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Autore: Lucius Etruscus    25/08/2017    0 recensioni
Libera reinterpretazione del mitico film "I sette samurai" (1954) di Akira Kurosawa - plagiato poi per "I magnifici sette" (1960) di John Sturges - ma con i Predator al posto dei samurai. Una storia inedita ma con personaggi che strizzano l'occhio ai Predator visti in film, fumetti e videogiochi.
Un pianeta sperduto, una colonia umana aggredita da spietati Bad Blood. L'unica speranza per gli umani: sette guerrieri senza onore...
Genere: Azione, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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LV-617

Di nuovo, la lancia colpì l’acqua senza alcun risultato.

Jungle si stava deprimendo sempre di più, eppure l’atterraggio su LV-617 era stato abbastanza tranquillo, con giusto qualche ruzzolamento in cabina dovuto al fatto che nessuno aveva pensato ad infilarsi le cinture di sicurezza. Secondo i piani erano atterrati nei pressi di un’oasi in cui avevano potuto fare il pieno d’acqua, ma il problema del cibo aveva spinto Jungle ad un insano proposito: pescare come faceva un tempo, cioè infilzando i pesci con un bastone di legno.

«Sicuro che sia possibile farlo?» chiedeva sarcastico City Hunter, che beveva di gusto davanti al compagno per il semplice gusto della polemica. Non aveva più sete, ma visto che l’altro lo aveva rimproverato di sprecare acqua, ora, che di acqua ce n’era a bizzeffe, gli piaceva ostentare un inutile spreco.

«Lo facevo sempre, durante le mie stagioni di caccia su altri pianeti», borbottava Jungle, sapendo che non avrebbe dovuto cedere alla provocazione ma era troppo forte la voglia, anzi l’esigenza di mettere in chiaro che era stato un grande cacciatore. «Solo che sono passati anni e forse ho perso un po’ di pratica.»

Non esisteva alcun “forse”: più Jungle mancava clamorosamente i pesci nel ruscello, più era evidente che nemmeno assomigliava al guerriero che era stato un tempo. Né i suoi riflessi né la sua vista lo aiutavano, ed era una consapevolezza amara da acquisire, soprattutto all’inizio della missione più pericolosa della sua vita. Una missione che avrebbe esitato ad accettare già quando era in piena forma. Va bene dare la caccia agli insetti umani, che fanno tanto rumore e poco altro, ma aggredire un proprio simile, per di più un noto criminale spietato e in piena forma... No, non doveva pensarci: ormai non si poteva tornare indietro e quindi riflettere troppo era inutile.

Nel successivo colpo Jungle mise tutta la forza che aveva, schizzando acqua ovunque. Senza ovviamente alcun successo.

«Però!» disse divertito City Hunter. «Questa sì che è una tecnica nuova: prendere pesci facendoli morire di paura.»

~

«Ecco il fumo: vai qui.»

Achab si stava infervorando e premeva il dito sullo schermo del computer come se questo potesse servire a qualcosa. E pensare che solo qualche minuto prima aveva cercato un luogo appartato per riposarsi dallo stress del viaggio. Ufficialmente avevano concordato qualche ora di riposo all’oasi per fare rifornimento di acqua e cibo prima di partire per la missione, ma in realtà sognava di chiudere gli occhi qualche minuto per scaricare la tensione. Quando Machiko l’aveva trovato e svegliato discretamente – facendo apposta rumore nelle vicinanze così da non doverlo svegliarlo di persona – dicendogli che c’erano novità che doveva vedere, tutto lo stress e la tensione erano tornati. Più forti di prima.

Falconer manovrava con maestria il suo joystick mentre il suo drone volava fra gli alberi alti di LV-617. Era stata Machiko a consigliargli di rimanere vicino ai rami, anche se c’era il concreto pericolo che il drone rimanesse incastrato: era peggiore il pericolo che, volando da solo nel cielo, qualche sentinella o radar Yautja potesse individuarlo. Si era rivelato un timore più che fondato.

Mentre il drone si avvicinava al punto indicato da Achab, la situazione si faceva sempre più chiara. Il fumo che Falconer aveva scorto in lontananza si era rivelato essere proprio quello che era più scontato che fosse: il fuoco di un bivacco.

