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Autore: myricae_    27/08/2017    1 recensioni
Madeleine e Fleur passeggiano a braccetto lungo la Senna, nella Parigi del 1944, quando sulla loro strada si mettono i soldati Vincent e Paul: francesi? Le due amiche non possono affermarlo con certezza, quello che è sicuro è che tra Vincent e Madeleine si crea un sincero sentimento - come quello già nato tra Fleur e Paul - che potrebbe andare oltre il passato del soldato.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
Capitoli:
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CAPITOLO 2
 
Madeleine salì a passi rapidi i gradini fino al suo appartamento. Quando si chiuse la porta alle spalle, la stanza sprofondò nel buio. A poco a poco, gli occhi della ragazza si abituarono alle tenebre e iniziò a percorrere il piccolo corridoio. Passò davanti alla camera della madre, sbirciando rapidamente dentro: la donna dormiva un sonno inquieto, sul quel letto troppo grande per una persona soltanto. Di quando in quando, Madeleine la sentiva sospirare penosamente.
La ragazza entrò nella camera dove dormiva insieme alle due sorelline e al fratello. I tre dormivano stretti l’uno contro l’altro sul materasso sgualcito. Madeleine accarezzò con dolcezza le testoline, osservando il lento abbassarsi e sollevarsi dei piccoli petti a ritmo con il loro respiro.
Madeleine si avvicinò all’armadio, le ante cigolarono quando lo aprì. Da un cassettone sul fondo, tirò fuori la camicia da notte che aveva fabbricato lei stessa. Sentì un leggero rumore di passi fuori dalla stanza e capì che la madre doveva essere sveglia. Difatti, la donna fece capolino nella camera.
Madeleine le si avvicinò, depositandole affettuosi baci sulle guance stanche, pochi anni prima morbide e piene come quelle della ragazza.
 «Sei tornata tardi. Ti sei divertita?».
 «Sì, è stato uno spettacolo molto bello».
La madre annuì.
 «Vado a dormire da Fleur», disse indicando la camicia da notte che reggeva in mano.
 «Va bene. Siate puntuali domattina, tu e Fleur».
La donna fece per uscire, ma Madeleine la richiamò con uno strascicato «Maman…».
La madre posò i suoi occhi infossati e intensi sulla figlia, sapendo già cosa volesse chiederle. Sembrò costarle fatica pronunciare la risposta. «È vivo, mon chéri».
 «Ha inviato una lettera?».
 «No».
 «Maman…».
 «È vivo. Lo sento. È vivo!» esclamò e il bicchiere tremò nella sua mano. Mentre tornava a letto, Madeleine la sentì borbottare: È vivo. Lo sento. È vivo, lo sento, lo sento.
 
Madeleine si guardò intorno, mentre chiudeva il portone alle sue spalle. Attraversò la striscia di giardino sul retro per arrivare alla casa dell’amica. Fleur, prima della guerra, abitava su una casa a due piani. Ora occupava solo il piano inferiore, troppi ricordi aleggiavano nella polverosa soffitta.
Madeleine bussò cautamente e Janette, la madre di Fleur, venne ad aprire. Janette la fissò con i suoi occhi chiari, quasi bianchi, resi acquosi dall’alcol. Ma quella sera non sembrava ubriaca. Baciò Madeleine sulle guance, stringendola affettuosamente tra le sue braccia forti. Fleur le fu subito al fianco, vestita ancora elegantemente. Aveva sciolto i capelli sulle spalle e tolto il rossetto: era solo un pallido riflesso della felicità di poche ore prima.
Le tre donne si sedettero al tavolo della piccola cucina.
  «Notizie dal fronte?» domandò cautamente Madeleine.
 «Solo una lettera di Jean e Louis, quella di tre settimane fa. Te ne avevo parlato» rispose Fleur, per la madre. Jamie e Louis erano i fratelli di Fleur. Un tempo, ricordò Madeleine, aveva nutrito un particolare affetto nei confronti di Jamie. Ma quei giorni sembravano appartenere a un altro tempo.
