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Autore: Estethell    29/08/2017    3 recensioni
Grazie a una promozione, il soldato nazista (non per scelta) Ludwig viene inviato nel campo di concentramento prussiano come co-amministratore di suo fratello, il feroce Gilbert.
Contemporaneamente nel campo arrivano dei prigionieri che vengono subito smistati nei vari blocchi dormitorio-fabbrica. Il blocco H3T4-L14, sopranominato hetalia, è amministrato direttamente da Gilbert ed è il luogo peggiore di tutto il campo. In poco tempo vi si ritroveranno prigionieri di vari paesi, tra cui un dissidente politico e filo-russo lituano, un polacco che aiutava gli ebrei a fuggire dai rastrellamenti tedeschi, un ex soldato volontario francese, una spia canadese e un partigiano italiano.
Ludwig cercherà in ogni modo di aiutare i poveri malcapitati del blocco H3T4-L14 a sfuggire dalla violenza del fratello, sviluppando sentimenti nuovi e complessi per il dolce e ingenuo italiano, mentre Gilbert scoprirà grazie a un timido canadese che l'amore vince su ogni cosa, anche sulla violenza.
Principalmente Gerita e Prucan, Fruk sullo sfondo, qualche accenno di Rusliet.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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La via di selciato si riempì di polvere quando una macchina nera lucida e nuova di zecca sfrecciò in direzione del campo di concentramento. Al suo interno Ludwig Beilschmidt leggeva per l’ennesima volta una lettera ormai consumata. Il ragazzo in divisa militare di pelle nera fece scorrere il suo sguardo sulle righe scritte in bella grafia sulla carta, accentuando sempre di più la sua smorfia di disgusto.

 

Caro Ludwig,
sono molto fiero di te per la promozione che hai da poco ottenuto dal nostro adorato governo, sono sicuro che riuscirai a svolgere i tuoi doveri con diligenza come hai sempre fatto, esattamente come tuo fratello.
Porta alto il nome dei Beilschmidt e continua a renderci fiero.

Vostro padre

 

Ludwig strinse le mani stropicciando i bordi della lettera leggendo la firma di suo padre, ma si calmò velocemente e ripiegò con cura il foglio infilandolo in una piccola cartellina poggiata al suo fianco sul sedile.
Non poteva agire in modo impulsivo, non quando gli era stato conferito un compito così importante, anche se lo aveva odiato fin dai primi istanti.
Con un sospiro il ragazzo si tolse il cappello tirandosi i capelli indietro con una mano guantata. No, doveva essere impeccabile, l’immagine della perfezione, perché lui era Ludwig Beilschmidt, figlio della prestigiosa dinastia Beilschmidt, rappresentazione vivente della perfetta razza ariana tedesca, nonché nuovo collaboratore dell’amministratore del campo di concentramento del territorio prussiano.

Quel pensiero fecero ribollire il sangue del ragazzo mentre cercava di calmarsi osservando il paesaggio che sfrecciava fuori il finestrino. In realtà, anche se era nato in una famiglia prestigiosa e altolocata, ma soprattutto grande sostenitrice del nazionalismo tedesco, Ludwig non condivideva gli ideali dei suoi famigliari. Egli era una persona diligente e disciplinata, con una solida morale che in molti avevano tentato di scardinare indottrinandolo al credo nazista, ma lui aveva sempre rifiutato quegli ideali ritenendoli sbagliati e ripugnanti. Purtroppo però i suoi genitori non la pensavano allo stesso modo e per amor della sua famiglia era stato costretto non solo ad aderire al partito nazista ma anche ad operare come suo membro attivo, riuscendo a fare carriera e a ottenere una brillante promozione. Carriera che secondo il punto di vista di Ludwig si era basata principalmente sui cadaveri dei poveri innocenti che il nazismo stava perseguitando. Quel pensiero lo disgustava così tanto da non permettergli di guardarsi allo specchio la mattina.

Mentre la sua mente vagava cercando di trovare un senso a tutto quello che aveva compiuto nella sua vita da quando era arrivato il nazismo nella nazione, la macchina rallentò fino a fermarsi davanti un grosso cancello che racchiudeva un perimetro di edifici fatiscenti e mostruosi da far venir la pelle d’oca. Grossi altiforni fumavano senza sosta alla fine dei capannoni e mentre Ludwig si apprestava ad aprire la portiera e scendere dalla macchina pregò con tutte le sue forze che fossero elementi indispensabili delle fabbriche metallurgiche che il campo ospitava, e niente più.

