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Autore: Nirvana_04    30/08/2017    2 recensioni
STORIA FANTASY-STEAMPUNK
Sequel di "CIELI SENZA CONFINI"
Jude Hauk e Moris Lautner, salvando il primo la sorella e il secondo il regno, hanno aperto il mondo e i suoi cieli. Non ci sono più confini, e adesso il capitano della Marsadde può navigare verso l'infinito... se non fosse che la sua nave è nelle mani della Marina di Midra e lui si trova bloccato con il suo villaero sopra le terre sconosciute e nemiche di Kabu-Ealim.
Una città davvero strana con strane e rigide regole. E, si sa, al nostro pirata, le regole stanno troppo strette. Una nuova avventura all'insegna della libertà e delle spericolate inventive della cara sorella di Jude, Selene.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cieli senza confini'
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Dopo tutta la luce degli ultimi mesi, dopo l’incessante calura che calcava l’aria all’esterno, trovarsi nella penombra del ponte di batteria fu una sorpresa per Jude. Da uomini che adoravano la luce del sole e osteggiavano sfarzo, si aspettava luminari a ogni metro, grandi candelabri forniti di lampade a olio e una rifinitura interna elegante e raffinata, che rispecchiasse la loro nobile posizione. Invece, scese le scale d’osso, le pareti grigie si presentarono disadorne e spoglie, l’unico alone giungeva dalla botola che immetteva in quel piano della nave; in fondo, le pareti parevano degradare in un punto oscuro, come a congiungersi al centro di quell’anonimo recesso. Nulla si ricollegava allo sfarzo minaccioso dell’esterno
Il silenzio si richiuse su di loro, tanto che il pirata poté giurare di aver sentito deglutire il buon vecchio Scatt – uomo ingobbito a causa della combinazione tra un’altezza maestosa e il suo precedente lavoro da cani nelle fabbriche di Midra; e se Scatt aveva problemi di salivazione, allora Hauk si poteva permettere un sorriso di sbieco. La cosa puzzava di pericolo mortale, e questo lo eccitava. Se solo non avesse dovuto occuparsi di sua sorella…
Il capitano Hauk fece segno a due dei suoi di tenere d’occhio il passaggio, poi s’inoltrò nella semioscurità insieme al resto della sua ciurma, alla ricerca di quell’ingrata. Per un pirata come lui non era carino a dirsi, ma il rollio della nave lo stava irritando: i suoi piedi s’intrecciavano, osteggiandosi a vicenda, impossibilitati a camminare in linea retta; l’imprecisione dei movimenti scatenava rumori che, nel silenzio che spadroneggiava nella pancia di quello scheletro, rintronava come campane a festa.
«Ehi, capitano» soffiò Arci che, per quanto si stesse impegnando, non riusciva proprio a parlare a bassa voce. «Sta roba ci sta mangiando vivi. Diamoci una mossa.»
Arrivarono alla fine del lungo corridoio e scoprirono che, alla loro destra, una rampa di scale li costringeva verso il basso; sulla sinistra, un secondo corridoio conduceva agli appartamenti dell’equipaggio.
«Scatt, Fedrik» chiamò, «occupatevi degli alloggi. Noi scendiamo.»
«E perché?» si offese il secondo in comando.
«Non ho ancora visto dove si trovato gli alloggi del capitano» ghignò, e iniziò a scendere.
La prima cosa che lo colpì fu il ritorno dei suoni. Era stato inutile temere di essere uditi con tutto il frastuono di cilindri a pressione e tubi che incombeva là sotto. Le scale, superate la prima rampa, si profilavano verso il basso in una ripida serie di gradini di ottone, a chiocciola; in basso – sempre se c’era un fondo – la cacofonia di macchine e operai sbuffava verso l’apice delle scale come se lo stomaco del magadonte fosse ancora lì, a grugnire infastidito. Alti e grossi fusti di ferro e oro contenevano le caldaie e i forni di combustione, le fauci di quelle che si aprivano a metà dei tronchi di ferro, raggiungibili solo da piattaforme di marmo che giravano intorno a questi ultimi; varie sezioni dei cilindri s’avvitavano, immettendo automaticamente il lignite nelle bocche. La grande stanza delle macchine era immensa, con un soffitto a volta che si perdeva persino sopra di loro, con archi e tramezzi che reggevano e collegavano le pareti. C’erano altre scale che si dipanavano in alto e in basso, fatte d’ottone o di duro marmo ingiallito.
