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Autore: Chemical Lady    25/08/2017    0 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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僕は孤独さ  No Signal

Parte quinta: Il caso Nagachika.

 

 

«Il mio nome è Nakarai Kejin e vengo da parte del classe speciale Aura Kiyoko, Comandante della prima Divisione della Circoscrizione uno. Secondo livello Masa Aiko, il suo periodo di aspettativa è stato prolungato di altri dieci giorni, al termine dei quali però dovrà aver preso una decisione: vuole ancora essere un agente del ccg oppure rinuncia ai gradi e prende congedo? Non c’è vergogna nell’essere vigliacchi, ma nel farci perdere tempo inutilmente sì.»

A parlare con lei dovevano aver mandato il più simpatico degli agenti a loro disposizione, che non si era risparmiato nemmeno un’osservazione sull’aspetto a dir poco pietoso della ragazza. I segni delle ferite infertale da Eto dopo l’uccisione di Orihara erano ancora in via di guarigione, ma il problema non era tanto il suo corpo, quanto la sua psiche.

Ora che conosceva il nome del suo aguzzino, oltre al suo volto, aveva possibilità limitate di fronte a sé. Poteva denunciarla, farsi mettere in un programma di protezione e guardare i suoi colleghi morire uno ad uno per punizione, oppure poteva iniziare a fare ciò che Eto le domandava. Ad iniziare dallo svelare tutti i piani che la ccg aveva in atto come controffensiva ad Aogiri. Per motivo questo aveva fatto domanda per altri dieci giorni di aspettativa. Così da potere avere altri dieci giorni per poter decidere la strada da prendere.

Aogiri non le aveva ancora chiesto nulla, certo, ma Aiko sapeva che presto sarebbero arrivate le prime direttive. Stavano ancora operando su di lei una strategia di assoggettamento che era andata concludendosi quando aveva mangiato un pezzo del cuore del suo partner. Ormai aveva perso l’innocenza, non era più una semplice vittima, ma era ancora ben lontana dall’essere una complice. Era riusciti solo a distruggerla completamente, rendendola fragile come cristallo, ma non l’avevano ancora corrotta.

Per questo motivo, a forza, si aprì una terza via. Una nuova alternativa, che avrebbe consentito a tutti di continuare a vivere senza che lei diventasse una persona orribile, un burattino dei ghoul.

Se fosse morta lei, allora tutto sarebbe finito.

 

«Io esco a fare una passeggiata, ci vediamo dopo.»

Kuramoto stava parlando al telefono, quando lei l’aveva salutato con un veloce bacio sulla guancia e poche scarne parole. Non aveva atteso il responso del coinquilino, non aveva guardato i suoi occhi. Tanto presto o tardi avrebbe trovato la sua lettera e Kuramoto avrebbe capito. Lì, nero su bianco, c’erano scritte un sacco di cazzate. Non riesco più a vivere col peso di ciò che ho visto…. Sono troppo debole…. Il Gufo col Sekigan avrebbe dovuto uccidere me….  Si era impegnata parecchio per sembrare più depressa di quanto non fosse in realtà. Se tutti avessero visto quel suo gesto estremo come una via di fuga dal dolore, allora non si sarebbero aperte istruttorie e nessuno avrebbe fatto domande. Non sarebbe stata che l’ennesimo agente crollato sotto il peso di un mondo troppo marcio e di una realtà troppo difficile.

Le dispiaceva arrecare del dolore ai suoi colleghi, soprattutto a Itou, conscia che la sua famiglia non l’avrebbe pianta quanto loro. Avrebbero fatto finta di niente, andando avanti con le loro vite rapidamente, così come non avevano fatto quando Shin era scomparso. Senza contare che lei aveva sempre avuto meno valore del fratello agli occhi di sua madre. Aveva sempre pensato che suo padre avesse un buon cuore infondo, ma non si era preoccupato minimamente del figlio scomparso, quindi non si sarebbe interessato nemmeno a lei. Forse Hiroshi si sarebbe sentito un po’ triste, ma doveva odiarla dopo quello che aveva passato per colpa sua.

Di conseguenza sarebbe finita sepolta nel cimitero del ccg, con uno scarno funerale spesato dal bureau.

Mentre fissava rigida in basso dal seggiolino della metropolitana e attendeva la fermata che l’avrebbe poi condotta al luogo prescelto per attuare il suo ultimo piano, Masa si ritrovò a pensare a Take. Non sapeva nemmeno lei il motivo. In quei sei mesi non avevano empatizzato affatto lei e il suo capo, eppure sentiva che sarebbe stata una fonte di delusione per lui. Le dispiacque di non averlo conosciuto meglio, compreso.

Sembrava solo e triste quanto lei, infondo.

 

Il ponte di Nijubashi non era eccessivamente alto. Forse meno di cinque metri, ma poco importava. Lei non sapeva nuotare. Non aveva mai imparato a farlo e quindi sarebbe andata giù come un sasso, assorbita dal lago che abbracciava il parco.

Era un bel posto per morire. Voltandosi, poté guardare per un ultima volta il palazzo imperiale stagliarsi nel buio della notte. Il suo telefono suonò e non era nemmeno la prima volta. Nell’ultima ora e mezzo Itou si era fatto sempre più insistente e Masa iniziava a credere che avesse trovato la lettera.

Anche Hirako la stava chiamando e con loro Tamaki.

Quando notò sullo schermo che l’ultima spiaggia di Kuramoto era stata sua madre, Masa rifiutò la videochiamata in entrata, lanciando il telefono per primo nel lago.

Poi, con determinazione ammirevole, appoggiò la sola mano sana sul parapetto spesso di pietra del ponte e si issò in piedi su di esso, traballante e dolorante. Con le costole ancora dolenti e la spalla sinistra bloccata dal tutore che le teneva fermo il braccio e il polso, Aiko prese un respiro profondo.

Non l’avrebbero mai trovata lì. Chiuse gli occhi e cercò di formulare un bel pensiero, qualcosa che la aiutasse a lasciare quel mondo con un sorriso, senza nessun rimpianto.

Non le venne in mente nulla, così rimase ferma per diversi minuti. Più ragionava sul fatto che non aveva nemmeno un singolo ricordo felice a cui aggrapparsi, eccetto qualche stupidaggine senza importanza, più capiva che doveva buttarsi per il bene di tutti.

