Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: EffyLou    31/08/2017    0 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
5 - Diejenigen wie uns 


1 giugno 1932

A Berlino era stato allestito un luna park, con bancarelle e spettacoli in strada. Era una bella serata, non particolarmente calda, l’aria profumava di foglie e boccioli.
Johann era con Frieda, Kaspar e la sua fidanzata Gilda, e Hildi, la migliore amica di Frieda che non stava tanto simpatica a Rukeli.
La ragazza parlò tutta la serata, parlava tantissimo e sempre di sé. Nel giro di una cena tutti insieme e la passeggiata per le bancarelle, avevano scoperto tantissime cose sul suo conto.

Brunhilde conosceva Frieda dalla scuola superiore, era più grande di un paio d’anni, facevano atletica e ginnastica insieme. Era una tipa molto aperta ad avance, gli uomini facevano a gara per accaparrarsi una delle sue occhiate languide e sorrisi mansueti. Ma era tutt’altro che docile. Non era una testa matta, sapeva quello che faceva ed era giudiziosa, semplicemente si divertiva a passare notti di fuoco e spezzare il cuore ai poveri malcapitati il giorno dopo. Veniva da una famiglia benestante con sette fratelli molto più grandi di lei, era cresciuta con una certa malizia e una certa educazione che la rendevano un tantino viziata. Ma neanche molto, visto che lei era l’ultima e non veniva considerata più di tanto dai genitori ormai anziani e i fratelli impegnatissimi con le loro vite. Ad Hildi non era mai importato, aveva tutta la libertà che voleva e si era costruita da sola.

L’allegra compagnia si fermò a mangiare pannocchie abbrustolite, sedendosi al tavolo di un piccolo chiosco.
Johann quella sera non staccava gli occhi da Frieda. La ragazza indossava un vestitino sbarazzino, bianco con le stampe di fiori neri, stretto da un nastro nero sul girovita e con i lacci che si congiungevano sulla nuca; portava un paio di scarpe col tacco basso grigie, che lasciavano scoperto il delicato collo del piede. I capelli stranamente ordinati e pettinati, il trucco nero sugli occhi a risaltare le iridi di cielo. Sapeva essere dannatamente elegante e fine. Credeva di averla vista in tutte le salse ormai: con i vestiti da campagnola, vestita da uomo, con la vestaglia da camera, vestita da cameriera.
Seduti ad un tavolo vicino a loro, c’era un gruppo di uomini con un molosso al guinzaglio. Il cane non faceva che abbaiare, gli occhi iniettati di sangue, poi cominciò a ringhiare verso Johann, cercando di mordergli le gambe.
«Il cagnaccio la deve smettere, altrimenti gliene mollo uno»
Il padrone si mise a ridacchiare. «Non credo che riusciresti a prenderlo o fargli male»
Rukeli sorrise e si passò la lingua sui denti, sembrava voler assaggiare i propri canini. «Se lo stendo, voglio venti marchi»
«Andata».

Si accordarono velocemente su come organizzare quell’ “incontro”. Andarono in una lunga strada appartata, leggermente in discesa. L’uomo e il cane arrivarono al punto più alto, Rukeli restò in fondo. Al suo segnale, il padrone sciolse il molosso. Quello non vedeva l’ora di andare ad aggredire lo zingaro, e corse a perdifiato verso di lui.
Si diede lo slancio con le zampe posteriori, e saltò fino a quasi azzannargli la faccia. Johann fu più svelto, si spostò indietro e gli mollò una manata sul muso. Il cagnaccio cascò a terra con un tonfo e restò lì, succube. Il padrone si aspettava che si sarebbe rialzato ancora più agguerrito, invece era rimasto lì. Dunque il ragazzo allungò la mano per prendersi i venti marchi che gli spettavano, e si allontanò con gli altri.

«Certo che sei una testa matta, tu» commentò Gilda, sorridendo frivola.
«È un eufemismo» replicò Kaspar, con dolcezza.
«Signore e signori» esordì Johann, camminando all’indietro per guardarli in faccia, le braccia allargate teatralmente, «con questi soldi sfiderò la signorina Bilda qui presente al tiro al bersaglio»
«Questi pugili… mettono al tappeto un paio di persone e si sentono i re del mondo.» fece lei, con un sorriso sfacciato «E se vinco?»
«Poi ci pensiamo. Accetti la sfida?»
«Ti pare che mi tiro indietro?»
Sorrise come uno squalo, sapeva che lei avrebbe accettato. Hildi l’aveva guardato come fosse un folle.

