Anime & Manga > Sailor Moon
Segui la storia  |       
Autore: Urban BlackWolf    29/08/2017    5 recensioni
Inesorabilmente trascorse settimane da quella giornata di fine giugno, di Haruka e Michiru non si hanno più notizie. Le hanno cercate ovunque, interminabili ore passate tra le sponde di quel corso d'acqua quasi irriconoscibile, ma di loro non c’è più alcuna traccia.
Ma quando la speranza sembra ormai stata vinta dalla rassegnazione, un giovane dalla zazzera dorata e gli occhi verdi come i prati delle montagne ai quali appartiene, comparirà al servizio di una delle famiglie più in vista di Berna deciso a scoprire cosa realmente sia accaduto dopo quella maledetta sera.
-Sequel de: le trincee dei nostri cuori-
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Makoto/Morea, Michiru/Milena, Minako/Marta, Setsuna/Sidia | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Speranze, bugie e mezze verità

 

 

“Siete un inetto!” Ringhiò la signorina Rostervart alzandosi di scatto dalla sedia mentre la macchia bruna prendeva a farsi largo tra le trame del suo grembiule.

“Possibile che non sappiate tenere a freno l’irruenza delle vostre braccia Tenou!?”

“Scusate signorina, non era mia intenzione…”

“Vorrei ben vedere!” Rispose ad una bionda intimamente soddisfatta per essere riuscita nel suo intento.

“Lasciate che vada subito a metterlo in ammollo o la macchia di vino resterà.” Propose umilissima cercando però di non dimostrarsi troppo zelante. Quella donna era pericolosamente perspicace.

“Non ce n’é bisogno!”

Haruka serrò la mascella cercando di rimanere calma. “Insisto! La colpa è stata mia e non vedo perché dobbiate essere voi a pagare per la mia sbadataggine. Restate pure a tavola non ci metterò molto.”

Slacciandosi il fiocco inamidato con rapidi movimenti Clementine si sfilò il grembiule dal collo gettandoglielo quasi addosso. Ecco come nelle mani di un ragazzino impacciato un gesto di cortesia maschile come quello di rimboccarle il bicchiere, poteva trasformarsi in un inghippo.

“Sbrigatevi prima che si rapprenda!” Ordinò controllandosi il vestito.

Facendo un cenno con la testa schizzò fuori dalla cucina dritta verso il seminterrato. Doveva fare presto. Trovando l’interruttore di quella grandiosa invenzione che era l’energia elettrica, prese a scendere le scale che portavano alle cantine ed alla lavanderia e aprendo la porta di quest’ultima con una spallata estrasse dalla tasca del grembiule l’anello delle chiavi cercando di capire quale fosse quella della biblioteca. Era una stanza molto importante e forse anche la forma della sua chiave lo era.

“E che cavolo…” Ma che! Tutte uguali o quasi!

Pensa Haruka… Pensa… Tornò a ripetersi mentre ne studiava le forme. Poi tra il mazzo ne spiccò una dai dentelli completamente lisci. Una forgia anonima, ma quella particolarità la spinse a pensare ad una sorta di passepartout.

Non soffermandocisi su lo afferrò facendolo uscire dal grosso anello metallico infilandoselo nella tasca della giacca. Prendendo poi ad armeggiare con il catino per i panni riempiendolo d’acqua e sapone lasciò in ammollo il grembiule uscendo. Richiudendosi la porta della lavanderia alle spalle risalì rapidamente i gradini sentendosi sfinita. Spense la luce facendo ripiombare gli ambienti scarni di servizio nel buio e tornò dagli altri in cucina dove consegnò il mazzo alla signorina Rostervart. Ora che forse aveva ciò che le serviva quella notte non avrebbe dormito.

 

 

Illuminata dalla fiammella di una candela Haruka scese al piano terra verso l’una del mattino. Sapeva che Clementine finiva di fare la solita ronda per controllare la chiusura di porte e finestre verso la mezzanotte, perciò non badò ad essere troppo prudente nel calpestare i gradini rivestiti di raso scuro della grande scalinata di rappresentanza che si snodava con un’elegante curva fino all’atrio del palazzo. Pensò solamente a tenersi ben salda al legno del corrimano conoscendo sin troppo bene la debolezza che le sue gambe ancora manifestavano nel compiere movimenti come quello dello scendere.