Eppure i suoi piedi rimanevano incollati al parapetto, come cementati ad esso.

«Allora? Hai deciso? Lo fai o non lo fai?»

La voce era così vicina da spaventarla. Barcollò, Aiko, rischiando di perdere l’equilibrio e sentendo il sangue ghiacciarsi nelle vene al solo pensiero. No, non lo voleva fare. Però la donna che la stava guardando con un sorriso sornione a storpiarle il volto quasi fanciullesco non meritava di vincere. Non dopo averle fatto mangiare il cuore di una persona a cui si era affezionata.

«Devo.»

«Devi? Hai firmato un contratto, per caso? Oppure ti stanno costringendo a ucciderti? Se mi dici chi è ci penso io, Aiko-chan.»

Masa strinse la mano sana in un pugno, fissando Takatsuki Sen direttamente negli occhi, «Tu non puoi avere la mia vita.»

«Quindi la sprechi?», con uno sbuffo infantile, Eto si rimise diritta con la schiena, passando una mano alla base di essa quasi come se le dolesse. «Così facendo sembra quasi che tu non ti dia valore.»

«Hai detto che la mia vita ora è tua no? Quindi non ne ha per me.»

Il ghoul sbuffò. «Allora fallo e basta.»

Le diede le spalle per una frazione di secondo, prima di voltarsi per proporle una via di accordo. Di fronte a lei però trovò solo la notte. Poi sentì le acquee del lago infrangersi, sotto il ponte.

«Quindi è questo che hai deciso, Aiko-chan? Ma che peccato.»

 

Quando riprese conoscenza, Aiko era stesa su un divano di pelle con addosso una coperta nera. Non realizzò subito dove si trovava, almeno fino a che Eto non apparve dalla cucina con in mano due tazze di the. A quel punto, qualcosa scattò dentro la mora. Non poteva nemmeno uccidersi, farla finita e basta.

Quello era un incubo dal quale non sarebbe mai uscita.

Portò il braccio sano sul viso e scoppiò a piangere disperatamente, sussultando per il dolore al costato ad ogni singhiozzo.

«Oh, andiamo, Aiko-chan, non c’è motivo di essere tristi!» Eto poggiò le due tazze, prima di andare a sedersi accanto a lei, costringendola a guardarla. «Sei viva! Hai di fronte un mare di possibilità!»

«Quali possibilità?», ringhiò la ragazza, furiosa. «Io sono una tua pedina! Finirò con il fare ammazzare i miei amici per colpa tua! Maledetti, maledetti ghoul!» Cercò di divincolarsi, scostando la coperta. «Lasciami! Maledetta tu e la tua specie!»

«Ma se odi tanto i ghoul perché lavori per il ccg?», domandò ingenuamente Eto.

«Per proteggere il genere umano da voi.»

«Ma i Washuu sono ghoul.»

Aiko si pietrificò, attonita. «Non dire idiozie», farneticò, mentre Eto ancora le teneva il braccio con espressione limpida e divertita allora stesso tempo. «Non è possibile.»

«Allora lascia che ti racconti una storia, Masa Aiko. Poi rivedremo la tua posizione all’interno di Aogiri, che ne pensi?»

Seguirono quelli che per Aiko furono quarantacinque minuti di puro delirio. I Washuu erano ghoul, lo Shinigami stesso era un Washuu e anche se non era uno di quegli esseri disumani, non era una persona qualunque. Dentro alla Cochlea esisteva un vero e proprio campo di concentramento dove venivano svolti esperimenti sui ghoul, come facevano i nazisti durante la seconda guerra mondiale. Anche su bambini, o cuccioli o qualsiasi altro nome Masa avesse voluto affibbiare loro. Perché Donato Porpora era ancora vivo e come era a conoscenza di qualsiasi cosa al di fuori della Cochlea? Perché la gerarchia centrale del bureau non aveva un senso per coloro che vi lavoravano? Da dove veniva davvero il ccg? E infine la leggenda dal Ghoul da un Occhio Solo che aveva quasi vinto sul genere umano.

Al termine del lungo discorso di Eto, la mora era sicura di una cosa: se le aveva mentito, era estremamente brava a farlo, perché ogni singola parola sembrava impregnata di un senso di veridicità. Sembravano le parole di un profeta, pronto ad aprirle di occhi sillaba dopo sillaba.

«Se quello che dici è vero», sussurrò Aiko, con gli occhi sgranati e il labbro inferiore che tremava. «Io lavoro…. Per un sistema corrotto.»

«E non ti ho ancora accennato V., ma per quello avremo tempo. Non vorrei sovraccaricarti. O ucciderti. Ma dovrò comunque farlo se non sarai brava a tenere il segreto sulla nostra conversazione di stasera.»

Eto si fece pensierosa.

Masa rimase in silenzio, pietrificata.

Trasalì solo quando il Gufo schioccò le dita, colta da una epifania. «Ho capito quale è il punto, Aiko-chan. Farti mangiare un cuore non è bastato a corromperti, mi serve qualcosa di più incisivo.» Ci pensò su bene, poi socchiuse le labbra. «Parliamo della tua famiglia, ti va? Troverò un modo per renderti il mostro che mi serve per distruggere questo mondo marcio.»

«E poi? Quando tutto sarà distrutto, dove vivremo?»

Eto sorrise.

«Poi? Poi il Re lo ricostruirà da capo per tutti noi, Aiko-chan.»

 

Capitolo ventotto

Quando la mano di Masa sbattè forte sul bancone del bar ebbe l’effetto di una pistola puntata contro la cameriera. L’intero locale ammutolì mentre la colomba, con tanto di cappotto d’ordinanza e valigetta, fissava Kirishima.

«Te lo ripeto nuovamente», sussurrò con tono basso Touka, certa che intanto l’altra l’avrebbe chiaramente sentita. «Quella mappa non l’avevo mai notata. Io ho tenuto solo uno o due effetti personali nel caso in cui Kaneki Ken fosse tornato a-»

«Riprendersi le cose del suo amico», terminò per lei la frase la mora. Aiko assottigliò gli occhi gialli, «Pensi che io sia stupida?», domandò quindi, a bruciapelo. «Mi ha inviato una lettera. Da quando i morti riescono a farlo? O magari siete stati voi? Siete per caso i suoi emissari?»

