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Autore: Makil_    26/08/2017    7 recensioni
[Breve spin-off de "Il cavaliere e la fanciulla bionda", da poter leggere anche senza conoscere la narrazione madre.]
Ventinovesimo Anno della Guerra, Corallo Rosso, seggio della dinastia Redrock. La Guerra Grigia non è ancora esplosa. 
Renegar, patriarca della casata, vige sulla rocca con pugno fermo e una scrupolosa solerzia: il mondo, fuori, in tutta Pantagos non è mai stato tanto quieto e giocondo. Ma non c'è pace neppure nei silenzi più acuti, non c'è pace tra i compagni di vita né all'interno delle proprie dimore. E la sua famiglia lo scoprirà a tristi spese.
Cosa si nasconde dietro alla quiete di un regno su cui l'intrigo, il male e il desiderio hanno posto la loro mira? Cosa si nasconde dietro a una spada rossa, insaguinata, sporca di odio e rancore? E cosa dietro alla nomea di un uomo che tutti hanno follemente considerato assassino prima che padre e marito?
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Premessa by Makil_: 
 
  • ​Questa storia non ha nulla a che vedere con i fatti accaduti e narrati ne "Il cavaliere e la fanciulla bionda", opera cui è subordinata e che trovate nella mia home. 
  • Questa storia non è il seguito de "Il cavaliere e la fanciulla bionda", che - per chi se lo fosse chiesto - è in fase di stesura, ma a buon punto. Per cui, non ci sarà nessun Bartimore di Fondocupo, né alcun patres Steffon.
  • I fatti narrati ne "Spada rossa, cuore bianco" sono da collocare nel 29 AG, a dispetto di quelli narrati ne "Il cavaliere e la fanciulla bionda" del 31 AG. 

  
Per l'ultima volta, buona lettura! ^^


 

Cap. IV – La fine dei giochi
 
 
Erano ben cinque le porte d’ingresso alla Rocca Rossa, ma solo una, col riverberare dell’alba, spiccava in mezzo a tutte le altre. Era la porta dedica a Rewerd Re dei Salici Rossi, uno dei primi figli dell’emblematico patriarca della casa Redrock, colui che aveva conquistato le due diramazioni occidentali del Wyndwater con memorabile sagacia e una strategia infallibile.
Il chiarore dei flebili raggi solari che si faceva spazio tra le vetrate di un piccolo atrio non bastava a lenire il rumore dei cardini vecchi e logori dei battenti di quella porta. Il suo schiudersi fu come il crocchiare di un corvo dalla voce rauca, come il formicolio insano di un arto fantasma.
Quando si aprì, il calore di un sole splendente irruppe in ogni angolo della stanza, abbagliando l’atrio con la sua focosa energia.
Lemmon Redrock non era stato destato da quella magnifica alba, ma dal suo ferreo senso del dovere, lo stesso che non gli aveva permesso di chiudere occhio che per due ore o poco più durante l’intera notte. Quello che si prospettava di fronte alla Rocca Rossa era senz’altro uno dei giorni più importanti dell’ultimo mese.
Era stato suo zio Renegar a dargli l’incarico e l’autorità di occuparsi di accogliere la staffetta  col sorgere delle prime luci. Lemmon non aveva esitato neppure per un secondo: se c’era una cosa per cui credeva di essere nato, era il suo profondo e spiccato senso dell’opera. Non puntava certo ad addolcire suo zio per ottenere da lui qualcosa in cambio; no, non c’era nessun tornaconto nel suo operato. A Lemmon piaceva mettersi in mostra per quel che davvero desiderava: far vedere al mondo quanto fosse legato alla sua famiglia, quanto a cuore avesse la situazione dei suoi parenti e quanto prestigioso e ligio al dovere fosse il suo animo, specie quando si trattava di servire suo zio. Tutte caratteristiche che avrebbero fatto di lui un ottimo sovrano, almeno secondo il parere affrettato della sua ormai dipartita madre.
Per quell’occasione, Lemmon aveva fatto in modo che anche il suo aspetto fosse il più decoroso possibile. Quel giorno aveva indossato un curatissimo farsetto trapuntato color mandarino, un paio di brache di lana scura, due stivaletti alti e neri dalla punta affusolata e un lungo mantello color oro rifinito nei dettagli con delle cuciture lattee. Al bacino, da una cintola di spesso cuoio ornata di dettagli dorati, pendeva un pugnale dalla lama molto fine. La notte precedente, probabilmente perché colto dall’insonnia, si era dedicato anche alla cura del suo aspetto fisico. Non solo aveva fatto un bagno caldo e colmo di vapori sufficientemente riscaldati, ma si era anche preso la briga di accorciare la sua barbetta rossa e i suoi capelli. Se il giorno prima aveva vantato di essere un ventottenne, quel dì  avrebbe potuto correre per i corridoi della Rocca annunciando di essere ringiovanito di ben dieci anni.
«Mio signore». Ser Warnick Garasbour si esibì in un profondo inchino e si avvicinò.
«Puoi chiamarmi Lemmon, ser Warnick, se ti compiace» gli confidò. «Mio malgrado, sono ancora sovrano di niente e nessuno.»
«Mi assicurerò di farlo la prossima volta». Ser Warnick inarcò il suo folto sopracciglio. «Bel farsetto, comunque. Un nuovo acquisto, non è così?»
«Diciamo che sto dando un po’ di voce al mio scarso gusto nel vestire. Begli indumenti, in rare occasioni, fanno begli aspetti.»
Ser Warnick annuì e sorrise. «Il giovane è appena giunto alle porte.»
Lemmon si resse ad una scanalatura del mastodontico infisso e si esibì in un largo sorriso a trentadue splendidi denti.  «Era pure ora che arrivasse. Stavo iniziando a temere che fosse affondato in acqua nella traversata in mare.»
I due battenti del portone erano stati costruiti con legno proveniente dalla stessa radura in cui Rewerd Re dei Salici aveva innalzato i suoi accampamenti durante la presa del fiume della regione. Il legno era stato immerso in una colata di tintura porpora che aveva saputo resistere negli anni senza sgretolarsi minimamente dopo essersi essiccata, ma le sue scanalature e i bassorilievi creati nei due battenti erano ancora ben più che evidenti anche sotto i vari strati di vernice.
Dopo appena cinque minuti, il sonoro tonfo dei passi di un fiero purosangue bianco risuonò sui sassi del sentiero. L’emissario – un tale Willy, l’accolito di matres Amadya – aveva viaggiato in sella a quel cavallo fino all’estremo Nord, diretto all’Accademia, su ordine di suo zio Renegar. Erano passati due mesi da quando l’accolito aveva deciso di imbarcare sulla galea che lo aveva trasportato sulla sponda meridionale della Punta, presso il porto di Grande Marea. Il giorno in cui la sua partenza era stata decisa era stato un giorno di tempesta e pioggia, esattamente il dì dopo l’arresto di patres Lorenol. Forse, gli dèi si erano infuriati a tal punto da scagliare su di loro un tenebroso temporale, stizziti a causa dell’affronto avanzato da quell’esperto.
«Invia il tuo accolito all’Accademia, matres Amadya» aveva detto fiero Renegar Redrock nel suo solarium. La sua decisione, non discussa con nessuno, era stata irremovibile. Lemmon ricordava ancora il barlume di fiamme focose che aveva scorto luccicare nei suoi occhi infiammati dalla rabbia. Quella di suo zio non era stata certamente una proposta.
«Come comandate, mio signore». Prima di congedarsi, la matres si era voltata un’altra volta, il dubbio e la perplessità incanalati nei suoi lineamenti anziani. «Willy avrà bisogno di una cavalcatura, tuttavia.»
«Avrà il mio cavallo migliore.»
Il viaggio era durato anche abbastanza. Era ora che quel ragazzo tornasse, dopo essersi rimpinzato di nuove e fresche risposte provenienti dal Supremo Patres in persona. La richiesta di Renegar era stata folle anche per le orecchie di Lemmon. Indubbiamente, aveva pensato sentendola, sarebbe stata rifiutata come una lisca senza carne consegnata come prima portata di una cena regale.
