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Autore: fervens_gelu_    29/08/2017    1 recensioni
Dieci modi per dirti che ti amo: piccoli stralci di lettere, di ricordi rubati, di esperienze vissute.
Per arrivare al tuo cuore.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ash, Misty | Coppie: Ash/Misty
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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-Attraverserei i sette mari per conoscere questa sirena-

-Se fosse pettinata in un altro modo, la nuotatrice sarebbe quasi uguale a te, Misty-
 
Era la quarta volta che stracciavo quel pezzo di carta. Vuoto per giunta. Lo riaprivo per poi accartocciarlo di nuovo, perdendo un altro scrigno del mio cuore avvelenato dalla distanza. Non avevo ancora scritto nulla. Forse non sapevo nemmeno cosa scriverci… forse sarebbe stato futile farlo dopo tutto quel tempo. Ma chiamarla da un centro Pokèmon sarebbe stato umiliante per entrambi, per me, che non mi ero fatto sentire per anni e per lei, che forse non mi avrebbe voluto più sentire e che magari si era dimenticata per sempre di me, della mia voce e di quello che fu il nostro primo incontro. Mi toccai la guancia ancora dolorante, che ancora faceva male e mi ricordava quel giorno. E quello schiaffo, forse paragonabile ad un bacio di benvenuto. O forse no.

Non era di certo il giorno adatto per addormentarsi.

Aveva investito i miei sogni come solo lei era capace di fare. Li aveva calpestati, facendomi vacillare, tra realtà e sogno, tra passato e presente, tra verità e finzione. Vedevo ogni parte di lei in ogni parte del mondo in cui mi trovavo. E rivedendo il dono che mi aveva fatto, il mio sguardo fulgido e mesto si proiettava verso la sua piacevole e ormai trascolorata compagnia. La sentivo vicino a me anche quando eravamo lontanissimi. La pensavo nei momenti più duri e difficili, nei momenti di grande sconforto. Eravamo cresciuti insieme e solo questo mi sarebbe bastato per saper che sempre e comunque, anche se non ci saremmo mai più visti divenendo due anime disgiunte, un filo impercettibile ci avrebbe legati magicamente, quel flusso di ricordi e sogni che nessuno ci avrebbe portato via. Che nessun’altra ragazza avrebbe potuto portare via. Anche se fossi andato avanti nella mia vita, ci sarebbe stato un piccolo posto per lei; anche se lei non ne sarebbe stata consapevole né ora né mai.


Il buio si diradava sempre più e da un minuscolo pertugio della tenda iniziava a giungere un po’ di calore e di luce cristallizzata in piccoli granelli impercettibili di polvere. Avevo il serio timore di svegliare gli altri. Serena era abbracciata a Clem, mentre Lem era finito per terra, con la coperta a scacchi che gli lasciava scoperti i piedi. Sembravano davvero dormire serenamente.

Così mi diressi fuori al sorgere del sole per finire di scrivere quella stupida lettera che non ne voleva affatto sapere di essere composta ma solo di essere calpestata e rattrappita, come una foglia stramazzata al suolo. Mi appoggiai su un piccolo gradino di legno fuori del dormitorio; era umido, la sera precedente aveva piovuto ed aveva portato con sé un’aria particolarmente tesa, frastagliata.

Mi diressi verso il lago lì vicino, calpestando tutto quel ciarpame bagnato e ricolmo di fanghiglia.

