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Autore: Vago    25/08/2017    4 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Noir rallentò il passo quando le mura di Derout cominciarono a gettare la loro ombra su di lui.
Era tardo pomeriggio e già il sole cominciava a riflettersi distintamente sulla superficie del mare alla sua sinistra.
Due ore, poi sarebbe calata la notte, si disse.
La città marittima aveva solamente tre ingressi, da quel che aveva sentito, più il porto che dava sul mare occidentale. In una situazione normale, il trentenne avrebbe evitato una trappola mortale come quella in ogni maniera, ma la sua non poteva definirsi tale.
Erano pochi gli scali che potevano vantare partenze verso il continente e quello di Derout era sicuramente il più accessibile.
Una nave alla settimana e due durante l’autunno, quando venivano spediti oltremare i raccolti dei contadini. Quella era la normale tabella di marcia che utilizzavano quella città e i suoi capitani.
Doveva riuscire a salire sulla prima possibile senza farsi riconoscere, in quel caso niente lo avrebbe potuto salvare dalle guardie cittadine.
Noir prese un po’ di terra sul palmo, sporcandosi ulteriormente la faccia per coprire ancor più i suoi tratti, poi riprese a camminare in direzione dell’ingresso meridionale, dal quale gli ultimi carri mercantili stavano lentamente accedendo alle strade cittadine.
Tre guardie erano state messe lì a sorvegliare quell'ingresso. I loro volti bruciati dal sole erano un segno più che sufficiente che avevano perso da un bel pezzo la voglia di proteggersi nella guardiola dai raggi roventi di mezzogiorno.
Sicuramente sapevano fare il loro lavoro.
Noir maledisse tutti gli dei, per poi chinare il capo e proseguire in direzione di quell’ingresso.
Le sue numerose fughe gli avevano insegnato una cosa, il cappuccio calato sul capo non faceva altro che aumentare i sospetti nei tuoi confronti. Per questo camminò a viso scoperto contro la prima guardia che gli si presentò.
Se non avesse fatto domande, sarebbe potuto passare indisturbato.
L’uomo in armatura alzò il braccio.
- Fermo. –
Il trentenne maledisse nuovamente gli dei.
- Salve… - provò a rispondere, alzando appena la fronte per poter guardare negli occhi la guardia senza rivelare troppo del suo volto.
- Motivo del suo arrivo? –
- Io… io vorrei imbarcarmi per il continente. – balbettò Noir, cercando malamente di sorridere.
- Non sembri in grado di poterti permettere un biglietto. – constatò l’uomo – I mendicanti non sono beneaccetti. –
Il braccio della guardia si fece più avanti, come per far indietreggiare il vagabondo di qualche passo.
- No! No! – esclamò vivamente risentito il trentenne, passandosi una mano sul viso per togliere l’evidentemente troppo terriccio che si era spalmato – Ho i soldi! Sono mesi che li sto mettendo da parte! –
La sua mano corse al borsello legato alla cintura, slacciandolo dal suo supporto per mostrare alla guardia il suo contenuto, composto da diverse Laire d’oro ammucchiate malamente le une sulle altre e intervallate dallo scintillio di quelle in argento.
- Oh, mi scusi, allora. –
Noir sorrise involontariamente, cercando poi di trasformare quell’espressione compiaciuta in una più simile alla gratitudine.
L’imbarazzo della guardia le avrebbe fatto prestare meno attenzione all’uomo che aveva davanti.
- Si figuri, lei sta facendo solo il suo lavoro e, in fondo, il viaggio non è stato clemente con me. Sa, tra la pioggia e tutto il resto… -
- Certo, certo. Vada, forza. E si goda il suo viaggio. –
- Grazie! –
Noir tornò ad incamminarsi verso nord.
Quella che doveva essere stata la guardia con il grado più alto gli aveva dato il suo benestare, le altre due non avrebbero dovuto opporre resistenza al suo passaggio.
Lo stavano però fissando?
Si, lo stavano fissando.
Noir abbassò il capo, lottando contro le sue gambe che tentavano di accelerare il passo.
Stavano valutando che tipo di mendicante era riuscito a passare il controllo del loro superiore? Oppure lo avevano riconosciuto?
Il suo cuore aumentò i battiti, Una goccia di sudore si scavò un solco tra lo sporco che infestava la sua fronte.
Doveva far deviare la loro attenzione da lui.
All’interno delle mura un mugolato si levò al cielo.
