. Otterton, quando lui e Mr. Big ancora non collaboravano. Scoprimmo che furono proprio loro ad uccidere Gerart O'Rilla due giorni dopo la vittoria del titolo di campione del mondo. O'Rilla avrebbe dovuto perdere quel match, ma lui non sottostò agli ordini dei criminali, perchè i soldi gli servivano per qualcosa di importante, e non cedette alle minacce di morte. Le vide realizzarsi due giorni dopo.
La iena, per completare il quadro, si era portata via la catenina portafortuna di O'Rilla come souvenir. 
Mr. Otterton...
Per un attimo tornai cucciolo, lo stesso cucciolo che stava impalato davanti al televisore perchè innamorato del proprio eroe, e mi sentii schiacciato da un enorme muro di pietra, con tutti i calcinacci disposti quasi ordinatamente attorno a me.  
Clawhauser mi diede una pacca sulla spalla."Ehi? Tutto bene?"
Scostai la spalla per non sentirlo. Mi alzai e abbandonai la cella, percorsi i corridoi e lasciai la centrale, mentre nelle orecchie echeggiava il mio nome gridato a gran voce da Judy.
La piazza e i marciapiedi erano coperti di soffice bianco, aveva iniziato a nevicare da un pezzo, mentre noi eravamo dentro, ma, camminando, non sentii nè il freddo della neve nè il vento gelido che mi sbuffava contro. Ero diretto a passo sicuro e deciso verso la più vicina metropolitana; la presi e viaggiai verso Tundratown, seduto su un vecchio sedile mezzo rovinato di un vagone sporco e puzzolente, fortunatamente vuoto a quell'ora, ignorando tutti i messaggi e le chiamate di Judy. 
Uscito dalla metro, corsi a perdi fiato per non so quanti metri, per non so quanti isolati, per non so quale motivo, in mezzo ad una strada totalmente deserta illuminata dai lampioni. Fu solo quando mi ritrovai vicino il piccolo parco di Tundratown che mi fermai a riprendere fiato. Mi guardai attorno. 
"Ma che cosa stai facendo, razza di coglione?" borbottai. Era vero, cosa stavo facendo? Cosa speravo di ottenere una volta arrivato lì? Di andare a cercare Mr. Otterton, sparargli in fronte con una pistola e poi ritrovarmi il petto, lo stomaco e il cranio ridotti un colabrodo di proiettili solo per vendicare qualcuno che, si, era stato il mio eroe d'infanzia, ma che, di fatto, neanche conoscevo personalmente? 
Era una stronzata bella e buona, perfino per me! E poi non avevo nemmeno una pistola: le tasche della giacca erano vuote, e in quelle dei pantaloni avevo solo un cellulare vecchio di due anni e dieci dollari.
Mi ricordai che, poco lontano dal parco, c'era una tavola calda aperta tutta la notte. "Beh, visto che non ho nulla da fare, spendiamo questi dieci denari" bofonchiai. 
Ogni tanto, camminando, controllavo il cellulare: nessun'altra chiamata, nessun altro messaggio da parte sua. Forse ci aveva rinunciato, e magari Clawhauser l'aveva riaccompagnata a casa. Mi sarei sentito più tranquillo, ma conoscendo la sua testardaggine la immaginavo già setacciare tutta la sezione polare di Zootropolis pur di trovarmi, e l'idea mi fece sorridere non poco. Decisi di facilitarle le cose; le mandai un messaggio scrivendole dov'ero diretto. Era una poliziotta, dopotutto, conosceva tutte le strade, non avrebbe avuto difficoltà.
Nel frattempo, io raggiunsi la tavola calda, ancora aperta e con all'interno un paio di clienti. Mi sedetti in fondo, vicino alla finestra, lontano da tutti - era un sollievo poggiare il culo su qualcosa di morbido e, soprattutto, integro, al contrario della metropolitana!-.
"Ogni tanto ti ricordi di venire a trovarmi, sottospecie di volpe fantasma !" 
"Solo quando ho qualche soldo a disposizione"
"Mh, e sentiamo un po', di quanto disponi, stanotte?"
