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Autore: Raptor Pardus    22/08/2017    1 recensioni
Nel ventre del velivolo lanciato a velocità supersonica verso la superficie del pianeta regnava il buio.
Solo una flebile e inquietante luce rossa tentava vanamente di rischiarare quell’oscurità.
Cato fissò la rampa di sbarco posteriore, sopra la quale era appena visibile un filo di luce proveniente dall’esterno.
Luce aliena, di un mondo che non avevano mai visto, di un sole a loro sconosciuto, eppure… di un mondo loro.
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Operazione Heimdall

 
Nel ventre del velivolo lanciato a velocità supersonica verso la superficie del pianeta regnava il buio.
Solo una flebile e inquietante luce rossa tentava vanamente di rischiarare quell’oscurità.
Cato fissò la rampa di sbarco posteriore, sopra la quale era appena visibile un filo di luce proveniente dall’esterno.
Luce aliena, di un mondo che non avevano mai visto, di un sole a loro sconosciuto, eppure… di un mondo loro.
Varus IV, unico pianeta abitabile dell’omonimo sistema, era il mondo più lontano dalla Terra che avessero mai colonizzato, e ancora oggi, dopo oltre un secolo dall’arrivo delle prime astronavi, abitarci significava tornare nel Far West.
L’Impero Khors, una delle tre potenze della galassia, lo aveva attaccato due mesi prima, senza nemmeno formale dichiarazione di guerra, sottraendolo così al dominio della Federazione Terrestre dopo una settimana di violenti combattimenti.
La risposta terrestre non si era fatta attendere ma, una volta preparate le truppe, per raggiungere il sistema teatro degli scontri ci volevano comunque quaranta giorni di viaggio a velocità superluminale.
La nave ebbe un violento scossone, riportando Cato alla realtà: il plotone di assaltatori immersi nel buio che attendevano in religioso silenzio il loro battesimo del fuoco.
La tensione era palpabile, lo stesso Cato continuava a stringere il pugno fino a far sbiancare le nocche, conficcando le unghie nel tessuto rinforzato dei guanti da combattimento.
Sentì un gemito provenire dall’oscurità, accompagnato dagli irati lamenti di chi si vede vomitare addosso.
Qualcuno non aveva retto e si era lasciato andare.
Per fortuna lontano da lui.
Il mezzo iniziò a vibrare mentre entravano nella bassa atmosfera.
<< Due minuti allo sbarco. >> gracchiò la voce del pilota dall’altoparlante.
<< Ok ragazzi, non abbiate paura. >> disse calmo il giovane tenente a cui era affidato il loro comando, seduto da qualche parte in fondo al mezzo.
<< È la prima volta per tutti. Laggiù non saremo soli. >> continuò, incerto su cosa dire.
“Pessimo modo per incitarli” pensò Cato, disfattista.
Il VTOL ondeggiò tutto, scosso violentemente da qualche agente esterno.
<< Fuoco in arrivo, reggetevi. >> disse il pilota alla radio.
Cato strinse le mani intorno all’imbracatura che lo bloccava saldamente al suo sedile, mordendosi le labbra fin quasi a sanguinare.
“Ora saltiamo in aria, me lo sento.”
Il pilota eseguì una brusca virata, rivoltando le budella a tutti quanti.
<< Cabra, cabra! >> si lasciò sfuggire il copilota nell’interfono rimasto acceso.
<< Signori, siamo in stallo, avete tutti il vostro paracadute? >> rispose calmo il pilota, ignorando il panico del compagno.
<< L’ho ripreso! >> urlò ancora il copilota.
<< Bene, state tutti calmi! >> gridò il tenente, alzando un braccio per guardare l’ora su un orologio da polso.
<< Trenta secondi all’impatto! Attivare gli elmetti. >>
Cato controllò il soggolo dell’elmetto e premette un tasto sulla tempia destra, facendo calare sul suo volto il visore integrato, che si chiuse con un sibilo intorno al suo collo.
Iniziò a contare in silenzio i secondi che mancavano all’atterraggio, cercando con la sinistra il fucile assicurato tra il suo sedile e quello vicino.
Trovò l’arma a dieci secondi dall’impatto, la imbracciò e tolse la sicura, mentre sul visore dell’elmo gli appariva il contatore dei colpi.
Con due secondi di anticipo, il VTOL rallentò bruscamente per allinearsi al suolo, sbalzando tutti i soldati a bordo.
La luce rossa divenne verde, un allarme iniziò a ululare per segnalare lo sbarco, e il portellone si abbassò rapidamente accecando i soldati ormai abituati al buio, mentre le imbracature di sicurezza si sbloccavano in automatico per farli scendere.
<< Giù, giù! >> urlò il tenente, raggiungendo per primo la rampa e facendo subito segno agli uomini di superarlo.
“Chissà come sarà avere un altro sole sopra di noi” pensò Cato gettandosi rapidamente giù dalla rampa.
Appena mise la testa fuori dal velivolo sentì l’ululare dell’artiglieria Imperiale, pericolosamente vicina, pericolosamente precisa.
Gli altri soldati sciamarono intorno a lui, buttandosi a terra uno dopo l’altro, pronti a rispondere al fuoco in arrivo.
Cato, trascinato a terra da un superiore, si guardò intorno, osservando gli altri velivoli che vomitavano truppe sul suolo alieno.
Erano sbarcati nel bel mezzo di una conca ricoperta di erba secca, poco lontano da un villaggio che dominava sulla vasta vallata coltivata a grano, già mietuto, e da cui arrivava il fuoco imperiale.
Lontano, a nord, poteva vedere i paracadutisti che si lanciavano in volo a testa bassa direttamente sopra il nemico, ad almeno tre chilometri da loro.
