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Autore: AnnabethJackson    26/08/2017    2 recensioni
Sono passati sei anni da quando Percy ha lasciato bruscamente Annabeth, e lei ancora non sa perché. Scappata in California, la ragazza ha voltato pagina, mentre lui deve pagare ancora le conseguenze del suo errore. Nessuno dei due ha dimenticato. Ma entrambi non sanno che chattano l'uno con l'altro ogni giorno da tre mesi nascosti dietro i nomi di "AtlanticBoy16" e "WiseGirl210".
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Dal testo:
"Stavo con lui da quando avevo 16 anni. Avevamo raggiunto quasi i dieci anni di fidanzamento, quando all'improvviso lui aveva rotto con me. Non conoscevo il motivo e probabilmente non l'avrei mai saputo.
Lui aveva preso le sue cose e se ne era andato dal nostro piccolo appartamento, non facendosi più sentire.
Beh, non gli abbia mai dato una chance.
Avevo impacchettato le mie cose anche io e, con le lacrime agli occhi, ero salita su un taxi con un biglietto aereo appena comprato in mano.
WiseGirl210: Non lo so. Credo che traslocherò. Non so dove, ma devo assolutamente andarmene da qui.
AtlanticBoy16: Buona fortuna allora, ragazza intelligente. Il trasloco può essere difficile... non che io mi sia mosso dopo il College.
Stavo pensando a cosa rispondere quando il citofono"
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa è la traduzione della soria You've got mail” pubblicata su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”.
Il permesso di tradurre mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo).
Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.







 
You've got em@il
 

Capitolo 9
 

ANNABETH
  

Gli occhi di Rachel scorrevano avidamente lungo le parole illuminate sul mio laptop, cercando di capire perché fossi così nervosa quando ero arrivata per il nostro pranzo.
Onestamente, non ero affatto nervosa.
Ero terrorizzata.
Nelle ultime settimane non avevo smesso un secondo di pensare a lui e non vedevo l’ora di conoscerlo dal primo momento in cui avevo iniziato a parlare con AB. Ma, ora che stavamo per conoscerci, il mio cervello aveva cominciato a dare i numeri.
E se AB era uno killer psicopatico?
E se tutto quello era solo una scommessa con i suoi amici, in cui doveva far innamorare una ragazza attraverso internet?
E se… E se AB fosse stato Percy?
La notte scorsa avevo avuto un incubo terribile, uno dei peggiori di sempre.
Se chiudevo i miei occhi troppo a lungo, potevo vederlo ancora lì, con addosso la vecchia maglietta del college che mi svelava chi fosse realmente AB. Era così realistico… E continuava a sembrare perfetto, come sempre.
La parte peggiore era che combaciava!
Un figlio di nome Noah. Una donna pazza come madre del bambino. Aveva tutto senso… Ma sentivo che stavo prendendo una grossa cantonata.
Perché Percy era… cattivo.
Assolutamente senza cuore.
Mi aveva ingannato. Me! Non solo aveva avuto una storia clandestina, ma anche un figlio. E ora se ne andava in giro come se fosse un padre modello che aveva sacrificato tutto per suo figlio quando invece era entrato nella vita di Noah solo quando il piccolo aveva un anno o poco più.
Mentre AB…
Lui amava suo figlio. Era lì a ogni appuntamento dal ginecologo, a ogni ecografia e aveva lottato per la custodia di suo figlio. Quel ragazzo non mi avrebbe mai ingannato.
Inoltre… pensavo che AB avrebbe potuto amarmi.
E Percy…
Non lo sapevo.
«Vi incontrerete!» Rachel sorrise, mettendola più come un’affermazione che come una domanda. «Oggi!»
La mia rossa amica mi strinse in un abbraccio stretto malgrado l’angusto spazio in cui eravamo sedute, e i miei occhi tornarono nuovamente al laptop, lanciando un’occhiata allo schermo.
Avevo solo un ora prima di incontrarlo.
«Sei nervosa?» Mi chiese Rachel sorridendomi.
Nervosa.
Nervosa non era la parola giusta.
Sei nervoso il primo giorno di scuola.
Sei nervoso prima di dare il primo bacio.
Sei nervoso quando attendi che il professore consegni una verifica particolarmente difficile.
Stavo per esporre tutto questo, ma mi trattenni.
«Sì» annuii infine, mettendo una ciocca dei miei capelli biondi dietro l’orecchio. «Uhm, non pensi che questo ragazzo sia famigliare?»
«Famigliare? Credi di averlo già conosciuto?» Rachel aggrottò le sopracciglia confusa.
Mi sentii male quando aprii la bocca per dare voce alle idee che mi frullavano in testa.
«Sai, come qualcuno che conosciamo entrambe…»
«Entrambe?»
«Qualcuno che a entrambe è… piaciuto
Gli occhi verde San Patrizio di Rachel si spalancarono in stato di shock quando finalmente capì di chi stessi parlando.
«Pensi che sia Percy?»
«Beh, ho solo… fatto un sogno…» Mi bloccai quando mi accorsi di quanto sembrasse assurdo.
«Come un sogno di un mezzosangue?» chiese Rachel sapendo che alcune volte anche i semidei potevano sognare il futuro. Ma non avevo più quell’abilità da tanto tempo ormai, da quando i miei sogni avevano cominciato a fallire.
Come il sogno dove sposavo Percy, il che non era mai successo…
«Non lo so» Scrollai le spalle mentre chiudevo il mio portatile e lo mettevo nella borsa. «Sono solo paranoica.»
«Certamente e così!» disse Rachel d’accordo.
Potrebbe non essere Percy.
Potrebbe non essere, continuai a dire a me stessa mentre raccoglievo le mie cose e mi alzavo dal tavolo del locale dove ero solita pranzare spesso da quando avevo sedici anni.
Malgrado il rischio di inciampare in Percy ogni volta che uscivo di casa, ero felice di essere tornata a New York. Amavo andare nei posti che frequentavo da giovane. Amavo uscire dal lavoro ed esplorare la città come ero facevo sempre quando ero una teenager.
Ogni volta, scoprivo qualcosa di nuovo.
Un nuovo edificio. Un nuovo negozio. Qualcosa che era stato demolito. O qualcosa che era stato aggiunto attraverso la folla di pedoni.
Le cose potevano cambiare qui. Niente era sempre lo stesso.
E mi piaceva.
Potevo iniziare da quel punto.
«D’accordo, mandami una foto, okay?» Mi sorrise Rachel. «Voglio vedere se è più sexy di persona di quello che sembra online.»
Sorrisi e le diedi una gomitata.
«Lo farò, promesso.»

