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Autore: bulmasanzo    23/08/2017    1 recensioni
Alfred ha accantonato il suo sogno di diventare un musicista per aprire un negozio di ciambelle, ma fatica ancora a definirsi un fallito. Le cose si fanno particolarmente bizzarre quando crede di concludere un affare per l'ottenimento di un ingrediente segreto per rendere le sue ciambelle più dolci, che però causa un effetto completamente inaspettato.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

 

Alfred passò tutto il resto del pomeriggio a sperimentare quel suo nuovo, bizzarro potere, trascurando il lavoro.
La sua era una mente curiosa per natura, voleva testare i propri limiti e le proprie capacità.

E poi, chi non approfitterebbe della possibilità di farsi una bella, corroborante volatina nel cielo? A quante persone al mondo è concesso?
A nessuno, a dire la verità.
Aveva, in realtà, un po' paura di andare troppo in alto.

E se l'effetto si fosse esaurito proprio mentre era in volo? E se fosse precipitato?
Di sicuro non avrebbe rimbalzato.
Ma il suo corpo enorme, tondo e ridicolo se ne saliva su che era una bellezza, con una facilità innata.
E ogni volta che si innalzava un po' di più, era come se avesse ricevuto una scarica di zuccheri.
I problemi della quotidianità si erano momentaneamente azzerati, ogni centimetro in più lo avvicinava a un ideale di felicità, che però sembrava trovarsi ogni volta al centimetro successivo, e risultava quindi improbabile da raggiungere.
Alla fine, si risolse a portarsi dietro il resto della 'ciambella miracolosa', come l'aveva chiamata, nella speranza di riuscire, in tale eventualità, a morderla in tempo prima di spiaccicarsi al suolo.
Ma non ne ebbe bisogno, infatti il volo di prova andò benissimo.

Raggiunse dunque prima il tetto del negozio, poi passò attraverso i cavi del telefono, stando attento a non toccarli, naturalmente, non voleva rischiare di beccarsi la scossa.

Dietro il negozio c'era un albero altissimo, si intrufolò dentro la sua chioma di foglie solo per il piacere di sfrecciarvi attorno. Non era mai stato particolarmente bravo ad arrampicarsi.
E così, come avrebbe dovuto immaginare, la sua mole si incastrò tra quei rami.
Ridendo, si mise a roteare finché il puro e semplice attrito non gli permise di districarsene.
Poi quando 'emerse' da lì, con i capelli tutti pieni di foglie e pezzettini di legno, si rese conto di ciò che aveva appena fatto.
Osservò il tronco e si accorse che la corteccia era letteralmente scavata, come se l'avesse trivellata.
Era forse quello un altro superpotere?
Meraviglia e stupore continuavano ad alternarsi.
Andò ancora più in alto, incontro al sole, sentendosi il nuovo Icaro.
Ma più saliva, meno calore sentiva.

Anzi, a un certo punto si sentí gelare, la cosa aveva senso.
L'ossigeno si stava evidentemente facendo più rarefatto, ricordava di avere studiato a scuola che in montagna fa più freddo poiché, proprio per questo motivo, il suolo non riesce a trattenere i raggi del sole e così essi si disperdono... O qualcosa di simile.
Ma possibile che fosse già a quel livello? Aveva volato più in alto di una montagna?
Non si era reso conto di essersi mosso a una tale velocità, il suo peso sembrava rendergliela impossibile.