Un boato lo fece tornare ai suoi compagni intorno a lui, inchiodati a terra per evitare i cecchini.
Improvvisamente la battaglia che si stava svolgendo in quello stesso istante in cielo non gli appariva più così tremenda, tra corazzate che esplodevano e incrociatori lanciati all’assalto di trasporti interplanetari, per fermare la marea di soldati che stava venendo riversata sulle postazioni Imperiali al suolo.
Si girò su sé stesso, fissando il pallido cielo, privo di nubi, attraversato solo dalle lattiginose scie di scarico dei missili, dei caccia e dei VTOL.
Un sergente strisciò al suo fianco.
<< Caporale, è tutto intero? >> chiese, urlando per sovrastare il rumore dei motori del VTOL che riprendeva il volo sopra le loro teste.
<< Certo, Skipio, ancora vivo. >> rispose Cato fin troppo allegro, rigirandosi per mettersi in posizione di tiro.
<< Il tenente? Dov’è il tenente? >> continuò a urlare il sergente, mentre Cato dava ordini di rispondere al fuoco.
<< Sono qui, Sergente Carnellus! >> disse l’ufficiale, strisciando lentamente fino alla loro posizione.
<< Dobbiamo trovare un punto più riparato e proseguire verso quel villaggio, qualche idea? >> chiese, controllando la sua arma.
<< Non ci aspettavamo così tanta resistenza, vero? >> chiese il sergente.
<< Suvvia, nulla di eccezionale. >> rispose il tenente con nonchalance.
Il proiettile anticarro di un fucile a rotaia perforò la corazza di un MBT appena sbarcato a destra della loro posizione, e lo fece esplodere in una nube di fuoco.
<< I nostri corazzati? >> chiese il tenente.
Cato indicò la colonna di fumo nero appena alzatasi.
<< Rispondere seriamente invece di fare i coglioni no, eh? >> chiese l'ufficiale, reso nervoso dalla difficile situazione.
Nessuno dei due graduati rispose.
Nel mentre, tutt’intorno a loro, trasporti pesanti posavano sul suolo coi loro ganci magnetici numerosi IFV, blindati leggeri carichi di truppe, pronte a essere lanciate fuori dal loro angusto vano di trasporto non appena fossero stati abbastanza vicini al nemico.
<< Va bene, dobbiamo raggiungere la strada, fuoco di copertura con le mitragliatrici, tutti gli uomini in piedi e dietro i carri non appena toccano il suolo. >> ordinò il tenente, mettendosi in ginocchio e fissando prima il villaggio da cui proveniva il fuoco nemico e poi i carri che si disponevano lentamente in colonna sull’unica strada che correva attraverso i campi fino alla cittadina, indifferenti ai proiettili in arrivo << Raggiungiamo gli altri plotoni, avanti! >>
Quattro plotoni si mossero insieme a loro per raggiungere delle siepi che dividevano i campi dalla strada, cingendola su entrambi i lati, mentre i corazzati in colonna iniziavano ad avanzare.
In quell’operazione era impegnato circa mezzo milione di uomini, ma in quel momento, sparsi per la campagna segnata dai colpi di artiglieria, se ne erano raccolti a malapena un migliaio, isolati e lontani dal loro obbiettivo.
La colonna di carri, costretta a procedere lentamente al centro della strada, era continuamente bersagliata dal tiro nemico, mentre i fanti, raccolti intorno ai mezzi, erano pericolosamente esposti e senza copertura.
Unici ripari disponibili erano due canali in secca ai lati della strada, ricoperti di erba e fogliame ancora verdi, perfetti come trincee.
Non ci volle molto tempo, né troppi feriti, per convincere gli ufficiali a far proseguire gli uomini nel canale, strisciando nel fango, tormentati dagli insetti, ma pur sempre al riparo dalle pallottole.
Ci vollero due ore buone prima che potessero finalmente arrivare all’entrata della cittadina dove era organizzato il rendez-vous coi paracadutisti, immobilizzati più volte dalla mancanza di superiorità aerea e da problemi tecnici ai mezzi.
Il borgo era un piccolo agglomerato di prefabbricati in metallo, circondato da una recinzione alta due metri e interrotta solo nei quattro punti di accesso, uno per punto cardinale.
Da quel che sapevano loro, l’ingresso nord era nelle mani dell’aviotrasportata, quello ovest era difeso dai soldati Imperiali, mentre loro attendevano davanti alla porta Sud che le condizioni fossero favorevoli al loro ingresso.
Solo quando l’aviazione confermò il suo dominio sui cieli le truppe a terra si decisero finalmente ad attaccare.
<< Bene. >> esordì il tenente << Il nostro obbiettivo è ricongiungerci con l’aviotrasportata dall’altra parte del villaggio ed eliminare l’artiglieria nella zona ovest della città, non sarà semplice. Carnellus, porta la tua squadra in avanti e punta dritto alla piazza centrale, la seconda squadra ti seguirà per darti rinforzo. Terza e quarta squadra procederanno sulla sinistra, per coprirti il fianco in caso di rinforzi nemici. Il tuo obbiettivo è rinforzare il punto di rendez-vous e prendere contatto con i parà. >>
<< Sissignore. >> rispose il sergente senza esitare.
<< Controllate le armi e attendete un mio segnale. >> continuò il tenente, estraendo il suo elettrovisore da un’apposita tasca nascosta in mezzo al suo voluminoso gibernaggio, e controllando gli edifici all’imbocco della strada, mentre i soldati si preparavano ad entrare in città, schierati sui fianchi della colonna di IFV, ferma e in attesa di ordini.
