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Autore: BabaYagaIsBack    23/08/2017    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo Nono
Morire centouno volte

 

"I could never see how it hurts, to feel the worst,
I'll never make it, even though how it hurts,
That I won't be that type of guy that never tried,
That never took a chance, or took his moment to fly to be free"

Love the Fall (Michael Paynter)


 

Ogni due falcate la Contessa Varàdi si volgeva all'indietro. I suoi occhi dardeggiavano come frecce tra i passanti, infilandosi tra di loro, nelle traverse, fra le tende delle finestre aperte alla disperata ricerca del sorriso del fratello - ma tutte le volte finivano con il tornare di fronte a lei, in direzione della Stazione Ferroviaria Santa Lucia.

Più si avvicinavano alla loro destinazione, più Alexandria sentiva le gambe farsi molli nel tentativo di tradirla, quasi il corpo le stesse anticipando il peggio - e tutte le volte che si soffermava sul quel pensiero, il cuore le batteva nel petto tanto da farle male.

Aveva paura, non lo negava. 
Era terrorizzata perché, se lo conosceva abbastanza bene, sapeva che Levi non avrebbe mai fatto ritardo in circostanze come quelle - oppure, se fosse accaduto, non sarebbe stato per sua volontà. Doveva quindi essere successo qualcosa e, quel qualcosa, pensò con un groppo in gola, doveva avere a che fare con il Cultus.

Aggrappandosi con forza alla mano di Zenas, la ragazza tentò di non lasciarsi sopraffare dai sentimenti, anche se all'ennesimo, tragico pensiero le fu quasi impossibile continuare ad avanzare.

E se Levi fosse stato catturato
Quasi inciampò.


No, si disse, quella non era un'opzione.
Con più probabilità, se gli alchimisti erano riusciti a raggiungerlo e a metterlo spalle al muro, suo fratello doveva aver scelto la morte - già, perché Nakhaš non si sarebbe mai fatto prendere vivo, questa era una certezza. Troppe volte durante le perlustrazioni o i viaggi più sfiancanti, tra una chiacchiera e l'altra insieme ai fratelli, il Generale d'Israele aveva ripetuto quell'affermazione, camuffandola però da scherzo: piuttosto che tra le loro grinfie, sotto metri di terra. Nessuno, a quei tempi, si era mai azzardato a considerare reale quella promessa, eppure Alexandria aveva sempre temuto il momento in cui Levi fosse stato messo alle strette. Lui, come molti di loro, non si sarebbero lasciato trasformare in schiavo o cavia da laboratorio, non avrebbe concesso né il suo corpo e ancor meno la sua anima a dei folli come i membri del Cultus. 
Perché i segreti e i peccati di Salomone avrebbero dovuto scomparire con loro, riportando il mondo al proprio equilibrio. Troppi criminali, negli anni, avevano giocato a fare Dio e l'alchimia era stata per loro l'arma con cui minacciare l'umanità - non potevano permettere che accadesse ancora.

Senza rendersene conto, Z'év iniziò a stringere anche la targhetta nella tasca del cappotto. Era l'unica cosa rimastale di Levi, la sua ultima speranza, il motivo che lo aveva spinto sino a lei e, se davvero aveva smesso di vivere, sapeva che avrebbe avuto bisogno di aggrapparcisi quanto più possibile, in modo da non arrendersi.
Alexandria lasciò che il metallo le segnasse il palmo, che formasse sulla pelle delle sottili linee rosse simili a tagli - perché nonostante tutto, conscia di come si dovesse comportare in quel momento, si sentiva colpevole dell'assenza del fratello. Nonostante l'esperienza, l'addestramento e qualsiasi cosa avesse vissuto nei suoi trecento anni di vita, quello era un dolore che ancora non si sentiva pronta d'affrontare - e se si fosse imposta un po' di più, se si fosse rifiutata di separarsi da loro, forse a varcare l'entrata della stazione sarebbero stati in tre.

Ma non lo erano.
Levi non era lì e la nausea diventava sempre più insopportabile - per questo ogni volta che qualcuno le passava vicino cercava sul suo viso gli occhi serpenti di lui, la cicatrice pallida che gli solcava con fierezza lo zigomo. E pregò fino all'ultimo di incontrarlo, perché se così non fosse stato, lo sapeva, una parte di lei sarebbe perita per sempre, come il giorno in cui avevano perso Salomone - o forse peggio.

Senza accorgersi digrignò i denti.

Quanto avrebbe voluto fermarsi, voltarsi e aspettarlo. Quanto le sarebbe piaciuto andargli incontro e, se necessario, fracassare qualche cranio per permettergli di scappare con loro, di raggiungere il Re che tanto aveva amato; ma non poteva permetterselo. A prescindere da ciò che poteva provare in quel momento aveva un compito da portare a termine - e lo doveva a tutti i suoi fratelli, da Nakhaš a Akhbàr, nessuno escluso.
Dopo ciò che aveva fatto, dopo che aveva permesso al Cultus di colpire e forse uccidere Salomone, ritrovarlo e riunire la famiglia era la sua unica possibilità di riscatto. Le serviva il suo perdono per i peccati passati e presenti, per questo non si era ancora arresa alla morte nonostante un corpo sempre più debole.