Arrivata da basso alzò il portacandela illuminando fiocamente prima il portone d’entrata, poi la finestra alla sua destra ed infine la prima di una serie di porte in noce a doppia anta che si aprivano sul piano terra. Stirando le labbra iniziò a camminare sui marmi policromi del pavimento arrivando a quella della biblioteca e guardandosi le spalle prese la chiave dalla tasca provando ad infilarla nella toppa. Girandola ed avvertendo un secco tac sospirò poggiando un attimo la fronte al noce decorato. Era un passepartout! Abbassando la maniglia azzerando la resistenza dell’anta spinse leggermente scivolando all’interno della stanza richiudendosela alla schiena. Sentendo il cuore andare a mille provò a respirare abbondantemente un paio di volte prima di dirigersi al centro dell’ambiente.

Alla luce tremolante della candela tutto sembrava pervaso da ombre scure e minacciose. Scaffalature altissime con una miriade di coste di tomi più o meno voluminosi occupavano tutte le pareti, fatta eccezione per quella dell’entrata e quella che dava verso la strada, dove due enormi finestre dagli scuri semichiusi, lasciavano filtrare la pochissima luce dei lampioni esterni. Andando verso un enorme mappamondo di legno decorato ad intarsi colorati lo studiò per qualche secondo impressionata dalla fattura, spostando poi l’attenzione sulla scrivania che le era accanto. Controllando velocemente gli oggetti presenti sul piano da lavoro e non vedendo nulla di utile continuò la sua silenziosa ricerca alzando maggiormente il braccio destro. Fu allora che le apparve un piccolo leggio con ancora uno spartito aperto sopra e fu come se una pugnalata le venisse inferta a bruciapelo.

Avanzando si ritrovò ad accarezzarne i bordi metallici immaginando fosse il suo. Conoscendo la bravura di Michiru nell’arte del maneggiare uno strumento complesso come il violino se la vide con gli occhi della mente ferma, concentrata, seria davanti a quelle partiture per diverse ore al giorno, mai soddisfatta e sempre spinta ad un perfezionismo che Kaiou aveva insito nel carattere fin dalla nascita.

Scossa dalla necessità di continuare nella sua missione scostò le dita dal leggio come se fosse stato incandescente e stringendo con maggior forza l’anellino ramato del portacandela tra il pollice e l’indice della destra tornò ad osservare la stanza. Le carte agrarie. Doveva capire dove fossero e trovare quella che le interessava. Nelle ultime tre settimane Haruka aveva avuto modo di servire il Ministro per le Attività Agricole quando era venuto a far visita al signor Kaiou, ed in svariate occasioni le era capitata l’opportunità di intravedere i piani di zonizzazione delle colture dei vari distretti elvetici che i due erano soliti consultare per tenere sotto controllo le importazioni, ma soprattutto le esportazioni del settore primario in tempo di guerra. La ragazza ricordò che avevano tagli di circa trenta centimetri per venti, ripiegati come se fossero stati dei voluminosi fogli di carta, perciò ipotizzò che dovessero essere contenuti in cartelline.

Percorrendo il perimetro di ogni singola scaffalatura notò che in ognuna erano presenti degli armadietti chiusi con piccole chiavi argentate. Accovacciandosi iniziò così ad aprirne uno dopo l’altro capendo dalla mole di scartoffie che ci avrebbe messo molto più del previsto.

Speriamo che la candela basti pensò abbandonandola in terra prima di avvertire un suono ritmico di veloci passi proveniente dalla porta. Non riuscì neanche ad alzarsi o a pensare di nascondersi, che l’anta si spalancò e la luce elettrica si accese. Chiudendo gli occhi cercò di proteggerli prima che due sagome note le apparissero davanti.

“Tenou!” La voce alterata della signorina Rostervart riecheggiò nella stanza prima che il perentorio ordine di alzarsi da terra non seguisse il suo nome.

“Ecco signor Kaiou avevo visto giusto! Lo sapevo che in questo ragazzo c’era qualcosa che non mi convinceva.”

Solo dopo alcuni istanti la vista della ragazza tornò ad abituarsi al chiarore delle lampade elettriche riuscendo finalmente ad inquadrare entrambi ancora fermi davanti all’entrata. Gli occhi della donna erano un misto di trionfo e sdegno, mentre quelli dell’uomo erano velati di un qualcosa simile al dispiacere.

“Giovanni perché siete qui?” Domandò Viktor con nel timbro della voce una calma che stonava non poco con l’agitazione della governante.

“Signore…”

“Stavate forse tentando di rubare?” Intervenne Clementine.

“No!”

“Non mentite! A cena mi avete rovesciato addosso il vino di proposito, inducendomi a togliermi il grembiule offrendovi nella mansione tipicamente femminile di andarmelo a lavare, sottraendomi così il passepartout per poi aspettare di agire indisturbato nella notte come il più infimo dei ladri!”