Ma il suo intelletto, a tal punto, era già uscito dalla sfera della razionalità.
Si accorse così che attorno a lui era tutto bianco, gli sembrava di trovarsi su di un manto di neve.
Poi, a una distanza di forse un paio di centinaia di metri da lui, vide che arrivava un aereo.
Lo fissò affascinato. A quale quota volavano gli aerei?
Era talmente vicino da poter distinguere i singoli finestrini mezzi abbassati, addirittura le persone dentro che puntavano le loro dita contro il vetro, dovevano essere piuttosto sconvolti nel vedere un ciccione mezzo nudo che se ne volava come un palloncino, tutto da solo, al loro livello.
Allora il bianco attorno a lui non era neve... Ma non era poi così diverso. Si trovava nel mezzo di una nuvola!
Così vi si nascose dentro, e si ritrovò subito completamente bagnato. Giusto...
Iniziava a sentire una leggera difficoltà a respirare. Forse era arrivato il momento di scendere.
E iniziò a farlo, allo stesso identico modo di come era salito.
Era soddisfatto, aveva fatto una esperienza fuori dal comune.
Quando i suoi piedi toccarono nuovamente il suolo, li vide letteralmente ritirarsi e tornare alle loro dimensioni originarie.
Adesso era come se il pallone che era stato fino a quel momento si fosse bucato, si sgonfiò lentamente ma costantemente.

Nel giro di pochi secondi era di nuovo normale.
E una grande, innaturale, stanchezza gli piombò improvvisamente tutta addosso.
"Adesso mi appoggio qui, su questo morbidissimo marciapiede... e mi faccio una pennichella" biascicò.

Neppure aveva finito di dirlo che le sue ginocchia si erano piegate e lui si era accasciato, con la faccia a terra. Non capí più nulla di quello che succedeva.
Si svegliò chissà quante ore dopo, solo perché qualcuno lo stava scuotendo e urlava il suo nome in tono allarmato.
Mise a fuoco e vide la faccia di Steve, il suo migliore amico, la faccia contratta nelle mille rughe di una espressione spaventata, gli occhi azzurri sgranati per la paura.
"Al!" ripeté "Cosa accidenti ti è successo?"
"Niente" disse lui, ricordando la clausola del contratto che gli imponeva di non dire nulla.
"Non dire 'niente', vuoi farmi credere che hai semplicemente deciso di farti un pisolino in mezzo alla strada?"
"Più o meno" fece lui, cercando di alzarsi.
"Che è capitato ai tuoi vestiti?" continuò Steve aiutandolo "Oddio, ma guardali, sono completamente stracciati! Dimmi la verità, ti hanno picchiato?"
"No, no... Uhm, beh..."
"Cosa è stato allora? Ti hanno fatto una rapina? Cosa ti hanno fregato?"
"La dignità" sbottò Al, avviandosi dentro il negozio.

Solo in quel momento gli tornò in mente il grosso ordine che aveva per il giorno dopo.
"Che ore sono?" chiese, con un po' di panico nella voce.

Doveva ricominciare tutto da capo, non avrebbe certamente venduto le ciambelle magiche alla moglie di Jon.
"Al, devi andare in ospedale..." disse Steve. Quella insistenza gli diede sui nervi.

Perché tutti gli continuavano a dire quelle cose?
"La smetti di starmi addosso?" urlò "Non lo vedi che sto benissimo? Vedi mica ferite sul mio corpo? Eh?"
"Potresti avere delle ferite interne" ipotizzò Steve "Comunque, scusa se mi preoccupo per te" aggiunse un po' irritato.
"Nessuno te lo ha chiesto!" si pentí di questa ultima uscita subito dopo averla detta, ma non se la poteva più rimangiare.
"Devo lavorare ora. Lasciami solo"
Steve stava stringendo i pugni, lo faceva tutte le volte che si tratteneva dal mollargli un cazzotto, quando si comportava da idiota come in quel momento.
"Vabbè, ciao!" brontolò invece, poi girò sui tacchi e se ne uscì sbattendo la porta.
Al si sentì in colpa, non era la prima volta che litigavano in quella maniera così stupida.

Avrebbe recuperato, si ripromise.
Ma adesso aveva bisogno di mettersi all'opera, doveva cucinare cinquanta ciambelle, non avrebbe usato la sostanza, in fondo se Jon veniva sempre nel suo negozio voleva dire che erano abbastanza decenti.

