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Autore: DramioneMalfoy    30/08/2017    1 recensioni
Essere la figlia di uno dei più influenti gerarchi nazisti può essere un vantaggio o una condanna ai primordi del terzo reich. Lo sa bene Kathrein Bergmann, costretta a mentire e dissimulare i propri pensieri. All'esordio di una nuova era è costretta a fronteggiare la realtà della pura razza ariana di cui fa parte e scendere a patti con la propria coscienza, non senza un coinvolgimento emotivo straordinario che si snoda attraverso esperienze al limite e affetti inseguiti sino in fondo al baratro. In questo connubio di sentimenti e colpi di scena Kathrein si lascia trasportare dalle sue emozioni e dall'affascinante e misteriosa vicinanza dello standartenführer Diedrich Schneider, con il quale vivrà un'intensa e passionale storia d'amore che sarà lo spiraglio di luce nel tunnel degli orrori della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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I segreti del Terzo Reich


Berlino, 4 settembre 1939

Quando aprì gli occhi dovette sbattere le palpebre più volte e guardarsi intorno con aria frastornata prima di mettere a fuoco gli oggetti e capire dove si trovasse.

Una volta che ebbe constatato di essere nel letto della sua camera, fece per alzarsi ma la testa le pulsò dolorosamente come repentina risposta fisica allo sforzo. Perciò dovette riabbassare il capo e una mano spinse delicatamente sul seno accomodando il suo gesto.

Posò lo sguardo su quella graziosa mano dalle dita affusolate e le unghia curate, per poi riconoscere l'anello nuziale di oro bianco di sua madre.

I suoi occhi corsero immediatamente a delinearne le forme e non poté fare a meno di individuare un'espressione quasi sollevata sul viso di Elsbeth.

Non ricordava con esattezza cosa fosse successo e quanto tempo avesse dormito, ammesso che non avesse perso coscienza nel bel mezzo della festa.

Infatti ricordava vagamente e con poca nitidezza solo brevi attimi di caos e immagini confuse che nella sua testa si susseguivano senza alcuna logicità. Un urlo squarciò prepotentemente il ricordo dei fuochi d'artificio nella sua mente e le portò l'immagine di Diedrich ed altri ufficiali che puntavano la pistola contro altri uomini armati che, però, non era stata in grado d'identificare.  Probabilmente oppositori al Reich.

Il fatto che sua madre non fosse più vestita con l'abito del ricevimento le fece intendere che avesse riposato a lungo, tuttavia le tende completamente tirate non le permisero di intuire se fosse effettivamente mattina o meno.

«Cos'è successo?»

La voce le uscì rauca come il gracchiare di una cornacchia e dovette deglutire più volte prima di riuscire a districare correttamente le parole.

«Cos'è successo ieri sera?» ripeté con maggior sicurezza, mentre calciava via le lenzuola dal suo corpo e scostava i capelli dal viso.

Sua madre tirò un sospiro di sollievo e mormorò qualcosa come: «Grazie al cielo stai bene».

Dopo qualche secondo di pausa, Elsbeth si alzò dalla sedia e si avvicinò al comodino per versare del liquido giallastro in un bicchiere.

«Abbiamo temuto che qualcuno avesse avvelenato il tuo champagne, ma il dottore non ha riscontrato nessuno dei sintomi derivanti dall'ingestione di tale sostanza. Fortunatamente, sei solo svenuta» spiegò la donna mentre Kathrein buttava giù la medicina dal sapore metallico.

Non rispose, ma un flash le balzò alla mente e ricordò di quando Wallis si era avvicinata tanto rapidamente al tavolo dello champagne e poi si era allontanata furtivamente e, poco dopo, si era defilata dalla festa in tutta fretta.

L'aveva vista armeggiare concitatamente al tavolo, ma lasciò perdere pensando che stesse semplicemente rimproverando il cameriere per qualcosa che non andava. Era davvero svenuta o Wallis aveva fatto in modo che le fosse recapitato un flûte avvelenato?

Tenne per sé i suoi pensieri, determinata a scoprirlo più tardi dalla diretta interessata. Ricordò del biglietto con il suo indirizzo nel primo cassetto del comodino e, involontariamente, voltò automaticamente il viso in direzione di questo.

Solo in quel momento, allora, notò un mazzo profumato di fiori che, dall'aspetto fresco, dovevano essere stati appena comprati al fioraio.

«Li ha portati Diedrich stamattina, era molto preoccupato per te quando stanotte ti ha portata qui»

La voce di sua madre le giunse distante, quasi come se provenisse da un'altra dimensione e s'infrangesse fiocamente al suo udito come le onde fanno dolcemente sugli scogli.

Osservò per qualche altro breve secondo la composizione di primule blu, gialle e rosa che contornavano tre rose rosse vermiglio dall'aspetto puro e regale. Il bocciolo che si stagliava fiero all'estremità dello stelo robusto le ricordò la bandiera fascista che era sventolata con orgoglio al di fuori di ogni sede governativa.

Storse il naso per quella strana associazione e tornò a concentrarsi sull'espressione di sua madre, adesso più serena. Anche lei, inspiegabilmente, si sentiva più leggera ma non tardò a ronzare in lei un pensiero fisso.