<< Nessun rilevamento termico, ma potrebbero essere schermati. >> commentò infine il sottoufficiale rivolgendosi a Skipio.
Il sergente avvicinò una mano al casco e attivò la radio.
<< Capo toro, rilevi niente? >> chiese al capocarro dell’IFV in testa alla colonna.
<< Per me nessuna traccia, via libera. Procediamo? >> rispose l’ufficiale alla radio.
Il tenente annuì, il volto preoccupato nascosto dal visore dell’elmetto.
<< Bene, andate, via, via. >> disse, dopo un attimo di indugio.
I soldati si lanciarono sulla strada, mantenendosi sui bordi, mentre i cingolati, muggendo, si muovevano per entrare spavaldamente dall’ingresso principale.
Cato si issò sull’asfalto e fiancheggiò il primo IFV, ormai prossimo a entrare in città.
Davanti a loro, subito dopo le due guardiole che fiancheggiavano l’entrata, vi era l’ingresso di un grosso palazzo a tre piani completamente in acciaio, che svettava sugli edifici intorno, di poco più bassi, affacciati tutti sul vuoto spiazzo in cui ora i soldati stavano per transitare.
Il villaggio sembrava completamente vuoto, silenzioso, morto, agli occhi increduli del caporale.
Poi la mitragliatrice al plasma che aprì il fuoco dal secondo piano del palazzo di fronte a loro gli fece cambiare idea.
Ovviamente all’ingresso della città vi era un nido di mitragliatrici Imperiali, che riversò l’inferno sul primo blindato della colonna, il cui pilota era troppo testardo per indietreggiare.
Due soldati caddero a terra, il busto passato da parte a parte dai colpi al plasma, mentre gli altri sfortunati della prima fila riuscirono a gettarsi di lato nascondendosi dietro qualche muro.
Dal primo piano il colpo di un fucile anticarro centrò in pieno la postazione di guida dell’IFV, che iniziò a ruotare sul posto, ormai fuori controllo.
L’artigliere, ancora vivo, ruotò la torretta e svuotò un intero nastro del suo autocannone da 30 mm sulla finestra da cui era provenuto il colpo, deformando, in un pauroso rumore di lamiere piegate, la parete del palazzo, mentre il capocarro urlava alla radio di riprendere il controllo del mezzo.
<< Avanti, seconda squadra! Avanti! Non fermatevi! >> urlava il tenente , nascosto dietro il terzo carro della colonna, cercando inutilmente di spronare i soldati tremanti a uscire dai loro ripari. << Terza e quarta squadra, sul fianco, ora! >>
Le due squadre chiamate ad agire si spostarono dal lato della strada, fiancheggiando il muro di cinta.
Trenta secondi, due tubi di esplosivo plastico e nella parete fu aperto un varco abbastanza largo da far passare un uomo in piedi.
Un soldato tirò un fumogeno nella breccia appena creata, e non appena il fumo rosso iniziò a spandersi per tutta la strada, i soldati avanzarono in due file ordinate all’interno della città, protetti dalla nube.
Non ci volle molto affinché il fumo si ritorcesse loro contro: non solo i soldati uscivano dalla nube disorientati, ma la stessa aveva rivelato al nemico il loro intento e indicato la loro posizione.
I tiratori scelti non aspettarono nemmeno un secondo per avvertire gli avversari del loro sbaglio.
Il colpo di un cecchino prese in pieno volto uno degli uomini, che cadde in avanti terminando così la sua corsa.
<< Cecchino! >> urlò un soldato non appena il suo compagno rotolò scompostamente per terra, con un foro largo un pollice in fronte, il metallo del suo elmetto fuso dal calore del plasma.
Ai soldati non restò che nascondersi dietro gli edifici più vicini e rispondere di tanto in tanto al fuoco in arrivo, pregando che i loro ufficiali trovassero a breve una soluzione.
All’ingresso Sud la situazione era ugualmente problematica: l’IFV, finalmente immobilizzato, era continuamente sotto il fuoco nemico, impedendo così l’avanzata della colonna.
Cato era nascosto in una delle due guardiole, al limite del muro di cinta, accanto al blindato fuori uso, immobilizzato anche lui dalla paura.
Non aveva mai visto un Khorsiano, né dal vivo, né in qualche foto d’archivio o anche solo sulla rete. Non aveva minimamente idea di come fossero, e non è facile affrontare qualcosa di cui non sai nemmeno la forma.
L’unica cosa che Cato sapeva era che sparavano a vista, e questo non faceva che peggiorare il tremore che bloccava le sue mani intorno al fucile.
<< Levate quel carro dalla strada o sfondate quel dannato muro! >> sbraitava intanto il tenente, mentre i carri uscivano dalla colonna e si disponevano accanto al veicolo, pronti a lanciarsi insieme nella mischia.
Con un tremendo muggito, i mezzi fecero slittare i cingoli e si schiantarono contro le lastre in metallo bianco, abbattendole con la forza del loro peso e dei loro motori.
La fanteria si lanciò nei varchi così aperti, dietro i veicoli che avevano iniziato a sparare senza sosta, riversando le loro squadre di assaltatori per le strade del paese.
Dopo poco la pressione sull’ingresso Sud iniziò a diminuire, permettendo così a Skipio e la sua squadra di procedere, lasciando Cato solo e tremante nel suo riparo, bloccato da un terrore che gli attanagliava le viscere.
Skipio tornò indietro, fermandosi davanti a lui, fissandolo in silenzio attraverso il visore dell’elmetto.
Quello sguardo bastò a Cato per farlo sentire un verme.
Si mise in piedi ondeggiando malamente come un ubriaco e si lanciò verso lo spiazzo la cui conquista era costata già diversi uomini.
