Sentiva
ogni tanto qualcosa andare in frantumi, luci spegnersi
all’improvviso e vetri
in frantumi. Voleva che tutto fosse buio così da braccarlo,
evidentemente.
Mello
cercò di riprendere il respiro, ma non per molto. Il tempo
di sparare a una
telecamera davanti a lui.
Man
mano che scappavo sparava a tutte le telecamere che vedeva oppure
passava dove
non potesse essere inquadrato. Non aveva la minima idea di dove potesse
essere
sua madre, e sembrava, anzi, andava proprio alla cieca.
Rallentò
il passo. Per un attimo pensò che doveva tornare indietro a
prendere suo
fratello. Perché era ancora vivo. Voleva sperarlo fino
all’ultimo.
Fece
per voltarsi ma un rumore davanti a lui lo privò
dell’udito per qualche
secondo. Assordante, tremendo, macerie che alzavano polveroni.
-Oh,
cazzo!- scappò, cambiando direzione. Aprì una
porta a caso, ma vi fu un’altra
esplosione, la maniglia rimasta in mano, tutto che tremava, una puzza
di
bruciato da costringerlo a tapparsi il naso. Sentiva ai suoi piedi
degli scoppietti, degli scintillii che riconobbe come proiettili.
-Lady,
è nelle nostre mani, è allo scoperto- uno degli
uomini, con un fucile,
comunicava tutto ciò che vedeva attraverso un microfono.
Mello
sparò alla gamba di quell’uomo e se la diede a
gambe. Merda, ma com’era
possibile?!
Più
scappava, più cercava un posto dove rifugiarsi, e
più cose saltavano in aria.
Sua madre, da qualche parte, con ogni probabilità aveva
piazzato delle bombe e
fatto saltare tutto in aria. Chiamala scema. Così non poteva
perderlo di vista.
Non
sapeva più dove andare, e ormai le forze le aveva esaurite.
Si appoggiò al
muro, pistola sempre alla mano. Tirò un sospiro, stanco, e
troppo tardi si
accorse che qualcuno lo aveva sorpreso alle spalle.
Sentì
qualcosa trapassargli la mano, vide la mano colorarsi di rosso, e
subito sentì
un altro proiettile passargli sotto il braccio.
Basta,
non ce la faceva più. eppure quell’uomo non
sparava un altro colpo.
Decise
a quel punto di tentare il tutto per tutto.
Si
accasciò a terra, lasciando che il sangue della mano
colorasse anche il
pavimento.
Quell’uomo
era da solo, teneva il fucile ancora puntato, e aveva un microfono
attaccato
alla bocca.
-Credo
di averlo colpito. Mi assicuro che…-
Mello
si era appositamente messo a pancia in giù, mani sotto di
essa, in modo da fare
un passaggio lesto tra una mano e l’altra. La pistola ora era
nella mano libera
e intatta, e velocemente, prima che quello potesse finire la frase, gli
sparò
al cuore, colpo secco. Gli altri avevano sicuramente sentito, ma
avrebbero
attribuito il colpo al loro collega.
Bastò
ripetere la scena anche con gli altri uomini che si presentarono dopo,
facendosi trovare accasciato vicino all’uomo appena morto,
utilizzando il
sangue perso per fare delle ferite false.
Con
un po’ d’astuzia e buona recitazione nel fingersi
morti, era riuscito a
metterli fuori combattimento, rubare i proiettili per ricaricare la
pistola e
prendere qualche altro oggetto che potesse servire. Distrusse i
microfoni. Non
c’erano molti uomini, forse erano morti tutti, ma meglio
andare sul sicuro.
Ora
mancava solo lei. Dov’era?
Ora
non bastava ricevere le sue scuse.
Ebbene
sì, Mello aveva dimenticato ciò che Milhel gli
aveva detto, la cosa per lui più
importante: mai rinnegare la propria famiglia.
Era
impossibile per Mello.
E
non si sarebbe fatto battere nemmeno dai suoi familiari.
Confondendosi
tra le macerie, arrivò nell’ala ancora intatta,
ispezionando una stanza alla
volta. Sentiva delle esplosioni, lontano da lui. Stava colpendo a caso?
Tanto
meglio. Prima aveva rischiato grosso, ma se continuava a colpire da
quella
parte aveva tutto il tempo.
L’ansia
di fare tutto in tempo cresceva man mano che sentiva il rumore delle
esplosioni
avvicinarsi. Quando appurò di aver terminato tutto,
scappò di corsa.
Dove
poteva essere lei? Non sapeva come orientarsi laggiù, e non
c’era nemmeno una
planimetria dettagliata. Dove poteva essere una sala dove poteva
premere dei
pulsanti?
Si
guardò intorno: sembrava un albergo abbandonato, usato come
rifugio, forse,
ormai distrutto. Magari andando verso la reception avrebbe trovato
qualcosa, ma
più della metà dell’edificio era
distrutto, improbabile trovarla in un posto
dove era facilmente localizzabile.
E
se avesse un telecomando?
Possibile.
Ma
dove?
Prima
di tutto però doveva testare il suo nuovo prodotto.
Chissà se c’era qualcuno
ancora vivo.