«Stanno tutti bene? Chi erano quegli uomini?»

Sapeva che sua madre avrebbe capito a chi si riferisse senza che menzionasse esplicitamente di quale avvenimento stesse parlando. Da ciò che ricordava il putiferio della sera precedente aveva avvolto villa Bergmann e i suoi invitati tra le spire del terrore, ma non aveva colto impreparati i soldati del terzo Reich che, in men che non si dica, avevano neutralizzato il pericolo. O, almeno, è quello che riusciva a ricordare dai riflessi pronti di Diedrich che, un attimo prima l'abbracciava e, l'attimo dopo, si era interposto tra lei e il resto della folla puntando la canna della pistola nera lucida di fronte a sé.

I suoi ricordi, però, si perdevano nelle sfumature grigiastre della sua mente obliviata dall'oscurità. Non sapeva davvero se quegli uomini fossero stati fermati, ma il viso di sua madre sembrava disteso e per niente turbato, lasciando presagire che il Reich fosse ancora inscalfito. Non si sorprese di provare dispiacere a tale constatazione, perciò si alzò leggermente appoggiandosi alla spalliera del letto e posò le mani, compostamente incrociate, sul grembo. Intanto scrutava sua madre in attesa di una risposta che confermasse o smentisse le sue ipotesi sul reale corso degli eventi.

«Ribelli, membri della Widerstand. In Italia li chiamano partigiani. O forse ex bolscevichi pentiti, non più d'accordo con il partito da quando è salito al potere Stalin che ha stretto legami con la Germania. Immagino che non lo scopriremo mai»

«Cosa intendi dire, mamma? Sono...li hanno uccisi?»

La sua voce tremava al pensiero che delle vite si fossero spezzate per sempre nel giardino della sua casa, a due passi da lei. Ma ancora di più la faceva fremere l'insistente ed angosciosa domanda che l'attanagliava: quale soldato del Reich aveva sparato? Suo padre forse? O Diedrich? O ancora Alexander o Jospeh? Strinse le labbra in un movimento di stizza e gli occhi si riempirono di lacrime che non versò, nascondendosi dietro la facciata di indifferenza a cui era stata abituata. In realtà desiderava ricevere una risposta da Elsbeth il più presto, allo stesso tempo, però, non era sicura di voler conoscere la verità.

«No Kathrein, no. Li hanno portati in prigione per interrogarli, ma quando Schulze è tornato dopo qualche ora per farlo sono stati trovati morti per avvelenamento. Evidentemente avevano un complice che li ha regalato una morte più degna. Si definivano martiri, ma erano solo pedine di avvertimento. Che siano stati membri della resistenza o bolscevichi, tuo padre ha buoni motivi per credere che volessero attentare alla vita del Führer»

«E ci sono riusciti?» domandò beffardamente Kathrein mentre assumeva un'espressione dispiaciuta che non era neanche lontanamente sincera.

Sua madre l'ammonì con uno sguardo impeccabilmente severo e non tardò ad accompagnarlo con parole algide e di rimprovero:

«Non sai di cosa stai parlando Kathrein, il Führer ha fatto più di quanto tu possa immaginare per la nostra famiglia e dovresti essergli grata persino per il letto su cui ti trovi»

«Non mi sembra che prima di lui papà stesse puzzando dalla fame» ribatté sarcastica ma con un punto di acidità a smorzare la sua ironia.

«A volte sembri solo una stupida ragazzina viziata, Kathrein. Tu non sai i sacrifici che io e tuo padre abbiamo fatto quando eri molto piccola e la guerra non smetteva di portarsi via Heinfried, di bussare alla nostra porta tormentandoci. Tu non sai nulla»

Elsbeth aveva alzato di qualche tonalità la voce, ma non si era comunque scomposta, sebbene una vena sul collo pulsasse prepotentemente a disilludere quella sua maschera di freddezza.

Kathrein pensò che da un momento all'altro sarebbe scoppiata a piangere, ma sapeva che in realtà non sarebbe mai accaduto. Sua madre era troppo posata ed austera per concedersi un sano e significativo pianto. Nel tempo Kathrein aveva deciso di imitarla e, se a volte questo comportamento l'aveva protetta da numerose delusioni, questo aveva creato intorno a lei la storia dell'algida e imperturbabile figlia dei coniugi Bergmann.

Curandosene poco, poi, di quel che chiacchieravano su di lei donne invidiose o troppo pettegole, ciò che si pensava di lei fu confermato e divenne nota a Berlino per essere la "ragazza di ghiaccio". Tale appellativo aveva sempre fatto ridere Kathrein, come d'altronde "bambolina tedesca" in Francia, perché ovunque andasse la faceva sentire rispettata, temuta e, in un certo qual senso, bastava ad aizzare l'invidia delle altre ragazze al punto da concederle la loro lontananza e, di conseguenza, la propria riservatezza.