L’emissario lasciò le redini del suo cavallo in mano a ser Warnick, il quale si era prontamente recato ad assisterlo fuori dalla Rocca. L’accolito scese da cavallo con un salto e si incamminò verso il portone.
«Mio signore Lemmon». Willy fece un inchino. «La cavalcata è stata molto stancante. Devo avere un paio di vesciche su tutto il fondoschiena e lungo la coscia destra.»
Lemmon lo guardò a lungo. I segni di una permanenza lunga sulla sella erano veramente evidenti in tutto il suo corpo aggobbito e tra i suoi abiti stropicciati. «Mi auguro che tu possa riposarti quanto prima, Willy. Ma c’è altro a cui dover pensare adesso… questo lo sai bene.»
Willy scosse il capo e lo guardò con soggezione. Una paura fanciullesca prese il sopravvento nei suoi occhi mentre lui continuava a fare cenno di no col capo. «Purtroppo non c’è stato niente da fare.»
Lemmon si lisciò il farsetto con la sinistra e passò la mano nel tessuto fino a stringerlo. “Il loro primo passo verso il grande inferno di fuoco. Renegar impazzirà”. «Ser Warnick, per cortesia.»
Il cavaliere si voltò di scatto, lasciando la presa delle redini dello stallone nero. «Ai vostri comandi, Lemmon. Ai tuoi
“Il primo stivale è calzato. Chissà dove verrà posto l’altro piede!”. «Sveglia gli esperti e chiama a raccolta qualche tuo buon fratello giurato». Lemmon lo guardò con un’espressione mista tra lo scombussolato e il frastornato. «Dobbiamo convocare immediatamente il concilio.»
 
La luce del sole penetrava nella sala quadrangolare da ben cinque bifore, una delle quali grande il doppio delle altre e collocata alle spalle di uno scranno regale. Ospite di un cielo chiaro e turchiniccio come il mare dopo la pioggia, il luccichio dei raggi solari si faceva spazio nella stanza come le ciglia dell’occhio di una donna, accarezzando ogni oggetto ed ogni viso su cui osava posarsi. 
Renegar Redrock era baciato da tutta quella luce mattinale, ma nulla riusciva a illuminare veramente quel volto incupito e buio. Nelle ultime settimane, benché sia sua figlia che sua moglie si fossero risvegliate, incitate dall’ottima opera che aveva fatto l’incantatore Lynn, suo zio non aveva fatto altro che pensare e ripensare a tutti i possibili modi in cui avrebbe potuto ottenere vendetta. Non aveva fatto parola con nessuno di quel che aveva ascoltato nei sotterranei, quando era andato a far visita al suo prigioniero, ma il suo aspetto e la sua inconfessata rabbia avevano destato la curiosità di molti, Lemmon compreso. Certo era che Renegar Redrock avesse saputo qualcosa di incredibilmente importante e di dannosamente incriminante e sporco, poiché l’uomo che entrato nelle segrete non era lo stesso che ne era venuto fuori.  Conosceva bene suo zio, e sapeva altrettanto bene che non si sarebbe mai scrollato di dosso un’offesa, di qualsiasi genere e natura essa fossa, poiché voleva significare davvero tanto per lui. Avrebbe dato alle fiamme ogni ala del suo castello, se questo fosse servito a cancellare l’onta che patres Lorenol aveva commesso e il peccato di cui aveva macchiato l’intera genia Redrock, passata e futura.
«Zio, sai che puoi benissimo confidarmi tutto quello che sospetti. Il sangue della nostra casa è stato rovinato dall’odio smisurato di un uomo che non sa neppure quanto veramente valiamo» aveva detto Lemmon camminando al suo fianco in uno dei corridoi che conducevano al suo studio. Le sue intenzioni erano consolatorie e prettamente amichevoli. «Comprendo la difficoltà del momento, ma in me potrai sempre trovare un valido assistente ed un ottimo ascoltatore. In qualsiasi momento tu…»
«Chiudi la bocca, Lemmon». Renegar gli aveva riservato un’occhiata che suo nipote non aveva mai scorto nel suo volto, nemmeno quando, in età più immatura, gli aveva rovesciato addosso tutto l’olio bollente di una lanterna accesa, macchiandogli irrimediabilmente le brache e gli stivali. «Non voglio che si parli più di questo argomento, in mia presenza così come in mia assenza. Le voci che restano solo voci fanno presto a scomparire.»
Da allora Lemmon non aveva più osato aprire quella conversazione, e si era disposto affinché nessun uomo nel castello lo facesse in sua vece.
Lemmon sedeva alla sinistra di Renegar, sul lato del tavolo opposto a quello in cui sedevano già matres Amadya e il suo accolito Willy, vestito ancora degli stessi abiti di cui era provvisto al suo arrivo. L’esperta che serviva indossava una veste color sabbia con un soprabito turchese. I suoi gusti nel vestire senz’altro erano pessimi. “Potrebbe soffrire di cecità” terminò col pensare Lemmon. “O potrebbe essersi vestita che la sua camera era ancora al buio.”
Accanto a Lemmon aveva preso posto ser Warnick Garasbour, il quale, a sua volta, sedeva alla destra di ser Gilbert di Bale, un cavaliere anziano che aveva perso cinquantadue anni della sua vita a servire un ser più potente di lui in qualità di scudiero. Quantomeno, il suo servizio, a sentirlo parlare, lo aveva formato a dovere.
Il concilio stava attendendo l’arrivo di patres Worgan, al quale era stata riservata una seduta accanto all’accolito Willy.
“Il suo ritardo non farà che indispettire ulteriormente Renegar”. Lemmon rivolse uno sguardo indagatore allo zio, il quale aveva già iniziato a digrignare istericamente i denti, pressandosi le tempie con gli indici. “E non ha nemmeno tutti i torti.” Un conto era non arrivare in tempo ad un concilio in cui si discuteva del ribasso della moneta, del prezzo del grano, della quantità di risorse primarie e della disposizione dei possedimenti terrieri, un altro, invece, ritardare ad una riunione tanto rilevante.
Anche ser Gilbert iniziò a lamentare il ritardo del patres, non facendo altro che appiccare fiamme nel braciere che Renegar stava allestendo e su cui stava strofinando due pietre focaie. Se c’era una cosa che si poteva rimproverare al ser di Bale – forse una che non aveva saputo forgiare col suo servizio di scudiero – era la sua sproporzionata incoscienza.
«Avrei dormito un po’ di più» bofonchiò a denti stretti ser Gilbert. «Se avessi saputo che la puntualità non viene regolata in alcun modo in questo maledetto concilio.»
“Hai appena impugnato il badile con cui ti impegnerai a scavare la tua fossa, mio caro, vecchio ser senza cervello.”
Renegar sollevò appena la testa. «Nessuna catena di lega al tuo sedile, ser Gilbert. Se desideri che il tuo nome venga depennato dalla lista di questo concilio, alzati e va’ pure via. Non impiegherei molto a farti tornare a leccare gli zoccoli del cavallo di quel tuo ser a cui avevi prestato giuramento di fedeltà e a cui non mancavi di strisciare accanto.»
Ser Gilbert abbassò lo sguardo, le guance rosse per l’imbarazzo. «Le mie scuse, mio signore. Deve essere la deficienza di un vecchio a farmi parlare… o la stanchezza di una notte insonne passata a fissarmi i pollici.»
Renegar non fece caso a quelle parole. «Sembra che, ormai, farsi beffe del proprio signore sia diventato un passatempo alquanto gettonato in questo castello. Forse è per colpa mia… devo essere stato fin troppo permissivo con ognuno di voi». Renegar scosse lievemente il capo. «Ma ora è tempo che questa usanza passi di moda.»
