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Autore: Light2015    23/08/2017    0 recensioni
E' quando tutto sembra essersi sistemato che sorgono i veri problemi. Un arresto e un ricatto non saranno le sole questioni che Alex, Nicki, Mark, Cloe e Sam dovranno fronteggiare... un uomo che torna in città, una proposta al momento sbagliato e un segreto tra amici mineranno tutto ciò che di certo è stato negli ultimi due anni. E allora... come what may, qualsiasi cosa accada, verso il gran finale...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11
Una nottata... stupefacente


La vittima della quinta delle sette piaghe della Valley ideate da Paris era un famoso chirurgo plastico di celebrità. Non sapevamo come scegliesse le sue vittime ma era ovvio si trattasse sempre di persone che le avevano recato un torto. E la polizia che indagava sugli strani eventi nelle ville doveva ormai averlo capito, mancavano solo le prove e i nomi dei colpevoli materiali, cioè noi. Paris ci aveva spiegato che Hobs, il chirurgo, era dipendente dalla cocaina. Ne nascondeva chili in casa (a quanto pare sotto il divano nel suo studio), la nostra missione era semplicemente prenderla e consegnarla a Paris. Non ci disse cosa avesse intenzione di farci, se prenderla lei o venderla, quello che era certo era il suo desiderio di causare ad Hobs una perdita inestimabile. Non solo avrebbe dovuto ricomprare la stessa ingente dose, spendendo un capitale, ma avrebbe anche sofferto, nel frattempo, di crisi di astinenza. Di tutte le assurde richieste di Paris, questa era quella che mi spaventava di più. Un cocainomane senza cocaina è più pericoloso di un serial killer. Ad ogni modo, Hobs avrebbe trascorso una settimana alle Hawaii per il suo compleanno con la compagna.
- “Vorrei vedere la sua faccia quando torna e non trova le sue scorte!”. A Paris brillavano gli occhi all'idea. “Mi raccomando... il divano nello studio, ragazzi”

 