Un Demo stava trainando un’enorme carro coperto a quattro ruote, che cigolavano ad ogni quarto di giro. Su di questo, seduto su un panchettino in legno, il suo proprietario stringeva una frusta sporca di sangue tra le mani, pronto a incentivare l’essere davanti a lui al primo accenno di rallentamento.
Noir alzò lo sguardo di scatto, puntando le sue iridi nere sul corpo ricoperto da corto pelo del Demo. Cercò di caricare quello sguardo con tutto l’odio di cui era capace, immaginando di riversare su quella povera creatura ogni frustrazione che aveva accumulato.
L’essere dalla pelliccia scura alzò il suo muso animalesco, fiutando con il naso schiacciato l’aria intorno a sé e scrutando i dintorni con i suoi piccoli occhi infossati.
Non appena il suo sguardo disperatamente rassegnato incrociò quello duro del trentenne, il Demo si scrollò vigorosamente, graffiando con gli artigli aguzzi l’imbragatura che lo teneva legato al carro, tentando di liberarsi. I suoi versi terrorizzati riempirono l’aria, sovrastando il vociare della folla che lì intorno si stava ammassando e le urla del suo padrone che, cercando di non venire scalzato dalla sua posizione, tentava di riportare alla quiete la creatura imbizzarrita.
Appena il carro cominciò ad ondeggiare, tanta era la foga con cui il Demo si scrollava, le tre guardie poste all’ingresso dovettero accorrere per quantomeno cercare di allontanare i curiosi che, incuranti del pericolo in cui potevano incorrere, si avvicinavano, cercando una migliore visuale per godersi lo spettacolo.
Noir oltrepassò l’ampio arco, tenendosi il più possibile lontano dalla folla in crescita.
Era salvo, era riuscito a passare prima che le guardie lo riconoscessero.
Non si sarebbe fermato in nessuna locanda per la notte, decise, doveva andare al molo per programmare la sua mossa successiva.
I raggi del sole non riuscirono più a superare le alte mura di cinta e la sua rossa luce morente illuminava appena il molo attraverso l’apertura creata appositamente per lasciar uscire le navi. Tutte le vie della città erano invece rischiarate dai lumi ardenti posti sui muri delle case che le descrivevano.
Gli ultimi lavoratori stavano rincasando e il trascinio dei loro piedi sembrava rimbombare tra le vie vuote.
Le prime prostitute si affacciavano quasi timidamente dalle loro case, valutando i lontani echi delle locande per decidere se era già giunta la loro ora.
L’odore di salsedine, legno e scarti di pesce aleggiava nell’aria come ne dovesse essere parte integrante.
Noir proseguì spedito, rimanendo sempre ben lontano dalle finestre illuminate e dai pochi passanti che incontrava.
Il porto, quello era il suo obiettivo.
Le barche, dai più piccoli pescherecci alle trialbero, ondeggiavano placidamente all’alzarsi della mare, con solamente le ancora e le poche funi che si opponevano alla loro spinta verso il mare aperto.
Le sartie cadevano flosce là dove sarebbero dovute ricadere le vele una volta spiegate.
La banchina era deserta, così come i moli in legno che si protendevano come le dita di una mano verso occidente.
Un tabellone scritto da una mano incerta era stato inchiodato malamente alla parete del laboratorio di un carpentiere. Sopra di questo, appena leggibili sotto uno spesso strato di sale e sporcizia, erano state annotate le informazioni basilari per le partenze e gli sbarchi.
Per ulteriori informazioni, rivolgersi alla biglietteria. Così quasi ogni riga terminava, cercando di dare una spiegazione alle poche informazioni che riportava.
La partenza più prossima per il continente era prevista tra due giorni. L’”Ala di Albatros”, questo era il nome della nave che sarebbe dovuta salpare.
Il trentenne si passò una mano tra i capelli mentre i suoi pensieri correvano rapidi, saltando da una possibilità all’altra senza sosta.
Non poteva rischiare di farsi arruolare tra la ciurma. Anche avessero trovato un posto da mozzo per lui, sarebbe rimasto troppo esposto e qualcuno lo avrebbe riconosciuto.
Non poteva nemmeno salirvici sopra come passeggero.
Si sarebbe dovuto intrufolare all’interno della stiva, nascondendosi tra le provviste. Quella era la sua unica possibilità per lasciare le Terre da vivo.
Percorse il pontile per tutta la sua lunghezza, scrutando i fianchi scuri delle navi in cerca del nome che le identificava.
Doveva sapere qual era quella giusta.