Vicino all’enorme cancello di ferro battuto lo aspettavano due figure, una di loro troppo famigliare quanto sgradita che nel vederlo allungò un tagliente sorriso sul volto.

“Fratellino, da quanto tempo! Sono così contento di vederti.”

“Ciao Gilbert, si è davvero tanto tempo” Rispose Ludwig senza sbilanciarsi troppo.

Gilbert Beilschmidt era suo fratello maggiore, anche se lui non avrebbe voluto. Arrogante, presuntuoso, invadente ed esagitato, era l’incarnazione del credo nazista sotto forma di un albino dagli occhi rossi come il demonio. Sinceramente Ludwig non capiva come Gilbert si fosse sottratto alle persecuzioni naziste a causa del suo aspetto dato che sapeva di gente che era finita nei campi di concentramento o era stata ammazzata per molto meno.

Il ragazzo albino allargò le braccia per salutarlo con affetto, non ricevendone molto in cambio.

“Tutto d’un pezzo come sempre, vero piccolo Lud? Avanti vieni con me, ci sono molte cose che devi sapere e che devo mostrarti prima di iniziare questo lavoro. Che l’amministrazione Beilschmidt inizi! Vedrai, sotto la nostra guida questo campo di concentramento diventerà il migliore in tutto il mondo!”

Senza aspettare nessuna risposta, Gilbert cominciò a ridere con quella sua risata isterica quanto irritante per Ludwig, mentre fece cenno all’altra persona che era rimasta in disparte per tutto quel tempo vicino al cancello.

“Ehi tu, miserabile pezzente, prendi la valigia del mio adorato fratellino e portala nei nostri alloggi. Niente scherzi altrimenti…” Il gesto che seguì non promise nulla di buono.

Ludwig seguì con lo sguardo la povera persona vestita di cenci che con passo malfermo recuperava la sua valigia e la trascinava all’interno, poi fu distolto dalla voce acuta di suo fratello che iniziava il tour dell’orrore tra i fabbricati del campo.

 

Quando il portellone del vagone si aprì Feliciano Vargas si sentì accecare dalla luce improvvisa proveniente dall’esterno. Lui, insieme a molti altri disperati nella sua stessa condizione, era stato caricato su un vagone per il bestiame in una stazione improvvisata vicino a un centro di detenzione in Italia, vicino il confine con l’Austria, e da allora non aveva più visto la luce del sole né respirato dell’aria pulita.

Il viaggio era durato alcuni giorni, non sapeva dire quanti, ed era stata l’esperienza più terrificante che avesse mai provato. I nazisti avevano avuto la sadica idea di stipare centinaia di persone in un piccolo vagone da trasporto, pressando quei poveri corpi l’uno sull’altro senza dargli nemmeno la possibilità di potersi sdraiare a terra, ma solo accovacciare. Feliciano era stato spinto contro un angolo del vagone e contrariamente a quello che pensava non era rimasto schiacciato dalla calca, anzi aveva un ritaglio di spazio anche superiore a quello degli altri. Ma la fortuna finiva lì.
Ben presto la fame, la sete e i bisogni divennero il problema principale di quelle persone. L’aria si impregnò subito di odori nauseabondi e Feliciano era sicuro che da qualche parte nel vagone qualcuno era morto a causa delle precarie condizioni in cui stavano viaggiando. O almeno, sperava solo qualcuno.

La notte nel vagone era gelida e si riusciva a malapena a prendere sonno accasciandosi gli uni sugli altri cercando di riscaldarsi come meglio si poteva. Feliciano si stringeva tra le sue braccia pensando al fratello gemello che in quel momento si trovava nelle mani degli americani, perché era stato più fortunato di lui ed era riuscito a scappare dalla retata dei nazisti nella loro casa, lasciandolo indietro. No, no, non lasciandolo indietro, perdendolo nella fuga rocambolesca che ne seguì. Si, Feliciano era sicuro che suo fratello era scappato non riuscendo a portarlo con sé soltanto perché non poteva fare altro, ma gli incubi che da quel giorno lo tormentavano non sembravano essere d’accordo con la sua speranza.