Puntando gli occhi al pavimento Haruka si accorse di avere agito inconsciamente da donna. Si era tradita stuzzicando così la diffidenza dell’altra.

“E’ così che sono andate le cose Giovanni?” Intervenne Viktor avanzando per fermarsi ad un paio di metri da lei. Erano rare le occasioni che chiamava quel giovanotto biondo per cognome. Una stranezza che avvolte stupiva persino l’uomo.

“No signore! - Rispose con forza dovendosi però correggere immediatamente. – Cioè… Non esattamente…”

“Cosa vuol dire non esattamente Tenou!” Incalzò la donna azzittita da un gesto del padrone.

“Signore non dovreste neanche sprecare tempo con questo ladro! E’ palese che sia entrato nella biblioteca per manomettere la cassaforte!”

A quella rivelazione Haruka sgranò gli occhi guardandoli alternativamente. Ecco perché nessun membro della servitù aveva il permesso di accedere a quella stanza. Ora le era tutto chiaro. Ora era veramente nei guai.

“Io… Io non sono un ladro! Non mi permetterei mai di rubare dei preziosi. Ma per chi mi avete preso?!”

“Per quello che siete; un piccolo topo di strada!”

La bionda serrò i pugni incendiando l’orgoglio pronta a dar battaglia, quando il signor Kaiou intervenne domandandole allora perché un semplice cameriere si fosse permesso di architettare tutta quella pagliacciata per accedere senza permesso in una stanza che di fatto gli era preclusa.

“Si è vero ho forzato l’incidente del vino per potermi impossessare del passepartout, ma non sono qui per stupidaggini come dell’oro o dei gioielli!” E nel dirlo rivelò una convinzione talmente innocente che Kaiou sbatté le palpebre stupito facendole cenno di continuare.

“Signore vorrei… vorrei consultare le carte agrarie della zona di Altdorf perché sono convinto di riuscire a capire dove si sia diretta la famiglia che si dice abbia tratto in salvo una ragazza dalle acque del FullerGraft fluss.” Vomitò tutto d’un fiato conscia che il solo sentire il nome di quel corso d’acqua avrebbe provocato nell’uomo un dolore acuto.

Per qualche secondo nessuno di loro parlò poi una voce di donna proveniente dalla porta spezzò quel silenzio quasi irreale.

“Viktor.” Flora Kaiou apparve sull'uscio stringendo convulsamente la destra ai lembi della sua vestaglia di seta rosa.

Venendo avanti fissò la ragazza in un modo indefinito; un misto tra lo sconcerto per la rivelazione e la rabbia per quella ferita ancora aperta. Haruka la guardò piazzarsi a pochi centimetri dal marito deglutendo a quelle iridi blu tanto simili a quelle di Michiru. La figlia aveva molti più tratti somatici in comune con il padre che con la madre, ma da Flora aveva preso gli occhi e soprattutto il portamento e la corporatura.

“Ragazzo badate a non scherzare con noi.” Disse l’uomo diventato improvvisamente freddo e distaccato.

“Non ho alcuna intenzione di arrecare ulteriore dolore alla vostra famiglia signore, ma ribadisco di non essere un ladro.” E quella fermezza lo convinse a dare al giovane un’occasione.

Dirigendosi verso la terza scaffalatura ne aprì un’anta estraendo una cartellina di pelle rigida ed una volta raggiunta la scrivania e sciolti i tre lacci che la chiudevano su se stessa, n’estrasse il contenuto offrendoglielo.

“Ecco ciò che cercavate. Dunque Tenou… stupitemi.“

Respirando pesantemente Haruka lo raggiunse afferrando la piantina e cercando di fare spazio sul piano l’aprì per intero accendendo poi l’interruttore di un’alta lampada bronzea per vedere meglio. Poggiando entrambi i palmi sul pianale s’incurvò sul foglio iniziando a far correre lo sguardo sulle linee, i simboli ed i nomi delle località della zona di Altdorf e del lago FullerGraft.

“Io ti troverò ovunque...”

“Me lo prometti?”

“Si amore mio. Te lo prometto.”

Ricordò piantando gli occhi a quel piccolo segno nero che altro non era che la diga. Tutto era finito li; il loro giovane amore e tutte le loro speranze.

“Dunque?” Intervenne Viktor spazientito.