La trovò ormeggiata accanto a un veliero ancor più maestoso, che gettava la sua scura ombra sul nome consumato dell’Ala di Albatros.
Tre corpulenti marinai erano impegnati in una partita a dadi a lume di lampada là dove la passerella toccava le assi del molo, altre quattro luci si muovevano ondeggiati più in alto, oltre il parapetto.
Diversi sacchi di provviste erano stati appoggiati accanto ai pilotti attorno ai quali erano state legate le cime di ormeggio.
Noir appoggiò la sua schiena contro il muro di un’abitazione dalla parte opposta della banchina, valutando le dimensioni di quei sacchi e l’attenzione che i marinai posti di guardia ci prestavano.
Forse, attirando la loro attenzione dalla parte opposta della chiglia, avrebbe potuto raggiungere quelle provviste, ma dubitava che il loro contenitore fosse stato grande a sufficienza per ospitare il suo corpo senza farne trasparire le fattezze.
Doveva cambiare strategia.
Con un colpo di spalle si allontanò dal muro, tornando sui suoi passi prese a studiare il lato in ombra della trialbero, quello separato solo da pochi metri dalla più imponente “Punta di Lancia”.
Da un piccolo foro circolare scendeva la catena assediata dai gusci di decine di molluschi, da qualche parte, sotto la superficie dell’acqua, si sarebbe legata all’ancora calata.
A metà strada tra il parapetto e il profilo delle basse onde alzate dalla marea, una fila di finestrelle chiuse tradivano la presenza dei cannoni, posti per fronteggiare l’eventualità di un attacco di una delle navi pirata che ultimamente affollavano il mare a meridione del Gorgo del Leviatano.
Una di queste non era troppo distante dalla catena dell’ancora, avrebbe potuto usarla per intrufolarsi all’interno della stiva, sperando che nessuno fosse stato posto là per controllarla.
Aveva ventiquattr’ore per organizzarsi. La nave sarebbe salpata di prima mattina, la notte successiva era il momento di agire.
Noir ripercorse nuovamente la banchina, lasciandosi alle spalle il tabellone delle partenze e l’odore di mare.
Non si fidava ad affidare le sue ultime ore di notte a una locanda o un ostello. Doveva evitare qualsiasi luogo affollato.
Si rannicchiò al termine di un vicolo cieco, circondato dall’odore dei liquami versati nel canale centrale e dallo squittio dei topi, intenti a cercare riparo dalle grinfie di un magro gatto spellicciato  che si aggirava famelico davanti ai buchi delle loro tane.
Il trentenne si strinse nel mantello consumato in cerca di riparo dalla frescura notturna. Le sue mani, intanto, corsero allo zaino, estraendone un pezzo di pane stantio, che fissò sconsolato.
Si portò alla bocca la triste cena, facendo cadere diverse decine di briciole dure sui suoi abiti.
Un miagolio sommesso attirò la sua attenzione, seguito da un sibilo.
Il gatto randagio puntava con il naso graffiato un buco nella parete dal quale uscivano un paio di chicchi di grano mordicchiati.
Noir strappò un pezzo della sua pagnotta, dando origine a una nuova cascata di briciole, per poi lanciare il pezzo al felino che gli si avvicinò diffidente, per poi stringerlo tra i denti e raggiungere i cornicioni con un paio di salti, giunto lì, poi, scomparve dalla vista dell’uomo, che tornò a mangiare in solitario silenzio.
La luce del sole raggiunse il suo volto infreddolito solo a mattina inoltrata, quando l’astro fu sufficientemente alto da far superare le mura di cinta ai suoi raggi.
Il trentenne si alzò da terra, scrollandosi di dosso la melma che si era aggrappata al suo mantello, per riprendere la via del porto.
Aveva bisogno della luce del sole per verificare un’ultima cosa, prima di tentare la sorte.
Deviò il suo cammino solo quando questo incrociò quello di quattro donne che, parlottando tra loro, portavano in braccio otri colmi d’acqua.
Il pozzo non si fece trovare molto distante.
Era stato costruito al centro di una piazzetta stretta, rinchiusa tra le case a tre piani che sembravano voler imprigionare il cielo terso.
Le mani di Noir si immersero nel liquido cristallino contenuto nel secchio che tirò su dal fondo, portandolo al volto e ai capelli.
Una cascata d’acqua marrone ricadde sul selciato, inzaccherandogli le scarpe, ma questo non fu sufficiente per farlo desistere da portarne una seconda manata al volto, per eliminare le ultime tracce della notte.