«Senti bene, Aogiri.» La voce di Nishiki fendette l’aria, velenosa. «Cosa dovremmo nascondere, noi? Sai benissimo di cosa ci occupiamo qui. Ora smettila di fare la bulla, spaventi i clienti. Prenditi un cazzo di cornetto di merda o vattene.»

Aiko infilò la mano nella tasca del cappotto, prendendo la fogliolina di plastica e mettendola sul bancone, prima di chinarsi per recuperare la quinque. «Ditegli che se pensava di spaventarmi, si sbagliava di grosso. Mi ha solo spronata a fare di tutto per trovarlo e assicurarmi che paghi.» Sistemò il bavero del trench, prima di sfidarli di nuovo, con lo sguardo improvvisamente affilato. «Perché io lo troverò, presto o tardi.»

«Sai cosa si dice dei fantasmi, Masa-san?», a parlare, questa volta, fu il signor Yomo. Le arrivò alle spalle, entrando dalla porta di ingresso del bar con due grandi borse fra le mani. «Che spesso sono loro a trovare le persone e non viceversa.»

«Mi leverebbe un bel po’ di lavoro così.» sprezzante, Aiko mostrò ciò che teneva nascosto nella tasca interna della giacca argentea. «Ditegli pure che ora ho anche il quaderno. Non l’ha nascosto bene e quelle bombe erano un lavoretto da bambino dell’asilo che si diverte con la carta igienica e la colla vinilica.» Girò attorno a Yomo, senza aggiungere altro.

In collera.

Nient’altro, se non una frase.

«Finirà la sua fortuna insieme alla fortuna di questo bar, forse.»

La porta si chiuse, lasciando Touka immobile, con una mano che appena le tremava contro il fianco.

Nishio se ne accorse, ma non fece nulla per consolarla. Piuttosto, prese la fogliolina e la buttò via.

«Certe persone non imparano mai», disse con tono brusco. «Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Si dice così, no? Chissà cosa cazzo intendeva con ‘ho il quaderno’

«Non lo voglio sapere», sussurrò in fretta Kirishima, sistemando il grembiule, pronta a tornare al lavoro. «E non mi riguarda. Abbiamo dei clienti vero?»

«Quindi lo informerai dopo della novità?»

Nishiki non ottenne risposta. La conosceva già, dopotutto.

 

 

Il vero piano di Aiko non era minacciare o mettere in allarme il :re. Voleva semplicemente che alla sua preda arrivasse il messaggio che non avrebbe smesso con la caccia, sino alla cattura. La sua cattura.

Loro avevano contatti con lui, contatti che a lei erano preclusi.

L’insieme di vicoli ciechi che si erano susseguiti con la mappa avevano però portato al ritrovamento del quadernino prezioso.

Certo, aveva pagato pegno per questo. Alla sua scrivania si era presentato un certo Okita Arashi, detective della omicidi, che aveva fatto più di una domanda sul motivo per cui lei e Higemaru si fossero presentati alla porta di un appartamento che era esploso qualche ora dopo.

«Mi dispiace molto per ciò che è successo alla signorina Wakaba», aveva detto cercando di suonare sinceramente affranta Aiko, con le mani in grembo e accanto un Higemaru cadaverico. «Forse la persona che cerchiamo è tornata per eliminare ogni prova dei suoi reati. Credevo di essere alla ricerca di un disperso, ma ora come ora potrebbe essere un terrorista o un sostenitore di Aogiri, chi lo sa.»

Okita se l’era bevuta, perché infondo non c’erano le basi per dubitare delle parole dei due investigatori del ccg. Aveva preso appunti e loro si erano dimostrati disponibili ad ulteriori domande.

«Comunque non siamo mai entrati in quella casa, ce lo ha negato la proprietaria stessa. Forse era addirittura sua complice», aveva sostenuto a sorpresa Touma, rendendo il lavoro di Aiko più semplice. Avevano dirottato Okita sulla possibilità che la vittima fosse in realtà una complice, ma non essendoci prove materiali, il caso non poteva passare alla ccg. Avere un sospetto non portava ancora a nessuna sentenza definitiva, in quel periodo. Non prima di Furuta al comando, quanto meno.

Erano tempi diversi.

«Se nelle vostre indagini doveste per caso trovare il signor Yamoto, vi prego di contattarmi», li aveva ringraziati il detective, dando loro un biglietto da visita bianco e ricevendone uno in ritorno da Masa. «Aiko della Quinx Squad», aveva letto l’uomo, ignorando totalmente il povero Higemaru, ancora presente. «Spero di collaborare con lei in futuro, allora.»

La donna strinse la sua mano, appena le venne porta. «Lo stesso vale per me, Arashi-san.»

«Ma che gli fai tu agli uomini?», era stato il commento smaliziato di Touma appena rimasto solo con la superiore. Come ricompensa aveva ricevuto in testa un grosso raccoglitore e l’ordine di esaminare ogni singola virgola sul passato di Nagachika. Anche il numero di denti persi e i voti scolastici.

Ogni minimo dettaglio.

Lei, invece, si era buttata a capofitto sul quaderno.

Tramite una serie di annotazioni scarabocchiate o riassunte in poche lettere apparentemente prive di senso aveva colto che lei era stata rinominata come RA.B. mentre Urie era CN. C’era anche Take, perché vicino a una data e il nome di un ristorante in cui erano stati insieme a pranzo alcune settimane prima del ritrovamento del prezioso quaderno, c’era la nota ‘RA.B e CB n.s.s.a.p.’

Masa non aveva idea di cosa significasse, ma la affascinava come Yamoto avesse utilizzato solo lettere dell’alfabeto occidentale per segnare i nomi e le annotazioni. Non se lo aspettava, ma era  stato uno studente di letteratura straniera molto dotato dopotutto e la calligrafia indubbiamente cambiava sul piano estetico, non potendo ricollegare nemmeno questa con alcuni documenti o relazioni firmati dal ragazzo che avevano recuperato.

Fra una riga e l’altra spuntavano anche RA.N e R.B., ma dalle singole annotazioni Aiko non riuscì a capire chi potessero essere, così come TB, TN, AB e AN, molto più presenti dei due precedentemente citati.