«Concordo». Lemmon poggiò i gomiti sul tavolo. Non seppe dire perché concordò, in realtà non aveva neppure prestato molta attenzione al dibattito, eppure si ritrovò a farlo. Sentiva la necessità di rimediare al piccolo battibecco che avevano avuto un tempo in quell’ala del castello che conduceva ai suoi studi. Sentiva la necessità di far capire a suo zio che lui era lì con loro, in quella stanza, pronto ad aiutarlo e a sostenerlo in qualsiasi sua decisione, anche quella di radere al suolo l’intero regno e cospargerne le radici con del sale.
Renegar si morse il labbro. «Willy, va’ a cercare quel vecchio digli di correre qui. Immediatamente.»
Non aveva più voglia di attendere il vecchio, notò Lemmon. “Mio zio non ha mai stimato l’attesa.”
«Non ce n’è alcun bisogno» fece una voce rauca sull’uscio. Il vecchio in questione era davanti alla porta della sala in cui si erano riuniti. Entrò a rapidi passi e prese posto nell’unico scranno libero.
«Te le sai presa comoda, patres Worgan». Ser Warnick si lasciò sfuggire un risolino.
«Questioni fisiologiche di natura mattutina – chiamiamole così – mi hanno trattenuto». Il patres intrecciò le mani sul tavolo e guardò circospetto il suo signore.
«Ora che lo sappiamo» fece ser Gilbert. «Sicuramente il concilio andrà avanti più velocemente e con  maggiore probabilità di ottenere buoni risultati.»
Il patres guardò ser Gilbert. «Questo è l’augurio che tutti noi ci facciamo, ser.»
«Un augurio che non si realizzerà, probabilmente.» disse gelido Renegar Redrock. «Willy, mio caro giovane, esponi pure quanto sai. Dal principio, cortesemente.»
Willy si rizzò, per la prima volta interpellato personalmente dal signore di Corallo Rosso. «Mio signore, sono latore di notizie che non vi piaceranno.»
«Ho gusti alquanto complessi, ma lascia giudicare a me ciò che mi aggrada e ciò che non lo fa.»
“Come se non conoscessimo i tuoi gusti, zio.”
Willy si sforzò di sorridere. «Dopo settimane di viaggio verso il Nord, sono giunto a destinazione nelle Terre Brulle. L’Accademia mi ha accolto come un ospite, e io non ho dimenticato il motivo per cui ero stato inviato lassù. Consegnai la vostra missiva, mio signore, ad un infimo. Mi disse di chiamarsi Ronard.»
«Perché non hai riposto la lettere nelle mani del Supremo Patres?». Lemmon si rizzò sul sedile. “Peggio di quanto avevo previsto. Sarei dovuto andare io al Nord.”
«Ci ho provato, mio signore Lemmon, ma non ci sono riuscito. Mi è stato comunicato che il Supremo Patres Polwyr non aveva alcuna intenzione di ricevermi quel giorno. Ho atteso per due notti alle Nicchie, ma non è cambiato nulla.»
«Nessuno ha notato la mia lettera? La Lettera Rossa è stata vergata col sangue di un loro patres. Non è bastato a scuoterli un minimo e a farli riflettere?»
«A quanto pare non più del dovuto, mio signore. Patres Ronard mi ha riconsegnato la missiva col sigillo di ceralacca spezzato. E, leggendo, mi sono accorto che il Supremo Patres Polwyr vi aveva lasciato dentro una risposta.»
«Dov’è la Lettera Rossa?» intervenne ser Warnick.
«Eccola». Willy afferrò la missiva dalla tasca interna della sua giubba di cuoio. La consegnò a matres Amadya, la quale fece scorrere il messaggio fino alle mani di Renegar. «Mio signore.»
Il signore di Corallo Rosso srotolò la carta e ne lesse rapidamente il contenuto. Un risolino si materializzò sul suo volto. Un riso affatto piacevole da vedere, mentre i suoi connotati restavano impassibili.
«Possiamo conoscere l’esito della vostra lettera, mio signore?» chiese patres Worgan.
Renegar fece cenno col capo e passò la missiva a suo nipote. «Leggi, Lemmon. Ad alta voce.»
Lemmon fece fatica a capire cosa ci fosse scritto nel primo rigo, tanto la calligrafia del Supremo Patres risultava sottile e sbiadita. Senza ombra di dubbio, quella lettera aveva compiuto un grande viaggio. Prese a leggerne il messaggio. «Al fine di scongiurare ogni qualsiasi tipo di azione diffamatoria o illegale sostenuta senza l’unanimità del Seggio dei Saggi, io, Supremo Patres Polwyr, nego la possibilità di abbattere la Cinghia e abolisco categoricamente la sua diabolica utopia. In merito al secondo contenuto della missiva, mi dichiaro totalmente avverso alle pratiche dell’ingollo come metodo di ragionevole giustizia. Con la seguente, intendo limitare l’abuso di potere da parte di vossignoria Redrock e proibire definitivamente l’idea che io possa concedere metodi tanto barbari a gente barbara. Ossequi.»
Patres Worgan sospirò. «Era una causa persa in partenza, e io ve lo avevo assicurato, mio signore. Non prendetela sul personale. Il Supremo Patres Polwyr non è un tipo molto permissivo.»
«Ce ne siamo accorti» fece ser Gilbert.
Mentre Lemmon passava la missiva a ser Warnick, Renegar prese parola. «Matres Amadya, il tuo pensiero in merito?»
La donnetta inalò una grande quantità d’aria prima di rispondere. «La giustizia non può essere definita tale se non nasce che per educare. Una tecnica come l’ingollo ucciderebbe il prigioniero – cosa senz’altro giusta e sensata – ma metterebbe in cattiva luce voi, mio signore. E ciò farebbe di Renegar Redrock un assassino punibile dall’Accademia al pari del patres trasgressore. Io e patres Worgan, insomma… la pensiamo così.»
Renegar smise di fissare la matres solo dopo che questa ebbe concluso. «Eppure non mi risulta che l’Accademia abbia mosso un solo dito per punire l’esperto che si è infiltrato nel mio regno, che ha abusato di mia figlia e che ha assalito mia moglie, nonostante abbia letto personalmente quanto ho scritto. Il Supremo Patres non ha speso una parola in merito a questo.»
«Perché ha trovato le altre note molto più importanti e severe di quella sul prigioniero. Mio signore, nella vostra lettera voi avete scritto di voler abbattere la Cinghia, di voler riesumare una tecnica di tortura bandita anni orsono e di volervi servire di usanze e regimi delle Terre Spezzate. Obiettivamente, non cose da poco… e non cose tollerabili con molta facilità. Credo sia questo il motivo per cui l’occhio accademico sia caduto solo su parte della vostra Lettera Rossa» rispose patres Worgan, integerrimo fino all’ultimo.
“Placa i tuoi modi, patres, o solo gli dèi sapranno aiutarti.” Lemmon si intromise subito tra i due. «Zio, potremmo inviare un’altra missiva al Nord, giusto per chiedere informazioni specifiche sul comportamento da adottare in casi come questi. Se non possiamo fare giustizia a modo nostro, allora possiamo trovare un accordo che compiaccia sia noi che la legge.»
Renegar rivolse uno sguardo di rimprovero al nipote. «La stessa legge che permesso a quell’uomo di mettere le mani su mia figlia e sua mia moglie? La stessa legge che ha consentito che si arrivasse a tanto e che io venissi umiliato di fronte a tutto il mio popolo? La gente, sotto e dentro le mura di questa dannata rocca, ride di me ad ogni ora del giorno. Sono circondato da una servitù che mi ha tradito, da uomini in arme che non hanno saputo difendermi nel momento in cui avrebbero dovuto farlo. Gli spettri del castello ridono di me.»
«Se posso» s’intromise patres Worgan. «Quale fetta della vostra corta ritenete vi sia nemica?»
«Ogni fetta» rispose Renegar corrucciato. «Persino una delle sarte del mio castello mi è andata contro. Ho saputo dalle labbra stesse di patres Lorenol che la donna lo ha aiutato a celarsi nell’ombra del mio castello.»
«La donna in questione sarebbe la sarta che si è suicidata la scorsa settimana?»