Guardò sua madre ancora per qualche instante e poi distolse lo sguardo, sorridendo beffardamente del suo sfogo, e rimirò con insistenza le tende di seta beige che, serrate, non lasciavano intravedere alcun raggio solare. 
Poi disse:

«I sacrifici non sono limitare l'acconciatore una volta a settimana invece che due, madre. I veri sacrifici sono stati patiti da quelle persone che hanno sofferto la fame, il freddo e il dolore di non poter dare una vita dignitosa ai propri figli. E se ti prodigassi ad arrivare al mercato in periferia, ti accorgeresti che quelle persone purtroppo ci sono ancora. Molte di loro sono giovani madri tedesche come te ed il Führer, che ha promesso una Germania più prosperosa, cos'ha fatto per loro se non aumentare le tasse per finanziare la sua guerra e la sua sete di espansionismo?»

Mentre parlava si era alzata, non senza fatica, e si era avvicinata alla finestra. Aveva spalancato i tendaggi e la luce del sole l'aveva investita in pieno, ridando un po' di calore alla sua carnagione cerea e provata. Non degnò più di uno sguardo sua madre che se ne rimaneva in piedi dietro di lei, a testa alta come se non avesse udito alcuna delle parole pronunciate da Kathrein o come se la reputasse mentalmente instabile.

«Adesso vai via per favore, la tua presenza non mi fa più piacere»

La durezza con cui erano state pronunciate quelle parole colpì Elsbeth che non era mai stata abituata ad essere rifiutata in quel modo.

«Kathrein, mi stai cacciando?» sbottò indignata mentre faceva un passo verso sua figlia.

Kathrein udì il fruscio alle sue spalle e alzò una mano in aria come a dirle di fermarsi, e così fece sua madre. Non disse nient'altro e allora Elsbeth sospirò, conoscendo la caparbietà della figlia. Incrociò le braccia al petto rassegnata ed anche un po' dispiaciuta dalla piega che aveva preso la conversazione, proprio ora che aveva avuto così paura di perderla, proprio quel giorno così importante.

Così le diede le spalle anche lei e si incamminò verso la porta, poi si voltò nuovamente e osservò la sagoma sottile ma estremamente avvenente della ragazza. Si riconobbe di qualche anno più giovane e un sorriso spuntò automaticamente sul suo viso a quella constatazione, Kathrein le assomigliava più di quanto volesse ammettere, ma sperò che giocasse le sue carte con Diedrich meglio di come aveva fatto lei con Heinfried. Lasciarsi sottomettere era stato un errore che più volte negli anni l'aveva condotta a pentirsi di aver scelto lui e non altri mille pretendenti che la desideravano. In fondo, però, anche se aveva imparato ad amarlo davvero, il loro matrimonio era comunque stato deciso a tavolino.

Si fermò sull'uscio della porta e richiamò la figlia. Così la testa bionda si girò nella sua direzione e il viso si corrucciò inarcando il sopracciglio, in attesa che la donna più grande parlasse ancora. Poi Elsbeth parlò:

«Buon ventiquattresimo compleanno, bambina»

La donna richiuse la porta alle sue spalle, non prima però di aver lasciato un cofanetto di velluto rosso sul bordo del comò a cui Kathrein non si interessò.

Una volta sola nella stanza pensò, forse, di essere stata troppo dura con sua madre ma che in fondo aveva detto solo ciò che pensava da tempo. Si impose di non pensarci, almeno per il momento.

Si guardò allo specchio e ciò che vide la spaventò, quasi non riconobbe il volto funereo e l'espressione che alleggiava sul suo viso. Delle occhiaie violacee e marcate contornavano il suo volto e ne sfiorivano i tratti algidi, macchiando la sua pelle diafana.

Non poté coprirle in alcun modo poiché il trucco era severamente vietato e non avrebbe scoperto a cosa si andasse incontro proprio quel giorno, quando la villa era un hotel per ufficiali tedeschi ed italiani. Per quanto ne sapesse, se non l'avessero portato al sicuro in qualche altro posto dopo l'attentato della sera precedente, il Führer stesso poteva essere ancora lì per ammonire la scarsa previdenza e i sistemi di precauzione contro le irruzioni ribelli dei suoi uomini.

Immaginò quell'uomo piccolo e baffuto arrabbiarsi e diventare paonazzo, causando in Kathrein un moto di ilarità.

Andò in bagno e si concesse un bagno caldo, che sembrò ristorare le sue stanche membra ma non mettere a tacere il freddo che le attanagliava ogni angolo più remoto del corpo.

Avvolse un asciugamano attorno ai suoi seni e poi esso ricadde a coprirle il corpo sino a metà coscia. Passò la mano sulla superficie dello specchio appannato e sorrise pensando ai rimproveri di sua madre da bambina per quel gesto. Guardò il suo riflesso per la seconda volta in pochi minuti e notò che le occhiaie si erano attenuate, sebbene il colore trasparente della sua pelle non accennasse a diminuire e metteva in risalto le vene del suo collo.

La sala da bagno era grande e ciò non contribuiva nel suo tentativo di cercare un po' di calore, così si pettinò i capelli e lasciò che si asciugassero all'aria tiepida di fine estate. Tornò nella stanza e ciò che vide la fece sussultare.

Alexander era seduto sulla poltrona della sua camera e osservava il passaggio che si intravedeva dalla finestra, in attesa. Non appena sentì la porta del bagno scattare prese a scrutarla in maniera indecifrabile negli occhi color ghiaccio, sebbene un paio di volte il suo sguardo si fosse posato sulle gambe della ragazza lasciate scoperte dal telo.