Arrivò anche ad ipotizzare che alcuni nomi potessero rappresentare più di una persona per una semplice questione logistica. Ad ogni modo, il più bersagliato di tutti era il famoso RN. Compariva in ogni singolo foglio, almeno cinque volte, vittima di un pedinamento serrato.

Aiko si decise a iniziare da lì.

Da quel RN, che pareva un tipo piuttosto abitudinario.

 

 

«Aiko! Hai un secondo?»

Masa arrestò il suo passo quasi militare, trovandosi a sorpresa di fronte qualcuno che non credeva avrebbe rivisto prima del suo ritorno a lavoro.  «Ciao Nimura», salutò con educazione, alzando una mano mentre lui la raggiungeva, sistemandosi una scarpetta rossa che penzolava male su una spalla. «Cosa ci fai da queste parti?»

«Ah, vengo a prendere Sasaki», le rispose con cortesia il ragazzo, tutto sorridente nonostante fossero le dieci di un uggioso mattino di inizio settembre. «Tu invece?»

«Io sto seguendo una pista su un caso personale», gli rispose vagamente, comprendendo che mentire sarebbe stato stupido. Furuta avrebbe raccontato a tutti del loro incontro, intanto. Aiko si era abituata in fretta alla sua ingenuità. «Mi raccomando», ci provò lo stesso però. «Non dire a nessuno che mi hai visto qui.»

Nimura finse di cucirsi le labbra. «Muto come una marionetta.»

«Comunque», si ricordò Masa, «Mi hai fermata perché volevi chiedermi qualcosa?»

«In realtà sì.» vergognoso, Furuta si grattò la nuca, a disagio. «Temo di averti messo nei guai con il primo livello Urie senza volerlo, Aiko.» La ragazza lo guardò senza capire e gli fece cenno di andare avanti. «Gli ho detto che vi ho visti insieme alla festa di Omohara ma…. A quanto pare non era lui quindi ho fatto fare ad entrambi una pessima figura.»

Aiko si sentì sollevata. Ora almeno sapeva perché Urie faceva tanto il difficile. Erano passati solo tre giorni da quella sera, tre caotici e pienissimi giorni, così stipati di cose da fare, luoghi da visitare e appartamenti di dare alle fiamme da non farla ragionare troppo su cosa effettivamente potesse aver irritato tanto il compagno di stanza, che infondo non vedeva mai.

«Non hai fatto niente di male, Nimura», rassicurò il ragazzo, muovendo una mano con noncuranza di fronte al viso. «Era un vecchio compagno di scuola quello con cui mi hai visto e in ogni caso io e il primo livello Urie non dobbiamo niente l’uno all’altra. Siamo solo colleghi e lui è  il mio capo.»

Furuta la guardò, non capendo. Sbatté le ciglia sugli occhioni neri leggermente acquosi, prima di parlare nuovamente. «Sapevo che lui avrebbe negato tutto quando sono andato a parlargli», soppesò quindi a voce alta. «Ma da te mi aspettavo che mi avresti detto la verità.»

«Questa è la verità», disse Aiko, scrollando le spalle. «Non  c’è niente di ufficiale fra me e il primo livello Urie. La prossima volta ballo con te.»

«Ne sarei così onorato», gongolò Nimura, «Ma purtroppo il mio cuore appartiene a un’altra donna. Sappi però che ho sempre voluto un appuntamento con te, Aiko. Ne avremo uno finto prossimamente.»

«Affare fatto», i due si strinsero la mano e si salutarono.

Poi Furuta si infilò nel bar in cui ad aspettarlo c’era Sasaki.

«Quindi ora è con questo posto che tradisci il :re, eh Haise», parlò fra sé e sé Aiko, controllando il quadernino e notando che tutto combaciava. ‘Ore 10.02, Orahikashi bar, prima circoscrizione. RN nel locale fino ad arrivo di TN’.

Poteva essere una coincidenza?

 

Smise di essere una coincidenza quando incontrò Sasaki anche in un altro posto, due ore dopo. E di nuovo, in un terzo più lontano, verso sera.

Quando arrivò nel quarto luogo nel quale RN soleva stazionare ogni mercoledì sera, ovvero una piccola libreria, e lo trovò dentro fra gli scaffali, Aiko comprese.

RN era Haise Sasaki.

No, più sottile.

RN era Kaneki Ken.

 

 

Lo chateau sembrava deserto quando Aiko vi rimise piede poche ore dopo aver sistemato anche quell’ultimo controverso tassello.

In realtà, essendo passate le dieci di sera, ogni membro della squadra si trovava nella propria stanza. Il che avrebbe reso molto interessante la conversazione che intendeva affrontare con Urie. Grazie al loro udito sensibile, i Quinx avrebbero anche potuto origliare l’intera conversazione dal piano di sotto, quindi in quella circostanza non c’erano possibilità per i due di avere un minimo di privacy.

Contava che almeno Hsiao si sarebbe messa un paio di cuffie.

Salì le scale senza nemmeno pensare che in fondo doveva ancora cenare e aveva un certo languorino. Camminò con passo lento fino all’ultima stanza infondo al lungo corridoio del secondo piano ed entrò senza bussare.

Urie stava lavorando alla scrivania e non staccò nemmeno gli occhi dal portatile per guardarla. Probabilmente l’aveva sentita arrivare dai primi gradini. Lei non si scompose di fronte a quella mancanza di interesse da parte di Kuki; litigavano e si ignoravano così spesso che pareva la normalità.

Andò al letto, sfilandosi la felpa che aveva utilizzato quel giorno, preferendola al trench visto che si era data al pedinamento. Rimase con addosso solo una maglietta nera che le salì sul tronco scoprendole l’ombelico quando si stese stanca sul letto. Scostò la frangetta lunga dalla fronte con le dita e tenne lo sguardo sul soffitto.

Dovette comunque attendere poco perché il silenzio si interrompesse.

«Sei tornata prima, oggi. Hai deciso di mettere un freno alla tua inconcludente indagine?»

Aiko storse il naso, cogliendo la provocazione con in mano già le armi per contrattaccare. Si mise a sedere. «Devo parlarti di una questione molto urgente. Ecco perché sono tornata prima.»

Urie smise di digitare sulla tastiera, irrigidendosi. «Hai combinato un guaio?», domandò, senza però voltarsi.