Johann costrinse Frieda a prenderlo a braccetto, con quel fare simpaticamente invadente. Con l’altro braccio decise di prendere a braccetto Hildi. La rossa era alta parecchio, misurava almeno centosettanta centimetri, forse poco di più, era sottile. Frieda invece era piccola, gli arrivava alla spalla, ma aveva dolci curve e un corpo a clessidra. Così diverse, eppure entrambe estremamente aggraziate, in comune avevano la finezza regale delle nobildonne.
Si fermò davanti al banco del tiro a segno, pagò i venti marchi per i cinque colpi di Frieda e i cinque che spettavano a lui. Dovevano colpire i cinque bersagli a distanze e grandezze differenti con una pistola a pallini.
«Prima le signore» disse il commerciante, porgendo la pistola a quella delicata fanciulla.
Lei gli pianto le dita ai lati della mano, facendolo rivolgere a Johann. «Prima i campioni».

Lui non se lo fece ripetere. Prese la pistola, mirò e sparò. I primi tre colpi presero il centro, il penultimo era un po’ esterno. Prese la mira per l’ultimo colpo.
Frieda gli pungolò il fianco per dargli fastidio, Johann le si rivolse con un sorriso da lupo.
«Smettila, bambina.» le intimò in un sussurro «Mi fai arrabbiare»
«E se ti arrabbi che fai, Gipsy

Lui sparò, ma il suo colpo fece cilecca. Lanciò uno sguardo di sfida alla ragazza, che nel mentre afferrò la pistola che le porgeva il mercante. Altri ragazzi in fila lì dietro sghignazzarono. La delicata fanciulla, così ben vestita e così bella, sembrava tutto tranne che in grado di impugnare una pistola e fare centro.
Invece quando colpì tutti e cinque i centri dei bersagli, commerciante e ragazzi in coda restarono stupefatti. Le fecero i complimenti per la mira, e ricevette in premio un peluche a forma di elefantino viola.

Quando si allontanarono dal banco, Frieda posò il pupazzo su una panchina e incrociò le braccia al petto. Il sorriso da folletto mentre guardava Johann.
«Allora? Il mio premio»
«Sei una che pretende»
«Terribilmente» ma non gli diede troppa importanza.
«Potevi dirmelo che hai una mira da cecchino»
«Ti saresti tirato indietro»
«Mai. Vuoi il tuo premio?»
«Direi di sì, ti ho stracciato.» ammiccò con le sopracciglia «Non rifilarmi uno dei tuoi scherzi idioti, voglio un premio serio».

Johann alzò le spalle, noncurante. Le prese il mento con le dita per sollevarle il viso e si piegò su di lei per poggiarle un bacio lieve sulle labbra. Frieda restò pietrificata, come anche Kaspar, Gilda ed Hildi. Poi l’amico scoppiò in una risata sguaiata. Conosceva Rukeli, poteva baciare chiunque e scamparla sempre, nessuna lo aveva mai rifiutato. Nemmeno Frieda fu in grado di respingerlo.
Il bacio, comunque, durò un secondo. Quando si allontanò le regalò un sorriso dei suoi, da divo.
Lei era ancora impietrita, poi si riprese sfarfallando le ciglia e gli mollò un colpo alla pancia con il dorso della mano, scatenando una risata generale.

«Più serio di così, cosa volevi? Una proposta di matrimonio?»
Frieda non gli rispose neanche, grugnì e si allontanò verso un banco di zucchero filato. Voleva solo ingurgitare dolci e affogare il nervoso nel cibo.
«Hai lasciato qui il tuo premio, Frieda!» le gridò, ma vedendo che non era aria, riprovò «Hai una mira incredibile, non me l’aspettavo! Dai, ora non tenermi il muso tutta la sera!»
Seduta sulla panchina a divorare zucchero filato a una quindicina di metri di distanza da lui, alzò il dito medio nella sua direzione. Johann scoppiò a ridere, e si avvicinò. «Non tenermi il muso, andiamo»
«Sei uno stronzo» brontolò senza guardarlo.
«Come la fai tragica per un bacino. Era anche senza lingua» la provocò, sollevando un sopracciglio.
Frieda avvampò, imbronciandosi ancora di più. «Smettila»
Johann sospirò, decise di ricominciare. Si voltò col corpo verso di lei, le prese le mani tra le sue. «Va bene, senti. Guarda dove siamo, ti sembra il posto giusto per stare imbronciata così? Avanti, bambina, fammi un sorriso e andiamo a giocare», inclinò la testa da un lato.

Avrebbe voluto baciarla ancora, stavolta sul serio. Avrebbe voluto convincerla lasciandole baci sul viso e sul collo, accarezzandola, strofinandole la punta del naso sulla guancia. Trattenersi dal farlo, appellarsi a tutto il suo autocontrollo, si rivelò difficile. Quella sera avrebbe cambiato le cose, ne era certo, voleva dare una svolta al loro rapporto. Non ne poteva più di averla sempre così vicina, eppure non poterla avere come desiderava.
Lei alla fine cedette e si sciolse in un sorrisetto timido. «E va bene. Sei un maledetto diavolo tentatore»
Johann scattò in piedi, trascinandola con sé. «Vieni con me».