***


Ero dentro la cabina armadio a scegliere la felpa da indossare quella sera. Ne volevo una leggera ma di colore scuro e con il cappuccio. Ne estrassi una dalla pila delle felpe. Nicki apparve sulla porta.
- “Questa secondo te va bene?” le chiesi. “È abbastanza scura?”
- “Si può andare bene...”
Tesi le braccia in avanti e guardai un po' la felpa, chissà a chi l'avevo rubata.
- “Ascolta, stasera non penso di venire”
Sapevo che non era una bella serata per Nicki, mi aveva più volte detto che aveva da ripassare per l'esame del giorno dopo.
- “Ok non fa niente, andiamo noi...”
- “Vedo anche papà”
- “Ah” ripiegai la felpa e uscii dalla cabina armadio oltrepassandola. Lei mi seguì in camera.
- “Lo faccio venire qui a cena, ma va via presto comunque, gli ho detto che ho da studiare”
Annuii. Non era mai successo che Nicki saltasse uno dei nostri impegni serali per suo padre, oltre agli esami. Mi infastidiva il modo con cui quell'uomo si insinuava nella nostra vita, era stato solo un problema dal primo giorno in cui l'avevo visto.
- “Vorrei che restassi qui anche tu. Sarebbe carino passare una serata con voi due insieme... potreste conoscervi un po' megl...”
- “Ah carinissimo... no scordatelo” dissi brusco, staccando il carica batterie del cellulare dalla presa sul muro vicino al comodino. Avrei rubato cocaina per tutta la vita pur di non cenare in compagnia di Robert Vaughn. Lei si voltò scocciata e senza dire una parola scese al piano di sotto. Mi resi subito conto della bastardaggine con cui avevo risposto e la seguii. La raggiunsi in giardino e la afferrai per un polso.
- “Vieni qui un attimo”
- “No...” Ecco lo sapevo. Un muro.
- “Un secondo...” la tirai un po' verso di me.
- “Mi da fastidio quando mi rispondi così”
- “Infatti sono qui per chiederti scusa” Mi spostai dietro di lei e le avvolsi un braccio intorno alla vita e l'altro al petto, poco sotto il collo. Rimase tesa. “Scusa” le sussurrai dietro l'orecchio. Restammo li, in quella posizione, qualche istante a ciondolare guardando il mare scurirsi sotto il crepuscolo, poi finalmente lei si arrese, si appoggiò al mio petto e iniziò ad accarezzarmi dolcemente il braccio con cui la tenevo in vita.
- “Non so come comportarmi con Mark” le confessai.
- “Comportati da amico... come hai sempre fatto”
- “Mmh... comunque dovevano già essere qui”. Quella sera saremmo andati con la macchina di Cloe.
- “Dove andate a mangiare?”
- “Denny's”
Intravidi un suo sorriso “Chissà come è contenta Sam”
- “Tre contro uno...” A Sam le catene di fast food non piacevano, o ristoranti costosi o niente. “Quando ci sarà il suo compleanno le facciamo uno scherzo? Le diciamo che organizziamo noi una serata in qualche locale figo a Manhattan Beach e poi la portiamo da Subway... magari un Subway in qualche posto squallido, uno di quelli dentro alla stazione della metro”
Nicki rise “Basta che non fai una cosa del genere per il mio di compleanno”
- “Naaah... io ti porto in tutti i ristoranti che vuoi”
- “Come quando ci siamo trasferiti qui e in preda al delirio hai detto che avremmo fatto l'amore in ogni stanza di questa casa”
- “Perchè, non sono stato di parola?”
- “Manca l'ingresso”
- “Non lo considero una stanza ma se proprio ci tieni rimedieremo... e ringrazia che non abbiamo preso un monolocale!”
Rise ancora poi si voltò per baciarmi. Contemporaneamente sentii il cellulare suonare dalla tasca dei pantaoloni, Cloe era arrivata.
La casa di Hobes era una villetta a nord di Beverly Hills, elegante si, ma non possente o maestosa come quelle in cui eravamo già stati. Aveva dei vicini il cui stile di vita era più o meno lo stesso. Villetta con piscina. Pensai che proabilmente ero sistemato meglio io a Malibu. Entrammo con le chiavi che ci aveva dato Paris, nonostante fosse la 5? volta che agivamo per sui conto, ancora non avevamo capito come facesse a procurarsi le chiavi di tutte le abitazioni.
- “Però... carina” disse Sam appena entrammo. Era effettivamente molto accogliente. Cloe si mise a toccare tutti i sopramobili che vedeva in giro per la sala.
- “Forza andiamo nel suo studio” dissi. Mark mi seguì per primo. Non avevamo più parlato di quello che era successo a casa ma la situazione tra noi sembrava comunque più rilassata di prima. Lui sapeva che io sapevo. E questo per ora bastava.
Lo studio di Hobes era il salotto in miniatura. Stessi colori, stessa tapezzeria, stesse luci. Notammo subito il divano a righe vicino alla libreria.
- “Chi va?”
- “Faccio io” disse Mark.
Si accucciò per terra e iniziò a rovistare con la mano sotto il divanetto.
- “Non c'è niente qui sotto...”
Continuò ancora qualche istante, poi scossse il capo e si rialzò.
Sam spostò il divano di un metro, non c'era niente sotto.