Renegar fece di sì col capo. «All’inizio non volevo credere alle parole del prigioniero, ma il suo cadavere è stata la conferma della mia incompetenza. Mi sono chiesto quanto adatto al potere fossi. Un sovrano non dovrebbe mai porsi un dubbio del genere: se ho potere, allora merito di averlo.»
Era stata una serata torbida e senza luna, con una serie di nuvole grigie sparse su tutto il cielo a guisa di macchie d’olio. Avevano trovato la sarta appesa alla trave del tetto del suo ufficio, gli occhi fuori dalle orbite voltati al contrario e il volto emaciato e violaceo. La lingua si era ispessita fino a fuoriuscirgli di forza dalla bocca, come un boccone amaro sul punto di essere sputato per terra.
L’incantatore Lynn aveva tastato la sua testa e la sua pelle con il suo stesso mestolo. «Si è stretta il cappio alla gola più di tre giorni fa. L’aria ha smesso di arrivarle al cervello, poi è crollata». A quel punto, aveva chiesto cosa avrebbe dovuto fare del suo gelido cadavere.
«Sotterriamolo fuori dalle mura» aveva detto, giustamente, patres Worgan, vestito di un camice da notte ed un cappellino sul capo, destato improvvisamente dal suo sonno.
«Assolutamente no». Renegar aveva contorto sgradevolmente le labbra. «Ha desiderato tacere per sempre, poiché sapeva che sarei venuto a chiederle spiegazioni. La sua morte è anche la sua accusa.»
L’incantatore lo aveva guardato con occhio sospetto.
«Gettate il suo corpo in mare» aveva decretato Renegar continuando a fissare il corpo sospeso a mezz’aria della donna. «Ma prima fate che sia tinta di rosso in ogni parte del corpo.»
L’espressione di Renegar Redrock non lasciava intuire affatto ciò che stava pensando di fare. Eppure, qualcosa nei suoi occhi sprizzava di luce malsana e feroce. Non aveva mai visto un bagliore tale negli occhi di nessun uomo.
«Ser Gilbert, ser Warnick, Lemmon». Renegar non sollevò neppure lo sguardo nella direzione di coloro che aveva nominato. «Cosa avreste fatto se un impostore vi si fosse dichiarato servo solo per entrare nella vostra casa e distruggervi moralmente?»
«Avrei cercato vendetta» rispose secco ser Gilbert, lo sguardo assonnato e gli occhi scuri. «Gli anni di servizio mi hanno insegnato che non ci si può fidare di chi dice di stare sempre dalla parte della legge.»
Ser Warnick ci pensò due secondi su. «Avrei chiesto spiegazioni e poi me ne sarei liberato nel modo che più avrei ritenuto consono.»
“Stiamo solo compiacendo te, zio.” pensò Lemmon. “Dubito che, in altri casi, la risposta sarebbe stata la stessa”.
Solo a quel punto, Lemmon Redrock dovette combattere la sua indecisione. Se avesse detto qualcosa di sbagliato, suo zio non lo avrebbe neppure più guardato in faccia. Ma se, al tempo stesso, avesse detto ciò che suo zio si aspettava che lui dicesse, gli esperti in quella stanza sarebbero rimasti ben più che indignati dal comportamento adottato. «Lo avrei massacrato» concluse infine. «Avrei cercato per lui il peggiore dei destini cui un uomo possa andare incontro, e gliel’avrei fatta pagare ad un caro, carissimo prezzo. La famiglia è sacra». Si pentì della risposta soli pochi attimi dopo.
Anziché guardare i tre interpellati, Renegar Redrock si limitò a sollevare lo sguardo verso i due esperti. Digrignò i denti. «Quando nessuno sa darti giustizia, bisogna che sia tu stesso a dartela». Il signore di Corallo Rosso strinse la destra in un pugno. «Avete fatto in modo che io venissi deriso dalla mia gente. Voi, esperti della mia corte, avete cospirato alle mie spalle insieme a quell’uomo e ora state facendo di tutto perché a lui non capiti qualcosa di spiacevole. La vostra congiura è grande, molto grande… e include la presenza del vostro superiore: l’altissimo Supremo Patres, un politico irremovibile ed incontrastabile. Lasciare che voi continuiate a giocare non mi darebbe nessun conforto. Il miglior giocatore è scaltro, d’accordo, ma finché il suo avversario non si rende conto che la partita sta per concludersi.»
Renegar Redrock si alzò dal suo scranno e prese a camminare lungo tutta la sala del concilio. I respiri di matres Amadya e del suo accolito erano percepibili anche da quella distanza. C’era il sapore del sangue nell’aria, Lemmon lo notò subito. “Che gli dèi siano con noi. E questa è anche colpa mia”.
«Avete permesso ad un uomo del vostro ordine di farsi beffe del suo sovrano, e ora siete qui, in questa stanza, ancora nel mio castello, nella casa dei miei avi, a ribadire che non dovrei fare altro che dichiararmi clemente. Oh già, perché è così che si educano gli uomini… con la clemenza e con la dolcezza. Magari insignire Lorenol castellano di un qualche possedimento di Corallo Rosso ci aiuterà a rieducarlo.»
Lemmon tentò di prendere parola. Non poteva permettergli che si facesse di tutta l’erba un singolo fascio. Si trovò ancora una volta combattuto. «Zio, io…»
Renegar gli lanciò un’occhiataccia in cagnesco che lo sedò all’istante. “Un temporale è in arrivo. E io non posso fermarlo… o sarò fermato a mia volta.”
Il silenzio era calato sulla stanza. Ser Gilbert era impassibile di fronte ai passi delicati di Renegar, che stava andando verso la porta. Ser Warnick non muoveva un solo muscolo e non osava neppure respirare. Matres Amadya aveva gli occhi socchiusi, e probabilmente stava pregando il suo dio. Solo patres Worgan pareva non avvertire nessuna minaccia attorno al tavolo, e stava continuando a giocherellare con i suoi pollici in attesa che Renegar tornasse a sedere.
Ma il signore di Corallo Rosso non pareva avesse voglia di esaudire quel desiderio. «La mia decisione è incontrastabile. Questa notte, miei cari esperti, vi preparerete a lasciare la mia rocca. Non ci sarà alcuna alba per voi… non nella mia casa, quantomeno. Se domani alle prime luci sarete ancora tra noi, io darò ordine che siate gettate vivi dalla più alta delle mie torri, insieme al cadavere di patres Lorenol. Corallo Rosso, questa notte, smetterà di appartenere all’Accademia.»
Matres Amadya emise un gemito impacciato, ma non osò fiatare oltre.
«Con una sola parola». Patres Worgan si mise rumorosamente in piedi, un’espressione beffarda sul suo volto di vecchio. «Scatenerete la furia di una tempesta che il nostro reame non saggiava dai tempi del Supremo Patres Galbard. Avete dimenticato, mio signore, quanto e quanto a lungo sanguinò il nostro continente il giorno in cui i sovrani delle Terre Spezzate proposero la medesima pazzia scagliandosi a rotta di collo nella Tempesta Rossa? Avete dimenticato cosa avvenne ai figli di Patreck Carwock, signoria di Trionfo del Re, quando il conflitto ebbe inizio e la basilissa Galaradra osò marciarci contro con le sue belve squamate? Avete forse dimenticato quanto sanguinoso ed efferato fu il disastro di Biancastello? Avete dimenticato anche uno solo di tutti questi disgraziati eventi?»
«Io non dimentico, patres Worgan». Renegar si era fermato di fronte al vecchio esperto. «Io non dimentico mai.»
L’esperto gli punto contro il dito, ma trattenne la sua mira solo per un breve istante. «E allora, mio signore, archiviamo la cosa civilmente e consideriamo il problema risolto. L’Accademia provvederà a darvi giustizia nel modo più sano possibile, senza dover ricorrere ad intrugli ritenuti barbari e ormai in disuso da tempo immemore. Andrò di mia sponte al Nord a risolvere per voi la questione.»