Appena i suoi occhi si abituarono alla luce, il ragazzo dai capelli castani vide che alcune guardie con un accento strano spronavano in malo modo le persone a scendere dal vagone percuotendole con dei manganelli, spingendole e prendendole a pugni. Feliciano cercò di essere il più veloce possibile a scendere, ma questo non gli risparmiò una bastonata sulla schiena che lo mandò in ginocchio. Le altre persone intorno a lui lo aiutarono ad alzarsi mentre le guardie si schierarono di fronte a loro con fare intimidatorio.

Rialzandosi, Feliciano notò che il treno da cui era sceso non era l’unico presente in quel vasto terreno pieno zeppo di rotaie e che altri stavano arrivando, mentre alcuni erano già stati svuotati. Persone di varie etnie, religioni e nazionalità si mescolarono e raggrupparono davanti i soldati nazisti che si erano disposti in fila.
Uno di loro, un uomo con un’incredibile carnagione pallida, occhi rossi e capelli bianchi, fece un passo verso di loro allargando un sorriso poco rassicurante sul suo volto.

“Signori, signore, benvenuti al campo di concentramento prussiano!” Esclamò con un fortissimo accento tedesco.

Gli altri soldati rimasero in silenzio ad osservare la folla disordinata. Feliciano li guardò uno per uno cercando di celare un certo timore. Con le loro divise nere lucide di pelle, quei soldati erano piuttosto intimidatori. Il ragazzo italiano vide un uomo distinto con un paio di occhiali e i capelli bruni guardare in modo sprezzante verso di loro, poi il suo sguardo si fermò sull’altro soldato.

Era davvero la reincarnazione della perfezione.

Alto, biondo, occhi azzurri come il cielo, un fisico sportivo invidiabile, quel soldato poteva mozzare il fiato a chiunque, e Feliciano non riuscì a resistergli. Rimase a fissarlo inebriato per alcuni istanti ignorando completamente il discorso del ragazzo albino finché una gomitata su un fianco non lo riportò alla realtà.

“Tu, si, tu, proprio tu! Cosa diavolo stavi guardando? Ti annoia così tanto il mio impressionante discorso?” Chiese il soldato albino puntando i suoi occhi rosso fuoco direttamente su Feliciano che si trovava quasi in prima fila.

Feliciano si guardò intorno cercando di capire se il nazista stava parlando proprio con lui, e quando notò che si era formato una sorta di cerchio intorno a sé comprese che era in qualche sorta di guaio.

“I-io… ecco… v-ve…” Balbettò cercando di trovare qualcosa da dire ma invano.

“Va bene, ho capito, è inutile essere gentili con la feccia, soprattutto con voi italiani traditori”

L’Albino si avvicinò velocemente all’italiano impugnando un manganello che portava appeso alla cintura. Subito intorno a Feliciano si creò un vuoto lasciandolo solo di fronte all’incombente minaccia.

“Che sia d’esempio per tutti voi! Qui comandiamo noi, voi non valete nulla, siamo noi che decidiamo della vostra vita e voi dovete obbedirci ciecamente se ci tenete alla pelle” E detto questo calò il manganello con forza sul ragazzo.

Feliciano cercò di schivare il colpo ma il suo fisico provato dal viaggio disumano sul vagone del treno si mosse troppo lentamente, tradendolo. La bastonata colpì con forza la spalla sinistra del ragazzo facendolo cadere in ginocchio. Gilbert non si fece impietosire e con un sorriso sadico sul volto continuò a infierire sul corpo del giovane che cercava invano di proteggersi il volto con le braccia urlando di dolore. Gli altri prigionieri distolsero lo sguardo impotenti e terrorizzati, alcuni addirittura piangendo silenziosamente impressionati dalla violenza del soldato.

Gilbert rideva come un indemoniato riempendo l’aria con i suoi striduli “kesesese” finché alzando il manganello per la settima volta una mano non lo bloccò proprio quando stava per infierire nuovamente sul giovane ormai mezzo svenuto a terra. Subito l’albino trafisse con lo sguardo colui che si era permesso di intromettersi in quella situazione, per poi addolcirlo incredulo.

“Lud…?”

“Io credo che tu ti sia divertito abbastanza, Gilbert” Disse con uno sguardo serio Ludwig mentre strappava il manganello di mano al fratello “Ricordati inoltre che queste persone ci servono per il lavoro in fabbrica. Se li invalidi subito non saranno buoni a niente!”

