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Autore: Kim WinterNight    24/08/2017    5 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Friendship is the Cure

[John]




Guardai l'orologio: erano le nove e undici minuti. Sollevai lo sguardo in direzione dell'ascensore e proprio in quel momento Leah sgusciò fuori dalle doppie porte scorrevoli, indirizzandomi un sorriso luminoso.

Sorrisi a mia volta nel notare il suo aspetto: aveva i capelli leggermente arruffati, era vestita come la sera precedente e i suoi abiti erano spiegazzati; tuttavia, non sembrava essere a disagio per la sua condizione e mi raggiunse in fretta, salutandomi con entusiasmo.

«Scusa il ritardo, il fatto è che io e Shavarsh abbiamo dormito al Buts!» esclamò poi, sedendosi di fronte a me.

Sgranai leggermente gli occhi. «Oh» mormorai.

«John, non sentirti imbarazzato, su! Non è successo niente di scandaloso.» Leah posò i gomiti sul tavolo e intrecciò le mani sotto il mento. «Il fatto è che io sono abituata a dormire laggiù almeno per una notte durante le mie vacanze qui. Stavolta ho proposto al tuo amico di farmi compagnia, tutto qui» minimizzò, per poi strizzarmi l'occhio.

«Ecco, ora è tutto più chiaro» commentai, sentendomi ancora in imbarazzo. L'esuberanza di Leah era spiazzante, certe volte non riuscivo proprio a replicare a ciò che lei diceva con tanta naturalezza.

La ragazza lanciò un'occhiata verso il bancone, poi prese a ridacchiare.

«Che succede?» domandai perplesso.

«Vedi quella ragazza?» sibilò Leah in tono malizioso.

«La cameriera? È un po' strana. A volte...» Mi interruppi per schiarirmi leggermente la gola. «A volte attacca bottone e dice delle cose strane.»

«Vuoi ridere?» mi domandò ancora la ragazza di fronte a me.

Annuii.

«Stanotte Lakyta era al Buts. Indovina con chi?» raccontò allora Leah.

Aggrottai la fronte. «Non lo so, con chi?»

Fece spallucce. «Il tuo amico dongiovanni» ammise infine, per poi riprendere a sghignazzare rumorosamente.

Mi sporsi leggermente verso di lei. «Con Daron?»

«Già, si sono divertiti un sacco quei due! O almeno credo» insinuò ancora, facendo segno alla cameriera di avvicinarsi.

«Cosa intendi?» chiesi.

«Lakyta ha fatto divertire il nostro chitarrista, ti lascio immaginare come... ti dico solo che Daron a un certo punto le ha detto: almeno ti rendi utile e stai zitta» blaterò ancora la mia interlocutrice.

Le toccai la mano per farla tacere, dato che l'oggetto del nostro discorso era ormai vicinissima a noi. Dal canto mio, ero seriamente sconvolto: possibile che Daron non riuscisse a rimanere fuori dai guai neanche per un istante? Anziché andare a dormire, anche la notte scorsa aveva seminato casini in giro per l'hotel. Sperai che questo non avesse delle ripercussioni su nessuno di noi, anche se mi risultava piuttosto difficile da credere.

«Ciao Lakyta, buongiorno! Ti vedo un po' sconvolta, stai bene? O devo chiamare un'ambulanza?» esordì Leah con pungente ironia.

Lanciai un'occhiata alla cameriera: aveva cercato di coprire le occhiaie con un'abbondante dose di trucco, ma il caldo che ristagnava sulla terrazza metteva a rischio l'arduo lavoro che aveva dovuto fare per applicarlo; aveva un'espressione stanca, provata, e non sembrava molto contenta di vedere Leah e di dover parlare con lei.

«Non ti riguarda il mio stato di salute» ribatté infatti in tono irritato, poi si voltò e mi chiese: «Cosa posso portarti?».

«Un Blue Mountain e...» Mi interruppi per rifletterci sopra, ma non potei concludere la frase.

«Portagli un po' di polenta con latte di cocco» intervenne Leah, indirizzandomi un ghigno divertito.

«Cosa?» sbottai.