«Sono d’accordo» fece matres Amadya. «Andrò anche io. Due voci suonano più forti di una sola.»
Renegar rise. «Avete voglia di scappare da questo luogo il più in fretta possibile?»
«Scappare? No!» buttò lì la matres. «Io voglio solo servirvi, mio signore. E farlo nel migliore dei modi, se me ne è data la possibilità». La voce di Amadya, constatò Lemmon, era divenuta tremante e debole.
Il disprezzo di Renegar per quelle parole si condensò tutto nel suo sorrisino tutt’altro che benevolo. La mente di suo zio stava covando qualcosa di puramente folle.
«Consentitemi, mio signore. Prendetevi pure un giorno o due per pensarci su e poi fatemi sapere. Partirò quando più lo riterrete consono e metterò fine a questo diverbio. Il reame non ha bisogno di sangue in questo periodo. Sarebbe la soluzione più giusta.»
«E la meno cruenta» s’introdusse matres Amadya.
«Il nostro continente ha sofferto abbastanza». Anche Willy prese parola.
Renegar guardò tutti e tre con uno sguardo torvo. «Mi dispiace, signori, ma le vostre parole rimarranno aria calda in una sala già fin troppo soleggiata. Io ho già pensato molto e a lungo, e non mi va più di farlo. Il vostro amico Lorenol non vivrà un giorno di più. Gli ho concesso fin troppo tempo libero in quella cella, ed è anche ora che si ricongiunga con gli stessi esseri infernali che lo hanno condotto qui». Renegar mise la mano sull’elsa della sua spada. «Non voglio percorrere altre vie che quelle che conducono alla violenza, patres Worgan. Non mi faranno cambiare idea le parole di un vecchio scorbutico.»
Patres Worgan non demorse. «Un vecchio che ha saggezza da vendere, mio signore… e non lo dico perché il vecchio in questione sono io. Avevo dato per scontato che la cosa fosse stata chiarita e messa da parte, obliterata il giorno in cui quella Lettera Rossa fu scritta e spedita al suo destinatario. Il tempo non ha cancellato né smussato il vostro odio, noto. Ebbene, me ne sono ricreduto ora. Devo ammettere che non avrei immaginato di poter arrivare a tanto». L’esperto alzò fiero il capo e si impuntò sui talloni. «Vorrei andare via, se è possibile. Farò ritorno all’Accademia, su al Nord… credo sia meglio per tutti noi.»
«Ed esimerti dal concilio seduta stante? Sì, è chiaro che puoi andare, mio gracile ed invecchiato esperto». Renagar Redrock gli riservò un sorrisino mellifluo. «Ma non con i tuoi piedi.»
«Che vuol dire?»
Fu a quel punto che Renagar Redrock fece saettare la destra sulla tunica dell’accademico. Un sibilo metallico dalla breve durata risuonò in mezzo istante nell’aria. L’istante dopo patres Worgan cadde morto per terra, il collo privo della sua testa, la pozza di sangue caldo dell’uomo ancora ribollente sul pavimento come il più profondo dei laghi.
Renegar sollevò in aria la sua lunga lama splendente, mentre in un urlo acuto e sconcertato attraversava la sala del concilio; i membri chiamati in riunione si alzarono dai loro posti e rimasero allibiti dinanzi alla scena. Solo Lemmon riuscì a riportare la quiete nella sala, estraendo anch’egli il suo pugnale e girando in cerca di qualcuno da puntare. Era necessario che suo zio lo vedesse mentre si batteva per lui con la sua stessa sadica ira. “E così è fatta”.
Trovò la sua preda nella vecchia esperta che aveva di fronte.
«Renegar Redrock!» vociò matres Amadya trattenendo le lacrime. «Pazzo! Questa è pazzia… pazzia allo stato puro!»
«No, matres. Quella di mio zio non è affatto pazzia». Lemmon la guardò dritta negli occhi e scosse la presa sul pugnale. Avrebbe scartato qualsiasi suo onore pur di alzare la sua lama a difesa di suo zio e dei suoi ideali. «Questa è politica. Questa è la fine dei giochi… dei vostri giochi.»
Matres Amadya iniziò a singhiozzare disperatamente, fino a che i suoi occhi si riempirono di lacrime aspre che le solcarono per intero il viso da vecchia. Il suo accolito le era scattato al fianco, sostenendola col braccio sulle spalle. Willy stava sussurrando qualcosa all’orecchio della donna.
Renegar fece appena due passi: due soltanto, che risuonarono nella stanza come tonfi ovattati e rintronanti tra i lamenti della matres e i bisbigli del tremante Willy. Rinfoderò con un gesto fulmineo la spada e abbassò il tono della voce. «E ora dedichiamoci a chi ha causato tutto questo. Ser Gilbert, Lemmon». Renegar scansò il corpo morto di patres Worgan e puntò gli occhi sui due. Poi spiegò il braccio verso la porta. «Dopo di voi.»
 
Buia era quell’ala della prigioni di Corallo Rosso, così buia che anche le parole venivano private del loro colore una volta fuoriuscite dalla labbra di qualsiasi uomo.
Ser Gilbert stava trattenendo il respiro per non inalare l’aria satura dell’acre olezzo delle feci umane lasciate a marcire nella cella oscura di patres Lorenol. Lemmon non poteva dargli torto ma, pur di non farsi vedere quale un debole da suo zio, preferì far finta che quelle stanze profumassero di salvia e garofani.
«Guarda caso dovevo finirci io a mettere le mani su quel mostro». Ser Gilbert sputò per terra. «Sarà immerso nei suoi escrementi fino al collo.»
“Ti conviene tenere per te questi pensieri, ser”. Lemmon gli riservò una gelida occhiata, resa ancora più fredda all’oscurità del cunicolo. “Lo penso per il tuo bene. E per quello della tua testa”.
Una serie di bestemmie e di lamenti vergognosamente scurrili condussero fuori Renegar Redrock dall’ingresso della cella. Il signore di Corallo Rosso trascinò il prigioniero di forza fuori dalla sua gattabuia, gettandolo a peso morto sul pavimento illuminato dalle torce vicine, accese proprio per l’occasione.
“Probabilmente sono state accese giusto per dare luce al patres e mettere in mostra la sua vergogna”. Lemmon si lasciò sfuggire un sorrisino distratto. “Nessun fuoco riuscirà ad illuminarlo. Ma Renegar vuole umiliarlo.”
Dinanzi al crepitio delle fiamme alle pareti, patres Lorenol apparve nudo. Non perché non vestisse dei suoi stracci, ma perché aveva completamente perduto qualsiasi umana compostezza avesse mai posseduto. Non restava alcuna caratteristica invidiabile in quel prigioniero. Era dannatamente vero: le prigioni di Corallo Rosso sapevano risucchiare via l’essenza vitale di un condannato, tanto da renderlo un obbrobrio, uno scarto del creato, una creatura di finissima pelle macchiata e pallida.
«Aiutatemi a sollevarlo». Renegar lo strattonò per la collottola e lo trascinò verso la seggiola posta al centro della sala del capocarceriere, il quale si godeva lo spettacolo in tenebroso silenzio accanto ad una delle cinque torce fiammanti, immerso nella penombra di un’arcata adiacente.
Lemmon aiutò suo zio a sollevare di peso il prigioniero, che legarono al sedile con delle cinghie di cuoio spesse e robuste, stringendone la presa attraverso delle giunture dorate.
Le ginocchia di Lorenol stavano sanguinando da numerose ferite, ma questi non mostrava alcun segno di dolore. Pareva essere addormentato o svenuto, come se non riuscisse a capire ciò che gli stava accadendo e fosse immune a tutto quel male. Le prigioni lo aveva ridotto ad uno stato di incoscienza tale da estraniarlo dal suo stesso corpo. “Se lo è meritato.”
«Ser Gilbert». Lemmon intuì che era meglio che il cavaliere si desse da fare anche lui. «Stringi un po’ quelle altre cinghi lì dietro, accanto alla scapola.»
Il ser si lasciò comandare a bacchetta e prese a fare ciò che gli era stato suggerito.