Muovendo l’indice sul corso d’acqua che zigzagava dividendo in due la valle, la ragazza iniziò a ragionare ad alta voce, parlando più con se stessa che con il suo interlocutore, seguendo un filo logico cogitato durante le eterni notti passate a pensare alla sua dea. “Il lago FullerGraft è un bacino artificiale creato circa trent’anni fa. E’ un’opera importante, ma non molti sanno che venne fortemente voluta non soltanto per diventare la più grande riserva di pesce della zona, ma anche e soprattutto per intensificare lo sfruttamento del grano segalato nero. E’ un cereale molto raro, perché per crescere necessita di tante di quelle accortezze che non sempre vanno a ripagare gli enormi sforzi di produzione. - Viktor la guardò inespressivo conoscendo perfettamente l’argomento. - Dopo il crollo della diga i campi tutti intorno al greto si sono allagati ed i raccolti sono andati perduti.”

“E allora?”

“Signore, sappiamo che la famiglia che si dice abbia tratto in salvo quella ragazza non poteva che abitare nella zona a valle dello sbarramento, giusto? Perciò mi chiedo… e se fossero stati mezzadri o contadini spinti a partire per non morire di fame? I campi saranno inservibili per mesi, perciò le sementi delle nuove piante non potranno essere piantate che in primavera ed intanto? Come potrebbe vivere una famiglia che vede in una terra non più lavorabile la sua unica fonte di sostentamento? Nel nostro paese la coltivazione del grano segalato nero è rarissima e viene prodotta solo in due zone, ma appunto per questo quando il raccolto è buono è assai redditizia. Con la distruzione di una delle due e l’impossibilità di piantare altri cereali io mi sposterei nella zona rimasta e lo farei di corsa.”

“Il valore delle sementi del grano segalato si è triplicato nel giro di poche settimane.”

“Appunto signore e io sono convintissimo che nonostante il pericolo di un’invasione italiana quella famiglia si sia diretta nell’unico posto dov’è ancora possibile produrlo, ovvero la zona di Locarno.” Haruka tamburellò un paio di volte la carta dove campeggiava la città meridionale al confine con il Regno d’Italia.

“Come sapete tutte queste cose?”

“Perché… Perché quel giorno nel quale la diga cedette io ero li e ho visto la devastazione dei campi e la disperazione dei contadini.” Rispose permettendosi di guardarlo fissamente.

“Ma voi chi siete?!” Intervenne Flora Kaiou non staccandole gli occhi di dosso.

Haruka stirò le labbra all’insù alzando leggermente le spalle. “Un semplice cameriere signora.”

“Un semplice cameriere che però sa ragionare vedo.” Ne convenne l’uomo tornando a guardare la cartina.

Quel ragazzo poteva avere ragione, anzi, adesso che la sua semplice linea di pensiero era stata esposta, non riusciva a capire perché non ci avesse pensato. Kaiou sapeva perfettamente quanto in quella zona valesse il terreno al metro quadro e quanto si fosse alzato dopo l’incidente, anzi, in un primo momento il gesto di Kurzh era stato visto dal Ministero come un mero artificio per innalzare ulteriormente il valore di quella particolare coltura.

Meditabondo l’uomo non si accorse della presenza della moglie al suo fianco. “Viktor secondo te il ragazzo…” E lo guardò talmente tanto intensamente da strappargli un leggerissimo sorriso d’intesa.

“Il ragazzo potrebbe aver colto nel segno, anche se mi stupisce che sia tanto ferrato in materia visto che, come affermato e' un semplice cameriere. Come non comprendo perché, avuta questa intuizione, non sia venuto subito a parlarmene inscenando invece tutto questo trambusto.” Disse a Flora.

Haruka si sentì schiacciata all’angolo. Domande lecite e difficilmente eludibili. Cercò di pensare velocemente. Forse avrebbe dovuto provare a sbilanciarsi un po’ per non rischiare di cadere del tutto.

“Allora signor Tenou. Sto aspettando, per lo più tanta dedizione per la nostra famiglia è a dir poco strana visto che state con noi da meno di un mese.”

“Signor Kaiou arrivati a questo punto mi vedo costretto a rivelarle che … - Respirò profondamente continuando a tenere basso lo sguardo. - che ho cercato di trarre conclusioni per mio conto solo ed esclusivamente per non dare a voi ed alla signora speranze che senza apposite verifiche avrebbero potuto arrecarvi solo ulteriore dolore. Comunque vorrei che sapeste che … ho un debito enorme nei confronti di vostra figlia. Come vi ho accennato ero presente il giorno nel quale la diga venne sabotata e grazie alla signorina Michiru riuscii a salvarmi dal muro d’acqua che colpì l’abitato nel quale vivevo. Il suo intervento si rivelò provvidenziale. Riuscendo a dare l’allarme per tempo la signorina salvò tantissime vite. Inclusa la mia.”