«Devi assaggiare di tutto, ricordi il nostro patto?» mi apostrofò la ragazza. «Lakyta, una porzione anche per me» aggiunse poi, rivolta alla cameriera. «E a me puoi portare anche un buon tè alle erbe.»

Lakyta la guardò in cagnesco. «Decidi tu per lui?» sbottò infine.

«A te che importa? Pensa a fare il tuo lavoro» tagliò corto Leah, smettendo di badare a lei e tornando a fissarmi. «E quindi ieri sera sono stata al Buts» ripeté, mentre ancora la cameriera non se n'era andata.

Notai Lakyta sgranare gli occhi, per poi dirigersi in tutta fretta verso il chiosco in legno.

«Sei tremenda, Leah» commentai.

«Ne sono consapevole, e ne vado anche fiera. Ma non siamo qui per parlare di me, non è vero?» mi punzecchiò, poggiandomi una mano sul braccio.

Tornai improvvisamente serio e abbassai leggermente il capo. «Non ti ho assicurato niente» le feci notare.

«Lo so, e non ti devi sentire obbligato. Guardami» mi incoraggiò poi.

Incrociai nuovamente il suo sguardo e rimasi a fissarla per un po', studiando la sua espressione tremendamente seria. L'ilarità era completamente scomparsa e ora Leah sembrava completamente diversa, come se non avesse più alcuna intenzione di dire sciocchezze e provasse un reale interesse per il mio stato d'animo un po' malinconico.

«John, parlarne ti fa bene. Forse noi due non ci conosciamo abbastanza, ma mi pare di capire che tu non ti sia confidato neanche con i tuoi amici. E questo non è positivo. Tutto ciò che ci teniamo dentro finisce per indebolirci.»

Mi ritrovai ad annuire senza neanche accorgermene. «Ma non è facile per me, non ho quel tipo di carattere» ribattei con calma.

«L'ho capito. Però ho capito anche che c'è qualcosa che non va con Bryah. Forse lei ti interessa, ma vedi, lei ha un compagno. Non dovresti perdere il sorriso per una persona che non può ricambiarti» mi consigliò la ragazza in tono apprensivo.

«Forse parli così perché sei stata fortunata» commentai.

Scosse energicamente il capo. «Ma no! Io non la chiamerei fortuna, ma sintonia. Compatibilità. Non lo so neanche io, John. Io e Shavarsh stiamo semplicemente bene insieme.»

«Ma questo non basta per mettere su una relazione» la contraddissi.

«Ehi, ehi! Una relazione? Aspetta a chiamarla così!» Leah sorrise appena. «Tra meno di tre giorni vado via di qui. Non so se lo rivedrò» ammise in tono triste, distogliendo gli occhi dai miei.

Mi dispiaceva notare la malinconia che scaturiva dalla consapevolezza di ciò che sarebbe potuto succedere di lì a pochi giorni. «Dai, Leah, non dire così. Tra voi è diverso, ma io e Bryah...»

«Diverso da cosa?» Alzò gli occhi al cielo. «Sei troppo romantico!»

Proprio in quel momento Lakyta tornò con la nostra colazione e la appoggiò sul tavolino senza degnarci di uno sguardo né di una parola.

Osservai la mia polenta e storsi le labbra. «Oddio, devo davvero assaggiarla?»

Leah si chinò sul suo piatto e annusò, per poi annuire soddisfatta. «Certo. Ha un profumo delizioso!» esclamò.

Sospirai e afferrai la forchetta, cominciando a spostare il cibo da una parte all'altra del piatto, senza decidermi a portarmene un po' alla bocca. «Posso farcela...» mormorai.

La mia amica scoppiò a ridere. «Sei un caso perso! Dai, mangia, non morirai per un po' di polenta giamaicana!»

Alla fine riuscii ad assaggiare la mia colazione e rimasi sorpreso nel trovarla gradevole da gustare; c'era un contrasto interessante tra la farina di mais, il latte di cocco e una punta leggermente salata che rendeva il tutto molto particolare e piuttosto gustoso.

«Non male!» affermai.