«Alex...» Zenas la chiamò, riportandola alla realtà: «per di qua.»
Ci fu un istante di esitazione. Sotto all'enorme tabellone pieno di scritte luminose, Z'év si sentì smarrita. Aveva suo fratello a pochi passi, pronto a condurla al binario, eppure non si sentì forte abbastanza da proseguire.

Non voleva esserlo, a dire il vero.

Con gli occhi lucidi, ma senza piangere, posò lo sguardo su di lui. 
Sul suo viso non vi era la medesima preoccupazione che sembrava logorare lei, men che meno lo stesso dolore; Akràv appariva solamente stupito, sconvolto di fronte a quella reazione - così le tornò quanto più vicino possibile, stringendola a sé.
Le sue braccia l'avvolsero, divennero riparo contro la tempesta che Alexandria sentiva incomberle addosso. La cullarono piano, lente come brezza, ma lei comunque si trattenne dallo scoppiare in lacrime.

Non era né il luogo né il momento per farlo.

Le dita di Zenas le salirono dal collo alla nuca, poi in mezzo ai capelli. Si chinò su di lei, tanto da posarle nuovamente le labbra sulla testa: «Non è morto, bambina mia» sussurrò poi, come se potesse leggerle tra i pensieri più catastrofici e non restarne turbato.
Il battito del suo cuore era infatti così regolare, calmo, da darle quasi fastidio.  Ma come poteva dirle una cosa del genere con tanta tranquillità? Non si rendeva conto che sperare, in un simile frangente, era come premere una spada sul petto? Sarebbe bastato un colpo, uno solo, e la lama avrebbe perforato la carne.

  
Z'év si aggrappò alla t-shirt del fratello.

«Arriverà... hevé khipús tamíd ekhád dérekh al ẖázar m my le'ehóv» disse ancora, staccandosi quel tanto da poterla guardare negli occhi: «Ho vissuto con lui più di tutti voi, akhòt, confido nella sua esperienza.»
E di fronte a quelle parole, Alex non poté che deglutire. Anche lei avrebbe voluto conservare così tanta fiducia, concedersi il lusso di non pensare al peggio - ma troppe volte lo aveva fatto e altrettante ne era rimasta delusa.

Dall'altoparlante la voce squillante di una donna prese a echeggiare confusa tra il chiacchiericcio dei presenti. La lasciarono ripetere lo stesso messaggio per qualche minuto e in diverse lingue e infine, mutamente, si decisero a sciogliere quell'abbraccio.
Ancora scombussolata, ben lontana da aver riacquistato un po' di pace, la Contessina si rimise in moto.
«Ani lo heʼèmiyn -l nas» disse poi, in un sussurro che non seppe dire se il fratello udì o meno e di cui, a dire il vero, nemmeno si accertò. 

Passo dopo passo quindi, incurante delle spallate dei viaggiatori e delle occhiate torve di Zenas, Alexandria si fece largo tra la folla fino a raggiungere il binario da cui sarebbero partiti e lì, ancora un volta, strinse la presa sulla targhetta di metallo.

Non lasciarmi ora, supplicò in un ultimo atto di fede, non farmi andare da Salomone senza di te, biascicò tra un pensiero e l'altro quasi Levi potesse sentirla - peccato che tutto ciò che ricevette in risposta fu una lieve spinta sul coccige, un invito da parte del Greco a proseguire all'interno del vagone - il terzo.
Lei ne assecondò il movimento senza lasciarsi nuovamente sopraffare dall'esitazione, dai ripensamenti o dalla voglia di fare retro front e andare a scoprire dove diamine fosse finita la prima Chimera del Re, ritrovandosi d'improvviso a fare i conti con un disorientante mix di odori nauseanti.
Le ci vollero un paio di istanti prima di riprendersi, ma grazie a Zenas fu semplice trovare la strada verso il proprio sedile.

«Prima classe?» domandò sedendosi.
«Ho speso qualcosa in più, ma almeno qui non daremo eccessivamente nell'occhio. Meno gente, meno sguardi che possono avere il tempo di studiarci.»

Z'év annuì.

«Tra quanto partiamo?»
«Poco. Sette minuti se non fa ritardo» il fratello le si mise accanto, poggiandole poi una mano sulla coscia. Alex la fissò. Era grande, forse più di come se la ricordava, ed era segnata qua e là da alcuni tagli che si doveva essere procurato durante la fuga da casa propria qualche ora prima - e, pensando a quel momento, al modo in cui Nakhaš le aveva porso il braccio per sgusciare fuori dal lucernario, non riuscì a impedirsi riportare lo sguardo di fronte a sé, sul sedile vuoto in cui avrebbe dovuto esserci lui.

