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Autore: Shadow Eyes    29/08/2017    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi multi!verse, incentrate sul rapporto tra L e Misa.
1. Obsession;
2. Advantage;
3. Accuracy;
4. 33%;
5. Friendship;
6. Illogical;
7. The True You;
8. Troubling Thoughts;
9. A Moment in Time;
10. Everyday Magic;
11. Heart Song.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: L, Misa Amane
Note: Movieverse, Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Heart Song_LxMisa
Obsession
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45. Heart Song {“L Change the WorLd” | Book!Verse}




Let me in the wall you’ve built around
And we can light a match and burn them down.
And let me hold your hand and dance ‘round and ‘round the flames
In front of us.
Dust to dust.
The Civil Wars – “Dust to Dust”





«Ryuzaki, tu credi nel destino?»
Il vento le sollevò pigramente i capelli dalle spalle, e quei riflessi d’oro ricchi, accecanti, parvero incendiare la stanza mentre se ne stava poggiata con gli avambracci sul davanzale della finestra.
L infilò le mani nelle tasche ruvide dei jeans. Quella, era una domanda che non si sarebbe aspettato di ricevere da Misa Amane. Non in quel modo per lo meno. Non che ci fosse qualcosa d’inappropriato nell’argomento di per sé – era stato interrogato su questioni ben più bizzarre dal buon Matsuda –, ma quel tono di segreto appena sussurrato che la idol aveva usato era intimo, quasi imbarazzante. Gli aveva dato come l’impressione che la risposta da darle fosse qualcosa da confessare tra le coltri di un letto, non sotto la luce splendente del sole di luglio.
Che stia tentando di giustificarmi la sua ossessione per Kira con il concetto di destino?
Inclinò il capo di lato.
«Ѐ il tuo modo per chiedermi un appuntamento, Amane?»
«Come no… Scemo.» Lei abbozzò un sorriso storto. «Misa stava pensando ai suoi genitori. Ѐ passato un anno, ormai…»
Ricordi, foto di stanze sporche di sangue e cocci, due corpi riversi sul pavimento. Il detective conosceva a menadito ogni singolo dettaglio di quel caso, ma lasciò che l’amica glielo raccontasse con lo sguardo perso nella folla sottostante. C’era qualcosa, in lei, che non quadrava. Quella quiete, quell’assenza di tensione nelle spalle non le appartenevano.
L osservò la luce rifrangersi sulla pelle sottile, quasi diafana della ragazza mentre congiungeva le dita magre tra loro; sembrava una vila – selenica, fuori dal tempo.
Ha ricominciato a saltare i pasti…
«Sai, Misa non saprebbe neanche dire quanti mesi ha passato a pensare che sarebbe stato meglio se si fosse trovata a casa, quel giorno. Con mamma e papà.», la giovane fece una pausa, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Invece… Eccola qui.»
Il detective inspirò lentamente. Era pressoché certo che le convenzioni sociali, in quel momento, richiedessero da parte sua parole di conforto; una frase gentile magari, o per lo meno di circostanza.
... Ma per qualche motivo, non credo sia questo che voglia.
Espirò. Con qualche remora, mise da parte quell’impulso cortese, chiedendosi piuttosto a cosa stesse puntando Misa con quel discorso a cuore aperto. Nelle loro precedenti conversazioni, non aveva mai dato segno d’amare crogiolarsi nella commiserazione. Tutt’altro.
«Poi c’è stato lo stalker…»
Uno sbuffo e il detective la vide chinare il capo. Le si avvicinò, poggiandosi di schiena contro la parete accanto alla finestra. Neanche da quell’angolatura riuscì a vederle con chiarezza gli occhi.
«Misa era certa che fosse la punizione per… Per…»
Il sospiro che seguì gli si insinuò sottopelle, stringendogli lo stomaco.
«Sai bene che non è così.»
Le labbra della idol si strinsero in una linea esangue.
«Sei sopravvissuta a due circostanze indipendenti dalla tua volontà. Non c’è colpa in questo.»
«Quindi era destino che dovesse andare così?»
La domanda cadde nel vento caldo che scostò lievemente l’anta della finestra, facendo cigolare le cerniere.
«Pensi che ci sia qualcosa più grande di noi a guidare i nostri passi? … Ha senso, no?», ragionò Misa, il profilo bianco sollevato verso il cielo. «Quindi Misa è ancora qui perché c’è qualcosa che deve fare.»
«Alludi a Kira?»
L faticò a trattenere un sogghigno quando notò che l’amica aveva arricciato il naso.
«Sembri un disco rotto, Ryuzaki. Misa è dalla tua parte, no? Quand’è che ti fiderai, anche un solo pochino, di lei?»
«In tal caso… Si tratta di Light?»
«No.» Misa si piegò in avanti, appoggiando il mento sul palmo della mano. «Light non ha bisogno di Misa. Light non ha… Bisogno di nessuno.»
«… Temo di non seguirti, Amane.»
«Ah.»
La ragazza sussultò, come se quell’intera conversazione fosse stata per lei solo un sogno ad occhi aperti e lui l’avesse appena risvegliata con uno scossone.
«Perdona la povera Misa-Misa… Sta dicendo delle cose strane, oggi, eh?»