In realtà Ludwig non pensava minimamente alle fabbriche del campo. Il suo unico scopo era quello di salvare quel povero giovane dal sadismo di suo fratello. Sapeva che trasferendosi in quel luogo avrebbe assistito a scene di violenza gratuita e senza senso e aveva cercato di prepararsi psicologicamente a tutto ciò, ma in quel momento capì che i suoi sforzi erano stati vani e che per nessuna ragione al mondo avrebbe mai accettato tali avvenimenti. Finché lui sarebbe rimasto in quel luogo avrebbe fatto di tutto per salvare quelle povere persone dalla violenza di suo fratello e degli altri.

Gilbert rimase a fissarlo con uno sguardo indecifrabile per alcuni istanti, poi si ricompose allontanandosi dal fratello.

“Va bene lo spettacolo è finito. Roderich, raduna le altre guardie e scortate i prigionieri al fabbricato delle docce. Seguite la solita procedura di divisione dei prigionieri e mi raccomando bruciate tutti i loro vestiti, averi e numerateli”

Il soldato annuì leggermente mentre si aggiustava gli occhiali e passava in rassegna con uno sguardo schifato la moltitudine di prigionieri davanti a lui.

“E per quanto riguarda quell’italiano sordo, portatelo o trascinatelo al lavaggio non m’interessa. Se riesce a sopravvivere scortatelo in infermeria da quella cagna di Francis, vedrà lui cosa farne. È tutto”

 

Nell’infermeria del campo di concentramento prussiano Francis Bonnefoy, prigioniero di guerra ed ex soldato volontario francese, si stava dedicando alla fasciatura di una bruciatura da metallo incandescente con delle bende piuttosto rozze e sporche quando la porta dello stabile si aprì di scatto seguita da un lamento e un grido dal forte accento tedesco.

“Oui, sono subito da voi!” Rispose con la sua voce zuccherina francese.

Finì frettolosamente di fissare le bende sul povero malcapitato e si precipitò alla porta dove trovò un soldato tedesco mai visto prima che sosteneva con un braccio un giovane messo piuttosto male.

“Mon dieu, che cos’è successo a questo poverino?”

Francis lì scortò fino a un letto vuoto e piuttosto malridotto dove il tedesco appoggiò l’italiano con cura.

“Si è distratto durante il discorso di Gilbert appena sceso dal treno. Tu sei Francis vero? Vedi cosa puoi fare per lui, non è messo molto bene”

Francis diede una lunga occhiata al tedesco apprezzandone la bellezza, poi si interessò al giovane italiano che si lamentava debolmente sul letto.

“Oui, c’est moi, ma non sono io il medico, io sono solo un infermiere. Il medico dovrebbe tornare a breve, lo farò visitare appena sarà possibile”

Vedendo che il ragazzo biondo dallo sguardo di ghiaccio non accennava ad andarsene, Francis prese alcune boccette contenenti uno strano liquido e ne versò qualche goccia del contenuto su delle bende di cotone.

“Signore non può rimanere qui, molti di questi malati hanno malattie infettive facilmente trasmissibili, non è salutare per lei rimanere a contatto con loro. Non vorrei che vi si sciupasse il bell’aspetto che ha!”

L’infermiere gli lanciò un occhiolino mentre cominciò a tamponare le parti colpite e lacerate dell’italiano con la benda. Il giovane mugugnò un po’ forte ma si tranquillizzò poco dopo.
Ludwig rimase a fissare incredulo il biondo infermiere. Aveva sentito parlare di Francis Bonnefoy da suo fratello durante il tour nel campo. Un uomo biondo, francese, raffinato, molto seducente e incredibilmente libertino. Molte guardie del campo avevano dubbi circa il suo sesso e altri erano convinti che fosse moralmente scorretto (un modo articolato per dire omosessuale, pratica vietata nel campo), ma tutti concordavano sul fatto che probabilmente si intratteneva in atteggiamenti intimi e immorali con altri detenuti del capo. Non vi erano prove a riguardo ma tutti lo sospettavano e nonostante lo sapesse Francis non faceva assolutamente nulla per discolparsi.
Ludwig arrivò alla conclusione che probabilmente l’unico motivo per cui il francese era ancora vivo era per via della sua utilità nell’infermeria ma soprattutto per le sue doti culinarie, che spesso venivano sfruttate dalla mensa del campo quando gli chef non avevano voglia di lavorare.