Kathrein tentò, quindi, di coprirsi quanto più possibile quel pezzo di tessuto le concedesse

Kathrein tentò, quindi, di coprirsi quanto più possibile quel pezzo di tessuto le concedesse. Il pensiero che quell'unico strato superficiale separasse le sue nudità dallo sguardo impertinente dell'ufficiale la condusse ad arpionarsi ad esso come se fosse la sua ancora di salvezza.

Ci furono brevi attimi di silenzio, in cui nessuno dei due seppe cosa dire, evidentemente Schulze non si aspettava che Kathrein uscisse nuda dal bagno, ma in fondo perché non avrebbe dovuto se quella era la sua camera? Si limitarono a scrutarsi per un po', ghiaccio nel ghiaccio, Alexander contraendo la mascella come preda di un pesante sforzo e Kathrein che si sentiva sprofondare nell'imbarazzo.

Intuendo il suo disagio, l'ufficiale portò nuovamente lo sguardo altrove ed anche la sua mandibola sembrò finalmente rilassarsi. Così, non più sotto osservazione, Kathrein mosse qualche passo verso l'armadio e spalancò l'anta, rifugiandosi dietro di essa come uno scudo protettivo.

«Qualcuno ha minacciato di tagliarvi la mano se aveste bussato, maggiore Schulze?» il tono volutamente acido e tagliente con cui Kathrein sputò quelle parole non sembrò minimamente scalfire l'uomo, che si limitò ad alzare le spalle e adottare un sorrisetto di scherno.

«Ho bussato più volte, nessuno mi rispondeva e ho pensato steste di nuovo male fräulein»

«E quando avete appurato che non fosse così, vi siete seduto ad aspettare anziché uscire e ritornare più tardi»

Il fastidio di Kathrein fu scaturito non tanto dalla mancanza di rispetto, ma dal fatto che non riuscisse ad affrontare la presenza di Schulze con la lucidità che avrebbe voluto. Da quando erano tornati faceva di tutto per evitarlo, benché soggiornasse nella sua villa, e lui sembrava adottare il medesimo atteggiamento, eppure per qualche assurda ragione sembrava essere l'unico militare a disposizione quando suo padre doveva comunicarle qualcosa. Aveva quasi litigato con Diedrich per questo.

«Non credevo di certo di trovarvi nuda» il sorriso di Alexander si tramutò in un'espressione enigmatica che ammutolì Kathrein, fin quando l'uomo non parlò di nuovo.

«Vostro padre mi ha mandato per informarvi che è richiesta la vostra presenza al meeting di questo pomeriggio»

Il maggiore si alzò dalla poltrona, sistemandosi la giacca della divisa e, dopo aver lanciato un ultimo ed eloquente sguardo alla ragazza, si avviò verso l'uscita. Tuttavia Kathrein sentì l'insano e immotivato bisogno di richiamarlo e godere qualche altro minuto del senso di conforto che le dava in quel momento di confusione, in cui non capiva cosa stesse succedendo al suo corpo, un uomo come lui.

Lui la guardò di nuovo, con una mano sul pomello e il sopracciglio inarcato. Aspettò pazientemente che la ragazza parlasse.

«Non dovrà sapere nessuno della situazione imbarazzante di oggi, soprattutto il mio fidanzato» tentò di sembrare decisa e risoluta, ma il tremolio della voce la tradì e anche la reazione del suo corpo che si ritrasse quando l'uomo le si avvicinò.

«Schneider è il mio migliore amico. Ci siamo arruolati insieme, siamo stati addestrati insieme, io ero lì per lui quando era nella merda e lui era lì per me quando lo ero io, siamo quasi morti insieme. L'ultima cosa che farei è portargli via la sua donna» fece un attimo di pausa, squadrandola dalla testa ai piedi e Kathrein si strinse ancora di più nel telo, facendosi piccola. «Anche se è la più bella di tutta il Reich»

Si allontanò da lei e il suo sguardo ricadde sul vaso con i fiori di Diedrich e aggiunse:

«Alle 14 in punto fatevi trovare davanti all'ufficio di vostro padre. Buon compleanno, Kathrein»

Ma la ragazza era ancora troppo frastornata dalle sue precedenti parole per ascoltarlo, il fatto che l'avesse definita la donna più bel del Reich la scombussolava. Infatti, disobbedendo alla sua rigida capacità di controllo, esternò a voce i suoi pensieri e si maledì mentalmente per il suo essere così inopportuna:

«La vostra fidanzata è molto bella»

L'ultima cosa che vide prima che l'uomo uscisse dalla stanza fu il berretto nazista che veniva indossato e nient'altro. 

Più tardi...

Il resto della mattinata trascorse tranquilla e Kathrein ebbe a disposizione per sé tutto il tempo di cui aveva bisogno per riprendersi dalla sera precedente, sebbene non potesse comunque dire di sentirsi in forma smagliante. Sua madre aveva fatto in modo che la servitù la disturbasse unicamente per servirle il pranzo in camera e riordinarle il letto, così la ragazza ne approfittò per finire i primi moduli di disegni delle divise.