«Un po’, sì.»
L si allontanò dal muro, spostandosi accanto a lei, i pugni poggiati sul davanzale bollente.
«Quando hai detto d’essere mia amica… Io ti ho presa in parola, sai?»
La natura estemporanea di quella confessione sortì l’effetto desiderato, riempiendogli il petto di compiacimento; Misa, difatti, inarcò le sopracciglia e si voltò in cerca del suo sguardo, rivelandogli finalmente il suo viso delicato e l’emozione che ne traspariva: una fedele in ginocchio all’altare.
Ti sta uccidendo.
«Perciò,», proseguì il detective, compassato, «farò ciò che è in mio potere per aiutarti.»
Come puoi non riconoscerlo? … O ti va bene così?
Ascoltò la giovane sussurrare il suo nome. Poi le spalle le tremarono.
«… Sempre che tu lo voglia, Amane.»
Fu allora che qualcosa, in lei, andò in pezzi.
Non riuscì a sentire un solo grammo di rimorso.




«Sarebbe bello poter tornare indietro.»
I lacci rossi dei sandali oscillarono quando Misa tese le gambe al vento di fine estate – due linee bianche contro il fuoco del tramonto.
«A quando le cose erano più semplici.»
La guardò piegare le ginocchia sporche di terra e lasciare cadere i talloni sull’erba, tamburellandoli al ritmo di una canzone che aveva preso a mormorare tra i denti; aveva quasi vent’anni ma quell’energia che le rendeva ogni movimento un ghiribizzo fanciullesco non sembrava averla abbandonata. Il che, per qualche motivo che non riuscì a spiegarsi, era rassicurante.
«Trovi?»
La idol si stiracchiò, portandosi le mani sotto la nuca con un sorriso. Quell’espressione distesa, gli ricordò quella un gatto che aveva visto dormicchiare sul balcone di una palazzina.
«Mh? Come, scusa?»
L poggiò le mani sulle ginocchia, percorrendo le linee curve dell’osso con l’indice; sapeva che l’amica in realtà aveva compreso perfettamente la sua domanda e che fargliela ripetere era un modo come un altro per guadagnare qualche secondo in più per imbastire una risposta. L’assecondò.
«Pensi davvero che prima fosse tutto più semplice?»
Una folata d’aria spazzò la collina, gonfiandogli gli abiti. L’odore penetrante dell’erba era una carezza per le sue le narici e non poté che riempirsi di quell’aria leggera, abbracciando l’intera cittadina sottostante con lo sguardo: vista da lassù, sembrava quasi sospesa nel tempo, con la sua ordinata fila di case dai colori chiari che circondavano, come perle, una chiesetta dal campanile svettante.
«Secondo te non è così, Ryuzaki?»
I capelli di Misa ricaddero sull’erba con un fruscio dolce e il prato scintillò di riflessi d’oro e platino.
«Be’… Forse hai ragione.», proseguì ancora lei, gli occhi immobili sulle fronde dell’acero che li schermava dal sole. «Forse a Misa manca semplicemente quello che aveva.»
«Comprensibile.», le concesse L e si volse a guardarla, soffermandosi sulla linea serena delle sue labbra. «Eppure non mi sembri… Triste.»
«Triste? Affatto.»
Le ombre purpuree delle foglie le scivolarono lungo la gola, disegnandole motivi geometrici sulla pelle.
«Ѐ così bello qui.»
«Lieto ti piaccia.»
«Senti… Perché non ti sdrai un po’ anche tu? Si vede lontano un chilometro che sei stanco!»
Suggerimento invitante, considerò il giovane; lo scontro contro Matoba l’aveva visto uscire vittorioso ma indolenzito – per non parlare dei lividi sparsi ovunque sul suo corpo. Sarebbe stato giusto riposare, fermarsi un attimo. La semplice menzione di un possibile cambio di posizione che non prevedesse il raggomitolamento su sé stesso, tuttavia, gli fece arricciare il naso.
«Non posso.»
Misa non diede alcun segno di sorpresa a quella risposta brusca.
«Meno nove punti intelligenza se lo fai?»
«… Bizzarro modo d’esprimersi ma sì, è così. Mi sorprende che te lo ricordi.»
«Esiste davvero un modo per dimenticare le tue stramberie?»
Lui aggrottò la fronte, indispettito. Lei ridacchiò.
«Anche a volerlo con tutto il cuore, Ryuzaki, non possiamo dimenticare le persone con cui condividiamo momenti importanti della vita… Non siamo mica dei computer che possono fare il coso che cancella tutto
«… Il reset?»
«Ah, è così che si dice?»
«Non posso credere che tu non conosca una nozione così basilare d’informatica con il lavoro che fai.»
«Misa-Misa è una idol, mica un tecnico! E poi non serve sapere tutti questi termini specifici per accendere un PC!»
L s’imbronciò.
«Non è questo il punto.»
«Oh, che muso lungo! … Indignarsi per una cosa del genere è proprio da te, Ryuzaki.»
«Intendevi dire per una sciocchezza del genere, o sbaglio?»
«… Può darsi.»