Ed in effetti era vero, anche se Haruka intendeva altro. La bionda sapeva che quella donna testarda fino allo sfinimento, con il suo comportamento avvolte anche troppo asfissiante, era riuscita a snidarla dal suo guscio trasformarla in una persona migliore, salvandola da se stessa e dalla sua riluttante paura del mondo, offrendole il suo cuore, la sua anima ed il suo corpo.

“Non si può vivere così mia Ruka. Con la paura costante della gente, dei pregiudizi o di quello che il domani ci riserverà.”

Quando l’acqua era arrivata colpendole, Kaiou l’aveva stretta il più possibile a se cercando di proteggerla con tutta la forza che aveva, ma per Haruka la salvezza vera era arrivata dalla consapevolezza di un amore incondizionato e maturo; il suo.

“Davvero avete conosciuto Michiru?” Chiese Flora sentendosi quasi sollevata ad un leggero assenso dell’altra.

“Si signora e quel giorno mi ripromisi che se ne avessi avuta l’occasione sarei venuto a ringraziare la signorina di persona, ma poi arrivato a Berna…”

“Avete saputo della sua scomparsa e così avete pensato bene di venire a servire nella sua casa?” Si intromise improvvisamente la signorina Rostervart rimasta fino a quel momento in religioso silenzio. Non credeva affatto a tutta quella storia e lo disse apertamente e senza mezzi termini.

“Signori Kaiou perdonate l’ardire, ma per me questo ragazzo non vi sta dicendo tutta la verità! Riconosco che il giovane è dotato di sagacia ed intelligenza e non metto in dubbio che sia d'indole altruista, ma lasciare la sua famiglia, la sua casa e la sua terra, solo per venire a Berna per ringraziare la signorina Michiru, mi sembra assolutamente inverosimile!”

Haruka serrò i denti contrariata. Mai possibile che la governante dovesse sempre metter bocca su tutto! Gettando l’asso provò con la faccia tosta che madre natura le aveva donato.

“Un attimo signorina Rostervart, non ho mai detto che il mio venire a Berna sia stato dettato solo dalla riconoscenza. Ammetto di aver lasciato famiglia, casa e terra, come avete detto voi, anche e soprattutto per cercarmi un’occupazione.”

A quelle parole la donna sembrò stupirsi e calmarsi al tempo stesso.

“Signorina non mi interessa sapere il perché ed il per come questo ragazzo sia stato spinto a Berna. Ora ciò che più conta è riuscire a contattare i professionisti che sto pagando per andare a verificare se l’idea del signor Tenou sia corretta. E non sarà facile visto le nuove disposizioni del Ministero della Difesa.” Tagliò corto l’uomo.

“Signore potrei andarci io!” Se ne uscì Haruka tornando a guardarlo.

“Cosa? Voi?!”

“Signor Kaiou non sono uno sprovveduto e so che sarete d’accordo con me nel pensare che si sia già perso troppo tempo!” Sapeva di stare esponendosi e dalle facce confuse che aveva davanti capiva che stava giocandosi una gran fetta di credibilità con quell’insolita richiesta. Tutto stava sembrando tranne che un cameriere.

Viktor sembrò perplesso, poi capendo che poteva essere una soluzione guardò la moglie trepidante. Era consapevole del fatto che se la figlia non aveva dato ancora sue notizie questo voleva dire solo che con molta probabilità non era più in vita e non poteva più vedere Flora ridotta all’ombra di se stessa struggersi ogni giorno nella speranza che una qualche notizia giungesse a mettere finalmente fine a quell’attesa, come non poteva più lui continuarsi a vedersi davanti agli occhi di un’immaginazione contorta il corpo della sua Michiru morta ed abbandonato chissà dove. Aveva bisogno di risposte, perché quel limbo d’incertezza stava distruggendo quel che restava della sua famiglia.

“Lasciamo che provi Viktor.” Supplicò La moglie stringendogli l’avambraccio e lui accarezzandole il viso di risposta, guardò quel giovanotto fermo come un fuso. Non era affatto convinto della sua buona fede, ma sarebbe stato un idiota non provare anche quella strada.

“Partirete domani mattina. Viaggerete leggero e lo farete per conto della famiglia Kaiou. Vi darò il denaro necessario per le spese, ma la condizione per darvi fiducia e che siate di ritorno con notizie certe entro due settimane. Pensate di potervi riuscire?” Chiese ed Haruka rispose un si signore deciso.

“Siete molto sicuro di voi giovanotto.”

E la bionda lasciò nascere sulle labbra un sorrisetto quasi strafottente. Certamente quell’uomo non poteva lontanamente immaginare che le motivazioni che le stavano dando tanto coraggio fossero spinte solamente dal cuore.