«No, sono preoccupata per i tuoi testicoli.» Questo lo fece girare piuttosto in fretta. «Insomma, lasciarli per così tanto tempo dentro la borsetta di Matsuri non li farà essiccare?»

«Cosa cazzo stai dicendo?»

Aiko si trattenne parecchio dal ridergli cinicamente in faccia. «Sei incazzato con me perché ho ballato con un mio ex compagno di scuola alla festa a cui tu eri invitato e a cui tu hai deciso di non venire, facendomi andare da sola. E me l’ha dovuto dire Nimura. Sei patetico.»

Kuki cercò di non fare una piega di fronte a quelle parole. Ci provò davvero, ma una piccola rughetta sulla sua fronte ebbe una contrazione involontaria, finendo per tradirlo. «Non sono incazzato con te.»

«Ah no? Non mi rispondi al telefono e mi ignori perché hai il ciclo? Povero. Se vuoi ho dell’ibuprofene.» Masa si decise a non risparmiargli nemmeno una parola. La frustrazione dell’indagine l’aveva resa meno paziente e la persona di fronte a lei era la sola in grado di risollevarla o mandarla completamente in frantumi. Stava premendo molto per la seconda, in quel momento. «Non sei voluto venire.»

«Ero obbligato a farlo? Cos’altro vuoi che faccia, Aiko?»

«Spiegami, tanto per cominciare, perché non mi hai chiesto niente», sostenne a testa alta la ragazza. «Hai ventuno anni, per il Grande Demone Celeste. Non quattordici. Oppure vuoi ancora giocare la carta del ‘non stiamo insieme’? Perché mi pareva molto chiara la situazione fra noi due ad Aokigahara, anche se di fronte agli altri è top secret.»

Urie si ritrovò zittito. Effettivamente quello scoglio sembrava superato, almeno fra loro due. Invece eccolo di nuovo, imponente, a rischiare di affondare la nave tenuta insieme con lo sputo su cui la sua vita cercava di trascinarsi avanti. Si morse le labbra. «Mi ha infastidito che Furuta abbia fatto allusioni su-»

«Credi che solo Furuta sappia? Cazzo, sei un investigatore! Tutto il dipartimento sa che ti scopo e sì, la scelta di parole che ho usato è accurata perché sei una femminuccia.»

«Smettila di insultarmi, Aiko!»

«Perché dovrei? Sei l’incarnazione vivente del toyboy. Vieni a letto con me perché ti risolvo i casi, no? A questo punto è la sola risposta che mi do. Se no col cazzo che ti avrebbero dato la medaglia d’Osmanto. O pensi di essertela guadagnato da solo? Chi ti ha risolto tutti quei casi? Chi ti ha portato avanti nelle indagini quando eri fermo, in un punto morto, con gli occhi da trota e i fascicoli di fronte, aperti come se fossero carta da cesso?! Dopo tutti questi mesi, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, non hai ancora le palle per venire da me a chiedermi se mi sto scopando un altro?!»

«AIKO!»

«Chi ha risolto il caso Embalmer? E il caso Lisca? Chi ha portato avanti le indagini sui traffici del caso Kamata? Vogliamo parlare del caso del Funambulo? O tutti i casi di minore importanza?! Chi ha rimesso insieme la bomba che ha distrutto la sede centrale?! Non tu. Tu non stai facendo nulla se non chiuderti dietro le stupide scartoffie processuali che impone il dipartimento, quando eri il primo a metterti in pericolo per farti strada, fino a qualche mese fa. Ora ha come un freno! Non sai più spingerti oltre quel limite invalicabile che la tua stupida mente si è prefissa! Non riesci a vedere il mondo a trecentosessanta gradi perché ti limiti da solo e per questo non sei un buon investigatore. L’intuito e l’intelligenza li hai, ma non li usi o sapresti che io non ti avrei mai fatto questo, idiota! E sai perché?? Perché dalla morte di Shirazu tu sei seduto sulla sedia che ti hanno dato grazie alla mia bravura.»

Masa non si rese nemmeno conto che Urie si era alzato. Fu così veloce da coglierla alla sprovvista, quando la più agile dei due era sempre stata lei. Le afferrò la gola con la mano destra, stringendo mentre la spingeva stesa sul materasso. Si ritrovò così, colto da un raptus, seduto su di lei a cavalcioni.

Lo destabilizzò quell’eccesso di violenza, ma mai quanto la reazione della mora.

Aiko rimase impassibile, con la solita arroganza negli occhi, fissi nei suoi. Gli prese il polso, ma non per farsi lasciare andare. Lo tirò di più verso di sé.

«La verità fa male», snocciolò, a fatica, ma con ancora abbastanza fiato per infierire. «Ma se pensi di spaventarmi ti do una notizia: ho vissuto una vita infernale e sicuramente non sarai tu a farmi abbassare lo sguardo.» Ci fu uno stallo. Lui era immobile, con la mano che aveva perso la forza, ma che non si staccava dalla pelle candida della gola della donna sotto di lui, arrossata laddove l’aveva strinta. Gli occhi erano sgranati, confusi, mentre il suo cervello lavorava a una velocità troppo elevata per metabolizzare la situazione. «So che hai parlato con Noriko», insistette Aiko, con voce ferma ora che la laringe era stata liberata dall’oppressione delle dita. «Cosa c’è, hai paura di ferirmi a parole e non sai come lasciarmi? Pensi che perderei il controllo, se tu lo facessi? Per questo preferisci ignorarmi fino al punto in cui non sono io ad affrontarti? È un comportamento parecchio codardo, alzare le mani su una donna.»

Il labbro inferiore dell’investigatore tremò appena, poi Urie deglutì. «Se volessi, potresti infilzarmi col tuo kagune nello stomaco anche ora. Lo hai già fatto.»

«Perché rovinare il letto?», domandò sarcasticamente lei, prima di appoggiargli una mano sulla spalla, facendo leva per ribaltare le loro posizioni. Quando si sedette su di lui, il braccio di Kuki ricadde sul materasso, privo di forze. «Non ho bisogno del mio kagune per stenderti. Bastano le parole», gli fece presente, prima di prendere un respiro. Riempì la cassa toracica di aria, facendola alzare, prima di espirare profondamente, chiudendo gli occhi e alzando il capo verso il soffitto, con le braccia incrociate sotto al seno. Sembrava in meditazione, ma a Urie non importava. Si sentiva così male che non aprì bocca nemmeno per scusarsi per l’irruenza. «Abbiamo davanti due strade», parlò alla fine Aiko, tornando a guardarlo, con decisione. «Prendo tutti i miei vestiti e mi trasferisco al piano di sotto, nelle stanze libere degli ospiti, oppure accetti la nostra relazione e il fatto che tutti coloro che ancora non lo sanno, lo scopriranno presto.»