Tra un disegno e l'altro dovette fare anche numerose pause, a causa di alcuni capogiri che le impedivano di vedere con nitidezza le forme davanti a lei. La sua pelle diventava sempre più fredda e dovette appoggiarsi una giacca sulle spalle per calmare il tremore del suo corpo. Si sentiva stanca e frustrata, nonostante non riuscisse ad individuarne il motivo.

Una volta terminati i primi disegni che avrebbe portato con sé alla riunione, decise di riporli nella cartellina con cura e di concedersi qualche attimo di riposo prima di scendere.

Si gettò sul letto, incurante di sgualcirlo e cominciò a domandarsi perché suo padre richiedesse la sua presenza. Non era concesso, solitamente, alle donne di partecipare ai meeting degli ufficiali nazisti ed era più che certa che suo padre non l'avrebbe mai convocata di sua spontanea volontà se non fosse stato messo alle strette.

Sicuramente ci sarebbero stati Diedrich, Alexander e non era poi così sicura di riuscire a reggere entrambe le presenze in una stanza troppo stretta. Ci sarebbe stato Joseph e solo Dio sapeva quanto sarebbe stato arrabbiato con lei per avergli mentito sul reale rapporto che la legava a Diedrich, sarebbe stato di sicuro infuriato per avergli estorto informazioni in quel modo così raggirante.

Per essere tornata in Germania da soli due giorni, aveva combinato già tanti bei casini. Aveva perso la fiducia di quello che credeva un vero e leale amico, aveva quasi rovinato un'amicizia di anni tra due dei più fidati uomini di suo padre, si era ritrovata due volte pericolosamente vicina ad uno dei due e non era il suo fidanzato.

"Non male come reinserimento in società, Kathrein" pensò rimproverandosi.

Si sentì così male e premette la faccia nel cuscino talmente forte, nel tentativo disperato che esso diventasse un buco nero e la inghiottisse in un unico colpo. Ciò però non avvenne e quindi si impose un certo rigore, prendendo un respiro profondo e trascinandosi di malavoglia sino allo specchio.

Qui cominciò un processo di vero e proprio restauro, per coprire al meglio i segni evidenti di un male interno legati allo svenimento alla festa. Sistemò i suoi capelli e passò un leggero correttore sulle occhiaie che non avrebbe notato nessuno. Cambiò i suoi vestiti e scelse qualcosa di più consono ad un incontro con funzionari tedeschi ed italiani. Così indossò un dolcevita nero che, coordinato ad una gonna lunga e stretta che le fasciava perfettamente le forme, la faceva sentire al riparo dal freddo.

Infine legò al collo un ciondolo che le aveva regalato qualche anno prima zia Ruth, un gioiello di famiglia di estrema preziosità non tanto per il valore materiale quanto quello affettivo e morale

Infine legò al collo un ciondolo che le aveva regalato qualche anno prima zia Ruth, un gioiello di famiglia di estrema preziosità non tanto per il valore materiale quanto quello affettivo e morale. Il rubìno non era esageratamente vistoso, ma risplendeva di luce propria e dava un tocco di regalità al viso smunto e pallido di Kathrein quella mattina.

Sospirò e si avviò per i corridoi tortuosi della villa, con dieci minuti di anticipo. Se la sarebbe presa con calma e nel frattempo avrebbe fantasticato su tutte le possibilità per cui suo padre la stava facendo partecipare ad un meeting così importante, dopo un'insurrezione ribelle.

Pensò che forse voleva soltanto mostrare i suoi nuovi modelli e si maledì per averli lasciati in camera, dopo tutto lo sforzo di quella mattina. Così, si fece coraggio e salì di nuovo le scale. Dovette tenersi forte allo scorrimano quando un senso di nausea e svenimento la colse e mise a dura prova la sua volontà di tornare a prendere qualcosa che non sapeva neanche realmente se sarebbe servita.

Una volta in cima alla scalinata, fece fatica a distinguere la sua stanza perché la vista le si era improvvisamente annebbiata. Andò a tentativi, conoscendo la struttura della casa a memoria e, dopo pochi attimi, aprì la porta della sua camera. In pochi secondi la vista non fu più appannata e poté distinguere nitidamente i disegni sul comò.

Li prese e gettò un ultimo sguardo al cofanetto di velluto rosso che, dopo lo scambio di battute acceso con sua madre, non l'attirava in nessun modo a scoprire cosa celasse al suo interno. Forse, si disse, avrebbe dovuto chiarire con Elsbeth anche se, come spesso accadeva, entrambe erano troppo orgogliose per confrontarsi e perdonarsi, lasciando che fosse sempre il tempo a risanare le ferite tra di loro. Prima o poi, sapeva Kathrein, quello non sarebbe più bastato.

Guardò anche i fiori sul comodino e un sorriso le spuntò spontaneo. Solo allora, però, si accorse di un bigliettino e, quindi, colta da un'estrema curiosità, si avvicinò con poche falcate e tirò immediatamente fuori il pezzetto di carta dalla sua bustina dorata.

Un giorno mi dicesti che ti sarebbe piaciuto sposarti a ventiquattro anni, buon ventiquattresimo compleanno Kathrein. 
Ti amo.