Lemmon sollevò lo sguardo verso Lorenol. Il condannato era stato ridotto ad una condizione di larva. Sul volto da trentenne del patres traditore ora si faceva spazio una barba grigia ed ispida, malcurata e piena di pulci. I suoi capelli erano tre pollici più lunghi del normale, anch’essi ingrigiti, sporchi e nodosi. Sul suo volto si disegnava un’espressione spettrale: due labbra rinsecchite e screpolate, due bulbi ingialliti e cupi e una serie di lividi su tutto il viso. Non era rimasta neppure una briciola intatta della sua passata bellezza segaligna. “Ma è colpa sua. Lui ha preteso tanto e tanto ha avuto”. Lemmon non gli diede la soddisfazione di lasciare che il sguardo di posasse sui suoi lineamenti per più di un istante. “E oggi morirà”.
«Ottimo lavoro, miei signori». Il capocarceriere sbucò dall’ombra. «Io avrei solo stretto un altro po’ la morsa delle cinghie sulle caviglie.»
«Sì…» mormorò con voce strozzata e soffocata il prigioniero. «Stringete ancora… sì.»
«Chiudi quella fogna» comandò gelido ser Gilbert. Non lo aveva mai sentito parlare a quel modo.
Lemmon tornò a fissare il prigioniero. “Allora comprende ancora. Si fa sempre troppo presto a dare per spacciato qualcuno.”
Lorenol tentò di divincolarsi dalla presa del cuoio che stringeva ogni suo muscolo. «Bella mossa… bella… mio signore.»
Renegar Redrock contorse le labbra e gli sputò addosso. «Mi auguro che tu possa trovare quest’ultimo luogo ti tuo gradimento. Oggi è il grande giorno.»
«Sono… pronto» ribatté il prigioniero cercando di alzare la voce. «Non… non sai da quanto tempo… ti aspetto.»
“Non è rimasto vivo un solo unico spiraglio di luce in quella mente. Quest’uomo è completamente accecato dalla follia”. Lemmon si pose alle spalle del patres prigioniero e gli posò entrambe le mani sulle spalle. Dinanzi a lui, Renegar Redrock interpretò la sua ovazione.
«Il tuo atto ha causato gravi, gravissimi risultati. Ne sarai orgoglioso: sei riuscito a sconfiggerli. I tuoi uomini e le tue donne, s’intenda. Non me. Non la mia famiglia. Non i miei padri. Questo gioco l’abbiamo vinto noi.»
Lorenol chinò appena il capo sul fianco sinistro e socchiuse gli occhi.
«Oh, no, no, no… non abbandonarci sul più bello». Gli assestò un pugno sul volto. «Avrai tutto il tempo di cui necessiti per riposarti appena avrò finito. Hai mai saggiato il profumato e gelido tocco dell’acciaio? È più freddo del bacio di un traditore, te lo assicuro. E io ho assaporato sia l’uno che l’altro.»
Lorenol scosse il capo violentemente. «Mi farai… male?»
«Dipende dalla tua interpretazione della parola. Pensi che una lama dal filo perfetto possa far male?»
Quando Lorenol chiuse di forza le labbra incartapecorite e fissò lo sguardo verso il tetto, Lemmon gli diede un forte strattone da dietro. «Rispondi, prigioniero.»
Lorenol si riscosse. Gli avrebbe volentieri sputato addosso se ne avesse avuto le forze, ma risparmiò a tutti quella scena scadente per quella volta.
«Io non… non penso più». Lorenol tentò di strapparsi di dosso quei dolorosi nodi che lo stritolavano e lo relegavano alla seggiola di legno. «Ammazzami… squartami… ucc… uccidimi! Poni fine, dannato uomo!»
Il prigioniero iniziò a piangere. Lunghe ed aspre lacrime corrosero il suo viso pallido e tetramente rinsecchito, ma il pianto liberatorio non durò a lungo. Aveva, probabilmente, terminato ogni liquido in corpo. “Povero disgraziato”. Lemmon non poteva far finta di non provare compassione per quell’ammasso di carne ed ossa delicate, ma si convinceva a pensare che tutto ciò fosse accaduto a causa di Lorenol e si risolveva dicendosi che quella di suo zio fosse vera e sana giustizia. “Anch’io lo avrei fatto se fossi stato un sovrano… e fossi stato un padre… e se fossi stato un marito”. Ma sarebbe mai stato tutto ciò?
Renegar ruggì d’odio. «Abbiamo ancora un conto in sospeso, noi due.»
«Zio?». Lemmon ripiegò lo sguardo verso Renegar, curioso non poco. Ser Gilbert, nel frattempo, aveva iniziato a stringersi il naso con indice e pollice.
Renegar posò una mano sul mento del prigioniero e fece scorrere la sua sinistra fino al pomo d’Adamo che furiosamente scendeva e saliva sul collo dell’uomo. «Dimmi, Lorenol… sei compiaciuto ora che tutto questo è accaduto?»
Lorenol scosse il capo e continuò a commiserarsi sforzandosi di lacrimare. Le querimonie del patres non furono mai concretizzate dalla sua voce. C’era ancora una rocciosa caparbietà nel suo animo, impossibile da corrodere col buio.
Renegar lasciò la presa e portò la mano sull’elsa della spada ancora macchiata del sangue di patres Worgan.
Stranamente, Lorenol, scuotendo sempre meno la testa, si decise a fiatare. «Sanguinerò molto?»
Renegar fece di no col capo. «Il necessario a ripagare il tuo vergognoso atto.»
«O… ottimo» mormorò flebilmente. «Non mi piacerebbe affatto… no… nient’affatto… sanguinare come tua figlia.»
La presa di Renegar si strinse avidamente sul pomolo della sua lama. Nonostante ciò, suo zio non lasciò che qualcuno zittisse il patres prigioniero. Talvolta, l’impassibile compostezza del signore di Corallo Rosso dinanzi a situazioni alquanto aspre era davvero encomiabile.
Lorenol cercò di tossire, ma un grumo di saliva gli ostruì la gola. Riuscì a parlare liberamente nel giro di qualche istante, liberatosi del catarro che, piuttosto che finire per terra, gli scivolò sulla barba lercia ed ingiallita. «Te l’ho fatta pagare, Renegar… ce l’ho fatta. Ho… ho vissuto… l’ho fatto… per fartela pagare.»
Renegar corrugò la fronte. «Cosa mi hai fatto pagare? Quando mai ti ho mancato di rispetto, patres? Ti accolsi nel mio regno con una cerimonia ed uno sfarzoso banchetto il giorno del tuo arrivo a corte. Quando ti rompesti una costola cadendo dalle scale mi curai personalmente di te affinché ti riprendessi. Hai dimenticato tutto questo?»
Lorenol non sembrava neppure comprendere. Scuoteva la testa come un dannato e si contorceva tra le spire di cuoio che stritolavano il suo corpo. «Io… io… te l’ho fatta pagare.»
“Il prigioniero è impazzito” intuì Lemmon senza ascoltare ulteriori giustificazioni. “Stiamo solo perdendo tempo. Spedirlo all’inferno libererà noi e lui.”
Ma Renegar non sembrava essere dello stesso parere. Una curiosità malsana era sorta nel suo viso. «Che cosa stai cercando di dire, patres?». Suo zio si avvicinò nuovamente al prigioniero sfiancato e lo tramortì scuotendolo una decina di volte. «Cosa vuoi dire?»
«Sì, esatto… lo è… esatto… Winnie». Lorenol chinò a destra il capo. I suoi occhi luccicarono. «Winnie…»
«Winnie? Come conosci il nome di mia madre?»
«Winnie…» ripeté il prigioniero. «Era anche mia… mia madre.»
Renegar Redrock strabuzzò gli occhi e si contenne dallo spalancare la bocca. «Sei un pazzo squilibrato, patres. Ser Gilbert, fermagli il fiato.»