- “Ma porca puttana...” bisbigliai. Portai le mani ai fianchi non sapendo cosa fare, l'unica opzione era controllare tutti i divani della casa o chiamare subito Paris. Gli altri mi guardavano aspettando che decidessi qualcosa, se ci fosse stata Nicki lei avrebbe risolto in metà del tempo.
- “Hei guardate questo!” Cloe sollevò dalla scrivania una statuetta con rappresentante una figura umana che reggeva un ripiano con sopra degli oggetti. “È abbastanza pacchiano, troppo grosso”
- “Cazzo Cloe non è il momento!” la riprese Mark.
Guardai quel sopramobile, lo fissai qualche secondo ed ebbi l'illuminazione. Più che illuminazione mi sentii piuttosto stupido a non averci pensato prima. Afferrai un bracciolo del divano e spinsi per ribaltarlo. “Forza Sam, aiutami”. Appoggiammo lo schienale del divano sul pavimento in modo da osservarne il fondo. Incollati sotto vi erano tre sacchetti, abbastanza capienti, pieni di polvere bianca.
Era un nascondiglio banale ma efficace. Iniziammo a staccarli delicatamente, erano fissati con un antipaticissimo scotch biadesivo.
- “Oh oh... ragazzi...” Mi voltai e notai che Cloe ne aveva rotto uno.
- “Cazzo...” la cocaina stava uscendo e sporcando tutta la moquette sottostante.
- “Sam prendi quei due intanto”. Riuscimmo a staccare l'ultimo sacchetto danneggiato rovesciando altro contenuto. E la moquette non perdona. Una nuvoletta di cocaina si sollevò da terra. Io starnutii.
- “Ma non respirarla! Aspetta...” eravamo tutti e quattro riversi sulla chiazza di polvere bianca.
- “Faccio io!”
- “No così peggiori solo le cose”
- “Cloe non sniffartela!”
Mark si allontanò per cercare qualcosa con cui pulire del tutto. Io iniziai a sentirmi decisamente attivo. Le ragazze iniziarono a ridere e quando Mark tornò, dopo pochi istanti, eravamo assolutamente euforici.
- “Cos'è quella roba?” chiesi ridendo.
- “È un'aspirapolvere... per computer”
Era davvero una mini aspirapolvere, solitamente si collegano con il cavo usb al computer e ci si pulisce la tastiera. Poi c'eravamo noi... che la collegammo al cellulare di Mark e iniziò ad aspirare tutta la cocaina infiltrata nella moquette. Per quella che avevamo inalato ormai non c'era più niente da fare. Quello che ne seguì fu semplicemente un disastro. L'accogliente villetta del dottor Hobs rimase vittima del nostro massacrante vandalismo. Il lampadario della sala finì in piscina. Il divano lo lanciammo in giardino e non vi rimase più un cassetto aperto. Frugammo ovunque. Io continuavo a pensare la stessa cosa: sono in stato di grazia. Stato di grazia. Assolutamente invincibile. Una volta rovinato, distrutto e rubato tutto quello che ci era capitato a tiro, uscimmo dalla villa e immediatamente le sentimmo. Sirene della polizia. Come avevo notato, ma non tenuto a mente, Hobs aveva dei vicini.
- “Dai dai andiamo!” io e Mark iniziammo a correre lungo la tranquilla strada del quartiere, avevo il cappuccio della felpa a coprirmi e un fagotto sotto il braccio. Non sapevo nemmeno cosa stavo portando via. Mark rideva, io anche. Rallentammo per ripendere fiato e notammo una macchina che si avvicinava ad alta velocità. Niente sirene, quelle erano in lontananza. La portiera posteriore si spalancò.
- “Salite!” Erano Sam e Cloe con l'auto. Non mi ricordavo nemmeno che eravamo venuti in auto. Se non era per loro avrei continuato a correre, per dove non lo so, ma avrei corso ridendo per chilometri. Una volta in macchina iniziammo a urlare come dei pazzi.
- “Siii li abbiamo fottutiii!”
- “Cosa cazzo hai li?”
- “Non lo so! Ma vai!”
Cloe ci guidò fuori dal quartiere, non sapevo dove fosse diretta. Forse non lo sapeva nemmeno lei.
- "Doveva venire anche Nicki" disse Sam tirando giù il finestrino.
- "È con suo padre..." Pronunciai quelle parole senza nascondere un certo risentimento.
Sam sorrise. "Dillo che sei geloso... avanti!" iniziò a provocarmi, ad essere insistente come solo lei sapeva fare. Ancor più se sotto l'effetto di stupefacenti. "Dai ammettilo!"
- "È suo padre, io non son..."
- "Si invece!" Anche Cloe iniziò a ridere, convicendomi ad ammettere.
Non avevo scampo e la cocaina di Hobs agevolò i miei ragionamenti. "E va bene!" ammisi sprezzante ormai di ogni conseguenza. "Sono geloso! Lo sono da impazzire! Quel bastardo mi odia... le porta via sempre più tempo che potrebbe passare con me! Certo che sono geloso, cazzo!"
Mark era semiaddormentato, Sam e Cloe ridevano. "Finalmente ti lasci un po' andare!"
Girammo in auto per Los Angeles per almeno un'ora. Ero anche convinto che fossimo passati dallo stesso punto più di una volta. Quando l'effetto iniziò a scemare, il delirio di onnipotenza si affievolì. Cominciarono a fare capolino la confusione e la pesantezza. Solo allora chiesi di portarmi a casa.

   
 
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