«Sai che è contro il regolamento per un caposquadra avere una relazione interpersonale con un suo sottoposto.»

Aiko sorrise amaramente di fronte a quella zelante risposta. Non si aspettava altro se non lo snocciolarsi di regole interne. Erano probabilmente il solo scudo che Urie aveva da porre fra loro due.

«Allora non esiste altra scelta, no?»

Cercando di mantenersi calma, Masa lanciò uno sguardo all’armadio. Il solo pensiero di doverlo svuotare con lui sul letto, la destabilizzò. Non si era aspettata che il discorso sarebbe dirottato così precipitosamente su una rottura. Eppure riusciva a rimanere lucida al pensiero che una volta buttata la valigia in una stanza vuota e fredda, avrebbe potuto chiedere asilo da un’altra parte.

Dove forse non era più voluta che in quella casa.

Non riuscì però ad alzarsi, perché Urie le prese il polso.

«No, non esiste altra scelta. Devi andare via dalla Quinx Squad.»

Senza parole, dopo il fiume che aveva riversato sul ragazzo sotto di lei, Aiko si limitò a guardarlo.

Anche Kuki rimase in silenzio, spiando il volto totalmente sconvolto della seconda e scoprendo che non aveva mai visto quella luce nei suoi occhi, così genuinamente sorpresi.

Capì che doveva aggiungere qualcosa. «Devi esserne davvero convinta, perché se hai davvero intenzione di continuare la nostra storia, per il bene di entrambe le nostre carriere e non solo, lascerai i Quinx il prima possibile e ti trasferirai per un periodo di prova in un’altra squadra. Quando ti avranno inserito a pieno titolo in essa e scadrà il prestito, tu firmerai per rimanervi e io non sarò più il tuo capo. Allora potremo sposarci e tu potrai anche tornare nei Quinx, secondo il regolamento.»

«Sposarci?», fu la sola cosa che il cervello di Aiko assimilò davvero.

Il ragazzo si mise seduto, portando le mani sulle reni dell’altra per non farla cadere oltre il bordo del letto. Se non l’avesse fatto, lei non si sarebbe riuscita a reggere a lui. sembrava più sconvolta per quelle parole che per tutto ciò che era successo prima di esse. «Due persone sposate possono far parte della stessa squadra a sei mesi e un giorno dalla firma dell’atto matrimoniale. Ho controllato l’altro giorno, mentre ignoravo le tue chiamate.»

Le mani della mora si appoggiarono sulle sue spalle, tentennanti al pensiero di un ulteriore contatto. «Devo ammettere che questo è davvero un modo originale per pararsi il culo», sussurrò piano, indecisa.

«Ho scaricato tutte le norme e ti ho fatto un pdf. L’ho anche stampato.»

«Sono ammirata da tutta questa dedizione. Allora perché non mi parlavi?»

Urie non rispose subito. Spostò gli occhi sul copriletto, prima di tornare a guardarla, così da dimostrarle la sua sincerità. «Perché non è esattamente il tipo di discorso che pensavo di essere pronto a fare. Posso verificare tutto ciò che voglio, ma una volta che esce dalle mie labbra, diventa reale. Me l’hai detto tu una volta, ti ricordi?»

Aiko non se lo ricordava.

Però si ricordava di averlo detto ad Aizawa.

«Quindi? Vuoi iniziare questa lunga procedura oppure preferisci trasferirti nella stanza del piano di sotto?»

Le dita lunghe della mora scivolarono nell’undercut del ragazzo, mentre appoggiava la fronte alla sua. Un piccolo sorriso amaro le distorse le labbra mentre pensava che molto probabilmente non avrebbe vissuto abbastanza per arrivarci. O che sarebbe stata scoperta molto prima.

Decise però di sognare e concedere all’altro di fare lo stesso.

Fu molto egoista da parte sua, illuderlo. Non poteva però predire il futuro o controllare gli avvenimenti. Vivere quella vita parallela le dava speranza, anche se non avrebbe voltato le spalle a Labbra Cucite per questo. Poteva continuare a convivere con il suo alterego, poteva farcela.

Ed essere anche felice, nel mentre.

Perché non voleva nulla quanto voleva Urie, però non era disposta a sacrificare niente.

«Va bene. Facciamolo. Ma poi pretendo una proposta di matrimonio decente, perché questa con tentato strangolamento e pdf informativo non è stata granché.»

Le braccia di Aiko scivolarono oltre le sue spalle, mentre lo stringeva in quell’abbraccio rappacificatore.

E per la prima volta sperò di sopravvivere ad Eto, così da poter scegliere l’abito bianco.

 

 

«Oggi hai chiesto a Matsuri il trasferimento? E lui ha firmato?»

Aiko sorrise divertita, prendendo un sorso di the, mentre di fronte a lei Nimura rimaneva con il braccio appeso e la tazzina contenente il suo espresso in mano.

Quel loro finto appuntamento si stava rivelando più divertente del previsto.

«Questa mattina», precisò la ragazza, appoggiandosi con il gomito al tavolo, mentre spiava di sottecchi Futura, i cui occhi brillavano manco stesse ascolta la più bella delle storie d’amore. «Sono andata insieme a Urie e il classe speciale Washuu non ha nemmeno voluto una spiegazione. Mi ha detto che posso iniziare anche da domani visto che ho appena avuto delle ferie, se voglio.»

«Così sembra quasi che volesse liberarsi di te», soppesò l’investigatore di secondo livello, terminando in un sorso solo la sua bevanda. «Hai già idea di dove ti trasferirai?»