Jon arrivò alle tredici precise, spaccando il secondo, come si dice.
Al non aveva dormito, era rimasto a pensare all'individuo che gli aveva donato la sostanza, all'ebrezza del volo, a Steve, al modo per farsi perdonare.
Aveva due occhiaie profonde, ma le ciambelle erano pronte e già confezionate.
Jon le prese e aggiunse una grossa mancia quando pagò il conto.
"E questo perché?" chiese Al, anche se in effetti la cosa non gli dispiaceva.
"Perché mi sembri decisamente stanco, prenditi un giorno di relax" gli consigliò.
Al sorrise "Non ti puoi proprio fare i fatti tuoi, vero?" disse.
"No" Jon sorrise a sua volta e poi uscì dal negozio.
Al stava contando i soldi quando sentí un urlo.

Sbiancò, si precipitò fuori e vide un'ombra che si allontanava e c'era Jon a terra che puntava un dito indicandola.
"Aiuto!" gridò "Quel tizio mi ha rubato le ciambelle che avevo appena comprato"
Al fu colto da una specie di ispirazione, infilò la mano nella tasca del grembiule, c'era ancora il resto della ciambella miracolosa che ci aveva messo il giorno prima. La morse.
Stavolta i suoi abiti non si strapparono, ne aveva indossati apposta di larghi ed elastici, che si tesero sotto la mole del suo corpo che si gonfiava e si deformava.
Si alzò in volo, nella direzione in cui aveva visto sparire il ladro.
Lo vide che correva cercando di tenere le scatole delle ciambelle in equilibrio l'una sull'altra.
Gli si fiondò addosso schiacciandolo con il proprio peso, lo mandò a terra a stramazzare.

Le scatole si sparpagliarono in giro, una si aprí e alcune ciambelle rotolarono fuori.
"Togliti! Brutto ciccione!" lo insultò quello agitandosi, ma Al non si alzò, lo tenne bloccato sotto di sé.
Sopraggiunse Jon, ancora un poco frastornato.

Era un uomo lievemente in sovrappeso, e già aveva il fiatone.

Non capiva come avesse fatto una persona obesa a correre più veloce di lui.
"L'ho fermato!" si vantò Al.
"Ma cos..." fece Jon, confuso "Al? Sei tu?" aveva riconosciuto la sua voce.
"No, non sono io, Al ha almeno trenta chili in meno di me!" disse Al allarmato.
Jon si mise le mani nei capelli "Le mie scatole!" esclamò, poi si chinò a raccoglierle.
"Lasciale perdere, chiama la polizia, piuttosto, così mettiamo in carcere questo furbone" lo fermò.
Il 'furbone' si dimenava piano sotto il sederone di Al, cercando invano di liberarsi. Era terrorizzato. "In carcere?" fece "Non vi pare un po' eccessivo? Erano solo delle ciambelle, in fondo!"
"Nessun crimine deve restare impunito" dichiarò Al.
La polizia si portò via il ladro, ma forse avrebbe avuto giusto una notte di prigione come ammonimento e poi sarebbe stato lasciato libero.
Jon guardò sconsolato le ciambelle che aveva perduto.
"Ora come faccio?" si lagnò.
"Non devi preoccuparti, Al ha detto che puoi andare a prenderne altre gratuitamente per sostituire quelle che sono cadute" gli disse Al.
Jon lo guardò scettico "Certo, Al lo ha detto ..." fece "Poi mi devi dire dov'è che hai trovato quella tuta gonfiabile, è fatta bene, sembra proprio una seconda pelle..."
Nonostante i chili in più, Jon lo aveva riconosciuto perfettamente, il segreto era a rischio.
"Però sai, non è che sia proprio una buona pubblicità" continuò Jon mentre entravano di nuovo nel negozio "Ci stai ricordando che se mangiamo troppe ciambelle diventiamo grassi pure noi"
"Ah ah, era solo uno scherzo" minimizzò Al confezionando una nuova scatola "Ma non lo dire a nessuno, okay?"
"Perché, che stai architettando? Ti sarai mica messo in testa di diventare un supereroe?"
"Certo che sì" scherzò Al "Invece di essere Batman, posso essere Fatman"
"Mi sembra sensato" rise Jon. Prese le sue ciambelle "Grazie, Al"
"Fatman, non Al. Fai tanti auguri a tua moglie da parte mia."
"Immagino che non potrò raccontarle della tua impresa eroica, uh?" fece.
Al scosse la testa. Jon se ne andò via scrollando le spalle.
Tecnicamente non gli aveva detto nulla, Jon aveva capito da solo che era lui e ancora non sapeva delle ciambelle magiche o della sostanza... perciò Al non aveva violato il regolamento specificato nel contratto che aveva firmato... Giusto?
Al si mise comunque a pensare al modo di non farsi riconoscere. Gli sembrava qualcosa di importante.
Recuperò da un cassetto un paio di occhiali spessi, li aveva utilizzati in passato, prima di passare alle lenti a contatto.