«Magari sono coloni in campeggio che non hanno saputo dell’aggressione di Wolf.»

Falconer snocciolava ipotesi a raffica per spiegare quel bivacco, mentre Achab e Machiko rimanevano in silenzio: era inutile arrovellarsi prima di saperne di più.

«Magari sono...»

«Magari potremmo aspettare che il tuo giocattolo si avvicini di più, che ne dici?» lo interruppe seccato Achab.

Falconer mandò giù il boccone amaro e continuò a manovrare il suo drone con un broncio stampato sul viso. La telecamera si avvicinava lentamente per non dare nell’occhio, ma era ormai chiaro costa stesse riprendendo: la snella astronave che giaceva dietro il bivacco non lasciava dubbi sulla razza dei “campeggiatori”. Erano Yautja.

«Magari sono sentinelle di Wolf», bofonchiò Achab, che non si rese conto dell’occhiataccia che ricevette da Falconer: quindi ora si possono fare ipotesi?, sembravano chiedere i suoi occhi.

«A trenta chilometri dalla colonia? Ne dubito», rispose Machiko.

«Magari è una pattuglia in ricognizione che batte le vicinanze per scoprire se ci sono altre colonie umane.»

Le immagini, sempre più ravvicinate e dettagliate, mostravano uno Yautja davanti al fuoco, plausibilmente a cucinare della selvaggina, e altri due che discorrevano animatamente. Era una scena molto familiare a tutti: quando si cacciava in gruppo, c’era sempre il momento in cui si raccontava come si era acciuffata una preda, e di solito era anche il momento in cui si abbelliva parecchio la propria impresa.

«Non sembrano dei criminali spaziali», azzardò Falconer, per il solo gusto di riprendere il fiume delle sue ipotesi.

«E se fossero altri “noi”?» chiese d’un tratto Machiko. «Cioè altri guerrieri che vogliono ricoprirsi di gloria affrontando Wolf?»

Quella era decisamente l’ipotesi peggiore: arrivare così vicino alla redenzione e alla gloria... per lasciarsela sfuggire sotto il naso... Bisognava fare qualcosa, e anche in fretta.

«Non mi importa chi sono», disse Achab d’un tratto serio, alzandosi in piedi e fissando il monitor con sguardo minaccioso. «In ogni caso dovremo farli fuori.»

~

«Non sembri più l’oste di Anderson City, esperto di vini e risse da bar.»

Jungle stava stuzzicando l’amico Achab semplicemente per non dover ammettere di sentire montare la paura dentro di sé: ammazzare altri Yautja era un passo decisamente grande, e rendeva maledettamente reale la missione. Quella missione che finora stava vivendo quasi come un sogno.

«Grazie al drone ne abbiamo visti tre», stava dicendo Achab con voce tonante alla volta dei compagni raccolti intorno all’entrata dell’astronave. «Ma non escludo che ce ne possano essere altri dentro l’astronave. Stanno per mangiare e in circa mezz’ora di cammino, al massimo un’ora, dovremmo raggiungerli: è una coincidenza troppo perfetta per non approfittarne.» Guardò gli altri negli occhi. «So che avreste voluto riposarvi di più e che non abbiamo trovato molte scorte di cibo», al che Jungle abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa per non aver pescato neanche un pesce, «ma dobbiamo metterci in marcia subito così da piombare su di loro mentre stanno mangiando o meglio ancora mentre stanno digerendo.» Poi si rivolse a City Hunter. «Come stiamo con i bagagli?»

Lo Yautja annuì. «Tutti caricati su quella... com’è che si chiama?» chiese rivolto a Machiko.

«Jeep», rispose la donna.

«Tutti caricati sulla jeep», riprese City Hunter alla volta di Achab. «Non è che abbiamo poi molto da portarci appresso.»

«Bene, perché avvicinarci con la jeep è troppo rischioso: quell’affare fa un rumore d’inferno, la useremo solo fino a metà strada poi dovremo portare le armi in spalla. Non abbiamo a che fare con una banda criminale che si sente al sicuro ed è distratta: questi sono plausibilmente Yautja in missione, quindi ben attenti a ciò che li circonda. Solo avvicinandoci in assoluto silenzio potremo prenderli di sorpresa e...» Achab si prese una pausa e guardò in faccia tutti i compagni. «E faremo una prova prima dello scontro con Wolf. Da anni nessuno di noi combatte sul serio, sul campo, quindi uccidere questi Yautja sarà un test per capire se siamo ancora in grado di assomigliare a dei guerrieri.»