Skipio correva dietro di lui, in silenzio, coprendogli le spalle.
La loro corsa non durò molto, poiché i due si ricongiunsero con gli altri loro compagni tra le rovine annerite e le lamiere ritorte dell’edificio in cui qualche minuto prima erano trincerati gli Imperiali, ora completamente abbattuto.
<< Bene ragazzi, tiriamo dritto lungo la strada principale. >> Skipio indicò davanti a sé una larga via asfaltata, circondata su entrambi i lati da prefabbricati in muratura. << Attenti ai cecchini. >>
Non appena il primo soldato si alzò per uscire dal loro improvvisato riparo una pioggia di missili atterrò sui blindati sparpagliati nelle vie periferiche del paese, facendoli esplodere uno dopo l’altro.
Un missile atterrò praticamente dietro di loro, esplodendo appena impattò al suolo.
Cato fu investito dal vento caldo e da una pioggia di schegge, rimanendo bloccato contro le macerie su cui si trovava.
Mentre l’urto gli provocava una tremenda fitta alla testa, rivalutò la sua scelta di abbandonare il suo nascondiglio.
Sentiva un tremendo bruciore alla caviglia sinistra, e non vedeva che bagliori bianchi.
Quando finalmente riuscì a mettere a fuoco ciò che aveva intorno si ritrovò davanti agli occhi due zoccoli caprini.
Alzando la testa per inquadrarne il proprietario, si ritrovò davanti la bocca della canna di un fucile al plasma, e la testa del proprietario, nascosta sotto l’elmetto integrale in mimetica grigia, dai cui spuntava solo un unico grosso occhio rosso, un sensore sferico incastonato al centro del casco sferico.
L’alieno era poco più alto di un uomo, ben più robusto, temibile nel portamento, e torreggiava su di lui, silente, coronato dal sole alle sue spalle.
<< Quindi così siete… >> sussurrò Cato, alzando le mani.
Il nemico non rispose.
 
Drusus fissava le colonne di fumo che coronavano ciò che restava del paese sotto di loro, mentre il VTOL su cui si trovava scendeva lentamente al suolo in ampi giri concentrici, i portelloni laterali già aperti.
La prima ondata era stata alquanto inefficace, da quel che diceva l’alto comando, ma avendo ormai sconfitto la flotta nemica e conquistato il controllo del cielo e dello spazio, l’esercito poteva vomitare sulla superficie del pianeta tutte le truppe che voleva.
L’astronave si poggiò dolcemente al suolo, stabilizzando i suoi propulsori, e gli uomini scesero a terra e scaricarono i loro bagagli.
Erano atterrati a non più di duecento metri dal villaggio distrutto, all’entrata dell’improvvisato campo in cui era stato posto il loro quartier generale, in cui regnava un certo fermento.
Dal villaggio continuavano a entrare e uscire pattuglie, mentre altri uomini erano intenti a costruire trincee e servizi per il campo.
Un lavoro modesto per aver avuto sei ore a disposizione.
Un giovane ufficiale in tenuta da combattimento si presentò davanti a loro, mentre intorno altri VTOL sbarcavano altre truppe, rifornimenti e mezzi.
<< Benvenuti, abbiamo organizzato un briefing per voi, seguitemi. >>
Il briefing fu di una rapidità spaventosa, ma piuttosto esaustivo.
<< Abbiamo occupato buona parte del centro urbano, ma continuiamo a incontrare resistenza nel settore nordorientale, dove si trovano le postazioni di artiglieria nemiche. >> Spiegava un colonnello con due folti baffi neri, in piedi davanti ad un pannello su cui era fissata la mappa della zona, segnata qua e là con un pennarello rosso per indicare la posizione delle truppe. << Diversi attacchi aerei le hanno pesantemente danneggiate e presumiamo si siano ritirate, lasciando dietro di loro alcuni reparti di fanteria per rallentarci. Una volta preso questo villaggio avremo la strada spianata per Adiuventum e l’accesso alla penisola sui cui si trovano le principali città di questo pianeta. Ancora non abbiamo un’idea precisa delle dimensioni e della qualità delle forze nemiche. Riceverete ordini più precisi dai vostri ufficiali di reparto, buona fortuna. >>
Gli uomini si dispersero, raggiungendo le tende a loro assegnate, mentre i vari comandanti già chiamavano all’appello i “fortunati” per formare le prime colonne da inviare al fronte.
Drusus fissò la mappa, seguendo la lunga linea rossa che iniziava nella periferia nordoccidentale del paese e proseguiva poi in diagonale, fino ad arrivare alla piazza centrale, dove terminava in una grossa sacca.
A quanto pareva lì le loro forze erano state bloccate e costrette a trincerarsi tra le rovine dei palazzi.
A sud del villaggio era segnata una divisione corazzata, con una freccia nera che indicava il loro fiancheggiare il perimetro del villaggio fino a prendere alle spalle il presunto campo nemico.
Se quello che dicevano sulla tecnologia Khorsiana era vero, quei carri avrebbero avuto vita breve.
<< Soldato Drusus. A rapporto dal capitano Afranius. >> lo richiamò un superiore.
Drusus non se lo fece ripetere due volte e raggiunse subito il comandante, e in meno di venti minuti si ritrovò a bordo dell’IFV della sua squadra, diretto verso la piazza centrale.
Era davvero un toccasana passare quaranta giorni steso in una cuccetta d’astronave, mezz’ora in un trasporto pesante e poi ancora altro tempo nel vano di carico di un blindato evidentemente troppo stretto per otto uomini.
Il massimo del comfort fu raggiunto quando l’ambiente iniziò ad appestarsi del puzzo di sudore dei soldati ammassati lì dentro.