Le sventolai davanti gli occhi i dieci dollari "Guarda, sono ricco!"
Lei ridacchiò. "Beh, cinque dollari in più dell'altra volta" sottolineò sarcasticamente "Ti porto il solito?"
"Pochi mi conoscono come te, Lottie" risposi ammiccando. 
Lottie era una giovane volpe artica di sette anni più giovane di me, un po' problematica per via di vicende familiari non molto rosee, tradimenti a destra e manca da parte di entrambi i genitori, il patrigno in galera, la madre ridotta una prostituta, che per sfuggire alla realtà era andata in cerca di un qualsiasi lavoro notturno, e l'aveva trovato in quella tavola calda. Da un paio di anni a quella parte, andavo a trovarla ogni tanto, dato che conoscevo bene il suo datore di lavoro, e se aveva bisogno di confidarsi o di parlare io l'ascoltavo e la aiutavo come potevo. Seppur fisicamente un po' in carne, aveva un musetto davvero grazioso, due grandi occhi verdi e un ciuffo sbarazzino adorabile quanto l'orecchino che le pendeva dall'orecchio destro. Cinque minuti dopo mi portò il solito: una scodella di patatine fritte, una coca cola e una pila di pancake con sciroppo di mirtilli. Certo, che schifo di miscugli...
Guardai fuori. Judy stava tardando. Presi il cellulare per controllare, magari mi aveva scritto e io non avevo sentito la vibrazione. Niente di niente. 
Quando lasciai la tavola calda il cellulare squillò e il nome sullo schermo era proprio il suo.
"Ehi Carotina" risposi prontamente "Si può sapere che fine hai fatto? Ti ho scritto più di.... Sei tu, vero?"
"Avevo sentito dire che eri perspicace, ma non pensavo fossi anche così sveglio" 
Era una voce profonda, cavernosa, ma allo stesso tempo affaticata, intervallata da pesanti sospiri, come se a parlare fosse un vecchio.
"Senti, saltiamo i convenevoli e arriviamo direttamente alla parte in cui mi dici cosa vuoi e, fammi indovinare, cosa ne hai fatto di lei!"
"Hai ragione, ci abbiamo messo anche troppo, credo" - sarcasmo da rottura della quarta parete- "Ti ho visto camminare con aria trasognata vicino al parco. Un post carino, non trovi? Ci passavo molte giornate da cucciolo. Ti sto aspettando lì ! ". Riagganciò.
Corsi più velocemente che potevo, rischiando di far risalire e vomitare tutti i pancake che avevo ingurgitato, ma non avevo tempo per pensarci. Il parco distava due isolati dalla tavola calda, mi sembrò di percorrerli a malapena in neanche cinque minuti, scivolando e battendo il culo sull'asfalto almeno tre volte, ma finalmente raggiunsi il parco e mi poggiai contro il cancello per riprendere fiato. Non del tutto casualmente, sapendo cosa mi aspettava, il parco si presentò più lugubre della centrale di polizia. Varcai l'entrata, guardato a vista dai rami spogli degli alberi dai quali pendevano appuntiti cristalli di ghiaccio, mossi lievemente dal vento. L'unico rumore che un altro ipotetico essere vivente avrebbe potuto sentire era la neve calpestata da me, e il gracchiare di qualche uccellaccio del malaugurio. Venti metri dopo mi fermai. La mia testa era ridotta un unico calderone di pensieri e idee negative, nel petto il battito del cuore echeggiava fino alla punta della coda, stringevo i pugni rimpiangendo di non avere una fottuta pistola o qualsiasi altra arma per difendermi, pur non sapendo cosa diavolo mi sarebbe successo. 
"Eccomi, sono qui! Vieni fuori!". Perchè mai ho gridato così quando me la stavo facendo sotto?
Un tonfo scosse la terra dietro di me. Le zampe (gambe) iniziarono a tremare più delle mani, il battito cardiaco accelerò drasticamente. Ci mancava solo che iniziassi a sudare.. In inverno!