Dannazione! Imprecò mordendosi il labbro.
Avrebbe dovuto seguirlo, chiedergli di restare insieme inventandosi qualche stupida scusa, eppure si era fidata di loro, aveva accettato la decisione delle Chimere più antiche del mondo mettendo da parte il proprio istinto - e ne avrebbe pagato le conseguenze fino al giorno in cui sarebbe morta.

Lenta, estrasse dalla tasca della giacca la targhetta che non aveva smesso di stringere dal momento in cui avevano abbandonato Campo Nazario Sauro, portandosela sotto agli occhi. I pochi raggi di sole che entravano dal finestrino si riflettevano sopra al metallo, mettendo in evidenza ciò che vi era scritto.
In quelle incisioni ad Alexandria parve fosse rimasta impigliata la speranza di Levi, il suo sogno di tornare da Salomone ancora una volta, forse l'ultima - così al riflesso sfocato del suo viso sovrappose quello del fratello il giorno in cui si era presentato da lei per parlargli di quel tipo, del ragazzo che aveva incontrato a Praga, e il nodo in gola si fece ancora più soffocante. 
Percorrendo le lettere del nome provò a imprimersi nella mente il ricordo ogni singola cosa potesse vedere: il nome e il cognome dello sconosciuto, l'indirizzo di un'università che forse doveva frequentare e l'illusione dello sguardo febbrile di una persona che probabilmente, dopo più di duemila anni, non c'era più. 

Era per lui che stava facendo tutto ciò. Era per quello stupido mezzo serpente se al posto di scoppiare a piangere e disperarsi stava abbandonando l'Italia, e tutto quello che si era costruita, insieme a un fratello che non vedeva da trent'anni e che era ingiustamente stato accusato, in parte, dei suoi errori.

Morse più forte, spaccandosi il labbro.
Il sapore del proprio sangue le pizzicò la lingua; amaro scese lungo la gola.

Che schifo, ringhiò tra sé e sé, poi, quasi ridestandosi da una trance, aggiunse: «Devo andare in bagno.» Ma non avrebbe saputo dire se per vomitare o piangere ciò che sentiva bloccato nel petto.
Akràv la fissò bieco: «Non puoi-»
«- scendere a cercarlo, lo so.»
Gli passò davanti schiacciandosi contro al tavolino per sfriorarlo il meno possibile, restia all'idea di essere toccata ancora, ma faticò comunque a sgusciare fuori dalla fila di sedili senta ritrovarsi nuovamente le mani del fratello addosso. Zenas le tenne i fianchi per impedirle di cadergli addosso, poi la spinse appena nel corridoio adiacente. 

Alexandria si volse subito, spostando lo sguardo altrove: non voleva dargli modo di scoprire quanto stesse soffrendo. Quindi controllò i due capi del vagone alla ricerca dell'insegna luminosa, prendendo l'occasione per studiare anche i visi dei presenti - perché seppur dubitasse vi fossero alchimisti lì con loro, proprio su quel treno, preferì non abbassare la guardia.Le ci volle qualche secondo, poi infine si mosse.

Non c'era nulla a trattenerla oltre, esattamente con vi era più niente a impedire al mezzo di restare lì. Fuori dai finestrini Venezia li stava salutando e il suo cuore prese a battere con sempre maggior forza.

Alla fine erano partiti.
Senza Levi.

Leccandosi il sangue dal labbro, senza distogliere lo sguardo da ciò che scorreva al di là del vagone, portò una mano di fronte a sé alla ricerca della maniglia, la spalancò e, prima che potesse rendersene davvero conto, andò a sbattere addosso a qualcuno. La sorpresa la fece sussultare, costringendola ad arretrare di un passo e cercare appiglio altrove - inutilmente, vista la disposizione interna del vagone. 
Z'év sentì quindi le ginocchia farsi molli e, quando la persona che aveva di fronte parlò, con un brivido quasi cadde a terra.
«Per trovarti ho impiegato sei mesi, sai?» Colui che le aveva ostruito il passaggio si prodigò ad afferrarla, premendola appena al proprio corpo: «Tu invece non mi concedi nemmeno mezz'ora. A quanto pare hai dimenticato le buone maniere, Harozenett Varàdi.» 


 

hevé khipús tamíd ekhád dérekh al ẖázar m my le'ehóv : lui trova sempre un modo per tornare da chi ama
Ani lo heʼèmiyn -l nas : Non credo nei miracoli
Harozenett : Contessa

(Il testo potrebbe essere modificato. La parte in ebraico non assicuro essere scritta correttamente)

 

§ Non so, nonostante abbia ampiamente modificato e corretto questo capitolo, dubito ancora essere una lettura piacevole. Sicuramente ci sono parti prevedibili (ma i cliché dopotutto ci piacciono), ma temo piuttosto che le paturnie di Alex risultino troppo ripetitive T.T
Vabbè, per ora farò finta di nulla e aspetterò dei feedback che possano aiutarmi.

Al prossimo capitolo! §

 

 
 
 
   
 
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