La risata di Misa si sollevò al cielo, ariosa, e una parte di lui fu grata d’aver indossato la solita maglia a maniche lunghe, perché quel suono gli aveva fatto accapponare la pelle. C’era una luminescenza vibrante in lei, qualcosa di nuovo, d’inspiegabile che s’irradiava tutto intorno fino a lui, nella sua testa, su per i nervi, fin a sfiorare ogni corda del suo cuore e a farla cantare. Perdere Light l’aveva fatta rinascere.
«Sei cambiata, Amane.»
«Tu dici?»
«Ne sono convinto.»
«Ѐ un bene, no?»
La voce argentina di Misa tremò all’ultima sillaba, quasi avesse per un attimo perso la convinzione in quello che stava dicendo. Piegò il collo di lato e l’ambra dei suoi occhi s’increspò, facendoli brillare.
Cosa…
Rumore bianco.
Il detective le rivolse una smorfia curiosa, dissimulando così la scarica di tensione che gli aveva appena elettrizzato la bocca dello stomaco. Misa lo stava fissando come se si stesse aspettando qualcosa da lui. Una conferma, forse? Che altro?
«… Suppongo di sì.»
Gli bastò vederla inarcare un sopracciglio, per sapere d’aver sbagliato approccio. Dopotutto, la cautela con lei funzionava raramente.
«“Suppongo di sì”.»
La idol gli aveva appena fatto il verso alla perfezione, modulando la voce in un tono apatico talmente simile al suo da riempirlo di genuina ammirazione. Peccato che in meno d’un battito di ciglia la facciata professionale le era colata via dal viso, rivelando l’espressione contratta di chi ha appena tirato un morso ad un limone particolarmente agro.
«Bah! Che razza di risposta. Non sa né di carne di né di pesce.»
«Mi correggo: non sei cambiata poi molto.»
«E tu non sei cambiato affatto
«Ah, sì?»
«Sì, non capisci ancora nulla di ragazze.»
«Su questo… Non posso darti torto.»
Con le dita strette tra le grinze dei jeans, L inclinò il capo e la pioggia di luce che filtrava dalle foglie dell’acero gli bagnò la guancia scarna. Il calore gli fece socchiudere gli occhi, placandogli quel senso di inadeguatezza che continuava a perseguitarlo ogni qualvolta s’approcciava ad argomenti legati alla sfera sentimentale. Non facevano proprio per lui. Eppure…
Sbirciò in direzione di Misa, venendo ricambiato da una linguaccia giocosa che gli fece sprofondare il cuore in petto.
C’erano molte, troppe cose che avrebbe voluto dirle. Alcune non avrebbe potuto rivelargliele neppure volendo. Altre non riusciva proprio a trasformarle in proposizioni organiche.
Un giorno. Un solo giorno.
«Avrei voluto avere più tempo per imparare a capirti.»
Non gli restava altro.
Inspirò, lo stomaco gelato da quanta amarezza fosse trapelata dalla sua voce. Non pensava di potersi emozionare per un’ammissione del genere. Accidenti. Da quando aveva incontrato Maki, la sua affettività aveva preso a manifestarsi con maggiore naturalezza sia nei gesti che nelle parole – cosa che lo turbava non poco. Gli aveva attaccato la sentimentalite.
«Ah, ma ti ascolti?»
Con un agile colpo di reni, Misa si alzò in piedi, spostandosi davanti a lui con i pugni premuti contro i fianchi; la luce sanguigna del sole si eclissò alle sue spalle, irraggiandosi attorno al suo corpo, tra i capelli, nelle pieghe dell’abito corto, che parve rilucere come se appartenesse ad una creatura celeste. Perfetta illusione.
Maledizione…
Il detective si portò il pollice alle labbra, premendoci contro il polpastrello per placare l’ansia che gli ronzava tra i pensieri.
«Parli come se stessi sul letto di morte, scemo! Non sei mica un vecchio!», stava sproloquiando nel frattempo l’amica, concedendosi una breve pausa di riflessione prima di proseguire. «… Oddio, a volte lo sembri proprio, tutto ingobbito e immusonito su un computer – ma hai capito il succo! Hai tutta una vita per capire quello che ti pare!»
«Ah…»
L tacque. A volte, gli capitava d’ascoltare delle affermazioni accidentali, il cui tempismo ironico era impressionante. Lei aveva perso ogni ricordo legato al Death Note, non poteva sapere eppure l’istinto e il caso le avevano fatto pronunciare quelle esatte parole. Uno sbuffo divertito gli sfuggì dalle labbra, che si storsero sotto il peso della menzogna che stava per rigurgitare.
«Hai ragione, Amane. Il tempo… Non mi manca.»
Trasalì quando il delicato piede della fanciulla che lo sovrastava per poco non pestò il suo.
«Non ce la fai nemmeno a guardare Misa negli occhi!»
Con un po’ d’indugio, il detective sollevò lo sguardo e la vide scoprire i denti – bianchi, impeccabili – con aria altera, pronta ad inveirgli ancora una volta contro. La sua reazione, a quanto pareva, l’aveva stizzita.
Non c’è modo di averla vinta, con lei.
Avrebbe voluto alzarsi in piedi e allontanarsi di qualche passo da quel broncio frustrato ma la sua amigdala continuava a suggerirgli, o meglio a urlargli, che muoversi in quel momento equivaleva a sfidarla; così rimase rannicchiato su se stesso, sperando che la ragazza mettesse presto ordine alle proprie emozioni.