Drusus stava per vomitare, e non era la tensione a causargli la nausea.
Il capocarro accese l’interfono.
<< Segnali non identificati in arrivo, tutti a terra. >>
Il portellone sul retro del veicolo calò rapido e silenzioso, mostrando loro le rovine della città, una desolazione spaventosa.
Gli uomini uscirono rapidi e ordinati dal mezzo, proprio quando il rombo di un propulsore li investì dall’alto, scacciandoli sotto la pressione dello spostamento d’aria.
<< Al riparo! >> urlò il sergente che guidava la squadra.
“Come se non fosse ovvio” pensò Drusus fissando il cielo, cercando di individuare la minaccia incombente, il fucile d’assalto stretto in pugno, il visore dell’elmetto calato sugli occhi.
Un’esplosione sulla destra, fuoco dall’alto, confusione.
Qualche soldato iniziò a sparare verso il cielo, un blindato saltò in aria, letteralmente, in una colonna di fuoco, le urla dei soldati all’interno distorte nella radio gracchiante.
Qualcuno lanciò un missile anticarro, che schizzò in aria verso il bersaglio su cui era stato agganciato.
Solo seguendo la sua scia bianca Drusus, travolto dal caos della battaglia, riuscì a individuare il loro nemico: un robot, alto due volte un uomo, busto largo e testa piccola, braccia appena abbozzate, armato fino ai denti con sistemi mai visti, fissati su spalle e avambracci, mentre la schiena era completamente occupata dai due reattori che lo tenevano in volo. Era accompagnato da due droni, come lui in mimetica grigia, degli enormi dischi piatti sotto i quali spuntavano altre armi. Probabilmente il suo design riprendeva il vero aspetto dell’alieno che lo pilotava nascosto al suo interno, ma questo loro non potevano saperlo con certezza.
Un drone si sacrificò per intercettare il missile, frapponendosi fra lui e il suo bersaglio, e la bestia di acciaio atterrò con un cupo tonfo davanti a loro, puntando subito il suo braccio destro contro un altro trasporto.
Dall’arma ad esso collegato scaturì un getto di plasma che perforò la corazza della torretta dell’IFV, tranciandone i giunti che la tenevano saldata allo scafo.
<< Cazzo! Ricarica, presto! >> urlò il soldato armato di lanciamissili ad un suo compagno, mentre la bestia puntava contro i fanti nascosti il suo braccio sinistro, da cui spuntavano le canne rotanti di una mitragliatrice pesante.
Un blindato iniziò a stuzzicare il camminatore, punzecchiandolo sulla spalla con il suo autocannone.
Il robot si voltò appena e lanciò un missile dalla gondola posizionata sulla sua spalla destra, mettendo fuori uso il veicolo con un solo preciso e letale colpo.
Il sacrificio del mezzo diede però il tempo ai fanti di preparare un altro missile.
<< Vai, vai, spara! >> urlò l’addetto alla ricarica al compagno davanti a lui col lanciamissili in spalla.
Un sibilo, uno scoppio secco, ed il razzo partì dritto contro il bestione, intento a voltarsi per puntare di nuovo la mitragliatrice.
Il secondo drone si lanciò come il precedente per difendere il suo padrone, mossa però che Drusus aveva perfettamente calcolato.
Puntò il fucile, mirò rapido e sparò l’unico colpo del lanciagranate fissato sotto la canna.
La granata volò dritta contro il bersaglio, colpendolo abbastanza violentemente da deviare la sua corsa quel minimo necessario per fargli mancare il bersaglio.
Il missile esplose proprio in faccia al robot, seguito a ruota dall’esplosione della granata, lanciata in aria sopra il drone contro cui aveva rimbalzato, il quale, danneggiato, oscillò un poco e poi si schiantò al suolo sfondando un muro miracolosamente ancora in piedi.
Il camminatore si guardò intorno ondeggiando, la corazza annerita, la testa gravemente danneggiata e quasi divelta, il collo sfregiato che emetteva scintille.
Un salto ed il robot si lanciò in cielo, volando via con la coda tra le gambe, ormai in fuga.
L’ultimo carro rimasto puntò il suo autocannone e provò ad abbatterlo prima che prendesse troppa quota, decidendo all’ultimo, vista l’inefficacia del suo calibro, di lanciare uno dei quattro razzi anticarro di cui era dotato.
I fanti fissarono con apprensione la scena, trattenendo il respiro.
Il missile esplose prendendo in pieno la schiena dell’esoscheletro, che lentamente iniziò a perdere quota fino a sparire tra gli scheletri dei palazzi.
I soldati esultarono e ripresero a respirare.
<< Bene uomini, conta! Controllate armi e munizioni, d’ora in avanti si avanza a piedi. >> urlò un sergente cercando di riportare all’ordine la truppa.
Il risultato di quella schermaglia furono nove morti, ovvero gli equipaggi dei tre blindati, e due fanti feriti che furono quindi rispediti al campo base.
Gli uomini erano già demoralizzati dopo neanche mezz’ora, e avanzavano con lentezza, restii ad ascoltare gli ufficiali.
Dopo venti minuti e un cecchino giunsero infine al punto di rendez-vous, e lo spettacolo che si parò dinnanzi a loro fu davvero deprimente: la piazza era stata circondata con ripari di fortuna, e dove i colpi di mortaio avevano aperto delle buche si era scavato per ampliare i crateri e farne una trincea; lungo il perimetro erano posti nidi di mitragliatrici medie e pesanti, mentre pochi, malconci uomini segnati dalla fatica si aggiravano con lo sguardo spento tra una postazione e l’altra.