«Evviva!» strillò Leah, lanciando un pugno in aria e agitandosi sulla sedia. «Sono contenta che ti piaccia, lo sapevo!»

«È più buono di quella torta del primo giorno» spiegai, per poi continuare a mangiare.

«Anche io lo preferisco» confermò.

Consumammo il nostro pasto in silenzio, poi Leah tornò sull'argomento che stavamo affrontando prima dell'arrivo di Lakyta.

«Comunque, lascia perdere Bryah, se vuoi un consiglio spassionato. Lei si trova bene con te, davvero, ma non in quel senso.»

Sospirai. «A volte invidio Daron. Lui se ne frega e riesce sempre a conquistare le donne che vuole» borbottai.

«Non invidiarlo, per carità! Non credere che lui stia bene a livello psicologico. Sono sicura che sia proprio il contrario. Lo vedo molto strano, cerca sempre di non dare a vedere le sue emozioni, ma lo fa in quel modo... quel modo... non so, ha un modo tutto suo di comportarsi, che però finisce per evidenziare ancor più il suo malessere interiore. O almeno è quello che ho capito io di lui» osservò la ragazza, sorseggiando un po' del suo tè.

«Non hai tutti i torti. Però lui si diverte. Sta bene solo quando è in mezzo ai casini che lui stesso si crea. E ha un'esistenza movimentata, molto più della mia» replicai in tono sconsolato.

«Dai, John» mormorò Leah, afferrando all'improvviso la mia mano. «Non mi piace vederti così. Siamo tutti in vacanza, cerchiamo di divertirci e basta.»

Restammo a fissarci per alcuni secondi in silenzio, e in quel lasso di tempo compresi che forse quella ragazza aveva ragione, forse dovevo soltanto lasciare che le cose accadessero, smettere di pensare negativo e lasciar perdere le intenzioni serie che avevo con Bryah; ero attratto da lei, certo, ma non potevo obbligarla a provare la stessa attrazione nei miei confronti.

Stavo per ringraziare Leah, quando il mio cellulare prese a squillare rumorosamente nella tasca dei miei pantaloni. Lo estrassi e scorsi il nome di Serj nello schermo.

«Ciao, cantante» esordii.

«Ciao, batterista. Perché questo tono da funerale?» mi chiese subito il mio amico, capendo al volo che c'era qualcosa che non andava.

«Ma niente di grave. A Los Angeles tutto bene?» cambiai argomento, sperando che non tornasse a interrogarmi sul mio stato d'animo.

«Insomma. Ti chiamavo per aggiornarti sulla questione della presunta figlia di Daron» mi spiegò Serj in tono estremamente serio.

«Oh no, che altro è successo?» mi preoccupai subito.

«La ragazza ieri è tornata al campo da basket. Speravo quasi di non vederla più, ma ovviamente mi sbagliavo. Sembra proprio sicura di ciò che afferma. Ha detto che vuole sapere entro domani quando potrà incontrare Daron a Los Angeles» raccontò con rassegnazione il cantante.

«Merda, e adesso?» sbottai.

Leah mi guardò con aria interrogativa e io sollevai una mano per farle segno di aspettare, poi mi appoggiai con la schiena contro la spalliera della sedia e attesi che Serj proseguisse.

«E adesso dovreste decidere quando rientrare» disse soltanto.

«Ma perché dobbiamo dipendere dal volere di una psicopatica qualsiasi? Secondo me non è vero che lei... insomma, hai capito» mi inalberai, prendendo a gesticolare.

«Ha detto che altrimenti metterà di mezzo gli avvocati e quelle stronzate lì» bofonchiò il mio amico. Sentivo che era dispiaciuto di non poterci aiutare in qualche altro modo, tuttavia mi chiedevo come potesse essere così calmo ritrovandosi in una situazione come quella.

Mi battei una mano sulla fronte. «Ci mancava solo questa!» esclamai esasperato.

«Cerca di stare tranquillo. Parla con Shavo e decidete insieme come fare, però dovete farmi sapere entro stasera. Lei domani tornerà e vuole delle risposte» spiegò ancora il cantante in tono pratico.