Il cuore le balzò prepotentemente contro il petto e prese a battere ad un ritmo incontrollato, sebbene Diedrich fosse sempre gentile con lei non era usuale che le dicesse di amarla poiché la disciplina nazista l'aveva indurito sempre di più negli anni. Inoltre le aveva già parlato la sera precedente della sua volontà di concretizzare il loro rapporto e che, questa volta, avrebbero avuto tutto il tempo del mondo perché il Reich favoriva le unioni puramente ariane. Eppure, non credeva che Diedrich ricordasse di quando, ancora molto piccola, gli aveva confessato che per lei i 24 anni erano l'età più giusta per compiere il grande passo. Questo dettaglio la fece sorridere ancora e ripose con cura il biglietto nel comodino. Notò il cartellino con l'indirizzo di Wallis e decise di ripiegarlo e porlo nella tasca piccola e stretta della gonna, più tardi le sarebbe servito.

Cinque minuti dopo era esattamente davanti alla porta dell'ufficio di suo padre e, torturandosi le mani, si continuò a ripetere che non sarebbe stata costretta ad accettare nulla. Almeno così sperava.

Avanzava già da tempo una proposta che avrebbe voluto fare a suo padre e, in realtà, sebbene fosse giusta e propizia per dimostrarsi votata alla causa del regime, non sapeva come avrebbe reagito Heinfried. Magari voleva proporle la stessa cosa o forse no, tuttavia era riconoscente a suo padre per averla fatta vivere in libertà per tanti anni e, nel modo che riteneva meno sottomesso al Führer e più sinceramente giusto in senso morale, avrebbe dimostrato la sua devozione verso di lui e ciò in cui credeva.

Sbuffò diverse volte, in attesa che qualcuno uscisse e le comunicasse di poter entrare. Per essere dei militari, pensò, non erano poi così estremamente precisi. Così si accomodò nel salotto adiacente, sullo stesso divano dove aveva parlato per la prima ed unica volta con Wallis Simpson, la donna che con uno sguardo la faceva sentire in soggezione.

Pensò a come l'aveva invidiata quando l'aveva vista entrare nell'ufficio di suo padre nel mezzo di una conversazione importante con Diedrich e adesso, inaspettatamente, anche lei stava prendendo parte attivamente alla vita di suo padre. Non che servire il Reich la entusiasmasse così tanto, ma la faceva sentire più vicina ad Heinfried dopo tanti anni e, in qualche modo, nonostante il distacco Kathrein cercava ancora la sua approvazione e il suo affetto.

«Kathrein che piacevole incontro» le parole pronunciate da una fastidiosa voce furono accompagnate dal ticchettio di tacchi che si avvicinavano sempre di più al divano. Non si girò nemmeno per squadrare chi stesse arrivando, poiché il tono melenso e sarcastico le bastò a capire di chi si trattasse.

«Vorrei poter dire lo stesso, Edda» asserì Kathrein con un sorriso di scherno, mentre la ragazza in questione si sedeva sul divano accanto al suo ostentando un'aria di superiorità che i suoi tratti così comuni non le conferivano per niente.

«Oh cielo tesoro, ti direi che sei incantevole ma hai un aspetto pessimo e non mentirò»

«Sai Edda potresti sembrare quasi simpatica senza tutta quella puzza sotto il naso, ma ha ragione Diedrich quando dice che il tuo accento tedesco e la tua voce non sono neanche lontanamente tollerabili»

L'espressione che accompagnò queste parole fece indignare Edda al punto che sbatté infantilmente un piede a terra. La guardò in cagnesco e poi sbottò, a braccia incrociate, come una bambina capricciosa:

«Guarda che Diedrich ha una considerazione di me molto più alta di quel che credi tu» e la sua affermazione suscitò l'ilarità della tedesca.

«Oh ne sono sicura» concordò Kathrein mentre reclinò il capo di lato, continuando ad adottare un atteggiamento di indifferenza. «Riesco quasi ad immaginare i suoi pensieri e la sua considerazione di te mentre ti cacciava via dal suo letto, quando ti ci sei infilata di nascosto nuda»

Gli occhi sembrarono diventare liquidi e vacui, mentre il suo viso si imporporò di una rabbia furente e la sua espressione si finse oltraggiata. Poi si calmò e mostrò uno sguardo quasi di compassione, sorridendo perfidamente.

«È così che ti ha detto che è andata?»

Ghignò in segno di vittoria, ma il suo repentino cambio d'umore non era sfuggito a Kathrein che non diede peso alla sua affermazione. Era evidente che Edda cercasse di metterla contro Diedrich, arrampicandosi sugli specchi e tentando il tutto per tutto per fare in modo che rompessero la loro relazione. Perciò la bionda mantenne un comportamento freddo e distaccato, non lasciandosi scalfire dal tentativo vano della donna di distruggerla.

«E cosa penserebbe di te invece? Non negare il modo in cui tu e l'ufficiale Schulze vi guardate ogni volta che vi trovate nella stessa stanza e, da quanto successo questa mattina, questo accade spesso. Fortunatamente solo io ho visto il maggiore uscire dalla tua camera, chissà cosa sarebbe successo se ci fosse stato Diedrich al mio posto»

Il sorriso sulle labbra di Kathrein morì e lasciò Edda vittoriosa, ma non per molto. Quasi come se non avesse udito le ultime insinuazioni, la Bergmann si avvicinò pericolosamente a lei con un'aria mortalmente seria. Poggiò le mani sul tavolino e con le braccia tese si sporse nella sua direzione.