Tutt’intorno vi erano solo macerie, nessun cumulo più alto di un palazzo a due piani, vetri rotti e mattoni, qualche soldato appostato dietro una finestra sfondata, e una bandiera, posta sul muro più in alto ancora in piedi: dodici stelle bianche in cerchio cinte da una corona d’alloro nera, su sfondo blu notte, il simbolo della Federazione.
Il tenente a capo del fortilizio improvvisato diede loro il benvenuto e fece posizionare il blindato dentro le rovine di un basso palazzo, passando poi in rassegna gli uomini appena arrivati.
<< Tenente Laurus, 1a Compagnia assaltatori, 1o battaglione, 124o reggimento fanteria. Voi? >> chiese l’ufficiale porgendo la mano al suo parigrado.
<< Tenente Horatius, 1a Compagnia granatieri, 1o battaglione, 99o d’urto. Siamo qui per sostituirvi, presto arriverà il resto del battaglione. >> rispose l’ufficiale appena arrivato. << Qualcosa da riferire? >>
<< Abbiamo una squadra dispersa, non abbiamo più sue notizie dal momento in cui siamo entrati nel paese. E non abbiamo ancora notizie dell’aviotrasportata, temo sia stata annientata. >> rispose Laurus cupo in volto, grattandosi la nuca, l’elmetto sottobraccio.
Drusus fissava pensoso la scena: sicuramente il capitano, una volta giunto con le restanti quattro compagnie, avrebbe ordinato di avanzare, nel tentativo di raggiungere l’ultima posizione conosciuta delle dieci squadre paracadutate più a nord rispetto a loro.
Stranamente, i suoi timori si rivelarono infondati: quando, qualche decina di minuti dopo, arrivò il resto del battaglione, il capitano ordinò di fortificare maggiormente i palazzi affacciati sulla piazza – o meglio, ciò che rimaneva di loro – e di ampliare le trincee già scavate, in previsione di un attacco che in verità nessuno della truppa si aspettava sarebbe arrivato.
In realtà, quella stessa notte, si sarebbero resi conto di quanto fossero in errore.
 
Cato aprì gli occhi doloranti e fissò il compagno addormentato davanti a sé.
Era un giovane paracadutista, privo di un braccio, con una fasciatura maldestra e insanguinata intorno alla spalla sinistra.
Gemeva nel sonno, forse per il dolore, forse per gli incubi causati dalla prigionia.
Anche Cato aveva gli incubi, in cui rivedeva i resti del suo superiore e amico, Skipio Carnellus, gettato a terra in una pozza di sangue, tranciato in due dall’esplosione del missile che aveva messo l’intera squadra fuori gioco, le budella sparse sul suolo alieno, l’elmetto spaccato e volato via, il volto deturpato dalle schegge che a momenti gli avrebbero staccato di netto la mascella.
Cato si guardò attorno, scuotendo la testa per riprendersi dagli oscuri pensieri.
Erano dentro un trasporto pesante dell’Impero, uno scatolone di metallo in attesa di decollare.
Gli interni erano bianchi, asettici, freddi.
Sui posti a sedere erano ammassati una ventina di prigionieri, più qualche altro, ferito più gravemente, steso per terra su una barella.
Sopra le loro teste correva un binario che dal fondo del velivolo proseguiva fino al portellone lasciato aperto, probabilmente qualche supporto al lancio in volo.
Fuori era buio, ma Cato non sapeva dire quante notti fossero già passate da quando lo sbarco era avvenuto, avendo perso la conta dei giorni chiuso in quel mezzo, dove i secondi diventavano ore ed i minuti eternità.
In bocca sentiva il sapore acre del sangue rappreso e le sue ossa erano tutte indolenzite.
Ma almeno era ancora tutto intero, anche se la caviglia sinistra aveva un profondo taglio, aperto da una scheggia del missile che li aveva messi tutti fuori combattimento.
Fuori, all’orizzonte dove terra e cielo si fondevano, vedeva tanti piccoli fuochi sparsi come stelle nella pianura che faceva da teatro agli scontri.
Ogni tanto passavano davanti a loro, correndo, ombre scure, accompagnate dal rumore di zoccoli e dal tintinnio delle armi.
Il campo Imperiale era evidentemente in fermento, con squadre di fanteria che si dirigevano verso i fuochi e carri nemici, riconoscibili nell’oscurità dal cupo ronzio dei loro repulsori, che andavano nella direzione opposta.
Poteva benissimo immaginare quanto sangue dovevano star sputando in quel momento i suoi compagni, ma continuava a non capire perché gli Imperiali si stessero evidentemente ritirando, dopo aver palesemente sconfitto la loro aviotrasportata e aver fermato la loro avanzata da Sud.
Un’ombra si fermò davanti all’entrata del velivolo, rimanendo in silenzio; un ufficiale, intuì Cato vedendo sullo spallaccio sinistro, molto più grosso del destro, una fascia bianca.
Nei momenti di lucidità, prima che lo rinchiudessero là dentro, aveva imparato qualcosa sui gradi nemici presenti sugli spallacci asimmetrici di ogni soldato.
L’ufficiale nemico attese l’arrivo di un'altra ombra, poi parlò con qualche figura fuori dal campo visivo dei prigionieri, sicuramente le sentinelle poste a guardia della loro gabbia.
La luce pallida proveniente dall’interno del mezzo gli illuminava vagamente il volto e, finalmente, Cato vide il vero aspetto del suo nemico.