«E se non lo siamo?» si ritrovò a chiedere Scar.

Tutti si voltarono a fulminarlo con gli occhi. Achab, dopo qualche attimo d’esitazione, rispose con tono grave. «Allora siamo già morti.»

~

Avvicinarsi in silenzio al bivacco Yautja fu decisamente più impegnativo di quanto ognuno pensasse. Muoversi in silenzio nella foresta era in pratica impossibile: sembrava che già l’atto stesso di respirare facesse muovere foglie e cespugli facendo rumori che qualsiasi cacciatore avrebbe notato.

Per fortuna al loro arrivo gli Yautja stavano ancora mangiando intorno al fuoco, quindi potevano contare su un minimo di distrazione. Erano rimasti in tre, notò Achab, quindi probabilmente la fortuna del guerriero gli era favorevole.

Giunti nelle vicinanze, secondo il piano che Machiko aveva illustrato loro, i sette si separarono in gruppi per poter accerchiare l’accampamento. Era una mossa rischiosa, perché era più alta la possibilità di fare rumore e attirare l’attenzione dei nemici, ma era necessario per poter sferrare attacchi da più punti.

Scar si rese conto che sebbene nella propria testa si sentisse pronto, nella realtà non lo era affatto. Era più facile che mettesse il piede nel punto sbagliato, dove cioè facesse più rumore possibile. Per questo fu affiancato a Jungle, che almeno non aveva perso la capacità di muoversi silenziosamente nella foresta. Lui cercava di guidare il giovane indicando in silenzio i punti giusti dove posare i piedi, ma Scar aveva una esasperante mancanza di capacità mobile: sembra naturalmente portato per i movimenti più sbagliati.

I due girarono intorno alla radura dove gli Yautja si erano accampati e Jungle non si nascondeva il fatto che portarsi dietro quel produttore naturale di rumori molesti significava di sicuro attirare l’attenzione dei cacciatori, ma in fondo era questo il compito di loro due: fare rumore per nascondere i propri compagni pronti all’attacco.

Ad un certo punto, mentre entrambi fissavano tesi i tre Yautja che mangiavano e chiacchieravano, da un cespuglio esplose fuori un cinghiale. In realtà solo dopo Jungle si rese conto che era un cinghiale, perché in quelle frazioni di secondo che seguirono il violento ed assordante rugliare dell’animale si vide solo un’ombra che si muoveva veloce come un fulmine. Ma anche l’istinto di Jungle era veloce, malgrado il suo corpo fosse fuori forma: prima ancora di capire cosa stesse succedendo, ogni muscolo del suo corpo si contrasse, ogni nervo e ogni tendine ricordò il passato glorioso e le sue potenti braccia scattarono: afferrò il cinghiale per il collo e glielo spezzò con un solo gesto delle mani. I suoi muscoli dovettero attingere ad ogni briciolo di forza rimasto in corpo, ma quando Jungle capì cosa aveva fatto d’istinto, rimase piacevolmente colpito: forse non era poi messo così male come pensava...

L’urlo del cinghiale fece quello che avrebbero dovuto fare Jungle e Scar: attirare l’attenzione dei tre Yautja. Questi infatti si erano immobilizzati ed ora guardavano nella loro direzione. Dopo qualche attimo uno prese il fucile che aveva posato di fianco, si alzò e lentamente fece per avvicinarsi alla postazione dove rimanevano nascosti Jungle e Scar, che iniziarono a pregare che il piano di Machiko funzionasse. Quando lo Yautja si fermò e iniziò a mirare con il proprio fucile verso la loro direzione, i dubbi sulla funzionalità del piano si fecero pressanti.