La seconda cosa che saltò ai suoi occhietti neri fu che, ovviamente, la scala era sorvegliata. Uno zaeim con un respiratore d’oro sulla mascella intercettò il loro arrivo e lanciò l’allarme. Ralph fu più veloce però, e lo stordì con un colpo alla testa, proprio mentre quello si girava ad affrontare il capitano. Il rumore ingoiò le sue urla e l’allarme si disperse, inascoltato. A un segnale del pirata, la ciurma si divise: ogni uomo s’infilò in uno dei piccoli spazi tra le macchine e avanzò per suo conto verso l’estremità di quell’androne. Jude tese le orecchie, vedendo solo a tratti i suoi uomini, ma lo sbuffo di un’enorme caldaia coprì qualunque altro suono. Arci era dietro di lui, che osservava con occhio diffidente quelle strambe diavolerie.
«Ehi, Hauk» gli confidò, visto che erano soli, «questi qua sono più forniti di quella diabolica regina. Mi chiedo come facciano con tutta questa roba ad avere lo stesso cervello di un indigeno delle Isole Minori.»
«Vuoi chiederglielo?» gli propose Hauk, i piccoli occhi che perforavano lo sfondo alle spalle del compagno. «Ne hai l’occasione.»
Afferrò la spalla dell’amico e lo catapultò di lato, mentre con l’altra mano tirava fuori la doppia colt. Il proiettile colpì lo zaeim alla spalla, lo scoppio e le sue urla allarmarono il resto dell’equipaggio, che stava già accorrendo alle sue spalle. Arci bestemmiò così forte che anche gli uomini della sua ciurma accorsero. Hauk sghignazzò e ringraziò la veemenza del compagno, mentre con un colpo di reni trascinava entrambi al riparo dietro a una griglia di rame.
I proiettili volarono tra i due schieramenti e alcuni rimbalzarono pericolosamente contro le macchine di ferro. Dei passi risuonarono sulle scale. Il capitano alzò gli occhi e notò la seta dei mantelli azzurri damascati, con la piuma bianca degli zaeim, scendere di corsa le scale: dovevano essere quelli rimasti negli alloggi. Il pirata digrignò i denti d’argento e socchiuse gli occhietti, pensando alla fine di Scatt e Fedrik: se quegli uomini stavano giungendo dal ponte di batteria, allora i suoi erano stati già neutralizzati. Si voltò, in preda alla collera, e afferrò un uomo dal lungo codino; si piegò e usò il suo corpo per lanciarlo alle sue spalle, dritto contro una griglia rovente. Quello strepitò come un folle, ustionato, staccò la pelle molle dal ferro e corse verso le scale. Il pirata fece lo stesso con il suo compagno, torcendogli il braccio e spingendolo contro i piedi di una caldaia. Della brace sprizzò in alto e gli finì sulla schiena; per rialzarsi, quello si afferrò con le mani alla bocca rovente e se le ustionò.
«Spingeteli nelle bocche» vociò, il suo tricorno che fumava a causa di un lapillo volante.
Gli zaeim saltarono il corrimano degli ultimi gradini e atterrarono tra le macchine di ferro. Lo sbuffo dei vapori, per un attimo, offuscò le loro figure. I mantelli azzurri divennero grigi e si gonfiarono come ombre ingigantite tra i fumi. Non avevano armi, tranne le loro mani letali.
Jude si stabilizzò suoi piedi.
Quando era arrivato a Kabu-Ealim aveva visto uno di quegli uomini ghermire uno degli alramadi più possenti nella piazza e spezzargli il collo come se fosse stato un fuscello. Quei sacerdoti praticavano un’arte antica, che dicevano esserli stata insegnata da Iilah stesso. Erano gli unici che ne conoscevano il segreto, e nessuno osava ammirarne neanche i movimenti. Il pirata ricordò come gli altri alramadi avessero voltato lo sguardo mentre la figura infiocchettata si dirigeva sicuro verso l’uomo. A detta dello zaeim, rammentò, lo stava punendo per aver violato il tempo che Iilah aveva concesso alla sua razza per beneficiare della sua luce.