Mi poggiai su un grande masso da cui si vedevano numerosi Swanna, come aironi di stagnola volteggiare sul pelo dell’acqua e numerosi Seaking, enormi pesci eleganti ed estremamente potenti, fare acrobazie scintillanti e numerosi giochi d’acqua. Era l’alba, sicuramente nessuno si sarebbe destato e mi avrebbe disturbato, forse solo qualche pescatore che mi avrebbe sicuramente ignorato, intento a catturare un gigantesco Magikarp.
L’autunno si sentiva in tutto il suo splendore, nel modo in cui aveva tinto di colori tenui e delicati la foresta e le dolci acque in fiore. Alberi dalle chiome rossastre e alberi giallognoli si stagliavano in quel panorama sconfinato. Infine, alberi aranciati concorrevano a creare quel paradiso di odori e profumi che avrebbe preannunciato un inverno imminente. In particolare questi ricordavano il suo volto incorniciato da quei capelli tenuti corti e quell’aria sbarazzina ma che aveva sempre da ridire su ogni cosa. O almeno quando si trattava di me. Sorrisi senza nemmeno rendermene conto, per poi tornare a guardare quella pioggia di pitture contrastanti che erano specchio del mio animo sopito e allentato dal ricordo sempre più vivo.
Decisi di ricominciare ciò che prima faticavo a fare. Non ero mai stato bravo con le parole e non avrei di certo imparato ora. Ma quella notte mi era apparsa in sogno, in pericolo, avvolta da una nube scura e minacciosa, che gridava. Erano urla che provenivano dal cuore ed erano strazianti, era paralizzata al suolo. Forse era realmente in pericolo, forse avrei dovuto fare qualcosa per aiutarla, per soccorrerla prima che fosse troppo tardi. Anche se probabilmente non la sarei riuscita a salvare, mai. Sembrava dannatamente vero quel sogno, inghiottito dalle ceneri del silenzio.

La pietra era fin troppo scivolosa.

Mi sdraiai sull’erba fresca eccessivamente umida che sapeva di pioggia e mi solleticava la pelle. Mi scompigliai i capelli corvini che mi coprivano quella bellissima vista. Guardai in alto, cercando di dimenticare i pensieri che mi assillavano e non mi permettevano di vivere. Mi apparve tra quei cirri biancastri il suo volto che delicatamente si avvicinava per poi sparire. Per poi ricomparire e di nuovo scomparire. I suoi occhi si mescevano con il cielo, il suo volto era così bianco come le nuvole.

Scomparve.

Si era fatto tardi, ormai, le uniche parole che ero riuscite a scrivere,

 
                                                                                                                Ti penso ancora… anch’io.




 

In qualche modo speravo che anche lei non si fosse dimenticata.

Lem aveva sicuramente iniziato a preparare i suoi fantastici manicaretti.

Poggiai sul suolo bagnato la lettera appena abbozzata che rimase lì per non so quanto tempo. La lasciai lì e corsi verso il piccolo dormitorio ritagliato nell’oasi celestiale.

 
Non ricordo per quanto tempo rimase lì, si troverà ancora nascosta da fiori e arbusti, non so ancora adesso se quel gesto fu un gesto involontario o volontario, la verità è che forse il destino aveva deciso così. Che non ci vedessimo mai più, che le nostre strade non si potessero incontrare perché destinate a percorrere binari diversi in stagioni sempre differenti. Un’estate fredda o un inverno caldo… non avevo più nulla da dirle. Non avevo più nulla da spartire se non faziosi ricordi, se non grandi momenti che sapevamo bene non sarebbero più tornati.


Probabilmente è stato giusto così.


 A vent’anni, ora, posso guardare finalmente avanti perché ho capito che un prezioso ricordo deve obbligatoriamente appartenere al passato. Non ci saremmo più incontrati e di certo mi andava bene così. E anche lei sicuramente lo pensava. Ci eravamo dimenticati l’uno dell’altra.

Faccio un sorriso a Pikachu e mi dirigo rapido verso l’infermiera Joy per chiederle qualche informazione sulla nuova regione che mi apprestavo a visitare.
 







-Se vuoi sbagliare strada, fatti guidare da Ash. E vedrai, tra poco avrà bisogno di fermarsi a mangiare-

-Hey Chinchou, state attenti alle crisi di nervi di Misty-

  
Era sera. La giornata era passata velocemente tra numerosi sfidanti, tutti decisamente poco abili nell’utilizzare i loro Pokèmon. Ma non mi interessava. Oramai i ragazzini di oggi non erano bravi a lottare, erano solo dei grandi presuntuosi. Solo uno di loro era riuscito a sconfiggermi e aveva destato in me la curiosità e quella voglia di esistere che mai prima d’ora era affiorata, andando a riaccendere la miccia che nei miei occhi spenti non si andava a generare da tempo. Come un fuoco acquatico in piena evoluzione.