«Cos’hai, Ryuzaki?»
«Amane…»
«C’è qualcosa che non hai detto a Misa-Misa?»
L distinse una traccia strisciante, ineffabile come un’eco nella voce della ragazza. Paranoia.
Uno strascico del suo rapporto con Light è rimasto, allora.
Non era un bene. Non lo era affatto.
«Amane.», si costrinse a ripetere ancora, infilandosi con indifferenza il mignolo nel naso per grattarsi l’interno della narice. «Sei visibilmente stressata. Vuoi una caramella?»
Nulla, su quella collina, diede accenni di vita per un minuto buono.
«Che c– No, pazzoide che non sei altro!»
«Ne sei sicura? Ne ho portata una senza zucchero solo per te.»
«Ma chi se ne frega! E levati quel dito dal naso, che schifo!»
Misa calciò un ciuffo d’erba che volò oltre la spalla del buon detective, decorandogli la maglia d’una spruzzata di terra.
«E va bene.», capitolò lui, sospirando. «Ti devo le mie scuse: prima devo essermi espresso in maniera lievemente drammatica. Tuttavia, ciò non toglie che avere dei rimpianti è umano, Amane. Non dovresti leggere troppo tra le righe, o andrà a finire che stravolgerai sempre il senso di quello che ti viene detto.»
«Ma perché è un rimpianto? Misa…»
Il nero delle loro pupille si incontrò e qualcosa in lei si smosse, facendole cascare le braccia lungo i fianchi; le sopracciglia le si inclinarono, addolcendole l’espressione.
«Io sono qui.»
Non aggiunse altro, lasciandosi cadere sulle ginocchia di fronte ad L, le guance ingentilite d’una delicata sfumatura amaranto.
Oh… Ha abbandonato la terza persona.
Non l’aveva mai fatto prima. Nemmeno con Light. Soprattutto con Light.
Dolore.
La gola non gli aveva mai fatto così male. Il giovane deglutì, processando quella novità con un certo disagio. Che voleva dire?
«Lo so. Ti ringrazio per esserti presa la briga di sfuggire ancora al tuo manager per raggiungermi. Sono lusingato.»
«Che ne sai tu di…?»
«Quando sei arrivata avevi il fiatone. Inoltre: lo strappo nell’abito. I capelli sciolti. Le ginocchia imbrattate.», cantilenò lui, agitando l’indice per indicare ogni cosa. «Indicano fretta. Hai agito senza avere un piano ben organizzato. Come al solito.»
«… Sei insopportabile.»
«Opinabile.»
«Opi– che?! Comunque è inutile che cambi argomento!»
L trasse un profondo respiro.
«Ascolta, Amane. Comprendo la tua preoccupazione ma sofferenza e perdita sono parte di chi siamo, non bisogna averne paura.», provò a spiegarle, «Perché temendole permettiamo che siano le uniche cose a definirci.»
Si portò d’istinto il piede sinistro sul destro, per grattarselo. Quando si rese conto di stare indossando delle scarpette da ginnastica, emise un rantolo di disappunto.
«Un gran spreco, non trovi?», continuò allora, «Se ci pensi, in noi c’è così tanto potenziale: senso di giustizia, spirito di sacrificio, coraggio ricominciare… La più matta speranza. Se proprio dev’esserci qualcosa a guidarci, perché non lasciare che siano queste?»
Evitando lo sguardo disarmato di Misa, si voltò verso lo zaino che aveva abbandonato contro il tronco dell’acero e allungò un braccio, aprendolo. Frugò al suo interno per un po’, prima di riuscire ad estrarne, tra pollice e indice, un pacchetto di patatine chiuso in una busta autosigillante.
«Qui dentro c’è qualcosa che considero un tesoro.», mormorò, porgendola alla ragazza, che batté ciglio prima di afferrarla. «Ma sono arrivato a concludere che è più giusto che l’abbia tu.»
«… È una busta. Con dentro una busta di patatine. A te non piacciono nemmeno, le patatine.»
«Non esattamente.»
Misa fece una smorfia incuriosita, dondolando il capo a destra e sinistra per osservare il dono da ogni angolazione possibile.
«Ti servirà da monito.», si premurò d’aggiungere nel frattempo il detective, criptico, prendendo a mangiucchiarsi le unghie. «Per il giorno in cui penserai che non c’è più nessuno che ha bisogno di te.»
«Cosa…?»
«Aprila.»
Osservò con attenzione la giovane mentre strappava la busta e affondava la mano nel pacchetto, tirandone fuori una fotografia. La carta era d’una sfumatura giallognola e anche l’immagine impressavi sopra portava i segni del tempo: con il mare sullo sfondo, due famiglie stavano posando assieme per lo scatto, tenendosi stretti gli uni agli altri. In primo piano c’erano i volti tondi e sorridenti di due bambine: Misa e Maki.
«Questa… Ѐ la vacanza che abbiamo fatto assieme.» Misa rigirò la foto tra le dita, sfiorandone la superficie lucida con delicatezza, quasi avesse timore che potesse sbriciolarsi sotto il suo tocco. «Maki…»
«Non è stato facile ottenerla.», annuì L, «Quella bambina è un’ottima negoziatrice.»