Hauk si defilò tra le macchine e caricò la doppia colt. La punta del suo tricorno sbucò da dietro un tubicino di rame che portava l’idrogeno alle turbine sotterranee. Calò la bandana nera sul collo, in modo che la sua mascella si confondesse con la scura parete delle macchine, e gettò un’occhiata verso l’arena improvvisata. Osservò lo zaeim più vicino evitare le pallottole delle spingarde di Arci e mirare con le dita della mano tesa verso l’amico, per infliggere un cozzo al collo scoperto. La doppia colt di Jude, però, fu più veloce; e lo zaeim, concentrato sul suo nemico, non riuscì a salvarsi.
Il pirata alzò un angolo delle labbra, vittorioso, ma la sparatoria aveva identificato il suo nascondiglio. Gli zaeim lo presero di mira; altri ne stavano giungendo dalle altre scale a chiocciola. Fece una smorfia e si preparò a scaricare l’intera riserva di proiettili sui compagni di quello appena abbattuto. Dopotutto, non potevano evitarli per sempre! Uscì allo scoperto e puntò entrambe le colt sul gruppo azzurro.
«Attento, Hauk!» lo avvertì Arci.
Dietro di lui, l’uomo che aveva lanciato contro il ferro rovente e il suo bel compare con le mani ustionate avevano alzato due pale contro la sua testa. L’elsa curva della sciabola di Parsiet mandò il primo al tappeto. L’altro, vedendo l’omone, gli lanciò l’arma contro e cercò di arrampicarsi sopra uno dei cornicioni di marmo.
«Vah, capitano. Malo aspetto ‘sto qui. Poveraccio, c’ho fatto un bel favore» ammiccò, poi strinse l’elsa, si posizionò bene sui piedoni gonfi e si preparò ad affrontare a muso duro gli altri uomini.
Due mantelli azzurri con piuma bianca sbucarono dal cornicione sopra di loro.
«Circondati come galline, no!» s’arrabbiò Arci, che già stava mirando ai nuovi arrivati. Gli altri della ciurma si posizionarono in cerchio, ognuno prendendo per sé una rampa di scale.
Uno dei due arrivati saltò sul cornicione, prese la rincorsa e si lanciò contro il gruppo degli zaeim che aveva appena messo piede nella sala delle macchine. L’altro estrasse una lancgup con il caricatore a cilindro di legno e la puntò contro l’uomo che tentava la fuga. Sotto il mantello apparve una gamba di porcellana e una gonna verde; uno stivale d’oro si poggiò sul cornicione e la figura presa la mira. Il nemico urlò e si lasciò cadere a terra, impazzito.
«Rozzi e anche vigliacchi!» esclamò con noncuranza una voce femminile. Jude alzò gli occhi verso lo zaeim e vide i morbidi capelli rossi solcati dalle prime ciocche dorate di sua sorella. «Jude» lo rimproverò quella con un viso di porcellana e labbra dischiuse in un sorriso accennato, «sei di nuovo in ritardo.»
Il capitano Hauk sghignazzò scompostamente e finalmente guardò l’altro zaeim fare il vuoto intorno a sé e ai suoi uomini. Il mantello azzurro cadde a terra e rivelò una maschera di ferro a coprirne l’intero volto.
«Signori, che fate?» destò i pirati. «Non vorrete mica che si prenda tutti i meriti, vero?»
Arci digrignò i denti e iniziò a dare fondo alle munizioni. Con eleganza, i colpi di Selene danzarono intorno al corpo dell’alramadi. «Dovrebbero toglierti la licenza, Arci. È uno spreco di pallottole, il tuo.»
Quello sbuffò. «Ancora tutta intera. Ma come fai?»
«Qualità femminili.» Si rabbuiò e aggiunse: «Comunque, questi non sono stati molto gentili.»
«Oh, bella mia, mo’ ce penso io a sti cafoni» scattò il cuoco.
«Parsiet caro, un gentiluomo come sempre.» Lanciò un’occhiata di commiserazione ad Arci e si voltò verso il fratello, mentre quello, alle sue spalle, faceva una smorfia e continuava a mietere vittime al suo solito modo. «Jude, abbiamo un problema. Questa nave…»
«Capitano!» sovrastò ogni altro rumore la voce di Bait. «Stiamo affondando, capitano!» Il macchinista e gli altri uomini con lui, compresi Scatt e Ralph che aveva mandato negli alloggi, si precipitarono giù per la scala.