Corsi in soffitta e presi la scatola, come mi ero ripromessa la sera prima, dopo quell’incubo malefico.

Aprii i ricordi. Il bel Kimono svettava in bellezza e ricopriva, come un velo magico nascondeva un prezioso confetto, tutti gli altri accorati cimeli di un viaggio intero.

Fotografie, ce ne erano tante… un costume, il costume che avevo indossato ad Acapulco per la prima volta. Una felpa, la famosa sacca rossa che mi aveva accompagnato per così tanto tempo, il vecchio abbigliamento di un viaggio ormai lontanissimo. Era inutile continuare a ricordare. Notai tra le altre cose un nastro. Lo presi e subito, gattonando, lo andai ad inserire nel videoregistratore lì accanto. Stavo per scoppiare a piangere. Era il film che avevamo girato tutti assieme. Era il film delle nostre vite.

Ash, Brock, mi mancate troppo. No, ma cosa sto dicendo!

 
Sono ricordi e bisogna sovrascriverli, lo dicono sempre tutti. E anche io avrei fatto così. Perché era giusto così. Scrissi un messaggio su un foglio, volevo che lo ricevesse. Perché avevo bisogno lo sapesse,
 

Ti penso ancora… anch’io,


 
furono le uniche parole che riuscii a lasciare. Non firmai il biglietto. Avevo capito cosa fare.

Basta vivere per gli altri e per questa stupida palestra.

Presi la sacca rossa a me sempre fedele, salutai affettuosamente Cerulean, per la prima volta con una felicità che mai sul mio volto avevo scritto, da tempo ormai. Abbandonai la mia casa e corsi rapidamente dall’Infermiera Joy per lasciarle il biglietto.

-A chi devo consegnarlo?-

-Ad Ash Ketchum- furono le mie parole serene e che suonavano per la prima volta dolci e dette a piena voce. Per la prima volta dopo anni.

-E chi sarebbe?-

Non feci in tempo a sentire le sue parole che già mi ero catapultata all’avventura, con poche Pokèball in tasca, la bicicletta rossa fiammante che era stata ricostruita dalla Joy e da una gigantesca voglia di andare avanti, lasciando il mondo alle spalle. Nessuno si sarebbe mai aspettato questo da me. E in fondo nemmeno io.

Ero un’altra persona.


Non so se quel piccolo biglietto è mai arrivato nelle mani di Ash, ma so che a prescindere da cosa sia successo, forse, non volevo lo ricevesse. E’ giusto che sia così. Perché il destino ci ha chiamati a scegliere; scegliere di vivere, da soli, perché mai il nostro primo incontro è stato per caso. E chissà quante altre sorprese ci avrebbe riservato. Sono solo felice di aver scelto l’avventura, il viaggio.

Solo così avrei celato il ricordo tagliando un baluginio di scaglie mutevoli.


 
 
 A vent’anni finalmente posso guardare avanti, perché ho capito che per entrambi è più giusto così. Ho capito che il mondo va avanti e io non posso più permettermi di rimanere ancorata alle radici storte di una mente conficcata in un sentimento tremendamente crudele.

 
Con la bici che serpeggia lungo il sentiero terroso, mi lascio tutto alle spalle e con la luce del sole che mi chiama ad una nuova vita. Diventerò il più grande Maestro di Pokèmon d’acqua. Lo urlo al mondo intero.

 
 
 
 





 
***Nota dell’autore: innanzitutto ringrazio come sempre chi legge questa raccolta e chi la recensisce! Siamo veramente agli sgoccioli… questo è il penultimo capitolo, il prossimo sarà l’ultimo e tutto questo finirà e non immaginate nemmeno quanto tutto possa essere dolce ma allo stesso tempo decisamente triste. Ma comunque, per la conclusione, vi avverto fin da subito, mi prenderò i miei tempi. E che tempi! Quindi non vi aspettate che l’ultimo capitolo venga pubblicato questa settimana (probabilmente nemmeno la prossima ahah). Comunque  spero che anche questo sia stato di vostro gradimento, spero davvero di avervi trasmesso qualcosa! Mando un abbraccio a tutti!
   
 
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