Ser Gilbert si riscosse dal suo tepore e scattò verso il prigioniero ponendogli l’indice e il pollice sul naso. Quando chiuse la presa, Lorenol si alzò sulla sedia tentando di liberarsi, i piedi che scivolavano sulla roccia, le spalle che si innalzavano e si abbassavano seguendo il ritmo dei suoi ultimi spasmi finali.
«Ser Gilbert, lascialo». Renegar fece un solo passo verso Lorenol, che si accasciò sul sedile. «Vuole parlare ancora. E io devo ascoltarlo. Che mi sai dire di Winnie?»
Lemmon studiò il comportamento di suo zio. “Crede sia vero. Crede stia parlando con un uomo cosciente. Dannazione!”. Lorenol sorrise. «Winnie… Winnie… la mia mamma. Era così… così… dolce con me. Ma poi tuo padre mi cacciò via… e io persi… persi il suo sorriso. Persi lei. Persi… tutto.»
«Mio padre? Ti cacciò da dove?». Renegar curvò il sopracciglio. «Lorenol… tu sei malato.»
«Anche… anche… Ragar lo era. Sai cosa fece? Eh? Lo sai? Stuprò tua… mia… madre. Sì, lo fece… ma… tu… tu… tu non c’eri. E nemmeno tuo padre.»
«Ragar? Il vecchio carceriere?»
«Ragar… Winnie, mamma, me… me lo diceva sempre». Lorenol stava lacrimando. «Ero il frutto… il frutto di uno stupro. E tuo padre fingeva… fingeva di non saperlo, per… per preservare il nome della famiglia.»
Renegar continuò a fissarlo. Il silenzio era calato in quella sala delle gattabuie. Lemmon si allontanò dalle spalle del prigioniero, come a voler concedere intimità a quei dialoghi.
«E mio padre ti cacciò?» chiese Renegar. «Dove ti mandò?»
«Ave… avevo… quanti anni avevo? Tuo padre… sì, lui… mi mandò via all’Accademia». Lorenol iniziò a singhiozzare. «Lui non mi voleva… lui mi odiava. Gli… gli facevo schifo e… e un giorno me lo disse. Ma Winnie… Winnie…»
Lorenol iniziò a scuotere un’altra volta il capo. La violenza con cui intraprese questa volta l’azione gli fece sanguinare il naso già martoriato dalla presa di ser Gilbert sulle narici. «Mamma… Winnie… mi diceva sempre… mi diceva che avrei ereditato… Corallo Rosso.  Forse lo diceva per… per non farmi soffrire ancora di più». Lorenol urlò di una rabbia esplosiva. «Ma io non voglio soffrire! Io voglio solo morire! Voglio solo morire!»
«E morirai, figliuolo» lo consolò Renegar.
Lorenol si ricompose nel giro di due minuti. «Ero destinato a farlo… sì. Winnie lasciò… lasciò che tuo padre mi abbandonasse… come un vero rifiuto. E lei scelse di crescere… di crescere te! Cos’avevi più di… di me?»
“Un pizzico di contegno, forse”. Lemmon si grattò il naso: il puzzo fetido delle latrine lì vicine era incredibilmente pesante.
«Winnie… Winnie non rispettò mai la sua promessa. E io… io… non potei che crescere all’Accademia e di… div… diventare un patres. Mi avevano negato tutti i… i diritti.»
«I figli illegittimi non godono di diritti.»
«E rovinano le famigliole… lo so. Tuo padre non… non smetteva di ripetermelo. Ero come un abominio del… del creato… per lui. I cani gli stavano più a cuore. Così… così ho scelto di ottenere vendetta. Ho deciso di rovinare la tua, di… di famiglia. Ingravidare tua moglie ti avrebbe donato un figlio illegittimo che… che… ti avrebbe scombussolato ogni e… equilibrio. Proprio come… come me. Noi bastardi… noi… siamo rovina.»
Renegar lo fissò cupo. «Ma hai scoperto che mia moglie non era in età fertile.»
«E… esatto…». Lorenol annuì. «Non lo dà a vedere… ma la tua sarta me lo ha confermato… sì.»
«E così hai scelto Missy. Hai scelto la mia piccola bambina.»
Lorenol si lasciò sfuggire un languido e malevole ghigno nell’annuire. «Il mio desiderio… la mia vendetta… finalmente… riuscita. La tua casa soffrirà di nuovo i dispetti di un figlio illegittimo, di un bastardo… nato dalla schifezza, dall’odio e dallo stupro di una bambinetta. Se… se… sarà fortunata, tua figlia sopravvivrà… al parto… sì. Ora… ora deve essere forte.»
Renegar guardò Lemmon, poi ser Gilbert. «Mia figlia non metterà mai alla luce il mostro che si contorce nel suo ventre. Lascerò che tutto ciò che si sa di te muoia con te e con il tuo infinito silenzio». Poi sfilò rapidamente la lunga e tetra lama. «E ora siamo giunti sulla cuspide». Alzò la sua spada fino a sfiorare il tetto basso della gattabuia. «Le tue ultime parole?»
Lemmon si ripose alle spalle del prigioniero e lo stritolò con la sua presa fino a farlo aderire allo schienale. Ser Gilbert gli si chinò su di lui dal lato sinistro e alzò il braccio sul suo volto.
Lorenol chiuse gli occhi. «Ci rivedremo all’inferno, sangue… del mio sangue.»
E lo stesso sangue richiamato alla mente, poco dopo schizzò su tutte le pareti della sala flebilmente illuminata, andando a macchiare di rosso, sempre più rosso, ogni pietra di quella prigione. Mentre ser Gilbert stringeva le narici di Lorenol, Renegar fece calare la lama giù per la bocca del prigioniero e gli fece fare due giri vorticosi all’interno. Per un istante, un breve, brevissimo lasso di tempo, Renegar trasformò il corpo del prigioniero nel fodero della sua spada, la lama immersa nella sua gola fino a sfiorare le viscere interne, il pomolo sporgente dalla sua bocca.
Quando sollevò la sua spada, un’esplosione di sangue e organi lacerati fu risputata fuori dalle labbra del prigioniero di forza, e Lorenol si macchiò completamente del sangue del suo sangue. Barba, occhi, naso, labbra, mani, braccia e collo si ritrovarono completamente ricoperti da un sangue denso e scuro, che lo ammantò come la più calda delle coperte.
La lama di Renegar grondava sangue a flussi copiosi. «Guardate, miei signori, il primo atto della guerra. E noi  ne siamo già i vincitori. Presto saremo ricompensati. I giochi hanno sempre un vincitore.»
Lemmon lasciò le spalle del prigioniero e, di conseguenza, ser Gilbert allontanò la mano dal suo naso.
Mentre Renegar Redrock, signore di Corallo Rosso e fautore di una nuova guerra, si allontanava dal cadavere di Lorenol, Lemmon e ser Gilbert si guardarono in faccia. L’occhiata che i due si riservarono non fu piena di quel brivido di eccitazione che, in altri casi, avrebbe dovuto coinvolgere un vincitore di guerra.
No, non lo fu affatto.
 
Erano ben cinque le porte d’ingresso alla Rocca Rossa, ma solo una, col calare della notte e l’acuirsi del cicaleccio serale, spiccava in mezzo a tutte le altre. Era la porta dedica a Rewerd Re dei Salici Rossi, uno dei primi figli dell’emblematico patriarca della casa Redrock, colui che aveva conquistato le due diramazioni occidentali del Wyndwater con memorabile sagacia e una strategia infallibile.
Il chiarore appena visibile delle stelle e dalla luna che si faceva spazio tra le vetrate di un piccolo atrio non bastava a lenire il rumore dei cardini vecchi e logori dei battenti di quella porta.
Matres Amadya giunse dinanzi al portone con uno scialle color porpora legato sulle spalle e un grosso baule tra le mani. Non aveva indossato la solita tunica del suo ordine, ma un mediocre abito color blu notte dalle maniche lunghe e ornate da ricami bianchi e un colletto di pelo d’ermellino. Alle sue spalle, un indaffarato Willy si stava dando da fare per mettersi in spalla quante più sacche di cuoio possibili. Il giovane accolito vestiva di semplice cuoio, le brache color sabbia cascanti e larghe all’altezza dei polpacci.