 

 

Andò dritta nella sua stanza pronta a fare i bagagli. Finalmente avrebbe potuto smuovere le acque e tornare a cercare Michiru con qualcosa di concreto nelle mani. In più abituata a spostarsi camminando, l’idea di poterlo fare finalmente in treno le stava gettato addosso una strana euforia. Le piacevano da matti le locomotive, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe riuscita a vederne una da tanto vicino. Ci avrebbe messo niente a scendere da Berna a Lucerna arrivando così a Bellinzona, la sua Bellinzona, dove avrebbe incrociato il famoso locale che qualche mese prima le ragazze aveva perso a causa della scesa in guerra del Regno d’Italia. Era iniziato tutto da quel viaggio interrotto e adesso riprendeva tutto da li; da quella speranza che non voleva proprio abbandonarla.

Aprendo la cassettiera guardò la foto della sua dea sorridendo. Riuscirò a trovarti. Aspettami amore, pensò sapendo benissimo di essere irrazionale nel farlo, ma poco importava. Adesso aveva finalmente una ragione per tornare a respirare.

D’un tratto due tocchi alla porta la costrinsero a richiudere frettolosamente il cassetto chiedendo chi fosse. La risposta le gelò il sangue nelle vene.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 16/9/1915

 

“Mamma Milena, mamma Milena Sigmund è cattivo. Mi ha picchiata!” Piagnucolò la bambina arpionando la gonna a pieghe della donna che sospirando iniziò ad accarezzarla guardando poi in direzione della grande quercia ben piantata al centro del parco che si apriva dietro il corpo principale dell’ospedale.

Sapeva che quel monello biondo molto probabilmente era andato a rifugiarsi sopra i suoi rami, come sapeva che ce le avrebbe prese per l’ennesima volta se la bambina avesse continuato a frignare in maniera tanto convincente.

“Che cos’è successo questa volta?” Chiese accovacciandosi di fronte a quei lacrimoni inconsolabili.

“Voleva i miei biscotti… e se li è presi!”

“Dio mio che pazienza!” Intervenne Minako iniziando a scrocchiarsi in maniera poco femminile le dita delle mani. Generalmente toccava a lei snidare, catturare e punire quel vagabondo.

“Ma glieli hai offerti Rose? Bada, non mentirmi.” Aggiunse l’altra. Quei due bambini proprio non volevano andare d’accordo, un odio-amore talmente frodiamo capace d’incendiare l’ala della foresteria ad ogni alterco.

“Siii… mmm… No! Ma non ce n'era bisogno! Mangia sempre per due quello li!” Rispose fieramente staccandosi dalla ragazza per metter su un musetto degno di una sarapica.

Le due amiche si guardarono scoppiando poi a ridere. “Povero chi se la porterà all’altare.” Sentenziò Minako andando verso la quercia.

“No aspetta! Lascia che gli parli io questa volta. Non mi sembra che ultimamente tu gli sia molto simpatica.”

L’altra si guardò la tibia destra ricordandosi del poderoso calcio ricevuto un paio di giorni prima. Sorrise annuendo. Michiru era meravigliosa nel ruolo di madre e nelle settimane successive al suo ricovero, quando le forze avevano iniziato a tornarle, era diventata il punto di riferimento di tutti i bambini, foresteria inclusa. Un esempio era quella mocciosetta di cinque anni; una francese che alla viennese ricordava per indole ed atteggiamenti la sua amica Rei. Boccoli scurissimi e folti, occhi neri come la pece, incarnato chiarissimo, viso rotondo e paffutello nonostante i frequenti scippi di biscotti ad opera di quel teppista teutone. A differenza della bambina, perfettamente in salute perché era la madre ad essere stata ferita mentre cercava di fuggire con la figlia da un paesino al confine con la Germania, Sigmund era invece un paziente al pari di Michiru e come lei stava cercando di rimettersi più che dalle ferite fisiche, da quelle mentali. Di lui si sapeva poco o nulla. Era stato trovato mentre vagava sul fronte sanguinante e frastornato. Dall’apparente età di undici, dodici anni, aveva saputo dire ai medici da campo tedeschi che lo avevano soccorso solamente il nome. Ed era per questo che il suo comportamento aggressivo, soprattutto nei riguardi degli altri bambini, spesso e volentieri veniva perdonato o al più sottolineato con una sonora lavata di capo.

“Sei sicura di volerti cimentare per l'ennesima volta con la testardaggine di quel ragazzino? Se a me prende a calci a te fa sparire pedissequamente pennelli e tavolozza.”

“E non si sa ancora dove li nasconda.” Disse ridendo l’altra mentre accarezzava Rose affidandola all’amica.