Con un grugnito Ludwig lasciò l’infermeria fermandosi qualche istante sulla porta per dare un’ultima occhiata al ragazzo steso sul letto, per poi andarsene.
Una volta rimasto solo Francis si passò una mano tra i lunghi capelli biondi fissando pensieroso la porta da cui era appena uscito il soldato.

“Quell’uomo non l’ho mai visto prima, sicuramente è la guardia su cui hanno tanto spettegolato gli chef nelle cucine… il fratello minore di Gilbert! Ma contrariamente a quella carogna lui sembra molto più umano” Pensò.

Spostò il suo sguardo sul giovane sdraiato sul letto che intanto aveva aperto gli occhi e si stava guardando intorno.

“D-dove… sono?” Sbiascicò con la bocca impastata.

“Oh là là, ma tu sei italiano! Sono Francis Bonnefoy e ora ti trovi in infermeria pieno di lividi sul corpo, devi averla fatta grossa ragazzo! È davvero un peccato che ti abbiano rovinato un così bel faccino, ma sono sicuro che con le mie premure guarirai presto” Il francese gli fece l’occhiolino mentre gli mandò un bacio con le labbra “Come ti chiami?”

“Feliciano… ve, ho fatto arrabbiare una guardia perché mi sono distratto durante un suo discorso, sembrava indemoniato. Non voglio stare in questo posto…ve, ho paura!”

Feliciano cominciò a piagnucolare mentre si grattava vicino al polso con insistenza. Francis gli bloccò subito la mano tirandola dal polso.

“Non farlo, è ancora fresco, potrebbe prendere infezione”

“Ve ma… ma cos’è?” Chiese mentre guardava un numero che sembrava scritto direttamente nella sua pelle.

“È il tuo numero di identificazione, una sorta di marchio per riconoscerci ovunque noi andiamo. Guarda questo è il numero che equivale al tuo nome… e questo è il codice del dormitorio in cui alloggerai d’ora in poi. Oh, sei capitato nel mio dormitorio, che fortuna!”

Ma feliciano non si sentiva fortunato, anzi si sentiva alla stregua di un capo di bestiame appena marchiato a fuoco. Si fece via via più piccolo mentre gli occhi si riempivano di grosse lacrime che velocemente gli rigarono le guance mentre le sue braccia si stringevano a lui.
Un incubo, era soltanto un incubo quello, esattamente come gli incubi su suo fratello Romano che lo tormentavano di notte. Era stato stipato in un vagone per il bestiame, malmenato brutalmente appena arrivato al campo, gli avevano bruciato ogni suo avere e lo avevano marchiato come una bestia… si, quello era senz’altro solo un brutto incubo.

L’espressione di Francis si fece dolce e triste allo stesso tempo mentre abbracciava stretto il ragazzo in lacrime.

“Oh pauvre garçon, anch’io quando sono arrivato circa un anno fa ero spaventato come te. Devi essere forte e cercare di andare avanti in ogni modo possibile. Fallo per te, e soprattutto fallo per quelle persone a cui vuoi bene che vorresti rivedere e che probabilmente ti stanno aspettando a casa”

E mentre diceva queste parole per consolare il ragazzo, nella mente di Francis comparve un bellissimo paio di occhi verde smeraldo sormontato da sopracciglia foltissime.

Note dell'Autore:
Ed ecco il primo capitolo di questa ff, spero vi sia piaciuto! Perdonatemi il personaggio di Gilbert che qui è piuttosto sadico, prometto che a lungo andare ritornerà cone il nostro Gilbert di sempre.
Perdonate se ci sono errori di scrittura/vari, o se la storia sembra inconcludente, in fondo è la mia prima ff ><
La storia presenta scene di violenza ma è soprattutto incentrata sui sentimenti dei personaggi, lui legami che stringeranno e sull'amore che proveranno (perché io sono un'inguaribile romanticona).
La ff non sarà aggiornata regolarmente, ciò significa che potrei aggiornare molto in poco tempo oppure poco in molto tempo, dipende dagli impegni nel real che avrò! Ma sicuramente sarà lunga e soprattutto avrà una fine. Spero che possiate amarla tanto la sto amando io nello scriverla :)
Grazie mille!!
   
 
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