Selene li incendiò con lo sguardo. «La nave può nuotare sott’acqua» spiegò, voltando loro le spalle.
Nella confusione della mischia, Hauk si permise uno sguardo sbalordito. Lanciò uno sguardo all’alramadi. «Combatte per noi?»
Selene strinse le labbra e trattenne un sorrisetto compiaciuto. «Aveva un conto in sospeso con quei balordi. Certo» fece spallucce, «anche i suoi modi lasciano un po’ a desiderare, però…»
«Selene, entro oggi!»
«Posso farcela. Lascialo a me!»
Jude borbottò qualcosa d’indecifrabile, ma la risposta di Arci, che era indietreggiato fino a loro, gli impedì di rispondere in modo comprensibile. «Vedi di fare in fretta, streghetta. Non voglio fare la fine della sardina.»
Selene gli mandò un bacio e si avvicinò al ragazzo, che nel frattempo aveva spezzato il collo a uno zaeim ed era occupato a intrecciare un gioco di gambe con l’ultimo superstite.
«Una mano?»
Per tutta risposta, quello torse il busto e mandò l’altro giù. Poi calò il braccio e lo colpì esattamente tra le due clavicole, bucandogli la trachea.
«Oh, santo cielo. Che modi!»
«Sono i miei modi.»
«Ehi, adesso lo ammazza» storse il naso Arci.
Con sua sorpresa, la ragazza sorrise al giovane uomo e indicò lui e Hauk. Si scambiarono veloci parole, poi Selene tornò da loro, saltando Parsiet che stava facendo a pezzi un operaio delle macchine. «A pezzi te faccio, sì. Non se tocca la bella mia» stava dicendo il cuoco tra un colpo e l’altro.
«Allora?» domandò Hauk.
«Mai mandare un uomo a parlare con un bel guerriero» sorrise smorfiosa, sbattendo le ciglia.
Il capitano rimandò la ramanzina. «Impadronitevi della sala comando!»
Selene si fece raggiungere dall’alramadi, la flotta avversaria tenuta a bada dagli altri uomini della ciurma, e insieme fecero strada verso una porticina laterale, nascosta dietro a una grande fisarmonica a cilindro che serviva per pompare aria nel sistema di areazione. La sala di comando era lì, cinque zaeim che manovravano i comandi. Da quella sala, oblò lasciavano ammirare il fondale, e su quel panorama marino, proprio laddove c’erano le radici dei Ciclopi, si trovavano enormi trivelle che avevano bucato il sottosuolo, minando alla stabilità della pietra su cui poggiava la città.
«Abel» disse l’uomo in piedi dietro all’ufficiale seduto al posto di direzione, le mani incrociate dietro la schiena. «Questa nave è il tuo passato, insieme al tuo nome. Ora sei nessuno, ed è con loro che dovevi stare.»
L’alramadi avanzò, i palmi delle mani mostrate in avanti, come a invitare l’altro a farsi sotto. «Sono qui per mio padre e la tua testa! Gli altri sono vostri» disse poi loro, e tornò a ignorarli.
Arci tirò fuori le spingarde e le puntò verso i due uomini di servizio ai comandi delle “pinne” sottomarine della nave. «Mollate le corde, o vi faccio schiattare il cervello.»
«Suvvia, amico mio» lo redarguì Hauk, mettendo via le colt. «Non mi sembra il caso di minacciare questi nobili uomini con armi così obsolete per le loro capacità.» Si tolse il soprabito e scrollò le spalle. «Un duello leale, come ai vecchi tempi.»
Arci ghignò. «Bei vecchi tempi» sospirò, e lasciò scivolare le armi sul pavimento d’osso.
Lo zaeim più vicino lo caricò, cercando di colpirlo al volto con una gamba tesa. Il secondo in comando, semplicemente, si abbassò, lasciò sfilare il colpo e, prima che quello potesse voltarsi, gli sferrò un gancio destro sul naso facendolo svenire.
«Ah, adesso sì che mi riconosco» urlò di gioia.