Madeleine annuì. Fleur si aggrappava con tutte le sue forze a quell’unica lettera-
Janette le prese una mano, chiedendo: «E tu, mon chéri? Notizie di tuo padre?».
 «No. Ancora niente». Madeleine ingoiò il nodo alla gola a fatica, tossendo. Era da un anno che non riceveva lettere di suo padre. Nell’ultima missiva non aveva scritto se si stava spostando o se fosse stato ferito. Magari le lettere si erano perse. Magari la sua unità aveva terminato la carta. O le penne. Madeleine andava inventando supposizioni sempre più assurde.
 «È meglio che andiate a dormire» propose la madre.
Le due ragazze si avviarono in salotto, Madeleine si stese su un materasso e Fleur si sedette sul divano. Janette si rifugiò nello sgabuzzino – nemmeno troppo piccolo – dove aveva sistemato alla bell’e meglio una branda.
Fleur si spogliò dei suoi abiti eleganti, piegandoli con cura su una sedia e infilando una camicia color prugna lunga fino alle caviglie.
 «Fleur?».
 La ragazza posò il suo dolce sguardo su di lei. «Sì?».
 «Non hai nulla da dirmi?» la stuzzicò Madeleine, sorridendo.
Fleur sorrise a sua volta. «No, proprio nulla» arrossì.
 «Non costringermi a cavarti fuori le cose con le pinze!».
Fleur si sedette sul materasso, di fianco all’amica. «Sentiamo, cosa vuoi sapere?».
 «Tanto per iniziare, come, dove e quando hai conosciuto Paul?».
Lo sguardo di Fleur diventò sognante. «Poche settimane prima ai Jardin des Plantes. Era una giornata particolarmente calda, per essere maggio. Non mi ero accorta che dietro ad un albero ci fosse un soldato, finché non mi tese un fiore di pesco».
Madeleine era affascinata da quel racconto. «E poi?» la incoraggiò. Ovviamente le stava omettendo dei dettagli che voleva custodire solo per sé.
La voce di Fleur vibrava d’emozione.  «Ci vedemmo quasi ogni giorno, da quella domenica al parco. Veniva all’orario di chiusura del negozio…».
 «Era fuori dalla nostra bottega? Non me ne sono mai accorta!». Madeleine, sua madre, Fleur e Janette gestivano una bottega di cucitura da anni.
 «Siamo stati molto prudenti. Non volevo ancora che lo sapessi, perché non sapevo nemmeno io ciò che provavo. Perdonami Madeleine per avertelo tenuto nascosto. E poi tu, e anch’io, sei così preoccupata per tuo padre…».
 «Non importa, Fleur. Sono ugualmente felice per te. Ti prego, continua». Relegò in fondo al cuore il pensiero di suo padre.
 «Paul è intelligente e colto! Quando gli ho parlato del mio romanzo preferito ha pensato subito di procurarmi i biglietti per lo spettacolo di questa sera. Non è adorabile? Ero così emozionata che gli stampai un bacio, scappando subito dopo» ridacchiò, arrossendo fino alla punta delle orecchie. «Quella sera continuavo a pensare al gesto stupido che avevo fatto. Pensavo fosse la fine per me e lui. Pensavo … pensavo di essermi comportata da sciocca. E invece lo trovai fuori da casa mia. Aprii la finestra e prima che potessi scusarmi, mi baciò lui augurandomi la buona notte», finì citando una frase di uno dei libri che aveva letto tempo addietro.
Madeleine aveva il cuore pieno di commozione e l’abbracciò in un gesto di puro affetto. Continuarono a parlare di Paul e Fleur aggiunse dettagli che aveva tralasciato.
«Com’è bello l’amore!» ripeteva. E Madeleine ridacchiava.
 «Paul e quel suo amico, Vincent, non hanno nomi francesi. E nemmeno tedeschi» osservò Madeleine dopo che l’amica si fu calmata.
 «Fu una delle prime cose che chiesi a Paul. Mi spiegò che sua madre – e anche quella di Vincent – erano inglesi. Si trasferirono a Parigi fin da ragazze, sposando due uomini francesi conosciuti all’Università. Oh, Madeleine, che cosa romantica!».