La serietà del suo tono strappò a Misa una risatina tremula.
«… Scherzi?»
«No.» Preso in contropiede da tanta incredulità, piegò il capo di lato. «L’ho dovuta barattare per l’oggetto a cui tenevo di più in assoluto.»
«Non sarà stata una fragola o una caramella, vero?»
«Con chi credi d’aver a che fare, Amane? Sono un uomo d’onore, io.»
La guardò storcere le labbra in una smorfia ironica, prima di replicare un semplice “a-ha” che lo fece immusonire.
«Se proprio vuoi saperlo, le ho consegnato il mio personale taccuino. Ci avevo annotato sopra ogni singolo dolce che ho mangiato da quando sono arrivato qui in Giappone.»
«Ogni singolo– Cavolo! Dovevi tenerci davvero tanto, allora!»
«Sì.»
Era… Strano che capisse.
«Sì, è così.»
Era bello che capisse.
«Pazzesco! Maki è un genietto del male!» Sghignazzò Misa, stringendosi al petto la fotografia. «Grazie, Ryuzaki… Questo è il pensiero più dolce che abbia mai ricevuto. Non lo dimenticherò.»
Calore. Il detective sentì il sangue risalirgli lungo le guance, facendogliele avvampare.
Che guaio. Quell’espressione… Mi fa venir voglia di vivere ancora un po’ in questo mondo.
Per poco non gli andò di traverso la propria saliva al sentore di déjà-vu che quel pensiero gli diede; tempo fa, in un altro luogo, in un’altra occasione, aveva detto la stessa cosa ad un’altra persona.
Watari.
«E a proposito di tesori… Perché questa mia vecchia foto è così preziosa per te?», cinguettò Misa con innocenza, gattonando verso le radici dell’acero sulle quali giaceva una borsetta nera ricoperta di borchie. «O forse speravi che non te l’avrei chiesto?»
L si passò una mano dietro il collo, posando lo sguardo sulla curva nivea di quella schiena esile, contando le vertebre che comparivano tra i lacetti intrecciati dell’abito.
«Non capisco cosa intendi, Amane. Sai bene che sono un tuo grande fan, non te l’ho mai nascosto. Quella fotografia… Ti è stata scattata prima del successo. Ѐ a tutti gli effetti una rarità da collezione, non potevo non volerla... Ma non è tutto.» Gli angoli delle labbra gli si piegarono in un sorriso che gli accese d’un baluginio vivace gli occhi. «Quando l’ho vista, ho sentito di comprendere il legame emotivo che racchiudeva… E devo confessarti che mi affascinava l’idea d’averlo tutto per me, di essere custode di quel momento felice. Dev’essere stata una splendida giornata.»
«Sì… Una delle più belle della mia vita.»
Misa chiuse la pochette, lasciando al suo interno quel frammento di passato.
«… Uffa!», sbuffò poi e si prese il volto tra le mani, scuotendo furiosamente la testa. «Ma come fai a dire certe cose con quella voce da robot? Rovini tutta l’atmosfera!»
«Quale atmosfera?»
La idol si sollevò in piedi, veleggiando tra i fili d’erba fino ad arrivare ad accomodandosi con grazia di fronte a lui, prendendosi il tempo di accarezzare il fiocco di raso nero che le cingeva la vita prima di degnarlo della propria attenzione.
«Ma tu ci sei o ci fai, porcospino dannato?»
Fece per prendergli il viso tra le mani ma si fermò di colpo con le braccia a mezz’aria, stupefatta.
«Oh, wow… E quello cos’è?!»
«Cosa?»
L si guardò attorno.
«Come, “cosa”? Quello!», esclamò ancora lei, questa volta afferrandogli senza esitazione il mento per farlo voltare. «Stai sorridendo, Ryuzaki!»
«Le tue osservazioni argute non finiscono mai d’impressionarmi, Amane.»
«Che scemo... Non credo d’averti mai visto sorridere così, ok?»
La mano le cadde in grembo e lui si ritrovò a seguire quel movimento come in trance, protendendosi in avanti.
«Sei… Felice?»
Il detective raddrizzò le spalle, schiarendosi la voce. Che gli era preso?
«Direi di sì.»
«Mi piace il modo in cui cambia la tua espressione quando lo sei.», mormorò Misa, annuendo tra sé come se fosse arrivata a capo di una qualche diatriba interiore. «Dovresti sorridere di più… Sì, dovresti farlo più spesso!»  
Inebetito dal quel complimento, L schiuse le labbra, tamburellando le dita ossute sulle ginocchia. Non era abituato a ricevere commenti positivi sul suo aspetto. Meno che meno edulcorati da una spontaneità che fugava ogni dubbio sulla loro autenticità.
Si chiese se fosse stata la fantomatica “atmosfera” da poco accennata a favorire quell’evento.
Oppure…?
«Questa… Ѐ la cosa più vicina ad una dichiarazione d’amore che mi abbiano mai fatto.»
«E-Eh…?»
«Che devo fare, Amane?»