“Tranquilla. Mi piace quel ragazzino. Non so perché, ma non credo sia così cattivo come vuol farci credere.” E lasciandole si diresse con fare sicuro verso l’albero.

Mina le osservò le spalle rabbuiandosi. Certo che provava simpatia per quel teppista, Michiru non poteva saperlo, ma Sigmund assomigliava moltissimo ad una certa ragazzona svizzera che tanto mancava a tutte loro. Zazzera biondo dorata, occhi chiari che tendevano a scurirsi se l’ira prendeva ad impadronirsi della razionalità, corporatura longilinea e flessibile, che gli permetteva di sgusciare in ogni buco, ogni anfratto e di correre dannatamente veloce. La curiosità tipica delle persone intelligenti, ma il carattere di uno stambecco; roccioso, indomito ed avvolte stupido.

Michiru percorse il prato leggermente bagnato di rugiada tenendo fissi gli occhi sull’imponente impalcato di quella pianta arrivando a scorgere la testa del ragazzino pressappoco a metà strada. Fermandosi a pochi metri dal tronco ne incrociò lo sguardo carico di rabbia stringendo le mani al grembo.

“E’ inutile! Non chiederò scusa!” Urlò sistemandosi meglio nell’incavo di due grandi rami.

Alzando gli occhi al cielo lei sospirò di rimando. Più duro di un pezzo di granito.

“Almeno scendi giù.”

“Per farmi picchiare dalla viennese? No grazie.”

“Nessuno ti vuole picchiare Sigi.”

“Beato chi ci crede!” Borbottò abbastanza forte perché la donna potesse sentirlo.

E tutto tacque per diversi minuti tanto che, credendosi vincitore del solito puntiglio, incrociando le braccia al petto si accoccolò ancora più comodamente. Tutto fino a quando la testa della donna non fece capolino tra le foglie gettandolo nel panico.

“Se la montagna non si muove… Allora? Hai intenzione di rimanere abbarbicato come al solito qua su per tutto il santo giorno?”

“Come… - La guardò attonito colpito di un tale mascolino azzardo per poi controbattere come un istrice. - Ma lo sapete che una donna per bene non va in giro a salire sugli alberi? Dov’è che avreste imparato?”

Michiru sorrise tristemente alzando le spalle. E chi poteva saperlo. Lui capì e stranamente si scusò.

“Non era mia intenzione signorina Milena.”

“Ti ho già detto di darmi del tu? Lasciamo perdere tutti questi formalismi stupidi vuoi?”

“Gli altri adulti non vogliono che vi dia del tu.”

“Ma gli altri adulti non sono qui. Sarà il nostro segreto.” Disse strizzandogli un occhio avvertendo la corteccia graffiarle la pianta dei piedi. Bene… era riuscita a salire e neanche lei sapeva come, ma chi l’avrebbe aiutata a scendere?

“Di un po’ è vero che hai preso i biscotti di Rose?”

“Mmmm…”

“Avevi fame?”

“Si.”

“Ma benedetto ragazzo quante volte ti abbiamo detto di chiederle le cose invece che rubarle?!

“Io l’ho chiesto alla cuoca, ma lei mi ha cacciato fuori dalla cucina dicendomi di aspettare l’ora del pranzo!” Con molta probabilità era vero visto il caratterino non certo serafico che quella donna possedeva.

“E tu non potevi insistere provando magari a spiegarle il tuo disagio?”

“No! Altrimenti lo avrei già fatto!” Le urlò contro frustrato accendendosi come una torcia. Negli occhi due scintille disperate.

Che altro avrei potuto fare, sentiamo?!”

Avresti benissimo potuto usare la lingua invece di tirare fuori un'arma!”

Michiru si ritrasse portandosi la sinistra alla tempia smettendo di respirare per qualche istante. Il solito dolore acuto, quella fitta arroventata che fulminea le colpiva la testa a bruciapelo quando frasi prive di senso s’insinuavano in lei senza preavviso o ragione apparente. Ricordi?

“Milena? Tutto bene?”

“S…si. Non preoccuparti, adesso passa.”

Mi vedo costretta a pensare che sia tu a non essere in grado di esprimerti a parole!”

E' questo che pensi di me?”

Avvertendo la mano del ragazzo sulla pelle del braccio scosse la testa allontanando da lei quelle frasi.

E' questo che pensi di me? Che pensi di me… Di me… continuò maledicendosi perché non capiva, non afferrava, sapendo inconsciamente quanto dannatamente importanti fossero quelle frasi illogiche.

“Forse sarà meglio scendere.” Disse lui accovacciandosi tra i due rami.