«Ho avuto una conversazione di due intensi minuti con Suzuya», rispose la mora, sempre più divertita dalla situazione. «L’ho incontrato per caso nel corridoio e mi ha detto che ora che Mutsuki è passato alla squadra di Hachikawa, a lui farebbe molto piacere avere un altro Quinx nel team. Dice che lo divertono.» Aiko lanciò un’occhiata di intesa a Furuta, che ridacchiò sotto ai baffi. «Hanbee ha detto che preparerà tutte le carte entro la fine della giornata e poi farò ufficialmente parte della squadra Suzuya.»

«Sei in prestito con aspettativa?»

«Sì, a scadenza. Due mesi.»

Nimura annuì. «Poi speri che ti riconfermi lui?»

«Conosco praticamente tutti in quella squadra, sono pazzi esattamente come lo sono io», rispose Masa, lanciando uno sguardo oltre la vetrina del bar scelto dall’altro per quel loro incontro. «Starei bene con loro e sicuramente da uno come Suzuya ho solo da imparare. Mi piacerebbe firmare per almeno un paio di anni.»

«Così tu e Urie avreste tutto il tempo per sistemarvi, insomma.»

«Sei troppo recettivo, lo sai?»

Furuta ridacchiò. «Sono un buon investigatore», la corresse. «Debole come sono nel combattimento posso solo usare il cervello, in mancanza dei muscoli.»

Aiko sbuffò piano, prima di sistemarsi contro il sedile della poltroncina imbottita. «Tu piuttosto? Mi hai detto di avere una signora Furuta, ma non hai aggiunto i dettagli che voglio.»

Lui schiuse le labbra, arrossendo pudicamente mentre le mani correvano alle gote per coprirle, imbarazzato. «Non chiamarla così, non siamo ancora sposati purtroppo. Diciamo che abbiamo avuto qualche impedimento.»

Masa corrugò la fronte. «La preoccupa i rischi a cui sei esposto col lavoro?» Nimura scrollò il capo. «Non piace ai tuoi genitori?»

A quelle parole, Furuta esplose a ridere. «Oh, magari fosse questo il problema», le sorrise, come al solito sereno, mentre si alzava sistemando la cravatta blu elettrico che indossava quel giorno. «Io sono un bambino del Giardino Soleggiato, proprio come Arima-san o Hsiao. Non ho genitori a cui presentare la fidanzata. Ora perdonami ma devo usare un secondi i servizi igienici.»

Aiko rimasta quasi frastornata dalla semplicità con cui Furuta snocciolò quel dettaglio personale e non riuscì a nasconderlo. «Fa con calma, ti aspetto qui.»

Un altro sorriso e poi Nimura sparì oltre la porta, lasciandola lì seduta come un allocco, gli occhi sgranati sulla sua tazza e una strana sensazione alle viscere.

Sicuramente Furuta non poteva sapere le cose di cui era a conoscenza Masa, come il fatto che il Giardino fosse direttamente connesso a V. Per ciò aveva ingenuamente fatto quella dichiarazione, anche in virtù del fatto che Masa viveva con Hsiao e sapeva cosa fosse il Giardino. Almeno, sapeva quello che i Washuu avevano lasciato trapelare su di esso: un orfanotrofio speciale per agenti incredibilmente dotati.

Furuta poteva anche dirsi debole, ma effettivamente era molto intelligente.

Arima e Hsiao erano invece innegabilmente superiori nella lotta corpo a corpo. Anche Hairu, prima di morire, aveva dimostrato di avere qualcosa in più rispetto agli altri.

Masa però sapeva di più.

Masa sapeva che i bambini provenienti dal Giardino non erano esattamente umani. Non erano nemmeno ghoul, però, ma Eto non era mai stata molto chiara in merito né lei aveva chiesto con la dovuta attenzione informazioni.

Non era rilevante che Nimura fosse un bambino del Giardino, ma Aiko rimuginò improvvisamente su qualcosa.

E poi ricordò cosa.

Il testamento di Nagachika parlava di un bambino che giocava in un giardino baciato dal sole e Touka Kirishima aveva visitato il ponteggio V14, come le 14 Volte in cui con lei si era scusato il ragazzo.  Quel bambino era Kishou Arima e quel testamento parlava dello scontro fra Arima e Kaneki durante l’operazione della ventesima.

Peccato che quello stesso testamento fosse stato scritto almeno cinque giorni prima.

Mancava ancora un tassello. Chi era l’ultimo drago da cui guardarsi?

Di nuovo, Aiko sentì le viscere contrarsi.

Parlava dei Washuu, il cui simbolo era il drago?

Velocemente, controllò sul telefono la copia del documento e lo rilesse, comprendendolo per intero. Nagachika sapeva che sarebbe morto dove il sole e incontra le tenebre, ovvero alla fine del canale di scolo del ponteggio 14 V. Sapeva inoltre che lì Arima e Kaneki avrebbero combattuto e che poi Kaneki sarebbe diventato Sasaki, perché Touka Kirishima non avrebbe dovuto cercarlo.

Perché sarebbe tornato da solo da loro.

Ma l’ultimo dei Washuu avrebbe cercato di distruggerlo e di distruggere ogni cosa.

Non poteva parlare di Matsuri. Doveva essere un altro Washuu, magari figlio bastardo di un ramo cadetto, come Eto le aveva detto essere lo stesso Arima.

Lì, in mano, aveva una predizione che si era avverata in toto e che avrebbe dovuto tenere a mente nel momento in cui avrebbe trovato Nagachika, perché glielo avrebbe domandato di persona, come aveva fatto.

Come aveva predetto il futuro.

 

 

-Hai ritirato tutta la documentazione?-

«Sì.»

-Hai chiesto anche una copia controfirmata?-

«Credo che Suzuya si ricorderà di avermi assunto»

Aiko sospirò rassegnata, mentre al telefono Urie le ricordava l’importanza della burocrazia, soprattutto in quelle delicate questioni, come trasferimenti e aspettative di lavoro. Sbuffò apertamente, ricordandosi quando Urie era ancora un ragazzino isterico che prendeva iniziative stupide e rischiava di farsi uccidere senza badare minimamente al regolamento. Diventare il capo lo aveva fatto invecchiare precocemente e molto in fretta.

«Fra due giorni mi dovrò trasferire nella tredicesima, non sei triste nemmeno un po’?», chiese con tono canzonatorio, mentre il sole tramontava su quella quieta giornata che era stata il quattro settembre del 2016.

Non lo sapeva, ma Aiko aveva meno di due mesi di vita.