Nella cabina di comando scoppiò la rissa. Uno zaeim, accorso dalla sala macchine, provò a dare manforte ai compagni, ma Selene lo stecchì piantandogli il calcio della luncgup nella tempia. Jude portò i pugni davanti al viso e iniziò a duellare contro quello che lui, tra sé, definì un saltimbanco. Per i suoi gusti, troppa scena e niente resa. Alla fine intercettò un suo braccio e lo attirò a sé, portando il suo petto a contrarsi con la sua spalla; gli lussò la clavicola e lo stordì con un pugno dietro l’orecchio. Poi si spazzolò il panciotto color fango e raddrizzò la schiena, soddisfatto.
«Mi mancava, in effetti.»
Nel frattempo, l’alramadi era impegnato contro due degli scagnozzi dell’equipaggio, che gli impedivano di mettere le mani sul comandante in comando. Spezzò il braccio al primo e, infilando una gamba tra quelle dell’avversario e ruotando il bacino, ruppe il ginocchio all’altro.
«Ora» disse solo.
«Nessuno, non osare opporti. Nessuno!» chiamò di nuovo il più alto in grado.
Al secondo richiamo, da una porta laterale che dava su una piccola cabina sbucò una seconda maschera grigia. Jude stava per prendere la mira e sparare ma, in un attimo, nel trambusto dello scontro disordinato, non riuscì più a riconoscere quale dei due alramadi era il nemico: la maschera sul volto e lo stesso colore di pelle scottata li rendeva pressoché identici.
«Uccidilo, nessuno!»
Una maschera grigia sbuffò, sdegnosa; poi i due cozzarono contro. A risuonare, nella cabina di comando, furono l’urtarsi delle maschere di ferro e i grugniti dei due, mentre il comandante degli zaeim, con sguardo freddo e distaccato, voltava loro le spalle e si dirigeva verso il timone che governava gli spostamenti sottomarini del vascello.
«Affondiamo, capitano! Minc…» La voce di Parsiet, che varcò la soglia con l’irruenza di una berala, si spense su quell’ultimo turpiloquio.
Lo scoppio di un proiettile fece voltare tutte le teste: Selene aveva mirato a uno degli alramadi con sicurezza disarmante, e aveva sparato. «Ecco, quello è colui che mi ha messo quel sacco grezzo sulla faccia» lo accusò con irritazione, come a sancire cosa capitava a chi le facesse uno sgarbo.
«Doveva essere anche quello che ha seguito noi alla fabbrica» mormorò Arci di nascosto. «Solo che noi non gli abbiamo sparato, eh, Hauk?»
Colui che una volta si era chiamato Abel si liberò del corpo e raggiunse il comandante. Lo zaeim non si fece cogliere impreparato: sferrò un calcio all’indietro, piegando in due l’alramadi.
«Nessuno ha smesso anche di vivere adesso.»
Abel drizzò di nuovo la schiena e avanzò. Lo zaeim lo colpì a metà clavicola, spezzandogliela in due. Il giovane subì il colpo e si piegò sul ginocchio, la spalla lesa e le mani a sfiorare inermi il pavimento. Il comandante ghignò ma subito esso sparì dal suo volto, mentre l’altro tornava ad alzarsi.
«Avete smesso di torturare la mia gente.»
«Sei uno sciocco, Abel. Potevi diventare grande, potevi avere il potere di un Dio.» Sputò per terra e lo guardò schifato. «Cosa hai avuto da quelli lassù? Ti hanno forse creduto quando hai detto loro che Akteìr è morto e non tornerà? Ti hanno creduto quanto hai detto che erano le nostre trivelle a causare i terremoti? Sei diventato nessuno, e per cosa?» Si abbassò e lo colpì alle costole. Il rumore di ossa incrinate fece accapponare la pelle. Jude trattenne la sorella dal prendere la mira, decidendo di restare in disparte. «Non sei più qualcuno, Abel. E nessuno ti ascolterà.»
La spingarda sparò un colpo in pieno petto, gli occhi dello zaeim si spalancarono. «Se nessuno non ha nome, chi è Abel?» Alzò la canna e fece fuoco contro la fronte. «Abel non ha più voce, ma a nessuno questo non importa più.»
L’uomo cadde come una bambola a terra, gli occhi teatralmente spalancati e la bocca aperta in una perfetta e comica ʻoʼ.
Prima che Jude potesse complimentarsi per la sua prestazione da vero pirata, la nave iniziò a capovolgersi, colpita in pieno da un’onda di maremoto.