 

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PERCY
 

Il mio cellulare si illuminò per l’arrivo di un nuovo messaggio.
 

Vorrei che fossi qui con noi!

-N

 

Cliccai per visualizzare l’immagine che Noah aveva scattato con la fotocamera del suo telefono. Dovetti mettere il telefono in orizzontale per poter vedere la foto che ritraeva mio figlio con JoJo a qualche fiera. Noah teneva in mano orso di peluche che era più grande di lui.
Almeno si stanno divertendo…
Salvai l’immagine nella galleria, sorridendo mentre lanciavo un’occhiata al mio orologio.
Era quasi ora d’incontrarla…
Feci scivolare il telefono nella tasca della mia giacca, pensando silenziosamente a come fosse strano che avessi già freddo in questo periodo dell’anno, e inizia a camminare verso la gelateria dove portavo mio figlio da oltre tre anni.
Non sapevo perché avessi scelto proprio la gelateria quando WG mi aveva chiesto un posto dove incontrarci, ma era stata la prima cosa che mi era venuta in mente.
E, ora che stavo pensando a quale altro posto avrei potuto scegliere, realizzai che la gelateria era veramente l’unico posto che potevo selezionare. Qualsiasi altro posto avrebbe potuto ricordarmi Annabeth. E volevo dei nuovi ricordi per WG, o qualunque fosse stato il nome.
Come poteva chiamarsi?
Alex?
Beatrice?
Cassie?
Stavo pensando ai diversi nomi quando vidi lei.
«Oh, merda.» Mi bloccai e mi nascosi dietro a una quercia del parco che stavo attraversando e mi sporsi esitante per assicurarmi che fosse realmente lei.
Decisamente.
Era Annabeth.
Era esattamente uguale a quando aveva sedici anni, assolutamente bella, anche con un paio di vecchi jeans e un maglione di Harvard. Teneva in spalla la custodia di un computer, quella che suo padre le aveva comprato anni prima. Sembrava aver fretta di arrivare dovunque dovesse andare.
Volevo continuare a nascondermi dietro alla pianta finché non se ne fosse andata. Ma anch’io avevo un posto dove dover andare.
Trattenni il respiro, ma alla fine costrinsi i miei piedi a muoversi.
Vivevo a New York da una vita e la conoscevo come le mie tasche. Non doveva essere così difficile scappare da Annabeth senza farmi vedere e prendere una scorciatoia per la gelateria. Conoscevo tutte le strade.
Il mio problema era che Annabeth aveva un’ottima memoria. Conosceva anche lei la scorciatoia e guarda caso stava per percorrere proprio quella. Ma io non potevo saperlo così continuai a camminare dritto senza alzare lo sguardo, finché non andai a sbattere accidentalmente contro un certo qualcuno.
«Oh, mi dispiace.»
«È stata colp-»
I suoi occhi grigi si spalancarono e io mi raggelai.
«Tu.» La sua mascella si strinse, ma non se ne andò subito come mi aspettavo facesse.
E io non potevo muovermi.
«Cosa ci fai qui?» Annabeth incrociò le braccia, squadrandomi lo sguardo.
«Non ho il permesso di camminare in un parco, ora?»
«No, non ce l’hai!» Annabeth agitò le braccia all’aria e io avevo il brutto presentimento che stesse per arrivare un temporale.
«Quindi cosa mi è permesso fare, se posso chiedere?»
«Non venirmi vicino!» urlò.
«Vuoi che ti metta un chip di rintracciamento così che io sappia dove non andare? O ci sono solo alcune parti della città che non posso frequentare?»
«Non fare l’idiota con me, Percy!» Annabeth alzò gli occhi al cielo.
Aveva solo detto idiota, ma una madre lì vicino coprì le orecchie del proprio figlio e lo guidò lontano da noi, lanciandoci un’occhiataccia.
«Io? Io
«Sì, tu!» gridò Annabeth, incurante di quante persone nel parco ci stessero fissando.
«Il tuo piccolo Testa d’Alghe?» sputai mentre i suoi occhi grigi si facevano duri.
«Perché no? Sei già un ipocrita! Forse faresti meglio ad aggiungere anche questo alla lista di nomi!» disse Annabeth puntandomi un dito addosso.
«Come posso essere un ipocrita