Era a una decina di metri da me, eppure sentivo il suo fiato sul collo come se mi stesse alitando addosso, e oscurato da una gigantesca ombra che non riuscivo a vedere per via del buio, ma la sentivo fin troppo bene.
"Cosa succede sempre a questo punto della storia?" 
"Il classico scontro tra buono e cattivo. E il buono è sempre alla ricerca disperata della sua amata"
"Già, ma a differenza dei grandi classici, stavolta non è detto che il buono possa farcela..."
Il Cacciapredatori scoppiò a ridere. "Mister Ottimismo!"
"Basta stronzate, adesso. Dimmi quello che voglio sapere: dov'è lei?" 
"E di lui non ti interessa?"
Gli avevo parlato dandogli le spalle per tutto il tempo, ma fu solo quando mi volsi per guardarlo muso a muso, in lontananza, nella sua imponente mole coperta dall'inquietante cappotto nero, coperto di neve e fradicio quanto la mia giacca, e la maschera a coprirgli la parte inferiore del muso. Chissà da quanto tempo mi stava aspettando... Fu allora che mi accorsi che, con il pugno destro, stringeva Clawhauser ridotto ormai un unico livido grondante sangue, che formava una pozza densa e scarlatta ai suoi piedi.
"Perchè tutto questo?" chiesi cercando di trattenere la rabbia e un ringhio sommesso. Il bestione lanciò Clawhauser verso di me, facendolo rotolare sulla neve. Riuscii a vederne il muso: era irriconoscibile, ma respirava ancora, debolmente. 
"S-sapevo che dovevo farmi... Gli affari miei con te" sussurrò debolmente Clawhauser con una vena di ironia.
"E allora perchè non te li sei fatti?" risposi io, abbozzando una risata dopo essermi inginocchiato verso di lui. 
"Eheh... Tu.. Tu riusciresti a dire di no a quegli occhi?"
Sorrisi malinconicamente. Aveva ragione. Chi mai riuscirebbe a resistere a quelle gemme?
Clawhauser posò una zampa sulla mia con fare supplichevole. "T-ti prego, Nick"
"Non sprecare il fiato, gattone ubriacone, o non riuscirai più a ingurgitare una sola ciambella"
"Sta zitto... Ti prego... T-trovala... Trovala, Nick..."
Rimasi in silenzio per qualche secondo. L'assassino che stava terrorizzando la città era davanti a me, immobile e troneggiante come una statua di marmo, pronto a saltarmi addosso per schiacciarmi sotto i propri pugni da un momento all'altro - in effetti mi meravigliai che non l'avesse fatto fin da subito-, eravamo soli, e l'unico che potesse darmi una mano era ridotto uno straccio, e per di più disarmato. Con un po' di fortuna avrei potuto afferrare la pistola e provare a beccarlo in mezzo agli occhi, ma se non ci fossi riuscito? Dio solo sapeva di quale assurda forza fisica era dotato. 
Senza me, il leopardo e Judy, non avrebbe più avuto ostacoli, avrebbe stretto la città nel pugno per chissà quanto tempo ancora. Non valeva la pena tentare un'azione offensiva o difensiva con lui. Non avrei mai potuto farcela.
No...!
Non posso permettere che finisca così, anche se dovesse massacrarmi e stritolarmi le ossa fino a ridurle un miserabile mucchio di polvere! 
Lo guardai dritto negli occhi con tutta la furia, la determinazione e la paura che avevo in corpo, e per tutta risposta, lui si abbassò la maschera, rivelando il proprio muso: il muso grigio di un gorilla dall'espressione immutabile, glaciale, con la pelliccia nera mossa dal vento incalzante. 
"Ho vagato nel buio per così tanto tempo, sono cresciuto vedendomi portare via tutto ciò che amavo. Finchè lei non è entrata nella mia miserevole vita, portandovi la luce che avevo sempre desiderato. Non posso farmi portare via anche lei!" 
Il gorilla assottigliò lo sguardo.
"Perciò, dannato mostro, dimmi una volta per tutte dov'è Judy!" 
 
 
" ......... Due giorni....."
   
 
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