L’alieno era completamente calvo, e non aveva il naso. La sua testa, almeno secondo i canoni umani, era fin troppo larga per il suo mento sottile e affilato, e le sue guance erano così scavate che praticamente non esistevano. Il viso era schifosamente piatto nei lineamenti, non fosse per lo spigolo creato dal suo setto nasale, che allungava il volto come fosse la prua di qualche strana nave. Gli ricordava in un certo qual modo uno di quegli squali che un tempo nuotavano sulla Terra, forse proprio uno squalo martello, come quello negli archivi olografici.
La sua voce era cupa, raschiante, aspra.
Disse poche parole incomprendibili, poi indicò i fuochi all’orizzonte e si voltò per andarsene.
Strano a dirsi, Cato ora aveva meno paura.
 
Il primo colpo di mortaio centrò in pieno una buca in cui dormivano due soldati, che vennero vaporizzati all’istante.
Il secondo invece atterrò a pochi metri dalla postazione radio, svegliando definitivamente i militari.
Drusus fissò il cielo nero riempirsi di luci blu, che ricadendo su di loro scatenavano l’inferno in terra.
Un boato dietro di lui gli fece capire che era meglio tornare nella sua buca, mentre qualcuno urlava per il dolore.
No, la buca non era sicura, capì al terzo boato, l’unica salvezza era tra gli edifici distrutti, lontano dalla piazza.
La sua corsa fu rapida e breve, tra le zolle di terra sollevate dalle esplosioni e i suoi camerati che correvano da una parte all’altra.
Il bombardamento durò pochi minuti, ma lasciò il campo devastato, Drusus poteva vederlo dal vicolo in cui si era lanciato appena in tempo, prima che un proiettile nemico atterrasse proprio dietro di lui.
Presto i sopravvissuti si lanciarono verso le nuove rovine in cerca di feriti e dispersi, credendo che l’attacco fosse già terminato, ma finendo solo per venir falciati da una nuova salva sparata esattamente dopo mezz’ora.
Alla terza ondata dell’artiglieria il capitano ordinò di abbandonare il campo, recuperare quanti più rifornimenti possibile e portarsi in avanti, verso le postazioni nemiche.
Drusus portò con sé quante più munizioni poté trovare, e gli venne affidata la mitragliatrice leggera di squadra, poiché il precedente proprietario era morto nel secondo bombardamento.
Passò la notte insonne, continuamente svegliato nei momenti in cui riusciva a chiudere le palpebre da una nuova ondata di granate.
All’alba i bombardamenti terminarono, ma la loro unità era già da un pezzo in zona sicura, praticamente sulle linee nemiche, al limitare del villaggio.
Silenziosamente, mentre il campo nemico sembrava essere in pieno fermento, il capitano dispose le truppe e le preparò all’attacco.
I soldati aspettavano distesi a terra, allineati dietro un basso riparo composto da mattoni ammassati e trafilati in metallo.
Davanti a loro vi erano le ultime casa ancora in piedi in tutta la città, la recinzione abbattuta del lato occidentale e la porta ovest, e subito fuori le ultime difese Imperiali: tre bunker posti a cuneo, una bassa trincea quasi vuota e due strani robot, più grossi di quello che aveva teso loro l’imboscata, ma molto più lenti, ed armati con un immenso cannone agganciato sulla loro spalla destra.
Lontano, verso l’orizzonte, potevano vedere una colonna di carri nemici, sinuosi scafi metallici che si libravano a mezzo metro dal suolo.
Una squadra di mortai da 60 mm si posizionò al sicuro dietro di loro, preparandosi a far fuoco al segnale del capitano.
Drusus stringeva la mano sull’impugnatura della sua nuova mitragliatrice, sfregando l’indice contro il ponticello dell’arma.
Era dannatamente nervoso, complice la mancanza di sonno di quella notte.
Il capitano scrutò di nuovo col binocolo il nemico, troppo impegnato nei suoi preparativi per accorgersi di loro, poi alzò il bracciò sinistro e fece segno ai mortai di aprire il fuoco.
<< All’attacco! >> iniziarono a urlare gli ufficiali, ordinando ai soldati di sparare.
Gli uomini non se lo fecero ripetere due volte, e riversarono immediatamente sugli alieni una pioggia di piombo.
Gli Imperiali, colti di sorpresa, corsero subito dietro le loro difese, da dove le tre mitragliatrici iniziarono a vomitare plasma.
I due robot si voltarono pigramente verso la nuova minaccia, mentre da davanti le trincee si sollevavano dai loro nascondigli gli stessi droni ovoidali che avevano partecipato all’imboscata il giorno prima.
Il bunker a sinistra fu inghiottito in una nube di polvere, soverchiato dal fuoco dei mortai, e smise di sparare, ma uno dei due esoscheletri attraversò la nube, abbassò il suo cannone, lo puntò contro il loro crinale e aprì il fuoco, mandando a gambe all’aria diversi soldati, sbalzati dall’esplosione causata dal colpo.
<< All’assalto! >> urlò il capitano, mentre due diverse squadre di fanti lanciavano missili anticarro contro il primo esoscheletro, che assorbì i colpi incurante.
I droni falciarono i primi soldati che si lanciarono oltre il crinale, ma furono presto abbattuti, dopo alcuni tentativi, dai tiratori scelti rimasti nascosti negli edifici.
Drusus consumò un intera cassetta di munizioni nel fornire fuoco di copertura, mentre gli uomini intorno a lui morivano uno dopo l’altro.
Uno strano velivolo, un’enorme scatolone di metallo con due propulsori su ogni lato, si alzò lentamente in volo, cercando di sottrarsi allo scontro.
Altri missili lo colpirono sul retro, costringendolo a prendere quota.
Un altro bunker, quello centrale, saltò in aria, mentre il primo esoscheletro perdeva la sua arma, il braccio destro staccato di netto da un ennesimo razzo, ed il terzo bunker venne infine colpito dal proiettile ad alto potenziale di un carro armato, annunciando così l’arrivo della loro divisione corazzata.