Con i capelli ancora grondanti e le gocce fresche che, correndo sul suo collo, si infiltravano sotto la spessa camicia sporca, il trentenne riprese a camminare verso il mare con sguardo deciso.
Dei pescherecci che avevano affollato i moli la notte precedente non vi era traccia, se non per le macchie scure che, di tanto in tanto, parevano comparire sull’orizzonte.
Solo i velieri erano rimasti ad occupare i ponteggi, immensi al punto che le loro ombre oscuravano le onde per un buon tratto di mare.
Attorno all’Ala di Albatros ronzavano decine di uomini, intenti a caricare i sacchi rimasti all’aperto la sera prima e diverse centinaia di metri di corde e assi scure.
Di tanto in tanto, un’imprecazione colorita rivolta agli dei o alla famiglia di qualche poveraccio troppo lento nel suo lavoro riempiva l’aria, seguita quando da una risata di gruppo, quando da un’imprecazione ancor più forte e colorita.
Noir si tenne il più possibile lontano da quel movimento di persone, cercando di studiare la catena dell’ancora in modo da non destar sospetti.
Gli anelli erano lunghi quanto il suo avambraccio e larghi la metà, con un po’ di attenzione poteva scalarli, decise.
La sua attenzione quindi passò sulle appuntite conchiglie che costellavano il ferro.
La sua maledizione avrebbe protetto le sue mani e i suoi piedi dai taglia che quelle potevano causare, ma avrebbe dovuto far attenzione ai suoi vestiti, non avevano bisogno di altri strappi nel loro tessuto.
Un gruppo vociferante di giovani gli passò accanto, senza dargli troppa attenzione. Dimostravano venti, venticinque anni, forse il più vecchio di loro ne aveva una trentina, tutti loro, però condividevano una pelle solo blandamente abbronzata. Probabilmente erano tutti cittadini in cerca della buona paga che offrivano sulle navi.
Il più vecchio tra di loro proruppe in una risata allegra in risposta ad una battuta scadente. Era insolitamente magro per un aspirante marinaio, ma i suoi muscoli erano ben definiti là dove terminavano le maniche arrotolate sopra i gomiti e i pantaloni tagliati all’altezza del ginocchio. Sul polpaccio destro, era ben visibile il segno di un ustione, che gli aveva deturpato buona parte della pelle. I suoi occhi scuri, due sfere di ossidiana incastonate su quel volto, si posarono un attimo su Noir, che si ritrasse a quello sguardo, per poi tornare sulla sua compagnia.
Una pacca sonante calò con forza sulla spalla dell’uomo dagli occhi neri, che si voltò divertito verso il ventenne decisamente più muscoloso di lui che l’aveva sferrata, tornando a ridere più forte di prima.
Il trentenne indietreggio lentamente, chiedendosi da quanti uomini potesse essere composta la ciurma di quella nave. Fossero stati troppi, non ci sarebbe stato un solo buco sicuro per lui.

Il mare tornò a tingersi del rosso del sole morente.
A est, poco sopra il limitare delle mura, una pallida luna crescente tentava di distinguersi dal cielo che si stava inscurendo.
Coppie di uomini vagavano per le vie con lunghe canne in ferro, con le quali accendevano i lampioni ai lati delle strade.
I pescatori avevano quasi tutti fatto ritorno ed ora arrancavano sotto il peso delle casse di pescato in attesa di essere pulito.
Noir si osò avvicinare all’Ala di Albatros solamente quando la popolazione di quella banchina si fu ridotta ai pochi marinai rimasti a guardia della nave ormai carica.
Il trentenne premette il mantello nel suo zaino, cercando di coprire al meglio il poco contenuto che lo occupava, poi fece scorrere il suo sguardo sull’acqua nera.
Lentamente si lasciò scivolare nell’acqua fredda, cercando di far meno rumore possibile, per poi nuotare verso la catena lasciando solamente la testa sopra la superficie scura.
Dopo essersi assicurato che nessuno, né dal parapetto né dalla banchina, potesse scorgerlo, strinse le proprie dita intorno agli spessi anelli in ferro.
Immediatamente, prima ancora che una piccola imperfezione del metallo potesse graffiare la sua pelle, la melassa nera sgorgò dai suoi palmi, ricoprendogli le mani per proteggerle da qualsiasi cosa provasse a ferirle.
Noir iniziò la sua lenta salita, incastrando la punta delle scarpe fradice nei piccoli interstizi tra un anello e l’altro, per poi issarsi verso il successivo.