Pensava che gli dessero un po' un'aria da stupido, avevano una montatura a goccia che era ormai passata di moda dai tempi delle orecchie da coniglietta di playboy... Ma forse sarebbe stato prudente indossarli, solo quando era 'in borghese', giusto per evitare di farsi riconoscere.

Se funzionava per Superman, perché non avrebbe dovuto funzionare per lui?
L'effetto della ciambella miracolosa stavolta durò di meno, non era passata un'ora che era di nuovo se stesso. Certo, stavolta ne aveva preso soltanto un morso, quindi era durata di meno.

Doveva capire come funzionava, doveva fare alcuni esperimenti.
Comunque aveva già finito di vendere tutte le ciambelle e decise così di chiudere il negozio. L'indomani era sabato e sarebbe stato chiuso.
Preso da un'altra improvvisa ispirazione, chiamò Steve.
"Ciao." rispose questi in tono secco.
"Sei ancora incavolato con me?" gli chiese.
Vi fu una pausa.
"Un po'." disse Steve, poco dopo.
"Senti, mi dispiace tanto, possiamo incontrarci così posso chiederti scusa di presenza?"
"Sei un idiota, lo sai?" disse Steve.
"Oggi Jon è passato a comprare delle ciambelle e mi ha dato una gran bella mancia..."
Sentí il suo sorriso allargarsi attraverso la linea del telefono.
"Mi stai invitando a bere una birra?"
"Passerò da te tra cinque minuti" promise Al.
Lo sentí sbuffare. Dopotutto, questo rapporto che avevano gli piaceva, litigavano e poi facevano pace in un secondo.
Chiuse la comunicazione e, come aveva detto, cinque minuti dopo era di fronte alla casa di Steve.
Lo vide sulla porta che parlava con una ragazza dai capelli neri, che era girata.

Al agitò la mano per farsi notare, così Steve la salutò per andare da lui.
"Non sapevo fossi in compagnia" lo punzecchiò.
"Quella è mia cugina. Un giorno te la presenterò, ma stasera lavora" fece Steve scrollando le spalle "Niente ragazze per me, ancora. Magari questa sera ne rimorchiamo una... Ehi, come mai porti gli occhiali?"
"Le lenti mi davano noia, oggi. Senti, Steve..." incominciò.
"Non dire nulla, per favore, ti ho già perdonato. Se non vuoi dirmi quello che è successo perché te ne vergogni lo rispetterò" lo bloccò inaspettatamente Steve.
Al lasciò cadere il discorso.
"Prima di passare dal bar, mi accompagni al negozio di animali?" gli propose invece.
"Vuoi prendere un cane da guardia?"
"No. Un criceto."
"A cosa ti serve?"
"Penso che i criceti siano carini" disse, come unica spiegazione.
Ne prese uno paffuto, dal pelo giallo dorato.

Steve dichiarò che fosse il criceto più brutto che avesse mai visto e che quegli occhiali che Al portava non gli servivano a niente poiché non ci vedeva.
"Sei tu che non vedi la sua bellezza interiore" lo prese in giro Al.
Non rimorchiarono nessuna ragazza, quella sera, però si divertirono, era come se il loro litigio non fosse mai avvenuto.