 
 
Il cielo era limpido, il sole bruciava ogni cosa e Kabu-Ealim aveva smesso di tremare. Le grandi onde causate dal maremoto si stavano ancora abbattendo contro i Ciclopi, ma la barriera eretta secoli prima sulle nocche del Dio Akteìr non vacillava.
Dal mare, tra il cavo di una cresta e l’altra, il vascello degli zaeim fendette la superficie e saltò fuori dall’acqua; a contrario dei suoi soliti voli, stavolta le eliche montate sugli alberi di mezzana, trinchetto e bompresso la sollevarono sempre più, fino a farla attraccare a uno dei ponti di Crowsand. Dalla terra ferma, probabilmente gli uomini, ancora impegnati a pregare sotto l’orologio, guardarono con timore l’enorme scheletro del megadonte salpare per il dominio di Iilah, sfidando il Dio nel suo stesso suolo sacro. Jude, a quella idea, ghignò soddisfatto.
«Ehi, capitano» vociò Parsiet, seduto fiaccamente in uno dei gradini superiori del ponte di comando, «adesso posso portare la mia roba nella cambusa?»
«Che aspetti?! Corri!»
La ciurma rise. Parsiet si tirò su e rispose correndo: «Mo’, corro è grossa, ma un salto l’ho faccio assicurato.»
L’alramadi se ne stava in disparte, in silenzio, mano destra e gambe intrecciate in una sartia d’arrampicamento; il braccio sinistro con la clavicola fratturata era fasciato al collo.
«Come hai fatto a convincere quel muro di ferro?» s’insospettì Arci.
«Siete tutti uguali, voi uomini.» Selene si scostò i capelli dalla spalla. «Non riuscite a sopportare l’idea di essere secondi a una donna. E così, da stupidi, vi fate abbindolare dalle sue parole, come se questo non vi rendesse tali.»
Il giovane, sentendosi nominato, o forse solo perché si era stancato della posizione, saltò giù e li raggiunse con un balzo.
«Maschera grigia, ce l’hai un nome? Oppure te ne torni giù?» Arci sembrò sperare nella seconda.
«Certo che ha un nome…» s’agitò Selene, prendendo l’altro sotto braccio.
Quello rimase imperterrito al suo fianco, quasi indifferente al gesto affettuoso della donna. «Sono un esiliato» rispose con gravità, «e non ho più nulla da dire alla gente là sotto.» Lanciò uno sguardo oltre il parapetto del vascello e il suo corpo si mosse a disagio, forse a causa delle altezze o di un qualche funesto pensiero. «Ho provato a dire loro la verità: su come sfruttassero l’antica battaglia degli Dei per accrescere il loro potere; su come profanassero le reliquie di Akteìr per estrarre il diams. Nessuno mi ha creduto, così sono diventato nessuno pure io. Il mio nome non esiste più, per ora non mi serve. Un giorno tornerò a servire il mio Dio.» Prese un respiro profondo e il suo sguardo di rubini si posò, come gli occhi di un gatto accoccolato, sul volto arcigno di Selene. «Fino a quando non potrò essere Abel, sarò Qunae Alramadi.»
Arci ringhiò. «Che razza di nome è?»
L’alramadi voltò il volto verso il secondo in comando. Replicò con una semplicità disarmante: «Nella mia lingua vuol dire ʻmaschera grigiaʼ.»
Arci si bloccò, indeciso se scaricargli addosso un paio di caricatori o inveire contro se stesso. Si allontanò a passo di carica, senza prendere una decisione in merito. «Se pensa che sprecherò fiato per un nome così lungo e stupido… Bah! Ci mancava solo il religioso in questa ciurma di scrofe.»
«Benvenuto a bordo» lo accolse con un sorriso metallico Jude. Tirò su la bandana e posizionò meglio il tricorno sulla testa. Poi fulminò il giovane con uno sguardo, ancora preso sottobraccio dalla sorella. «Adesso vedi di trovarti qualcosa da fare. Altrove.»
Qunae annuì serio – chi poteva dirlo con quella maschera addosso? – e aiutò con il timone. Selene gli scoccò uno sguardo possessivo e poi andò a recuperare la sua roba dalla catapecchia.