Poi giunse l’aviazione, ed il campo nemico esplose.
 
Cato sentì il vuoto sotto di sé e capì che la sua gabbia stava prendendo il volo.
Dall’esterno arrivavano i rumori concitati di una battaglia, terribilmente vicini.
Il veicolo fu colpito sul retro, sicuramente da un missile, e sobbalzò paurosamente, ma continuò la sua rapida salita verso il cielo.
Poi un altro violento scossone, sul lato destro e, nonostante le pareti senza oblò, Cato capì che stavano perdendo quota.
<< Qui finisce male… >> disse Cato preoccupato al soldato svenuto affianco a lui.
Il velivolo si stava sempre più inclinando in avanti, facendo scivolare i militari contro la cabina di pilotaggio, sigillata da una sottile paratia metallica.
Poi ci fu lo schianto, violento e improvviso.
Cato si ritrovò schiacciato sotto il peso di una decina di suoi compagni, ma la struttura del trasporto aveva retto bene l’impatto.
Una porta si aprì nella paratia, scivolando silenziosamente di lato.
Ne uscì un alieno, senza casco, con indosso un’uniforme leggera, da pilota, un taglio sulla tempia da cui sgorgava rosso sangue scuro, quasi nero.
Solo ora Cato si rese conto che al posto del naso i Khorsiani avevano un profondo taglio verticale, proprio sullo strano spigolo che divideva in due il suo volto, e che i loro occhi erano completamente azzurri.
Il Khorsiano, visibilmente furioso, estrasse una pistola e urlò qualcosa di incomprensibile contro i soldati accalcati intorno a lui, bloccati uno sull’altro.
L’alieno puntò l’arma contro il portellone, continuando a urlare, poi afferrò il soldato che gli era più vicino e lo bloccò davanti a sé, per usarlo come scudo.
Dopo qualche minuto si sentirono colpi contro il portellone posteriore, mentre un secondo alieno si trascinò fuori dalla cabina di pilotaggio, ancor più ricoperto di sangue del compagno.
Biascicò qualcosa, accasciandosi su un sedile vuoto, ma il compagno, la pistola ancora puntata contro la rampa di sbarco del mezzo, lo ignorò e continuò ad urlare.
Il portellone cedette con un cigolio, poi scese rapidamente, aprendosi e rivelando ai presenti una squadra di assaltatori della Federazione che puntava le armi contro di loro.
Cato, inebetito, fissava la scena impotente: i soldati urlavano all’alieno di abbassare l’arma, l’alieno continuava a urlare frasi incomprensibili e stringeva il braccio intorno alla gola dell’ostaggio, alto quasi quanto lui, il secondo pilota alzò le mani, cercando di calmare i soldati che non lo capivano e di conseguenza lo ignoravano.
La scena rimase immobile per qualche secondo, finché Cato non notò che il pilota ferito voltava la testa e diceva stancamente qualcosa al compagno, il quale alzò la pistola e la puntò alla propria tempia, mentre il primo estraeva un piccolo dischetto metallico.
In un attimo il pilota si uccise sparandosi alla tempia mentre un soldato umano, più rapido del secondo Khorsiano, aprì il fuoco contro di lui, uccidendolo all’istante con la sua mitragliatrice.
<< Area libera, abbiamo trovato dei prigionieri. >> riferì un soldato alla radio, mentre i suoi compagni si muovevano per prestare soccorso ai soldati appena liberati.
Il soldato che aveva eliminato il secondo pilota si avvicinò, afferrando ciò che l’alieno aveva estratto prima di morire.
<< Chissà se è una granata o un comunicatore… >> disse tra sé e sé, come se fosse stato da solo su quell’astronave.
Cato si alzò a fatica e gli si avvicinò, zoppicando a causa della caviglia ferita.
<< Bel tiro. >> disse massaggiandosi una spalla indolenzita.
<< Grazie. >> rispose l’altro, infilando in tasca il suo piccolo bottino.
Cato si allontanò, cercando di soccorrere i suoi compagni feriti.
<< Come ti chiami? >> chiese mentre aiutava un soldato senza una gamba ad alzarsi.
<< Drusus. >> rispose l’altro, prima di voltarsi e andarsene, lasciando i suoi compagni a badare ai feriti.
 
Così si concluse la riconquista di Varus IV, nome in codice operazione Heimdall, il preludio del conflitto in seguito divenuto noto come Prima Grande Guerra Galattica.
L’Impero Khors, subito dopo la perdita del controllo sui cieli, fu costretto alla ritirata dall’arrivo di forze della seconda più potente fazione della galassia: l’Unione Volos.
I Volosiani, avendo intuito che l’attacco non serviva ad altro che a creare una testa di ponte verso i loro territori, avevano immediatamente risposto all’offensiva mobilitando le truppe e offrendo supporto alla Federazione Terrestre, che aveva così almeno qualche speranza di vincere la guerra.
Dell’intera forza di invasione inviata su Varus IV i Terrestri avevano perso oltre un quinto degli effettivi in una settimana, dimostrando l’incapacità tecnologia della Federazione di fronte a minacce esterne.
La guerra terminò sei anni dopo, con un ripristino dei confini prebellici e con l’Impero costretto a versare pesanti risarcimenti agli avversari, alimentando così l’odio sempiterno dei Khorsiani nei confronti dei Volosiani, forza motrice dell’Impero, la fiamma da cui era nato e la fiamma che l’avrebbe distrutto.
Tutto ciò non fu che l’inizio del Secondo Medioevo.

   
 
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