 
Il maggiore Eric Schmidt si alzò dalla branda, nel cuore della notte. Indossò la sua giacca color cachi, allacciando i bottoni fino alla gola e imbracciò il fucile. Uscì nella notte calma, diretto agli uffici militari in Place de la République. Salì – rapido e silenzioso – i pochi gradini di marmo bianco. Uno dei due commilitoni al portone gli chiese dove stesse andando. Eric buttò l’occhio sui loro distintivi: erano due sergenti, non gli conveniva fare lo spiritoso.
 «Il capitano Gölenik ha chiesto di me». Porse loro il foglio con la richiesta del capitano di vederlo quella notte stessa.
 «Dovrebbe essere al terzo piano. O forse al quarto».
Eric entrò, il pianoterra era pressoché buio. Salì rapidamente i gradini fino al terzo piano, dove chiese ad un militare, questa volta un caporale, dove fosse l’ufficio del capitano. Il soldato lo scortò al piano successivo. Eric memorizzò il percorso. Le pareti dei corridoi erano immacolate e, di quando in quando, vi erano appesi degli arazzi con il simbolo della svastica o con un primo piano di Hitler. Ad Eric mancava la Germania, in particolare la sua Monaco da cui dalla caserma riusciva a vedere le montagne sempre incappucciate di neve. Eric non era diventato un soldato per assediare una città straniera, che – con tutta onestà – avrebbe voluto veder rasa al suolo con i suoi abitanti in ginocchio. Ma ancora di più, voleva tornare a Monaco. Gli mancavano i suoi compagni d’arme, suo fratello Kevin che era stato mandato a combattere sul fronte sovietico-Perlomeno lui combatte!-; la birra tedesca – sperava di riuscire a rientrare in Germania per l’Oktoberfest di quell’autunno -  e forse più di ogni altra cosa gli mancava Anna. Anna… Sperò che il capitano lo rimandasse a casa, o –quantomeno- gli concedesse una licenza.
L’ufficio del capitano Gölenik era ordinato. Su una parete era appesa una mappa che comprendeva le nazioni dalla Spagna alla Russia. Sul grande tavolo erano impilate, in modo ordinato, delle carte. Il capitano stava consultando una di queste, quando Eric entrò. I due uomini fecero il saluto militare. Il capitano lo squadrò con i suoi occhietti neri, portandosi le mani dietro la schiena. Eric sentiva le labbra screpolate, ma non si permise nemmeno di inumidirle velocemente.
 «Maggiore Eric Schmidt?».
Eric tirò fuori la sua medaglietta di riconoscimento. «Sì, capitano», parlò più forte di quanto avesse voluto.
 «Da dove vieni?».
 «Da Monaco, signore».
 «Molto bene. Ho una missione da affidarti».
 «Sono pronto a tut…».
 «Calma, maggiore. Prima di accettare, lascia che ti esponga le condizioni. Dovrai lavorare da solo. Nessun altro tuo compagno dovrà esserne messo al corrente. Accetti?».
E la ricompensa? «Accetto, capitano».
 «Quando abbiamo preso Parigi, i pochi soldati francesi rimasti in città si sono uniti all’esercito tedesco. Tra questi, nella mia unità ci sono i soldati semplici Paul Dupoint e Vincent Lefevre. ». Eric li conosceva di vista, con Paul aveva scambiato qualche battuta. «Voglio che tu li tenga d’occhio. Può darsi che non siano pericolosi. Altri tuoi commilitoni stanno controllando alcuni soldati francesi della caserma».
Eric annuì. «Sì, signore».
 «Voglio che tu mi riferisca qualunque cosa sospetta trovi in quei due, intesi?».
 «Sì, signore», ripeté.
Fantastico, pensò mentre usciva. Non solo sono bloccato in questo schifo di città, ma mi tocca pure controllare due francesini!
Eric alzò lo sguardo al cielo che iniziava ad albeggiare e il suo cuore tornò ad Anna.
   
 
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