-Tanto so che ti avrò sempre tra i piedi.-

«Ti amo anche io!»

Un po’ si pentì di averlo detto e non si stupì quando non avvertì la risposta di ritorno. Poteva però immaginare il volto di Urie, colto del tutto alla sprovvista.

«Senti, finisco un paio di commissioni e torno a casa, va bene?»

-Ok.-

La chiamata terminò su una risatina della mora, stroncata dall’imbarazzo del caposquadra. Scrollando il capo, Aiko si sistemò la borsa a tracolla con la mano libera dalla valigetta.

Imboccò una strada secondaria per passare da un contatto diretto di Ayato. Avrebbe comunicato così a Tatara quel trasferimento, senza fare chiamate o andare direttamente la quartier generale di Aogiri. Dalla morte di Lisca era difficile trovalo lì in ogni caso. A Eto invece l’avrebbe detto di persona, spacciando quel trasferimento come una imposizione di Matsuri. Non si sarebbe stupita, Masa le aveva sempre detto quanto il classe speciale la disprezzasse apertamente.

Sperava solo che avrebbe creduto a quella bugia.

Era persa in queste elucubrazioni quando lo vide.

Un ragazzo, con addosso un paio di jeans dall’aria vissuta e felpa nera. Un pezzo di liuta che sbucava da sotto il cappuccio, cadendo sul petto. Una maschera, per la precisione, che lei non vide direttamente, ma che non poteva essere fraintesa.

«Spaventapasseri», sussurrò, non credendo ai suoi occhi. Non rifletté adeguatamente e si buttò in mezzo alla strada per attraversarla, saltando sul tettuccio di una macchina per poterlo raggiungere.

Corse fino all’imbocco del vicolo in cui l’aveva visto sparire. Si trovò di fronte un muro alto e nulla più. Di nuovo, aveva visto volatilizzarsi la sua preda di fronte ai suoi occhi.

Sbattè il pugno contro i mattoni a vista, prima di voltarsi per tornare indietro. Non era più sola, però. L’enorme figura di fronte a lei non aveva un odore, per questo non l’aveva sentita arrivare. Nonostante la stazza non aveva emesso un suono.

Quel volto, però, non poteva nasconderlo in modo alcuno.

«Amon Kotarou», sussurrò Aiko, stringendo la valigetta.

Non fece in tempo a fare nulla che la mano sana del mezzo ghoul scattò repentina contro il suo viso. Un solo colpo, un centro.

Una siringa le bucò la sclera dell’occhio sinistro, che s’era annerita in vista del combattimento.

Amon fu rapido a somministrarle i soppressori, che ebbero un effetto immediato. La valigetta le cadde di mano, mentre le forze la abbandonavano.

«Amon…», sussurrò, aggrappandosi alla caviglia del mezzo ghoul, mentre il mondo attorno a lei iniziava da prima a tremare e poi ad offuscarsi.

«Alla fine ti ho trovato…»

 

‘In che guaio ti sei cacciata, Aiko?’

La voce era materna, nell’oscurità. L’investigatrice voleva aprire gli occhi per verificare chi le stesse parlando con tono di dolce rimprovero, ma era troppo debole per farlo.

Le parve quasi di sentire delle dita fresche scostarle i capelli dalla fronte imperlata di sudore.

‘Sei stata tu a dire che le nostre scelte future ci avrebbero definite. Perché hai deciso di arrivare a questo?’

Un dolore lancinante attraversò il capo di Aiko, mentre si dimenava, cieca e con le mani legate dietro alla schiena.

‘Perché non hai scelto di fermarti?’

«Mei?», chiamò con voce fievole Masa, presa da quel febbricitante delirio.

Le costò caro lo sforzo.

Il mondo si fece di nuovo nero attorno a lei.

 

Riprendere conoscenza fu più duro del previsto.

Amon doveva avere usato una dose non necessaria di inibitori per non rischiare che Aiko potesse svegliarsi durante il trasporto.

Dove si trovasse in quel momento era quindi un mistero, ma l’odore pesante dell’aria, stantio e umido le fece presagire che doveva essere una stanza interrata. Un magazzino.

Non c’era nulla all’interno di essa se non la sedia alla quale era legata e una lampada, fastidiosamente posizionata sopra alla sua testa, che la faceva sudare per il caldo e incrementava l’emicrania.

Non era tutto, però.

C’era anche un’altra sedia, su cui sedeva una figura silenziosa.

Sin dall’istante in cui Aiko aveva definitivamente ripreso conoscenza si era ritrovata a fissarla. Questa non aveva emesso una sillaba per tutto il tempo, ne si era spostata.

Il fascio di luce ne illuminava il petto, rivelando a Masa che doveva trattarsi per forza di un ragazzo. Giovane a giudicare dalle mani.

Era sicuramente la persona che stava cercando.

«Alla fine siamo faccia a faccia», sussurrò, sfinita, ma decisa a rendere quelli che credeva i suoi ultimi minuti di vita memorabili agli occhi di quella persona. Aveva visto la morte così spesso da essere pronta ad accoglierla come una vecchia conoscenza. Non era più la ragazzina sprovveduta incapace di saltare da un ponte, se non senza il dovuto incitamento. «Vorrei poter dire che ti ho finalmente trovato, ma forse sei tu ad aver trovato me. Il signor Yomo aveva ragione. Sono i fantasmi a perseguitare i vivi, non viceversa.»

La figura prese dalla tasca un coltello a serramanico e si alzò.

Aiko potè finalmente vedere il suo viso.

Un viso che la ammutolì e che mai avrebbe dimenticato per il resto della sua vita.

Quando le corde che le tenevano bloccate le braccia vennero recise, il giovane tornò a sedersi.

Per istinto, Aiko si massaggiò i polsi, prima di guardarlo.

Inclinò la lampada, così da ampliare il fascio di luce, poi sospirò.

«Non posso usare il kagune, ma non ti dirò nulla. Né sul ccg, né su Aogiri», gli disse, questi scosse il capo, come se non fosse interessato.

Poi iniziò a muovere le mani e Aiko le osservò agitarsi con grazia.

Le lesse e quindi sgranò gli occhi.

Poi capì tutto.

«Quindi, come devo chiamarti? Yamoto va bene?»

 

 

 

Continua.

  
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