Jungle stava per ordinare a Scar la fuga quando un colpo secco, indistinguibile dai tanti rami spezzati dai piedi del giovane Predator, mise fine al pericolo: la testa dello Yautja con il fucile esplose, lasciando solo la mascella a penzolare, mentre il corpo ci mise qualche istante a iniziare la rovinosa caduta. Uno dei fucili che avevano scelto nel magazzino di Anderson City era un’arma da cecchini, che Machiko sapeva usare molto bene: a quella distanza ravvicinata un qualsiasi fucile sarebbe andato bene, ma così era anche meglio perché la donna poteva tenersi più riparata per sparare.

Gli altri due Yautja scattarono in piedi e cercarono di raggiungere l’astronave, probabilmente per afferrare le proprie armi pesanti, ma City Hunter e Berserker piombarono su di loro ad impedirglielo. I due erano scattati fuori dai cespugli nel momento esatto dello sparo, così ero potuti piombare sui due Yautja mentre ancora questi erano distratti. La mano monca di City Hunter non era assolutamente un impedimento, quando con quella buona imbracciava un lungo coltello dalla lama a doppia punta, utile quando era necessario non fare troppo rumore: sgusciò alle spalle della sua vittima e fece scattare la sua lama a tagliarne la gola, e per impedire un qualche ultimo gesto di aggressione afferrò il collo con il braccio monco mentre con l’altra mano continuò a pugnalare lo Yautja ai reni, per spezzare ogni possibilità di reazione in attesa della morte.

La gola fu il bersaglio anche di Berserker, ma l’ardimento del giovane lo portò a colpire la vittima con un pugno potentissimo, che impedì all’avversario di urlare o anche solo di respirare. Dopo altre due tecniche al volto, per creare confusione e spiazzamento, Berserker si portò alle spalle della vittima, che non riusciva più a respirare, si avvinghiò al suo collo e premette finché non lo sentì cedere con un crack secco.

Secondo quanto si erano ripromessi, nessun rumore molesto si alzò dal campo. Se ci fossero stati altri Yautja in giro, molto probabilmente non si sarebbero resi conto di nulla.

Intanto Achab e Falconer si erano avvicinati velocemente all’entrata dell’astronave. Secondo il piano, il tracker fece entrare il suo drone così da scoprire quanti altri Yautja ci fossero dentro, sperando non fossero troppi. Achab stringeva un fucile umano di cui non era proprio sicuro conoscesse il funzionamento: nel caso avrebbe preferito affrontare a mani nude uno o due Yautja, contando sull’aiuto degli altri compagni. Nei primi secondi concitati il drone non mostrò nulla, facendo sperare nella fortuna del guerriero: l’astronave sembrava vuota. D’un tratto però il segnale si interruppe.

«Cazzo!» sibilò Falconer.

«Che succede?» sussurrò Achab.

«Forse ha sbattuto su qualche paratia...» Falconer scosse la testa, «ma molto più probabilmente il drone è stato intercettato da qualcuno.»

I due si guardarono con apprensione... quando una voce gelò loro il sangue.

«E tu che cazzo ci fai qui, Achab?»

E dal buio dell’astronave fuoriuscì Celtic.

~

Achab fissava allibito l’amico. «Celtic?» Non riuscì a trovare altro da dire.

Il grande Yautja si guardò in giro e vide subito i cadaveri dei tre suoi uomini. «Sei stato tu?» chiese all’amico. Achab rimase in silenzio, così Celtic continuò. «Hai ucciso tre Bad Blood addestrati senza provocare il minimo rumore...» Il suo viso si contorse in un largo sorriso. «Cazzo, questo è l’Achab che conosco!»

D’improvviso abbracciò l’amico, mentre quest’ultimo rimaneva immobile nel suo stupore. Intanto gli altri cominciarono ad avvicinarsi titubanti, cercando di capire perché quel pericoloso Yautja stesse abbracciando Achab invece di cercare di ucciderlo.

«Ce ne hai messo per tornare in campo», continuava a dire sorridendo Celtic. «E questi sono i tuoi uomini?» Si voltò a guardare gli altri che si stavano avvicinando. E il sorriso si smorzò. «Questi sono i tuoi uomini?» Il cambio di tono non lasciava dubbi sul calo della stima. Quando vide Machiko il sorriso ormai era scomparso. «Ma quella... è una donna umana? Achab, fattelo dire: il tuo gusto è peggiorato.»