«E a Daron chi lo dice?» domandai spazientito.

«Glielo diremo quando sarete nuovamente in città» affermò con sicurezza.

«Va bene...» mormorai.

«Dai, John! Ora non pensarci troppo, ricordati che sono pur sempre problemi di Daron, non nostri. Quando lui incontrerà la ragazza, se la sbrigherà da solo e noi ce ne tireremo fuori» cercò di rassicurarmi Serj.

«Speriamo. Allora parlo con Shavo e ti faccio sapere più tardi» tagliai corto, poi ci salutammo e riattaccai con l'ennesimo sospiro rassegnato.

«Ho una domanda» disse subito Leah.

«No, ti prego...»

«Ascolta! Non so cosa sia successo, ma rispondi a questo: sei ancora invidioso di Daron?»

La fissai per un attimo, poi sorrisi leggermente. «No, non più.»

«Ecco, vedi? Meglio essere te che essere lui!» concluse con una scrollata di spalle.

«Giusto» confermai.

Prima che Serj mi telefonasse, mi ero quasi dimenticato che anche a Los Angeles c'erano dei problemi da risolvere, causati da qualche cazzata che il chitarrista aveva combinato. Non si riusciva mai a stare tranquilli. Mi sarebbe piaciuto dare ragione a Serj e fregarmene, ma per il momento la questione riguardava anche e soprattutto noi, dato che Daron ancora non sapeva niente.

«John?» mi richiamò Leah, strappandomi ai miei pensieri.

«Sì» risposi distrattamente.

«Andiamo a prepararci. Abbiamo la visita al museo alle undici» mi ricordò, alzandosi e afferrando la sua borsa.

Annuii e la seguii verso l'ascensore, senza smettere di rimuginare su tutti i casini che mi affollavano la mente. Certe volte pensavo troppo, questo non era certo un bene per me. Avrei voluto essere più spensierato, ma mi risultava troppo difficile.

Quando io e Leah giungemmo al nostro piano, notammo che la porta della stanza di Daron era aperta e ci scambiammo un'occhiata interrogativa.

Il chitarrista stava cantando a squarciagola e strimpellava la chitarra, mentre un intenso odore di marijuana impregnava tutto il corridoio.

Leah si avviò a passo di marcia in quella direzione e si affacciò nella sua stanza, per poi fischiare in modo da richiamare la sua attenzione. «Buongiorno! Siamo di buonumore, Malakian?».

La raggiunsi e gettai un'occhiata all'interno della camera, notando che era sempre più incasinata e invivibile. Storsi il naso e alzai gli occhi al cielo.

«Ehilà, ragazzi!» ci salutò Daron in tono allegro. «Come butta? Avete fatto colazione?»

«Certo. Tu, piuttosto, hai intenzione di arrivare in ritardo anche alla visita al museo?» lo punzecchiai.

«Ma no, però avevo voglia di cantare e suonare, oggi sono contento!» strepitò, aggirandosi per la stanza come una trottola con la chitarra in mano. Poco dopo riprese a cantare:


I believe in a thing called love,

just listen to the rhythm of my heart,

there's a cnance we could make it now,

we'll be rocking 'till the sun goes down,

I believe in a thing called love!

Oooh! Guitar!


«Oddio, smettila! Sei troppo stridulo!» strillò Leah, tappandosi le orecchie con le mani.

Io non potei fare a meno di scoppiare a ridere, liberandomi finalmente di un po' di tensione; mentre Daron cantava e suonava gli accordi tutti sbagliati, si muoveva come il cantante dei The Darkness e faceva delle mosse davvero raccapriccianti, fingendo infine di avere un rapporto sessuale con la chitarra.

«Cos'è tutto questo casino?»

Shavo era apparso alle nostre spalle e aveva gridato quella domanda, per poi fermarsi a fissare con un'espressione indecifrabile le prodezze del nostro amico.

Sospirai. «Daron è già fuori di testa da ora, io ho paura che ci faccia sfigurare al museo» borbottai.