«Attenta Edda, insinuare di essere andata a letto con un ufficiale tedesco, soprattutto visto il tuo stato coniugale, potrebbe anche costare la vita ad entrambi. La differenza è che Diedrich è un soldato del Reich, se la caverebbe perché è un uomo ed anche abilmente strategico ed utile al regime. Tu perché dovresti essere risparmiata? Perché sei la figlia del Duce? Saresti accusata di tradimento, ai danni di tuo marito e della tua stessa patria, e sono sicura che neanche lui muoverebbe un dito per salvare una figlia che ha messo contro uno dei suoi più fidati consiglieri ed uno degli uomini più vicini al Führer, rischiando che ciò compromettesse le loro trattative e, quindi, mandasse all'aria i suoi affari e accordi con la Germania»

Il viso di Kathrein era così minacciosamente vicino a quello di Edda e la sua autorità sembrò intimidire davvero l'italiana che si limitò a deglutire spaventata. Kathrein ghignò, conscia che Edda fosse così ingenua da credere davvero alle sue parole o troppo codarda per scoprire se fossero vere.

«Fortunatamente le tue indiscrezioni le hai confidate solo a me, immagina se avessi insinuato queste bugie davanti a qualcun altro»

Kathrein le sorrise falsamente cordiale, quasi come se la loro fosse un'amicizia profonda e affabile. L'aveva ripagata con la sua stessa moneta e, dal modo in cui l'aveva messa a tacere, pensò che non si sarebbe dovuta più preoccupare di Edda e della sua male lingua per un bel po' di tempo, nella speranza che quando esso fosse trascorso avesse già impacchettato le sue cose in una bella valigia e tornata in Italia.

Mentre pensava quelle cose, fortunatamente, uscì suo padre dall'ufficio e, imponente nella sua divisa, le fece cenno di accomodarsi all'interno della stanza. Non fu mai più felice come quella volta di vedere Heinfried, si sarebbe liberata di Edda e della sua intollerabile compagnia, benché neanche l'idea di sedersi nel covo di lupi la entusiasmasse.

«Ora, se vuoi scusarmi, devo servire la mia patria in modi più costruttivi dei tuoi» mormorò Kathrein, in modo che suo padre non la sentisse mentre l'attendeva, schernendo ulteriormente la donna accanto a lei.

Tuttavia, questa volta non andò come Kathrein credeva sarebbe andata ed Edda sembrò riacquistare vivacemente la parola. Così sorrise e, tendendo una mano in avanti come cenno di invito a proseguire, sussurrò anche lei in maniera tale che il gruppenführer non la udisse:

«Mi dispiace deluderti, ma anche io sono stata convocata per servire la mia. Dopo di te, Kathrein»

Il sorriso enigmatico che le rivolse fece sbuffare Kathrein che, dopo aver alzato gli occhi al cielo, dovette reprimere un nuovo conato di vomito. Qualcosa non andava per niente bene nel suo corpo, ma se ne sarebbe preoccupata più tardi. Ora doveva preoccuparsi di sopravvivere alla consapevolezza che, fino alla fine del suo soggiorno in quella casa, non si sarebbe liberata della presenza di Edda e resistere alla tentazione di tirare un pugno in faccia al Führer. Perché sapeva che quel desiderio l'avrebbe assalita più di una volta durante quel meeting che non sapeva, sciaguratamente, quanto sarebbe durato.

Prese un profondo respiro e attraversò l'uscio di quella porta, seguita da Edda e da suo padre. I primi occhi che cercò, inaspettatamente, furono quelli di Joseph sentendosi tremendamente in colpa ma, ovviamente, Joseph non ricambiava e non la degnò neanche di uno sguardo. Si sentì così ingiusta nell'averlo ingannato e si disse che, anche se non meritava il suo perdono, avrebbe fatto un tentativo in seguito.

Neanche Alexander la guardava, probabilmente anche lui tentava in tutti i modi di porre una distanza tra loro, sebbene quella stessa mattina aveva fatto l'opposto. Sentì le parole di Edda riecheggiarle nella mente e, in fondo, pensò che non aveva così torto su quello che avrebbe pensato Diedrich di lei sapendo che Schulze era stato nuovamente nella sua camera. Cercò di non pensarci e focalizzò il suo sguardo sulla ragazza accanto a lui, bella ed avvenente. Era la donna che aveva visto già in compagnia di Alexander diverse volte e che incarnava tutti gli ideali ariani del Reich.

Edda prese posto accanto al marito, mentre Kathrein rimase a scrutare per solo qualche secondo in più i presenti. Suo padre nel frattempo si era seduto al capotavola, mentre all'altro si trovava il Führer con un'espressione buffa e allo stesso tempo inquietante.

Accanto a lui incrociò lo sguardo di Himmler e pensò di aver fatto bene a portare con sé i suoi bozzetti. Avrebbe dovuto discutere con lui i dettagli delle uniformi.