Achab cominciò ad agitare le mani ma non riusciva a trovare niente da dire.

«Non fa niente», continuò Celtic dandogli pacche sulle spalle. «L’importante è che ci sia tu. Ho bisogno di uomini in gamba come te e in effetti, ora che ci penso, aver organizzato un’azione di questo tipo con... be’, con guerrieri di questo tipo, è segno che sei un grande condottiero.»

«Veramente il piano è mio», disse Machiko, imbracciando in modo spavaldo il fucile da cecchino.

«Ah, la donna umana parla pure la nostra lingua. Splendido...», disse con disgusto Celtic, guardando sprezzante la donna. La ignorò e tornò a rivolgersi ad Achab. «Forza, andiamo, che Wolf ci aspetta: vedrai, ti adorerà. È sempre alla ricerca di validi guerrieri come te.»

Il gelo attraversò le schiene di tutti, e finalmente Achab – fattosi subito scuro in volto – riuscì a parlare all’amico. «Che vuoi dire che Wolf aspetta? Tu... tu conosci Wolf?»

Celtic cadde dalle nuvole. «Perché sei così stupito? Quanti anni sono che ci conosciamo? Gestisco Bad Blood da anni: secondo te posso non conoscere il più famoso di loro?»

«Quindi non sei qui per... per ucciderlo.»

Celtic era sempre più confuso. «Perché mai dovrei ucciderlo?»

Achab già sapeva che quanto stava per dire era oltremodo stupido, in quella situazione, ma lo disse ugualmente. «Per l’onore...»

Celtic scoppiò in una sonora risata, ed abbracciò l’amico. «Non so che strani discorsi ti sei fatto nella mente, Achab, ma non ricordo più cosa sia l’onore, da tanto tempo. Wolf ed io siamo amici da sempre, da...» agitò le mani come a cercar di ricordare, «da quella volta, come si chiamava quel pianeta...? Dài, ti ricordi quella missione...?»

Achab non mosse un muscolo. Avrebbe dovuto saperlo da sempre, o per lo meno avrebbe dovuto sospettarlo, e forse era questo che d’un tratto gli spezzò il cuore: l’essere stato così stupito da non averlo capito prima. Parlò quindi con voce tagliente. «Da quella volta che ci vendesti tutti per fare un favore a Wolf.»

Il silenzio crollò pesante fra i due. Ogni volta che Achab pensava a quando aveva perso l’onore, in quella missione in cui aveva guidato i propri uomini al massacro, si focalizzava solo sui propri errori... non aveva mai, neanche per un attimo, pensato che la missione era stata sabotata da Celtic. Dal suo amico fraterno. Da un Blooded Warrior come lui.

«La missione non aveva speranza, Achab» disse Celtic sulla difensiva. «Che senso aveva morire inutilmente? Lo ammetto, avvertii Wolf così da avere salva la vita... io e te.»

«Lo fai sembrare come un gesto d’amicizia», disse gelido Achab.

«Lo era. Ti ho sempre considerato mio amico, e così ti presenterò a Wolf: come un amico.»

«E se invece io volessi ucciderlo, Wolf?»

Celtic guardò per qualche istante l’amico, come a cercar di capire se stesse parlando seriamente. «Tu insieme a chi altri? Magari a questi quattro catorci? Sii serio, amico mio.»

«Non sono tuo amico.» Nella voce di Achab stava montando la furia di tutti i compagni uccisi, torturati, massacrati perché Celtic aveva sabotato la missione. E c’era anche tutto il tempo in cui Achab si era sentito una nullità per il senso di colpa. «Come immagino non fossero tuoi amici quei tre guerrieri che abbiamo ucciso.»

«Che c’entrano loro? Ovvio che non fossero miei amici, semplicemente lavoravano per me.»

«Eppure non sembri seccato per la loro morte: questo la dice lunga su quanto tu stimi la vita altrui.»

Celtic agitò la mano in aria. «Da quando sei diventato così mollaccione? Cosa dovrei fare, piangere per tre guerrieri morti?»

«Certo che no», sibilò Achab. «Visto che non hai avuto problemi a vendere i tuoi fratelli, figuriamoci quanto te ne freghi di tre guerrieri anonimi.»