Camminando
attentamente, sentì dei movimenti. Perfetto. Era un uomo
solo. Con qualche
diversivo, come qualche masso caduto a terra e rumori
“innocui”, lo colse di
sorpresa tramortendolo e sparandogli a tutti gli arti. Saltò
sopra di lui,
costringendolo ad aprire la bocca.
-Mangialo-
ordinò Mello, infilandogli in bocca un cioccolatino
–Masticalo- mosse la
mascella di quel tipo in modo che spezzettasse qualche pezzo.
Nel
giro di poco tempo quell’uomo aveva la bava alla bocca,
farfugliava spaventato
qualcosa, aveva gli occhi iniettati di sangue e si dimenava. Mello gli
diede
via libera e quell’uomo gridava qualcosa come
“Lasciatemi in pace! Non urlate!”
e, preso dalla disperazione, prese altra cioccolata da Mello,
divorandolo avidamente,
finchè non andò in overdose.
Perfetto.
Poteva
farcela.
Sua
madre era nascosta in un’ala dell’hotel ormai
distrutto ancora intatta,
guardandosi bene le spalle e osservando attraverso un mini televisore
le
telecamere che erano state distrutte. Ormai l’unica ala in
condizioni decenti
era quella dove si trovava lei, dove solo allontanarsi a farlo saltare
in aria
col telecomando in suo possesso.
Non
immaginava neanche lontanamente che ora la preda era diventata lei.
Lei
forse aveva dimenticato, ma Mello niente affatto.
Per
fortuna qualche condotto dell’aria in quell’ala
semi-intatta c’era ancora, e
soprattutto non c’era aria condizionata accesa.
Trovarsi
la madre sotto quella grata era una cosa che lo riempì di
gioia. E la grata
aveva i buchi
larghi quel tanto che
bastava.
Prese
una cannuccia che aveva preparato prima e se la mise in bocca,
facendola
passare tra la grata, e soffiò, puntando sul collo di sua
madre. Lei si mise la
mano su di essa, pensando a una puntura di zanzara.
A
base di cioccolato Marker.
Mello
vide con soddisfazione che lasciava cadere il telecomando, sentiva
distintamente il suo respiro farsi più affannoso, barcollava.
-N…
No…- cominciava a lamentarsi –C… Chi
siete… Voi? State lontani…- diede qualche
testata violenta al muro –Andate via!-
Mello
scese dalla grata del condotto dell’aria, rimanendo dietro di
lei.
-Aiuto!-
Si
avvicinò piano piano, pronto a sparargli, ma sentire le sue
ultime parole lo
lasciò interdetto.
-Milhel…
Mihael… Aiutatemi… Aiutate vostra madre! Milhel,
dove sei?-
Mello
non poté farne a meno –Milhel Keehl è
morto. L’hai ammazzato tu-
-Non…
Non è possibile! Non sono stata io! Io amo i miei
figli…-
Usciva
sangue da quegli occhi azzurri, come delle lacrime, occhi lucidissimi,
sudata,
irriconoscibile. Sotto l’effetto di una droga molto
più micidiale della sua.
-Aiutami!-
Mello,
sentendo le mani tremolanti su di sé, strinse di
più il fucile.
-Ora
la finirai…-
-Portami
con te… Portami in Paradiso…- la vide afferrare
il fucile e Mello, un po’
spaventato e un po’ furente, premette il grilletto,
colpendola alla guancia.
La
madre, sotto effetti allucinogeni e chissà
cos’altro della droga, rideva a
crepapelle.
-Angelo… Portami
con te…-
Doveva
smetterla.
Uno,
due, tre, quattro colpi, anche di più, finchè la
testa bionda di sua madre non
divenne irriconoscibile.
Qualche
lacrima a Mello scappò. Un angelo…
Maledetta.
Tu sia maledetta per sempre, anche in Paradiso.
Doveva
andarsene. Gettò le armi e tutta la cioccolata che trovava e
vagò per le strade
finchè non trovò un autogrill, e per fortuna non
c’erano occhi indiscreti.
Prese
qualche spicciolo dalla tasca e andò alle cabine, premendo
nervosamente un
numero. Quando arrivò lo scatto alla risposta
cercò di ritrovare un po’ di
calma.
-Ho
bisogno di un biglietto per Londra il prima possibile. No, non ho
veicoli… Ah,
non pago in contanti… Sì, sì, carta di
credito… Le invierò presto un fax,
grazie-
Approfittò
della notte all’autogrill, di nascosto, per lavarsi i vestiti
e preparare il
necessario.
Raggiungere
senza permesso gli uffici fu un giochetto da ragazzi e poté
tranquillamente
mandare il suo fax.
Mister
Milhel Rodd, nato a
Norimberga il 26 marzo 1981. Recapito…
La
mattina dopo di corsa all’ufficio postale più
vicino per ritirare il tutto,
spacciandosi per Milhel Rodd, anzi, per il figlio di Milhel Rodd che
faceva una
commissione. Diede poi una busta da spedire. Doveva essere una carta di
credito
ma dentro c’erano delle cartacce di cioccolata.
Mentre
guardava il cielo, sull’aereo, quell’aereo che lo
riportava in un altro mondo,
si disse che non avrebbe detto a nessuno cosa era successo mentre era
via.
Il
problema era inventarsi un’altra balla verosimile.