Il motivo per cui Al aveva preso un criceto era che voleva utilizzarlo come cavia per i suoi esperimenti.

Immaginava che avrebbe avuto un criceto obeso che se ne volava qua e là, oppure che sarebbe diventato delle dimensioni di un cane. Era troppo curioso di scoprirlo e fu precisamente a questo che si dedicò il giorno successivo.
Quindi ci restò un po' male quando, dategli da mangiare le briciole della ciambella magica, non accadde assolutamente nulla.
"Magari non funziona, per i criceti" si sconsolò. Gli era sembrata una buona idea.
L'animaletto sembrò guardarlo con i suoi occhietti neri e profondi, era come se fosse concentrato su di lui.
"Scusa, piccino" fece Al "Non ti ho neppure dato un nome"
Lo prese in mano, stranamente non diede il minimo segno di essere spaventato.

Al lo guardò di sotto.
"Sei un maschio, vero? Ti chiamerò Harvey" gli accarezzò la testolina "Ti piace Harvey?"
"Sì, è un nome piuttosto carino"
Ad Al prese un colpo. Sgranò gli occhi e il criceto per poco non gli sfuggí dalle mani.
"Ehi, stai attento, stavi per farmi cadere!"
Al si bloccò a fissarlo.
"Hai... Hai appena parlato?" chiese dopo aver esitato per qualche secondo.
"Beh, mi hai fatto una domanda e ho risposto!" disse il criceto "Posso avere altro cibo?"
Al deglutí. "Certo, sicuro" balbettò.

Lo poggiò di nuovo sulla scrivania e gli mise accanto altre briciole.
Harvey non aveva di certo i muscoli facciali e non avrebbe, di conseguenza, potuto fare alcuna espressione, ma quando alzò il muso, ad Al parve proprio che fosse seccato.
"Magari mi vuoi dare dei semini di girasole, no?" disse.
Al si sentì un idiota "Hai ragione, scusa" ne prese una manciata dal sacchettino che aveva comprato quando lo aveva preso al negozio e glieli mise accanto.
Il criceto si mise a mangiare con voracità e ad Al sembrava veramente contento.

Rimase a guardarlo affascinato per svariati minuti. Non riusciva a crederci.
Un criceto che parlava e che capiva il linguaggio umano.
Ma che razza di ficata era quella?!
Evidentemente, la ciambella magica produceva un effetto diverso per ogni persona o animale che ne mangiava.

O aveva lo stesso effetto per tutti gli umani, ma un effetto diverso sugli animali?

E di animale in animale aveva un effetto diverso?
Non poteva sperimentarla su altre persone, ma forse avrebbe potuto prendere altri animali da usare come cavie, poteva prendere un altro criceto e poi magari un coniglio...

La parte analitica del suo cervello era particolarmente eccitata, in quel momento.
"Come ti chiami?"
Al batté le palpebre, riscuotendosi dalle sue idee.

Era stato Harvey a parlare, naturalmente.
"Mi chiamo Alfred" disse.
"Ti prenderai cura di me, non è vero, Alfred?"
"Lo farò senz'altro"
"Sono il tuo migliore amico, non è vero, Alfred?"
"Sei il mio animaletto domestico"
Harvey sembrò sorridere. "Finché mi darai da mangiare e ti prenderai cura di me io ti considererò il mio amico, non il mio padrone. Va bene per te, non è vero, Alfred?"

"Sarai la mia spalla" gli promise Al.

 

 

 

Spazio autrice:

Visto che le visualizzazioni si sono fermate e che avevo già pronto il secondo capitolo, ho deciso di pubblicarlo, e viaa senza pensarci :) Questa parte è stata molto divertente da scrivere, spero solo di non aver reso il nostro protagonista un po' antipatico, voglio approfondire meglio il suo carattere nel corso dello svolgersi degli eventi.
Un saluto e a presto!

  
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