Ancora accanto ad Himmler vi era un terzo uomo, anch'egli dall'aspetto potente, che però non riuscì a riconoscere, così come non fu in grado di individuare la donna dall'aspetto poco curato e l'espressione indurita accanto a lui.

Si chiese come mai lei e la fidanzata di Schulze fossero già lì, mentre lei ed Edda erano state invitate ad unirsi solo in seguito. Pensò, forse, che prima avevano discusso sull'attento della sera precedente. Tuttavia continuava a non spiegarsi la presenza delle due donne, cosa a cui Edda non sembrò far caso troppo impegnata a lanciare sguardi lucidi a Diedrich convinta che nessuno se ne accorgesse.

Fu così, finalmente, che incontrò lo sguardo glaciale ma rassicurante del suo fidanzato e prese posto accanto a lui. Sentì la sua mano calda e protettiva posarsi sulla sua coscia e accarezzarla con il polpastrello, mentre il suo sguardo era fisso davanti al Führer. Immediatamente corse ad afferrarla e Diedrich ricambiò la sua stretta, intuendo il suo disagio in mezzo a quelli come lui. Aveva tentato di tenerla lontana da quel mondo, ma qualcosa più grande di lui continuava a trascinarla in quel tunnel di violenza che la guerra aveva portato nel regime.

Neanche Heinfried avrebbe voluto coinvolgerla. Fu per questo che, notando il gesto di rassicurazione del suo militare alla figlia sotto al tavolo, sorrise discretamente con la consapevolezza di averla affidata in buone mani.

Dopo che lei ed Edda ebbero salutato educatamente il Führer ed il resto dei presenti, il cancelliere si alzò dalla sua sedia. Per poco Kathrein non scoppiò a ridere, constatando che l'altezza dell'uomo era pressoché uguale.

«Vi ringrazio per esservi unite a noi» iniziò l'uomo rivolgendosi evidentemente alle ultime due arrivate, che si limitarono ad un cenno della testa in segno di rispetto.

«Spero vi siate ripresa, fräulein Kathrein»

La ragazza interpellata sussultò lievemente, ma nessuno se ne accorse se non Diedrich al suo fianco. Non ebbe neanche il tempo di rispondere, che il Führer proseguì:

«E vi faccio i miei migliori auguri per il vostro compleanno» questa volta l'uomo si aspettava di certo una risposta e rimase in attesa, guardandola sinistramente.

Rabbrividì, l'ultima volta che aveva visto quello sguardo era stato tanti anni prima e l'aveva rivolto a sua nipote Geli. Ripensò alle pene provate dall'amica proprio a causa dell'ossessione che suo zio aveva per lei.

«Dank schön-grazie mille, mein Führer»

Sembrò soddisfatto dalla sua risposta e indugiò ancora un po' con lo sguardo su di lei, cosa che fece sentire Kathrein a disagio. Anche suo padre sembrò compiaciuto dal tono educato e affabile utilizzato dalla figlia e, inaspettatamente, Kathrein fu felice di averlo reso fiero con così poco. Forse, pensò, la vita nel Reich non era poi così male e, presto o tardi, avrebbe dovuto abituarsi e imparare ad accettare il suo posto in società. Per amore di Diedrich e per affetto di Heinfried. Non sapeva quanto nel tempo questo le avrebbe fatto del male.

«Permettete che vi presenti Karl Otto Koch, comandante del campo di Buchenwald, e sua moglie Ilse»

Spiegò il Führer sempre alle due ragazze appena arrivate, facendo riferimento alle due figure a cui Kathrein non era riuscita ad attribuire un'identità. Ilse avrà avuto la stessa età di sua madre, ma portava gli anni decisamente male e il suo viso sembrava celare qualcosa di cattivo e maligno. Il sorriso sinistro che rivolse, poi, non fece che confermare le ipotesi di Kathrein.

Sospirò perché sarebbe stata davvero dura starsene buona e seduta lì, tentando di amalgamarsi in quel regime così lontano dai suoi principi.

Il calore che il contatto con la mano di Diedrich infondeva al suo corpo gelido, però, l'aiutò a mantenere i nervi saldi per le due ore successive. 

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IMPORTANTISSIMO: ALCUNE LETTRICI MI HANNO FATTO, GIUSTAMENTE, NOTARE CHE E' PIU' FACILE SEGUIRE LA STORIA SU WATTPAD IN QUANTO ESISTE UN'APPLICAZIONE. PER CUI, LA STORIA E' FRUIBILE ANCHE SU QUELLA PIATTAFORMA NEL CASO IN CUI UTILIZZASSE WATTPAD E VOLESTE SEGUIRLA. MI SCUSO PER NON AVERCI PENSATO PRIMA.

ECCOMI QUIII!❤️
Allora come state? Mi siete mancati davvero tanto e mi è mancato scrivere per voi, sebbene non mi abbiate comunque fatto mancare il vostro affetto in queste tre settimane. 
Sono tornata dalla Spagna da pochissimo tempo e, colgo l'occasione per ringraziarvi della vostra comprensione e pazienza, sono finalmente riuscita ad aggiornare.
Un bacio grandissimo,
HeyC😘

  
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