Celtic agitò una mano in aria con fare sprezzante. «Anche sentimentale, ora... Gli umani ti hanno contagiato con i loro sentimenti, ma con me e Wolf tornerai lo splendido guerriero che eri un tempo. Molla questi vecchi arnesi e vieni con me...»

Achab cedette alla rabbia che sentiva esplodergli dentro e all’improvviso fece cadere il fucile a terra ed aggredì il vecchio amico. Lo afferrò velocemente alla gola con entrambe le mani, spingendo con tutto il corpo in avanti per farlo retrocedere... ma Celtic non si scompose minimamente.

Se non fosse diventato cieco di rabbia, Achab avrebbe valutato meglio la situazione. Celtic aveva una stazza superiore alla sua, e soprattutto non aveva passato gli ultimi anni a bere in un bar: il suo corpo non si mosse di un millimetro alla spinta che cercava di farlo indietreggiare, e il suo massiccio collo a malapena sentiva le mani che cercavano di stringerlo. Proprio a dimostrare quanto inutile fosse quell’attacco, Celtic parlò con voce normale, per nulla disturbata dal tentativo di strangolamento: «Mi stai deludendo, Achab.»

La dimostrazione di quanto il suo sforzo fosse inutile fece impazzire di rabbia Achab, che iniziò a sferrare pugni sul volto del vecchio amico, che incassò come se fossero punture di zanzara.

Gli altri cominciarono a guardarsi con occhi gravi: era uno spettacolo terribilmente umiliante, ma era impossibile intervenire. «Forse dovremmo...» bisbigliò Scar ma Jungle lo zittì prontamente. «Non possiamo fare niente», bisbigliò. «Intervenire sarebbe ancora più umiliante per Achab.»

Mentre incassava pugni senza battere ciglio, Celtic fissava il vecchio amico con sguardo grave. «Temo che vivere con gli umani ti abbia fiaccato più di quanto immaginassi. Ormai sei il fantasma del guerriero che ho conosciuto anni fa.»

Achab finalmente si fermò, sfiancato e con il fiatone. Teneva il viso basso mentre ansimava, e finalmente fra un respiro pesante e l’altro tornò a parlare. «Ti ringrazio, Celtic...» Parlava vistosamente a fatica. «Il mio piano, una volta davanti a Wolf, era di ucciderlo a mani nude così da guadagnare più onore.» Deglutì e alzò il viso a guardare gli occhi dell’altro. «Ora so che mi è impossibile, e grazie a te l’ho scoperto per tempo.» Infilò una mano nella tasca posteriore della sua cintura e la piccola lama tagliente che ne estrasse brillò per un secondo alla luce del giorno... prima di affondare nella gola di Celtic.

Il gesto di Achab fu rapido e fluido, perché gli anni passati nei bar se da una parte gli avevano fiaccato il fisico, da un’altra gli avevano insegnato come uscire vivo da scontri con avversari molto più forti di lui. La stazza e i muscoli non possono nulla contro la fragilità della gola, e una lama affilata poteva risolvere anche la situazione più difficile. Non era un soluzione onorevole, era roba da taverna e non certo da guerrieri, ma il problema ormai non si poneva: Achab non era più un guerriero da tanto tempo.

Malgrado l’espressione stupefatta degli occhi di Celtic, il grande Yautja rimase in piedi a lungo cercando di respirare, e soprattutto di parlare, senza riuscirci.

«Mi spiace d’averti deluso, ma sapessi quanto tu hai deluso me», gli disse Achab senza più rabbia nella voce. «Io non sono né sarò mai un Bad Blood, perché io non tradisco i miei fratelli.»

Celtic morì in piedi e in modo composto, come un guerriero. E gli altri assistettero in silenzio in segno di rispetto.

Solo quando il corpo del vecchio amico si accasciò a terra e smise di tremare, allora Achab si voltò verso gli altri, che in quel momento cercarono di assumere facce neutre e non mortalmente dispiaciute per aver assistito ad una scena così umiliante per il loro capo.

Achab li guardò serio ma poi sorrise, teso. «Questa, casomai, nella ballata delle nostra impresa non la inseriamo.»

   
 
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