Mascherando il riso dietro una smorfia d’ingenuo smarrimento, la punta di diamante della Wammy’s House si portò una mano sul petto, fissandone in seguito il palmo come se avesse appena toccato un artefatto alieno. Preso com’era dalla propria improvvisazione, riuscì anche a farlo tremare un po’.
«Non mi sono mai sentito così…. Ho il cuore che mi batte forte…!»
Con ineguagliabile raffinatezza, Misa aspirò una disumana (a suo modesto parere) quantità d’aria dalla bocca, torcendosi di lato e schermandosi il viso per evitare la fissità inquietante dei suoi occhi sporgenti.
«Non guardarmi con quello sguardo da pesce lesso!», eruppe con il tono più alto di un’ottava. «… Non riesci mai a fare il serio, Ryuzaki! Sempre a prendermi in giro!»
Rossa, rossa, sempre più rossa.
«Oh? Guarda che sono serissimo.»
«Seh! Ma ti rendi conto che vorrebbe dire che sei innamorat–»
Sussultò.
«Mh? Cosa sarei?»
«... N-Niente! Anzi, uno scemo, come al solito!»
Pausa.
«Oh. Adesso invece il cuore mi fa male.»
«Smettila!»
«Interessante. Ѐ come se si stesse spezzando in due. In senso figurato, ovviamen–»
Per poco non cadde in ginocchio sul prato, quando Misa gli gettò le braccia al collo, tirandolo a sé con un impeto tale da riempirlo di brividi.
«Sei un cretino, Ryuzaki.»
Come se l’avesse fatto altre mille volte, la ragazza gli poggiò il mento sulla spalla, solleticandogli la guancia con i suoi capelli biondi. Vaniglia. Sapevano ancora di vaniglia.
«E tu hai fatto esattamente il mio gioco, Amane.»
L’alone bollente d’un respiro sulla pelle e la risata della ragazza gli vibrò nelle ossa, riempiendolo di desiderio di tenerla stretta a sé. Non si mosse.
Vorrei…
Il detective chiuse gli occhi, affondandole il naso nell’incavo della clavicola, godendosi il tepore, la quiete che solo quelle braccia riuscivano a dargli. Non sentiva più nulla, né la stanchezza, né il dolore dei lividi; e dire che c’era stato un tempo in cui avrebbe fatto di tutto per fuggire da un contatto così intimo.
Vorrei poter prolungare questo momento.
E il silenzio che gli aveva riempito le orecchie sfumò lentamente nel frinire degli insetti che risuonava nella collina. Era una cantilena soffusa, ritmica che gli si insinuò nella mente, mutando forma, richiamando altri suoni che crearono l’immagine di un paio di lancette d’orologio. Lo scandire inarrestabile dei secondi che continuavano a scorrere tra loro, avvicinandolo all’orario della partenza.
«Quando…?»
Abbiamo… Pensato la stessa cosa?
«L’ultimo treno parte tra un’ora.»
Un sospiro e le unghie di Misa gli grattarono il collo, serrandosi sulla sua maglia.
L si morse il labbro. Doveva sbrigarsi.
«Qualche tempo fa, mi hai chiesto se credessi o meno nel destino, ricordi?»
«… Oh… Sì.»
C’era un’increspatura melanconica nella voce della idol, che tuttavia sciolse l’abbraccio per ascoltare quello che aveva da dire, l’inevitabile addio uno spettro che le aveva ormai infestato i lineamenti, incupendoli.
«In verità, ho sempre ritenuto che il destino fosse un concetto noioso.»
«… E hai aspettato tutto questo tempo per dirmelo?»
Il giovane sogghignò appena, sapendo ancora prima d’aprir bocca quanto le sue parole l’avrebbero delusa; ma quello era l’ultimo nodo che restava tra loro ed era intenzionato più che mai a scioglierlo prima di tornarsene al quartier generale. Voleva permetterle, seppure per un istante, di sbirciare dietro la sua maschera perché lei gli aveva appena permesso di fare lo stesso.
«Pensaci bene:», proseguì quindi, svelto, sollevando l’indice. «se davvero esistesse un piano prestabilito, vorrebbe dire che nessuno di noi ha libero arbitro, né è responsabile delle proprie azioni. Non si vince, non si perde. È inaccettabile
«Non… Non l’ho mai considerata da questo punto di vista.»
«Lo presumevo.» L chiuse il pugno, lasciando ritto solo il mignolo ossuto, prendendo a fissarlo come se ci fosse attaccato qualcosa. «Conosci la leggenda cinese del filo rosso del destino, vero?»
Misa lo imitò di riflesso, osservando il proprio dito.
«Eh?! Ma cert–», esclamò, decidendo poi di spezzare la frase in due serrando i denti. «Lo trovi… Infantile?»
«Non ha importanza cosa penso. Importa che tu ci creda o no.»
«Be’… Sì, io ci credo.»
«Quindi sarebbe giusto pensare che saresti disposta ad amare chiunque il destino abbia scelto per te?»
«Certo che sì! Queste cose esistono perché funzionano, testa di rapa!»
La giovane si batté i pugni sulle cosce, scandendo l’insulto sporgendosi verso di lui con la mascella in fuori.
Sarà onestà, la sua? O mera testardaggine?
«E tu invece? Non credi in nulla, Ryuzaki?»
