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Autore: Novelist Nemesi    17/06/2009    0 recensioni
Dopo L e Hayley mi cimento con una storia su Mello. Ambientata in Germania. Qui tratto la mia visione della sua infanzia, e spero che vi piaccia. Non abbiate paura di lasciare recensioni e consigli su come migliorarmi! Grazie di cuore!
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mello
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sentiva l’adrenalina crescere dentro di lui, uno spasmo indescrivibile che lo attanagliava, il sudore rigargli il viso. I muri, il pavimento, sfrecciavano al suo passo veloce, col timore costante di finire in trappola.
Sentiva ogni tanto qualcosa andare in frantumi, luci spegnersi all’improvviso e vetri in frantumi. Voleva che tutto fosse buio così da braccarlo, evidentemente.
Mello cercò di riprendere il respiro, ma non per molto. Il tempo di sparare a una telecamera davanti a lui.
Man mano che scappavo sparava a tutte le telecamere che vedeva oppure passava dove non potesse essere inquadrato. Non aveva la minima idea di dove potesse essere sua madre, e sembrava, anzi, andava proprio alla cieca.
Rallentò il passo. Per un attimo pensò che doveva tornare indietro a prendere suo fratello. Perché era ancora vivo. Voleva sperarlo fino all’ultimo.
Fece per voltarsi ma un rumore davanti a lui lo privò dell’udito per qualche secondo. Assordante, tremendo, macerie che alzavano polveroni.
-Oh, cazzo!- scappò, cambiando direzione. Aprì una porta a caso, ma vi fu un’altra esplosione, la maniglia rimasta in mano, tutto che tremava, una puzza di bruciato da costringerlo a tapparsi il naso. Sentiva ai suoi piedi degli scoppietti, degli scintillii che riconobbe come proiettili.
-Lady, è nelle nostre mani, è allo scoperto- uno degli uomini, con un fucile, comunicava tutto ciò che vedeva attraverso un microfono.
Mello sparò alla gamba di quell’uomo e se la diede a gambe. Merda, ma com’era possibile?!
Più scappava, più cercava un posto dove rifugiarsi, e più cose saltavano in aria. Sua madre, da qualche parte, con ogni probabilità aveva piazzato delle bombe e fatto saltare tutto in aria. Chiamala scema. Così non poteva perderlo di vista.
Non sapeva più dove andare, e ormai le forze le aveva esaurite. Si appoggiò al muro, pistola sempre alla mano. Tirò un sospiro, stanco, e troppo tardi si accorse che qualcuno lo aveva sorpreso alle spalle.
Sentì qualcosa trapassargli la mano, vide la mano colorarsi di rosso, e subito sentì un altro proiettile passargli sotto il braccio.
Basta, non ce la faceva più. eppure quell’uomo non sparava un altro colpo.
Decise a quel punto di tentare il tutto per tutto.
Si accasciò a terra, lasciando che il sangue della mano colorasse anche il pavimento.
Quell’uomo era da solo, teneva il fucile ancora puntato, e aveva un microfono attaccato alla bocca.
-Credo di averlo colpito. Mi assicuro che…-
Mello si era appositamente messo a pancia in giù, mani sotto di essa, in modo da fare un passaggio lesto tra una mano e l’altra. La pistola ora era nella mano libera e intatta, e velocemente, prima che quello potesse finire la frase, gli sparò al cuore, colpo secco. Gli altri avevano sicuramente sentito, ma avrebbero attribuito il colpo al loro collega.
Bastò ripetere la scena anche con gli altri uomini che si presentarono dopo, facendosi trovare accasciato vicino all’uomo appena morto, utilizzando il sangue perso per fare delle ferite false.
Con un po’ d’astuzia e buona recitazione nel fingersi morti, era riuscito a metterli fuori combattimento, rubare i proiettili per ricaricare la pistola e prendere qualche altro oggetto che potesse servire. Distrusse i microfoni. Non c’erano molti uomini, forse erano morti tutti, ma meglio andare sul sicuro.
Ora mancava solo lei. Dov’era?
Ora non bastava ricevere le sue scuse.
Ebbene sì, Mello aveva dimenticato ciò che Milhel gli aveva detto, la cosa per lui più importante: mai rinnegare la propria famiglia.
Era impossibile per Mello.
E non si sarebbe fatto battere nemmeno dai suoi familiari.
Confondendosi tra le macerie, arrivò nell’ala ancora intatta, ispezionando una stanza alla volta. Sentiva delle esplosioni, lontano da lui. Stava colpendo a caso? Tanto meglio. Prima aveva rischiato grosso, ma se continuava a colpire da quella parte aveva tutto il tempo.
L’ansia di fare tutto in tempo cresceva man mano che sentiva il rumore delle esplosioni avvicinarsi. Quando appurò di aver terminato tutto, scappò di corsa.
Dove poteva essere lei? Non sapeva come orientarsi laggiù, e non c’era nemmeno una planimetria dettagliata. Dove poteva essere una sala dove poteva premere dei pulsanti?
Si guardò intorno: sembrava un albergo abbandonato, usato come rifugio, forse, ormai distrutto. Magari andando verso la reception avrebbe trovato qualcosa, ma più della metà dell’edificio era distrutto, improbabile trovarla in un posto dove era facilmente localizzabile.