Il chitarrista ci ignorava e continuava a ballare per tutta la camera, agitandosi come un ossesso; allora notai che indossava soltanto un paio di boxer neri e una maglia color senape, mentre i piedi erano fedelmente infilati nelle solite infradito rosse che facevano a pugni con tutto il resto.

«Daron, vestiti!» gli ordinò Shavo, coprendo gli occhi di Leah con le mani.

«Ehi! Ormai è troppo tardi, Shavarsh, la tua fidanzata ha già ammirato abbastanza le mie graziose mutandine!» gridò il chitarrista con una sonora risata.

Il bassista gli si avventò contro e lo scaraventò sul letto. «Non provare mai più a chiamarmi in quel modo!»

Daron si rannicchiò sul materasso e si strinse la chitarra contro il corpo. «Chitarra, proteggimi, zio Shavo si è arrabbiato e ora mi picchia» piagnucolò.

«Sei un coglione!» esclamai, non riuscendo più a trattenermi dal ridere.

Leah mi seguì a ruota e si accostò a Shavo per trascinarlo via. «Ma lascialo tranquillo, dai! Ti ricordo che ieri notte abbiamo assistito a qualcosa di peggio!» esclamò poi con noncuranza. Poi parve accorgersi di ciò che aveva detto e si bloccò in mezzo alla stanza, lanciando un'occhiata dispiaciuta al bassista. «Ops» bofonchiò.

«Raccontatelo anche a noi! Che avete visto ieri notte?» strepitò Daron, balzando giù dal letto e piazzandosi di fronte ai due.

«Leah, non sai tenere la bocca chiusa, eh? Cazzo!» sbottò Shavo.

«Che segreti nascondete?» insistette ancora il chitarrista, sollevando ancora la voce.

«Non strillare, deficiente!» lo zittì Leah, mollandogli un pugno sul braccio. «E se proprio ci tieni a saperlo, io e Shavarsh abbiamo visto te e quella sgualdrina di Lakyta giù al Buts!»

Daron indietreggiò di un passo e inclinò la testa di lato. «Oh.» Prese a sghignazzare. «Piaciuto lo spettacolo? Non smetteva più di urlare, così ho dovuto mett...»

«Okay, basta! Non ci interessa! Voi due» tagliò corto Shavo, indicando poi Daron e Leah. «Andate a prepararvi, altrimenti faremo tardi.»

«Già, giusto!» saltò su la ragazza, per poi sgusciare fuori dalla stanza del chitarrista e avviarsi alla sua.

Io mi rivolsi a Shavo. «Andiamo ad aspettarli da qualche parte?» proposi, cercando una scusa per rimanere solo con lui e affrontare la questione di cui avevo parlato con Serj poco prima.

«Sì. Io devo fare colazione» affermò il bassista, mentre Daron frugava tra i suoi vestiti alla ricerca di qualcosa da mettersi.

«Ma ci conviene andare al bar di sotto se non vuoi incontrare la cameriera che Daron ha allietato la notte scorsa» suggerii con un mezzo sorriso.

«Spiritoso, Dolmayan, davvero! Ma vi giuro, se non glielo avessi messo in bocca, non l'avrebbe smessa di...»

«Cazzo, stai zitto!» tuonò Shavo, poi mi afferrò per un braccio e mi trascinò in corridoio, sbattendo la porta per non sentire più le cazzate del nostro amico.

Tuttavia, una frase giunse ancora alle nostre orecchie: «Siete invidiosi, ammettetelo!».

Sospirammo e ci affrettammo a raggiungere l'ascensore.




Eheheheheh, le cose sembrano complicarsi sempre più, non è vero?

Cari lettori, spero che questa storia continui a piacervi! :3

Sono qui per lasciarvi il link della canzone che Daron stava strillando in maniera stridula (non si può dire che stesse cantando XD) quando Leah e John sono tornati al terzo piano. Si tratta di I believe in a thing called love dei The Darkness, un brano davvero molto energico e allegro, sentite un po' qua:

https://www.youtube.com/watch?v=tKjZuykKY1I

Grazie a tutti, come sempre, per il supporto: senza di voi non saprei proprio come fare :3

Alla prossima ♥

  
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