Il vociare degli uomini si disperse in un andirivieni tra il villaero e il vascello. I primi uccelli, passata la tempesta, tornarono a svolazzare, come ai vecchi tempi, intorno ai ponti sospesi di Crowsand. A Jude parve di essere di nuovo sopra le sue amate terre, e stranamente provò nostalgia.
«Il nuovo colore s’intona di più al suo bel caratterino» mormorò qualcuno dell’equipaggio, commentando il fuoco acceso dei capelli della donna.
«Fedrik» si voltò con uno svolazzo di vesti Selene, un sorriso affettato sul viso, «potresti aiutarmi a portare su la mia roba? Mi si sgualcisce la gonna.»
«Ma certo!» saltò su quello e zoppicò sulla passerella, tirandosi dietro il grosso baule con le fibbie.
«Grazie, caro. E sta attento» lo minacciò con un sorriso ancora più sottile, «quella roba vale molte vite.»
Al che altri due uomini aiutarono il pirata a portare il baule nella cabina del capitano.
«Attenti voi!» vociò Jude con una risata. «Vedete di non rigare fin da subito il ponte. Voglio vantarmi di questo gioiellino con il generale.»
Selene lo raggiunse con due saltelli eleganti. «Hai intenzione di tornare verso Midra?»
Jude ignorò la domanda e ne fece una a sua volta. «Ti piacerebbe avere una nave tutta per te?»
«Con la cabina di comando nelle mie mani?» batté le mani lei.
«Certamente!»
Selene gli lanciò un’occhiata sbieca, l’espressione arguta. «Torniamo a Midra, vero?»
«Ma certo! Devo chiudere un conto. E poi» accarezzò con lo sguardo i cannoni e gli arpioni sulle fiancate, «hanno in consegna la mia nave. È il momento di riscuotere.»
Arci ghignò, afferrò una cima e sbraitò: «D’accordo, zitelle e musi grigi. Spiegate le vele e date fuoco ai motori. Si va all’arrembaggio!»
 
 
 
 
Moris Lautner era nato e cresciuto in un sobborgo, proprio al di fuori di quelle che, a Midra, venivano considerate le mura reali, dietro le quali risiedeva la corte con il suo seguito. La sua famiglia era agiata ma non nobile, e aveva sempre appoggiato la corona. Suo padre era un tenente dell’esercito, perito in territorio straniero per conquistare le Isole Minori; e lui aveva deciso di seguirne le orme. Aveva combattuto e obbedito agli ordini dei suoi superiori in nome dei suoi ideali e della corona che serviva, conscio del fatto di non poter mai raggiungere una posizione abbastanza elevata per onorare il suo rango. Poi era salita al trono la regina Elzeth: donna prorompente e dalla mente arguta, allontanò qualunque dottrina ecclesiastica pronta a consigliarle, poggiò il suo potere sulla sua figura, simbolo di fedeltà verso l’intero popolo e cambiò le regole che avevano retto il regno di Erice, suo padre. Il generare era stato scelto tra i tanti promettenti ufficiali dei ricchi sobborghi per ricoprire un ruolo sempre più elevato, fino a quello di generale del Corpo Armato, in modo da mediare tra l’Alto potere e le case della nuova classe emergente. Non importava più che non fosse un nobile, lui era stato scelto dalla regina per creare un ponte con il popolo, dare una figura di riferimento alla parte che restava fuori da quelle mura. Quando la flotta di Midra acquistò importanza e furono colonizzate le Isole Minori, vennero aperte nuove tratte e nuovi commerci, seguiti scrupolosamente dal regime reale. La regina Elzeth lo aveva chiamato di nuovo a ricoprire un ruolo fondamentale per i suoi piani: generale di una flotta. Così alta era la considerazione che aveva verso di lui che gli permise di scegliere da solo i suoi uomini. E lui seguì un solo criterio: uomini d’onore, uomini di fede e con una coscienza; non aveva guardato il loro rango o la loro provenienza, ma li aveva studiati e strappati da flotte più importanti o, in alcuni casi, dalle stesse strade in cui era cresciuto lui.
E fu con quelli stessi uomini che raggiunse gli alberi cavi sopra Falknear. Nessuno di loro era pronto a quello spettacolo. Le urla di paura agghiacciarono l’aria intorno a loro. Se dapprima qualcuno aveva festeggiato nel riconoscere la Marsadde, appena fu chiaro chi fosse il nuovo equipaggio il panico dilagò, ribalzando da un albero all’altro.