E se avesse un telecomando?
Possibile.
Ma dove?
Prima di tutto però doveva testare il suo nuovo prodotto. Chissà se c’era qualcuno ancora vivo.
Camminando attentamente, sentì dei movimenti. Perfetto. Era un uomo solo. Con qualche diversivo, come qualche masso caduto a terra e rumori “innocui”, lo colse di sorpresa tramortendolo e sparandogli a tutti gli arti. Saltò sopra di lui, costringendolo ad aprire la bocca.
-Mangialo- ordinò Mello, infilandogli in bocca un cioccolatino –Masticalo- mosse la mascella di quel tipo in modo che spezzettasse qualche pezzo.
Nel giro di poco tempo quell’uomo aveva la bava alla bocca, farfugliava spaventato qualcosa, aveva gli occhi iniettati di sangue e si dimenava. Mello gli diede via libera e quell’uomo gridava qualcosa come “Lasciatemi in pace! Non urlate!” e, preso dalla disperazione, prese altra cioccolata da Mello, divorandolo avidamente, finchè non andò in overdose.
Perfetto.
Poteva farcela.
Sua madre era nascosta in un’ala dell’hotel ormai distrutto ancora intatta, guardandosi bene le spalle e osservando attraverso un mini televisore le telecamere che erano state distrutte. Ormai l’unica ala in condizioni decenti era quella dove si trovava lei, dove solo allontanarsi a farlo saltare in aria col telecomando in suo possesso.
Non immaginava neanche lontanamente che ora la preda era diventata lei.
Lei forse aveva dimenticato, ma Mello niente affatto.
Per fortuna qualche condotto dell’aria in quell’ala semi-intatta c’era ancora, e soprattutto non c’era aria condizionata accesa.
Trovarsi la madre sotto quella grata era una cosa che lo riempì di gioia. E la grata aveva i  buchi larghi quel tanto che bastava.
Prese una cannuccia che aveva preparato prima e se la mise in bocca, facendola passare tra la grata, e soffiò, puntando sul collo di sua madre. Lei si mise la mano su di essa, pensando a una puntura di zanzara.
A base di cioccolato Marker.
Mello vide con soddisfazione che lasciava cadere il telecomando, sentiva distintamente il suo respiro farsi più affannoso, barcollava.
-N… No…- cominciava a lamentarsi –C… Chi siete… Voi? State lontani…- diede qualche testata violenta al muro –Andate via!-
Mello scese dalla grata del condotto dell’aria, rimanendo dietro di lei.
-Aiuto!-
Si avvicinò piano piano, pronto a sparargli, ma sentire le sue ultime parole lo lasciò interdetto.
-Milhel… Mihael… Aiutatemi… Aiutate vostra madre! Milhel, dove sei?-
Mello non poté farne a meno –Milhel Keehl è morto. L’hai ammazzato tu-
-Non… Non è possibile! Non sono stata io! Io amo i miei figli…-
Usciva sangue da quegli occhi azzurri, come delle lacrime, occhi lucidissimi, sudata, irriconoscibile. Sotto l’effetto di una droga molto più micidiale della sua.
-Aiutami!-
Mello, sentendo le mani tremolanti su di sé, strinse di più il fucile.
-Ora la finirai…-
-Portami con te… Portami in Paradiso…- la vide afferrare il fucile e Mello, un po’ spaventato e un po’ furente, premette il grilletto, colpendola alla guancia.
La madre, sotto effetti allucinogeni e chissà cos’altro della droga, rideva a crepapelle.
-Angelo…  Portami con te…-
Doveva smetterla.
Uno, due, tre, quattro colpi, anche di più, finchè la testa bionda di sua madre non divenne irriconoscibile.
Qualche lacrima a Mello scappò. Un angelo…
Maledetta. Tu sia maledetta per sempre, anche in Paradiso.
Doveva andarsene. Gettò le armi e tutta la cioccolata che trovava e vagò per le strade finchè non trovò un autogrill, e per fortuna non c’erano occhi indiscreti.
Prese qualche spicciolo dalla tasca e andò alle cabine, premendo nervosamente un numero. Quando arrivò lo scatto alla risposta cercò di ritrovare un po’ di calma.
-Ho bisogno di un biglietto per Londra il prima possibile. No, non ho veicoli… Ah, non pago in contanti… Sì, sì, carta di credito… Le invierò presto un fax, grazie-
Approfittò della notte all’autogrill, di nascosto, per lavarsi i vestiti e preparare il necessario.
Raggiungere senza permesso gli uffici fu un giochetto da ragazzi e poté tranquillamente mandare il suo fax.

Mister Milhel Rodd, nato a Norimberga il 26 marzo 1981. Recapito…
La mattina dopo di corsa all’ufficio postale più vicino per ritirare il tutto, spacciandosi per Milhel Rodd, anzi, per il figlio di Milhel Rodd che faceva una commissione. Diede poi una busta da spedire. Doveva essere una carta di credito ma dentro c’erano delle cartacce di cioccolata.
Mentre guardava il cielo, sull’aereo, quell’aereo che lo riportava in un altro mondo, si disse che non avrebbe detto a nessuno cosa era successo mentre era via.
Il problema era inventarsi un’altra balla verosimile.

*Dancing Dead è il titolo di una canzone degli Avenged Sevenfold, canzone che ho ascoltato mentre scrivevo il capitolo. È veramente figa e mi ha gasato tantissimo mentre scrivevo, trovandola perfetta per l’atmosfera. Grazie, Avenged Sevenfold.

  
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