«Noah!» urlò Annabeth. «Eri così geloso quando quel ragazzo del mio ufficio aveva una cotta per me, ma nel mentre tu mi tradivi tutto il tempo! E ora te ne vai in giro come se fossi il padre migliore del mondo, anche se non sei sempre stato presente nella vita di Noah!»
«Di cosa diavolo stai parlando? Ci sono sempre stato per mio figlio e non ti permetto di affermare il contrario!»
«So ancora contare e lui ha sei anni, Percy!»
«Ne ha cinque, Genio!»
La bocca di Annabeth si spalancò e lei si ritrasse.
«Cosa?» La sua voce si fece piccola, quasi inudibile.
«Il suo compleanno è il quattordici giugno» dissi abbassando la voce, non più in grado di urlarle ancora contro.
Gli occhi di Annabeth si fecero più grandi mano e mano che faceva i conti.
No, anzi. I suoi occhi si spalancavano mentre finalmente capiva.
Non l’avevo lasciata perché mi sentivo in colpa per aver avuto in segreto un bambino. Non ero così geloso perché la stavo tradendo e quindi sapevo cogliere i segnali. Non ero distante perché sapevo che lì fuori c’era un bambino che condivideva il mio DNA e non anche quello di Annabeth.
Ero geloso perché l’amavo più di ogni altra cosa. Ero distante perché il senso di colpa per la storia con JoJo mi stava uccidendo e non sapevo come dirglielo. E l’avevo lasciata a causa di Noah...
«Ha cinque anni» ripeté Annabeth, portandosi una mano alla bocca mentre metteva insieme tutti i pezzi.
Non sapevo cosa fare.
Dovevo mantenere l’orgoglio oppure confortarla?
Dovevo continuare a spiegarle o lasciare che capisse tutto da sola?
Dovevo dirle che mi mancava o era ancora una cosa troppo sbagliata da fare?
Lei alzò lo sguardo e incrociò i miei occhi, guardandomi veramente per la prima volta da quando le avevo detto che me ne andavo, sei anni prima. Lei stringeva le labbra per trattenere le lacrime e non cadere davanti a me.
Annabeth aprì la bocca per dire qualcosa, ma si bloccò.
E poi se ne andò, nella direzione opposta da quella in cui stava andando prima che ci scontrassimo.
Estrassi il mio telefono dalla tasca.
Avevo ancora tempo se volevo incontrare WG, ma all’improvviso non potevo.
Chiusi la zip della mia giacca fino al mento dato che non avevo più bisogno di mostrare la t-shirt del college che indossavo sotto per sembrare meno vecchio, e cominciai a camminare.
Perché non mi sentivo bene?
Avevo sempre voluto dirle la verità, di dirle che quello che pensava era sbagliato. Che, malgrado non mi trovassi in una buona situazione, non ero cattivo.
Ma, prima di ora, lei poteva odiarmi con tutta se stessa. Sapeva che non solo ero stato crudele, ma che ero anche un mostro. Poteva biasimarmi per essere stato un cretino (che sotto sotto ero), e non solo qualcuno che aveva commesso un errore. Tutto avrebbe potuto finire in un altro modo.
Avrei potuto non andarmene. Avrei potuto sposarla. E Noah avrebbe potuto essere nostro figlio.
Accelerai il passo mentre cercavo di spingere via dalla mia mente quell’immagine.
Prima odiavo il modo in cui i suoi occhi grigi mi guardavano come se fossi stato Ade in persona, come se fossi stato peggiore di Ade. Come la peggior belva che poteva esistere nel sottosuolo.
Ma preferivo mille volte di più quello sguardo al modo in cui mi aveva guardato oggi.
Negli ultimi sei anni, non avevo fatto che pensare al giorno in cui avevo lasciato Annabeth, in particolare al modo in cui mi aveva guardato. Al modo in cui non sapeva se mettersi a piangere o urlare. Se odiarmi o gettarsi sulle ginocchia e pregarmi di restare. Se uccidermi o baciarmi. Ma l’unica cosa che i suoi occhi avevano mostrato era stato dolore.
Il dolore pure nei suoi occhi era stato più di quanto avessi mai visto e al pensieri mi volevo uccidere.
La sveglia del mio cellulare prese a squillare e io lo estrassi per vedere la scritta in lettere cubitali che lampeggiava sullo schermo: INCONTRO CON WG!
Premetti il tasto ignora e mentalmente iniziai a stendere una email di scuse per averle dato buca.


 

 

  
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