Gli occhi le si dilatarono, lucidi, ferventi ed L poté scorgerci il suo riflesso scioccato al loro interno. Era vicina. Troppo vicina.
«Nemmeno nella possibilità che da qualche parte esista la persona perfetta per te?»
«Io…»
Esitò un istante. Uno solo.
«Non lo sopporterei.»
«Eh?!»
«Mettiamo il caso che ci creda, che un giorno sia destinato ad incontrare qualcuno di speciale…», ipotizzò lui, sentendo un fastidioso groppo in gola, «Ciò significherebbe che ogni relazione prima di quel fatidico giorno, è inevitabile che fallisca.»
«Be’, sì, ovvio!»
«Se è così, allora è altrettanto vero che, per quanto possa sforzarmi di capire la persona che ho a fianco e possa combattere per riuscire a creare qualcosa con lei, per quanto possa amarla e desiderarla, non c’è niente che possa fare per restarle accanto. Non se non è lei la predestinata. Quindi anche in questo contesto i miei sentimenti, la mia volontà non hanno alcun peso.»
«… Oh.»
L trasse fiato per proseguire ma la mascella fece fatica a muoversi, d’improvviso gelida, inerte.
«Non posso accettare che il mondo funzioni così, Amane. E non dovresti anche tu.»
Chiuse la bocca, le spalle incurvate da tutta la spossatezza accumulata in quel mese scriteriato; ora era tutto chiaro, aveva preteso troppo dal proprio corpo e ne stava cominciando a pagare il prezzo.
Dita delicate, sottili, si sollevarono, sfiorandogli la guancia, scaldandogli la pelle. Una carezza. Sospirò, sentendo ogni fibra della sua mente corrodersi nel tentativo di mantenere la lucidità.
La invidiava. Misa faceva sembrare tutto così semplice; la sua vicinanza, la sua comprensione erano racchiuse il quel tocco. Non le serviva altro per trasmettergliele. Avrebbe voluto essere in grado di fare altrettanto, almeno con le parole.
Se solo…
«La tua felicità dipende da una sola persona.»
«Da chi…?»
Un sbuffo tra il divertito e l’esasperato.
«Da te, scema d’una Misa
«Ryuzaki…?»
La voce era un’eco lontana e lui batté le palpebre, faticando a tenerle aperte. Da quanto non dormiva?
«Hai detto il mio nome? Mi hai chiamata per nome?»
Osservò la giovane in silenzio, sorpreso di quanto grandi e scuri fossero i suoi occhi; erano sempre stati belli, espressivi ma adesso ardevano come stelle, accecanti, mesmerici.
«Il tuo nome…?»
«Sì, sì l’hai proprio detto. Sembra… Sembra quasi qualcosa di buono, quando lo dici tu.»
Il sole trapassò le nubi con i suoi ultimi raggi, inondando cielo e terra di scie bronzee e vermiglie che si rifransero sul prato, creando tutt’intorno una radiazione calda e luminosa.
«Io… Sono fiero di quello che sei diventata.»
«Cosa…?»
«Quel giorno, al concerto… Avresti potuto abbandonare me e Maki ma non l’hai fatto. Pur di aiutarci, ti sei esposta ad un pericolo del quale non conoscevi nemmeno l’entità.»
«Mis– Ti sono stata utile? Io?»
L inclinò la testa.
«Dire che sei stata essenziale sarebbe quasi eufemismo. Non ce l’avrei mai fatta a salvare Maki, senza il tuo intervento.»
Gli sembrò quasi di vedere cadere delle catene dai polsi di Misa quando quelle sue mani piccole – calde, calde, sempre calde – gli tracciarono la linea degli zigomi, leggere come non mai, scivolandogli lungo le guance. Stava… Piangendo.
«Perché…?»
Avvertì le sue dita volargli tra i capelli, sulla nuca, tirandolo in avanti; l’odore di vaniglia lo avvolse ancora, intenso, prima che il mondo sparisse nel bianco. Non c’era più aria nei suoi polmoni, solo le labbra di Misa contro le sue e il sale delle sue lacrime.
Sconvolto com’era, nel momento in cui l’accaduto gli divenne lampante, la ragazza si era già ritratta.
«Scusami, Ryuzaki, mi sono lasciata trasportare… Che scema.», disse e si lasciò andare ad una risata acquosa. «Se avessi potuto trovare le parole, se solo fossi in grado di dirti quello che…»
Questa volta fu la mano di L a cingerle il collo, mozzandole il fiato in gola, chiudendo le distanze che c’erano tra loro.
Si sporse verso di lei piegando il capo, baciando quella bocca tremante che si schiuse sotto la sua, accogliendolo, mandando in fiamme i suoi sensi. Una risposta insperata che lo riempì di gioia e terrore e il suo cuore prese a gonfiarsi e gonfiarsi ad ogni battito, fino a toccargli le costole, fino a fargli male. Inspirò e si abbandonò a quel dolore dolceamaro, che lo staccò da terra, che gli diede il capogiro in un turbine senza suoni. Non c’erano pensieri né percentuali. Fu quasi come dissolversi finché, nella vertigine, le braccia di Misa lo trovarono e lo strinsero, impedendogli di perdersi completamente. Non aveva più paura.