Moris Lautner strinse il pugno bionico sul parapetto del ponte di comando e aggrottò la fronte. Johanne aveva detto che avrebbero trovato zeppelin pronti a dar battaglia, che una popolazione di ribelli stava preparando la rivolta contro la corona. Davanti a lui, però, si proliferava una marmaglia di ragazzini e vecchi: molti se ne stavano aggrappati alle radici pendenti degli alberi; le donne erano corse a mettere al sicuro i più piccoli, nascondendoli all’interno dei tronchi.
La nave volteggiò come un relitto, quasi vergognandosi di se stessa, tra una zolla di terra e l’altra, tra un ramo di un albero e la radice di un altro, senza che un solo uomo della marina aprisse bocca o si decidesse a proclamare la soppressione.
Il generale abbandonò la sua postazione e si avvicinò al parapetto di babordo. «Generale.» La voce dell’ufficiale Sartez sembrò temere le sue stesse parole. «Quali sono gli ordini?»
Sopprimete la ribellione. Nessuno deve opporsi al comando di Midra. Era così chiaro il volere della sua regina.
Un ragazzino dai capelli scuri e il viso sporco di fuliggine lo guardò con sguardo vacuo. Fino a poco prima doveva aver lavorato in qualche fabbrica: aveva le braccia lunghe e sottili e un corpo gracile; le vesti erano stracci che si aprivano come un mantello tanto gli stavano larghe. Probabilmente la sua più grande speranza in quel momento era tornare a essere sfruttato in qualche miniera o nuovamente tra le macchine.
Moris guardò per bene ogni viso che si affacciava oltre la falchetta della nave: c’erano storpi, gente senza più un capello e probabilmente neanche un soldo; c’erano donne gravide e affannate, uomini stanchi e demoralizzati. Era gente povera, misera.
Moris Lautner era nato e cresciuto in un sobborgo, proprio a ridosso con le mura reali. Veniva dal popolo, aveva fatto carriera per servire un regno e una corona che prometteva prosperità e pace. Eppure quella gente, quei volti, erano una realtà che degradava proprio a un passo dal suo mondo, quello stesso mondo che egli si prefiggeva di proteggere e guidare. Per chi aveva lottato in quegli anni?
«Generale, gli ordini?»
Quali ordini? In nome di cosa?
La mano bionica si aprì, afferrò una mela mezza rosicchiata che qualcuno aveva lasciato sopra un barilotto e la porse al ragazzino. Quello allungò una mano screpolata a cui mancava un dito, afferrò il frutto e lo strinse come il più grande tesoro. Un sorriso complice parve per un attimo sbucare all’angolo della sua bocca. Lanciò uno sguardo alla bandiera ammainata della Marsadde, il simbolo del capitano Jude Hauk, e poi guardò di nuovo lui, speranzoso.
Moris Lautner drizzò la schiena e si voltò verso il suo ufficiale: aveva finalmente deciso di ricoprire il ruolo che la regina Elzeth gli aveva affidato. Alle spalle di questo, la ciurma restava in trepidante attesa. «Ammainate le vele. Gettate le funi di bordata. C’è un popolo da sfamare, ha atteso abbastanza il nostro aiuto.»

 
 
N.d.A.

E così finisce un'altra avventura del nostro capitano Jude Hauk. Sembra, però, che un'altra, tutta da scrivere, se ne prospetti per il generale. Staremo a vedere. Per il momento, che ne pensate del cambio di rotta di queste due figure? Jude, a modo suo, salva una terra dallo sfruttamento minerario dei fondali; Moris Lautner... beh, ditemi voi cosa ne pensate;)
Grazie a tutti coloro che hanno recensito, messo la storia tra le seguite, ricordate e preferite. Un grazie doveroso va a Ayr e Earth, le quali hanno letto la prima triade di questa storia e mi hanno invogliato a scrivere la seconda. Questa avventura è nata per voi e grazie a voi. Spero che non vi abbia deluso^^


N.B. Se siete curiosi di tenere d'occhio le novità su tutti i deliri originali che sforna questo account, vi informo che è finalmente disponibile la mia pagina d'autore su fb, potete trovarla cliccando sul bottoncino apposito nella mia pagina autore di EFP. Vi aspetto!^.^
   
 
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