Poteva quasi toccare il pannello di legno posto a coprire il buco del cannone quando la suola della sua scarpa scivolò dal suo appiglio, facendogli sbattere violentemente il petto contro la catena.
La melassa si attivò subito, fuoriuscendo copiosa dal suo petto per frapporsi ed attutire la botta, ma non riuscì a coprire per intero il suo busto, non potendo così evitare che una dura conchiglia lasciasse un taglio all’altezza della clavicola.
Il trentenne provò a riprendere il passo, ma la sua scarpa sinistra pareva non voler lasciare l’appiglio in cui si era incastrata. Fu così che, a malincuore, dovette far scivolare fuori il piede per poter proseguire, vedendo poco tempo dopo la scarpa floscia ricadere nelle acque sotto di lui.
Riprese a salire. Il piede destro protetto dalla spessa suola della scarpa rimasta, quello sinistro e le mani avvolte dalla melassa nera, indurita abbastanza da proteggerli ma non troppo da impedirgli i movimenti.
Allungandosi verso le assi della fiancata, riuscì con la punta delle dita a sollevare la tavola di legno. In quello stesso momento le poche bende che ancora gli fasciavano la schiena si strapparono, cadendo mollemente intorno alla sua vita.
Noir sospirò, spostandosi con un corto salto dalla catena al buco ora scoperto.
L’interno della stiva era silenzioso.
I dieci cannoni, cinque per fianco, riposavano legati al centro della sala.
A sinistra, verso la prua appuntita, una scala saliva verso il ponte principale.
A destra, verso poppa, una scaletta a pioli scendeva verso la chiglia.
All’esterno si levarono diverse urla.
Il trentenne si affacciò appena al buco dal quale era entrato per vedere cosa avesse causato quel caos, prima di chiudersi alle spalle la tavola.
La periferia settentrionale della città era rischiarata dal rossore di un fuoco. Un incendio, forse.
Poi lasciò ricadere la tavola per farla tornare nella sua posizione originaria, per dirigersi verso la scala a pioli.
Nel piano sottostante, erano state ammucchiati decine di sacchi, barili e casse, in buona parte contenenti cibarie, ma non erano state disdegnate pelli, tessuti e ornamenti dal poco valore.
Noir prese un paio di arance da un barile, per poi rannicchiarsi dietro una muraglia di sacchi ricolmi di farina chiara.
Non era meglio dei ratti di quel vicolo, si disse, cominciando a sbucciare il frutto che teneva in mano.

La maschera demoniaca guardò per un’ultima volta il corpo riverso a terra, illuminato appena dai raggi del sole calante.
Il suo sorriso tagliente, una mezzaluna nera, pareva ancora più terribile con quella poca luce, così quei suoi occhi, due strette v rovesciate che non permettevano di vedere le pupille sottostanti.
La sua mano guantata lasciò il paletto in legno un attimo prima che questo venisse avvolto da fiamme scoppiettanti.
L’assassino prese velocemente il cadavere per i lunghi capelli, sollevando quella che fu una fanciulla non ancora maggiorenne quel tanto che gli bastava per scaraventarla contro la parete accanto.
Il fuoco che le scaturiva dai seni appena accennati cominciò a lambire la calce e il legno del muro sulla quale era stata gettata, risalendo lungo i suoi vestiti ed avvolgendola.
L’essere dal volto demoniaco si allontanò rapidamente, sfilandosi la maschera solo quando due vie lo separavano dall’incendio che stava nascendo.
Quegli occhi socchiusi e la bocca ghignante vennero fagocitati dal suo zaino, mentre l’uomo si allontanava ora tranquillamente per le vie non ancora illuminate dalla luce dei lampioni, puntando in direzione della locanda in cui aveva prenotato una stanza.



Angolo dell'Autore

Ciao a tutti.
Grazie per essere arrivati fin qui, come al solito un enorme grazie a OldKey, la ragazza imperfetta e whitesky che investono un po' del loro tempo per farmi sapere cosa pensano del capitolo.
Passiamo al capitolo.
Non so se sia stata colpa della sessione di Dungeon and Dragons che sto ultimando o di qualcos'altro, ma questo capitolo è nato così. Ho descritto, ho riempito pagine di descrizioni di Derout concentrando in una manciata di righe qualsiasi azione possa avvenire. Spero vi sia piaciuta come soluzione, per quanto possa essere non completamente volontaria.
In ogni caso, alla prossima.
Vago
   
 
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