Un rintocco.
Un altro.
Il calore gli si fermò a fior di labbra.
«Ah, le senti anche tu, Ryuzaki?»
Aprì gli occhi e il sorriso di Misa bruciò ogni cosa.
«Le campane… Che bel suono.»










.:~*~:.

E ben ritrovati! (ノ´ヮ´)ノ*:・゚✧ Lo so, alla buon’ora direte voi hah hah hah
Avevo detto che il finale sarebbe stata una raccolta di frammenti, perché non riuscivo a mettere insieme i vari pezzi che avevo in mente… Ma, dopo aver passato letteralmente quattro mesi a scrivere e riscrivere questo capitolo, sono fiera di concludere questa raccolta con un racconto vero e proprio. Onestamente, preferisco così, perché a spezzettare tutto non riuscivo a trasmettere abbastanza organicità alle varie parti per avere senso.

Va be’, problemi mentali miei a parte, passiamo alle note, va! X°D
Questo ultimo capitolo, è ambientato quasi alla fine del romanzo “L Change the WorLd” (un AU in cui L sopravvive a Light, seppur per poco), durante il penultimo giorno di vita del protagonista. Nello specifico:
  • Il primo segmento è ambientato nel periodo in cui sia Misa che Light hanno recuperato i ricordi e il Death Note, e il loro rapporto ha cominciato a deteriorarsi. L se n’è accorto, quindi decide di forzare la mano per farlo capire anche a lei. Le propone anche una vita d’uscita, ma lascia che sia Misa a fare la scelta finale. Chiaramente, lei sceglie Light, come da copione… Però qualcosa in lei ha cominciato a maturare da quella discussione;
  • Il secondo segmento, invece, prende piede mesi dopo la morte di Light e alla fine della vita di L.
Perché ho scelto questa ambientazione per il finale? Perché vivo di sofferenza ho approfittato del fatto che, nel romanzo, non viene raccontato cosa fa L durante quella precisa giornata (si sa solo che va a lasciare un dolce alla tomba di Light). Quindi, nel contesto di questa raccolta, è plausibile che si prenda anche qualche ora per salutare Misa, prima di tornare al quartier generale.
Ah, e preciso che l’L di fine libro è un pelo pelo pelo pelo più espansivo di quello dell’indagine del caso Kira. Perché l’autore voleva esplorare la sua umanità, che infatti pian piano riaffiora grazie a Maki, la bambina che deve salvare; classica roba da anime, insomma hah hah hah (FRIENDSHIP IS MAGIC). Comunque, a parte questo piccolo dettaglio, è sempre lo stesso asociale, imbarazzante stranboide di sempre. X°D

Se, invece, vi siete chiesti perché in questo capitolo il buon detective ha fatto di tutto per far capire a Misa che il destino non esiste e che, quello che accade, dipende solo dalle sua volontà, be’, la risposta è semplice: lui sta per morir-- *viene colpita da una mattonata*
Ti ho vista, Jade. Ah-ehm. *asciga il sangue* Dicevo, lui sa che non può più vegliare su di lei e che, se lasciata a sé stessa, Misa può diventare autodistruttiva. Quindi la cosa migliore che può fare per impedirle di tornare ad autocommiserarsi o peggio, è farle capire che non c’è nessuna entità extracorporea a impedirle di essere felice. La decisione di vivere al meglio i giorni che le restano spetta solo e soltanto a lei. Vuole, insomma, che Misa salvaguardi quel che resta della sua umanità (tra l’altro manco in carcere l’hanno messa per quello che ha combinato… ma va be’, dettagliX°D) e non permetta al suo passato di consumarla completamente. Due temi importanti trattati del libro sono infatti il perdono e la capacità di dare una seconda chance a chi ci ha fatto del male. Lo so, più cliché di così non si puote.
Bene! E ora passiamo ai ringraziamenti finali! *rullo di tamburi* Ringrazio tanto quelle anime ardimentose di L i f e, QueenAomameVittoria90, AleDic e SATURNEY01 per aggiunto questa raccolta tre le preferite/seguite/ricordate! Che dire, mi fate inorgoglire per quello che faccio hah hah hah ♥ Inoltre, un enorme GRAZIE è ovviamente dovuto anche a chi ha letto e commentato! ☆*:.。. o(≧▽≦)o .。.:*☆
Quando ho deciso di scrivere questa raccolta, mi sono lanciata una sfida: ovvero il riuscire a raccontare una possibile evoluzione del rapporto tra L e Misa nell’universo di Death Note. Con le AU è molto più semplice evitare certi problemi con la caratterizzazione (una Misa che non si è mai innamorata di Light, per esempio, risolverebbe più della metà dei problemi), ma il mio obiettivo era riuscire a rientrare nell’ambientazione di partenza prendendomi meno licenze poetiche possibili, quindi ho usato solo universi legati al manga originale. Sono contentissima del risultato, anche perché, grazie ai commenti che voi lettori mi avete lasciato, sono riuscita a capire se stavo viaggiando sui binari giusti o meno, quindi vi ringrazio per avermi seguita e supportata fin qui! ₍₍ ◝(●˙꒳˙●)◜ ₎₎

See ya,

Shadow Eyes
  
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