“Forse… ma credo che dovrai darmi una mano, perché non so assolutamente come si faccia.” E scoppiando a ridere entrambi iniziarono la discesa.

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale

 

“Non guardarmi così!” Gli ringhiò contro come se fosse una sua pari.

“Se soltanto ne avessi le capacità te la farei vedere io!” Disse guardando l’ennesimo fallimento che nei piani originari avrebbe dovuto essere una trappola per piccoli animali.

“Ed è inutile sai che tu faccia finta di niente.” Continuò sbuffando nervosamente ammettendo a se stessa che di quell’obbrobrio non avrebbe potuto essere riutilizzato nulla.

“Ma dico io… non mi offenderei se ogni tanto mi portassi qualcosa di commestibile invece che gironzolarmi sempre intorno! Tanto lo so che vai a mangiarti questo mondo e quell’altro quando sparisci. Si vede sai! Guarda che pancetta hai messo su!” Fissandolo in quegli enormi occhi color nocciola si alzò di scatto.

“Ingordo!” Urlò facendolo allontanare di qualche metro.

“Si… scappa, scappa!” Sembrava che accendere e governare un fuoco fosse l’unica cosa che a Giovanna Tenou riuscisse di fare senza tagliarsi, imprecare, avvilirsi o litigare con lui. E si che continuava a seguirla, sempre, giorno dopo giorno, anche se da lontano, come se avesse inteso mettere tra loro una sorta di barriera fisica che non impedisse altro che il contatto visivo. Quando lei si alzava ed apriva la porta della baita lo trovava li, davanti allo spiazzo, seduto come un piccolo soldato a guardia di chissà quale tesoro, fermo fino all’ultimo passo prima del primo gradino. Da quel momento in poi si ritirava di qualche metro, come se dovesse esserci sempre una distanza di “sicurezza”. Se lei indietreggiava, lui avanzava e se lei avanzava, lui inesorabilmente, indietreggiava. Come in una sorta di danza.

Giovanna sapeva perfettamente perché si trovasse ancora li e non fosse tornato dai suoi simili. Dal suo arrivo alla baita non erano passate che poche ore e se l’era ritrovato di fronte, stanco, smagrito e più forastico di quel che ricordasse, ed aveva cercato d’ingraziarselo in tutti i modi, ma non c’era stato verso; da lei non si faceva avvicinare. Ma continuava a starle accanto, a vegliare e questa cosa la faceva uscire fuori dalla grazia divina, perché se da un lato le faceva piacere sapere che fosse sempre a stretto giro, dall’altra non riuscire ad istaurare con lui almeno un contatto, le procurava una frustrazione folle che non faceva altro che sommarsi a tutte le altre già presenti nella sua vita in solitaria.

Camminando lungo il sentiero che l'avrebbe riportata a casa sentì un fruscio proveniente dalla sua destra.

“Ora basta!” Imbracciando il Mannlicher sparò un colpo in aria vedendolo sobbalzare tra il fogliame dei cespugli.

“Lo vuoi capire che Haruka non tornerà più! Fattene una ragione stupidissimo lupo!”

Fattene una ragione Giovanna!

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Mi direte che questo capitolo è un tantino lento, ma potrei anche rispondervi che Haruka sta a Sherlock Holmes come io sto ad Arthur Conan Doyle e non è proprio il caso! (:p) Perciò perdonatemi la lezioncina sulle colture presenti in Svizzera (come facevamo alle elementari), ma dovevo riuscire a trovare un pertugio per ridare speranza a tutta la famiglia Kaiou.

Dunque abbiamo lasciato Haruka sul chi vive ed una governante non affatto convinta della sua buona fede. Clementine potrebbe rivelarsi un’alleata come una serpe. Ai posteri l’ardua sentenza, anche se credo che nutrendo per Michiru ed i suoi genitori affetto e stima, non sia affatto una donna cattiva. La vedo più come una leonessa pronta a difendere la tana.

Intanto Michiru è alle prese con la sua “nuova vita”, anche se la vecchia preme per uscire dalle ombre dell’amnesia, trovando a sua insaputa un piccolo teppista molto simile ad Haruka, sia fisicamente, ma soprattutto, caratterialmente e non so ancora se questo la destabilizzerà o l’aiuterà. Un inciso; Sigmund non è com’era Mattias, ovvero un grillo parlante. Lo vedo più come un piccolo terrorista sabotatore della pazienza altrui.

Infine è ricomparso il “piccolo” Flint che rimanendo in attesa, aspetta fiducioso il ritorno della sua Haruka.

Ciauuu…

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Urban BlackWolf