Lemmon Redrock stava attendendo con le braccia conserte al petto, nel tentativo di congedare l’esperta e il suo giovane accompagnatore. Renegar Redrock, suo zio, aveva deciso che fossero allontanati dal suo regno e aveva decretato con pugno fermo il distacco politico di Corallo Rosso dall’Accademia, un evento che gli annali della storia avrebbero sicuramente rammentato con sdegno negli anni a venire.
Lemmon era lì per servirlo alacremente: non si poneva più domande del giusto, né si faceva scrupoli nel fare ciò che suo zio comandasse di fare.
Quando la matres passò accanto a lui non lo degnò neppure di uno sguardo, ma a Lemmon non sfuggì il dolore immortalato in quei due occhi da anziana. Aveva smesso di piangere da poco: i segni della vergogna erano più che evidenti nei suoi bulbi arrossati e sulle sue gote rosse. Willy si pose al suo fianco e fu il solo a fare un cenno con la testa nella direzione di Lemmon: non un saluto, ma un gesto privo di significato.
«Che gli dèi – qualunque siano i vostri – possano farvi fare buon viaggio». Lemmon mise le mani sui fianchi.
Non ricevette alcuna risposta, né da parte di Willy, né da parte di matres Amadya. I due continuarono a camminare e camminare, finché le loro sagome ombrose non furono definitivamente risucchiate dalle tenebre all’erta nel sentiero. Una carrozza  li stava attendendo in fondo alla strada, e più giù, sulla battigia, era giunta una piccola cocca che li avrebbe accompagnati fino a Brasengard. Da lì, le loro sorti non sarebbero state più legate in alcun modo a Corallo Rosso.
«Potete chiudere». Lemmon si voltò mentre tre cavalieri si accingevano a spingere i grossi battenti del rosso portone d’ingresso: due poderosi infissi dallo spessore di una parete da castello con intercapedini di legno.  La sua chiusura fu come lo stridio di catene vecchie e arrugginite, come il pizzicore di un’arma appena forgiata ed immersa nelle acque gelide di una fonte ghiacciata.
Alle sue spalle, ser Warnick stava scendendo i gradini della lunga scalinata d’ingresso. «Mio signore.»
«Puoi chiam…» stava per intervenire, ma poi ci ripensò. Si fece impettito. «Ser Warnick. Ti ascolto.»
Il cavaliere si pizzicò il labbro inferiore con i denti. «Cos’è successo a patres Lorenol?»
«Ha incontrato la giustizia». Lemmon lo guardò con curiosità. «Il modo in cui lo ha fatto è stato direttamente proporzionale alla portata del suo gesto illecito. E adesso arriv…»
«Credi che sia questa la buona giustizia?». Ser Warnick parve scosso da un brivido di nervosismo. «Lo credi davvero?»
Lemmon curvò la testa: non capiva. «Insomma, ser…». “Emerito imbecille”. Si fece strada verso la scalinata, giusto per troncare lì la discussione. La luna era sempre più alta nel cielo e lui aveva bisogno di andare a dormire. “Una lunga giornata. Lunga ed estenuante.”
«Saresti leale alla causa del nostro signore, qualsiasi sia l’esito di questo suo modo di darsi giustizia?»
Lemmon si voltò un’altra volta e alzò l’indice. «La rigida lama di una vera famiglia è la lealtà reciproca: questo esclama un adagio del popolino. Mi sento di dargli ragione.»
Ser Warnick annuì, come ad aver appreso la massima. Pareva avesse smesso di parlottare, quando se ne uscì con: «Sarà data una sepoltura al vecchio patres Worgan?»
«No… ma sarà data a te, ser Warnick, se non la smetterai di importunarti in questo modo. Ti sembra un gioco quello in cui siamo finiti tutti?». Lemmon lo rimbeccò alla vecchia maniera. «Vedi di tappare la tua bocca quando non sei da solo, ser, e vedi smetterla di blaterare solo per dare aria alla tua bocca.»
«Seppellire me?». Ser Warnick sgranò gli occhi. «Non sono ancora morto, per tutte le Grazie!»
«Va’ a dirlo a mio zio… e poi torna qui. Ma fuori dalla tua tomba, possibilmente: non vorrei essere accusato di negromanzia». Lemmon fece per voltarsi. «E ora ti prego di scusarmi, ser.»
Ser Warnick Garasbour fece un profondo inchino. «Sono io che mi scuso. Che tu possa passare una buona notte, mio signore.»
“Sì” fece Lemmon salendo piano i gradini dell’atrio. “Tra il sangue e i rancori si dorme sempre comodi. E nell’impervia piana delle grandi battaglie, poi, i residui del gioco sono sempre ostacoli giganteschi.”
Si chiese se ser Warnick avesse capito come comportarsi. Lemmon Redrock, di certo, non lo aveva mai saputo.

 


Note d'autore:
Ho rischiato di non riuscire ad aggiornare, ma per fortuna nulla è andato come previsto. Così, eccoci qui, al termine di quest'altra - breve - storia. Il capitolo ci mostra dunque "la fine dei giochi", di tutti i giochi, compresa la stessa vicenda. E lo fa attraverso gli occhi di un personaggio a noi abbastanza noto: Lemmon Redrock, il futuro Cappa Rossa, unico diretto erede del Cavaliere Rosso. Cosa avete pensato di lui, alla luce dei fatti appena avvenuti? Come considerate il suo personaggio, sulla base - anche - di come era apparso ne "Il cavaliere e la fanciulla bionda"? Ce lo vedete a gestire le trame di un grande intrigo come quello di Roshby? E c'è anche una bella domande che si potrebbe inserire: a livello narrativo, Lemmon sarebbe più un nemico con ideali sbagliati o un amico fin troppo fedele?
Certo è che Lemmon non è allo stesso livello di Renegar - completamente esaltato in questo capitolo - che si appresta a divenire il mostro che tutti ricordano a Pantagos. Siete in grado di giustificare i suoi comportamenti? Cosa avreste fatto al suo posto? Avete condiviso i pareri della fazione alleata al signore di Corallo Rosso, o quelli degli esperti? 
E poi il nucleo centrale: Renegar impazzisce, si diverte nel torturare il suo prigioniero - tutto ciò dopo averlo reso una larva - e scopre amare verità. Lorenol si dimostra essere il fratellastro che Renegar non aveva mai conosciuto. Alla luce di ciò, quanto corretto vi è sembrato il comportamento di Lorenol? E quanto quello di Renegar? Si può giustificare l'atto barbaro di Lorenol, causato dall'assenza d'amore paterno nella sua vita o dal trauma dell'abbandono?
Non voglio scrivere una nota più lunga del capitolo: fatemi sapere tutto ciò che avete pensato e che vi è sembrato utile in questa storia. Chiaro è che se avete tanto altro da aggiungere, potete farlo senza considerare le domande ;)
Con questo io vi saluto: torneremo a Pantagos quanto prima, dato che "La spada e le due fiamme" è in corso di stesura: sicuramente bisognerà attendere non poco, ma confido di concluderla prima di Novembre (periodo in cui iniziai a scrivere il primo libro). Ciò significa che non avremo più contatti? Assolutamente no! Sarò attivo come lettore su moltissime opere lasciate a metà, e continuerò la lettura assidua di tante altre. Inoltre, mi sposterò - forse - sul genere storico. E, poi, come molti di voi sanno, sarò reperibile anche nella sezione "poesie".
Insomma, non è un addio a Makil! xD
Be', concludo ringraziando per nome i seguenti recensori: morgengabe, evelyn80, GothicGaia, OldFashioned, la luna nera, alessandroago_94, The3rdLaw, Davos e Stregattina. Ringrazio anche Ayr per aver messo la storia tra le seguite e per averci accompagnato in una lettura silenziosa. 
Un buon proseguimento di giornata!
Makil_



 
   
 
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