 
Frieda non era mai stata in un luna park. Johann invece sì, e la trascinò ovunque. Si fermarono ad ogni stand per il cibo e i giochi, la portò su tutte le giostre.
«Vieni, facciamo questo!» le urlava sopra il vociare della folla, la prendeva per mano e la faceva salire sul carosello. C’erano bambini, ma anche adulti. Tra i cavalli in plastica colorata e luci sgargianti, loro due giocavano come ragazzini rincorrendosi tra i cavallucci, i pali, oppure fingendo di star partecipando ad una gara equestre.
«Lo stomaco ti regge?» le aveva chiesto poi.
«Perché?»
E lui non le aveva risposto, l’aveva trascinata sulle montagne russe. Erano così veloci, che se Frieda avesse voluto urlare, il grido le tornava in gola. L’unico momento in cui si lasciò andare uno strillo, fu quando i sedili si rivoltarono a testa in giù. Johann, d’altro canto, si divertiva come un matto e teneva le braccia in alto.
Scesi dalle montagne russe, Frieda dovette allontanarsi dietro un cespuglio per vomitare. Il ragazzo le tenne i capelli, e le tamburellò la schiena con la mano. «Sii forte, si forte», beccandosi un’occhiataccia.
Frieda si pulì i lati delle labbra. «Dio, che scena penosa»
«Davvero vomitevole»
«Sei pessimo, tu e le tue battute demenziali»
Le pizzicò una guancia. «Non ti imbarazzare, dopotutto ti ho visto fare tante cose strane. Parlare con Buddha e Shiva, ad esempio. È andata meglio di quanto mi aspettassi»
«Fanculo, Johann, non ti seguo più da nessuna parte» mugugnò, afflitta.
Lui le rivolse un sorrisetto furbo e la bloccò passandole un braccio intorno alla spalle. La costrinse a voltarsi per indicarle la ruota panoramica.
«Voglio regalarti Berlino di notte, che bella come lei ci sei solo tu».

Frieda lo sguardò sfarfallando le ciglia, e arrossì. Si imbarazzò il doppio considerando che aveva appena vomitato di fronte a lui, dopo un misero giro di montagne russe.
Johann ammiccò con le sopracciglia, e la trascinò in una delle cabine della ruota panoramica.
Il giro procedeva flemmatico e in silenzio, c’erano tante coppie ma anche piccoli gruppi di amici. Da lassù, Frieda vide che Hildi si era messa a parlare con un gruppo di ragazzi mentre Kaspar e Gilda pagavano il biglietto per il prossimo giro di ruota.
Arrivati sulla cima, la ragazza schiuse le labbra dallo stupore. Berlino di notte era incredibile e bellissima. Intravedeva la Porta di Brandeburgo, con il carro illuminato sulla cima; la cupola del Reichstag; la colonna della Vittoria al Tiergarten.

«La Vittoria è un’amante pretenziosa. Chiede sempre qualcosa in cambio» sussurrò Johann.
«Ad esempio?»
«Ho sacrificato per lei tutte le possibili relazioni durature. Ho troncato tanti legami, inseguendo la vittoria»
«E sei soddisfatto di questa scelta? Sacrificare affetti in nome della gloria?»
Lui strinse impercettibilmente le labbra, lanciandole un’occhiata fugace prima di tornare a guardare la Vittoria. «C’è stato solo un legame, all’infuori della famiglia e del lavoro, che non ho saputo troncare. Non ce l’ho fatta, e nemmeno lo volevo»
«Sono io» esalò Frieda, colta da un’intuizione improvvisa.

Solo lei poteva essere. Non faceva parte della sua famiglia, nemmeno del suo ambiente lavorativo come Kaspar.
Johann accennò un sorriso. «Non sono stato in grado di allontanarti. Ci ho pensato, sai? Le dico che deve girarmi alla larga o me la tengo stretta? In fondo, mi diverto da matti insieme a lei. Ma posso divertirmi anche con altri. Però lei ha quegli occhi, nessuno li ha come i suoi. E la sua risata? Dove la trovo una donna che ride come lei? E quando alza il dito medio in mezzo alla folla per mandarmici?» scosse la testa «Nessuno è come te. Non ce l’ho fatta a tenerti lontana da me, non volevo. Sei una persona speciale, e come tale volevo che mi rimanessi accanto».

In realtà non sapeva bene perché avesse deciso di dirle quello che provava. Aveva deciso di dare una svolta perché non ne poteva più, era vero, ma la reazione al bacio che le aveva dato quella sera l’aveva spiazzato. Sperava che potesse fargli capire qualcosa sui suoi sentimenti, invece lei non sembrava ricambiare. Ma tutto ciò che faceva e aveva fatto in quei due anni contraddicevano questa tesi. Lei sembrava interessata a lui, ma poi lo rifiutava. Non riusciva a capire, non poteva aver travisato i suoi comportamenti. Forse per questo glielo stava dicendo. Mettendo in chiaro le cose per sentire la sua una volta per tutte.
Nessuna delle donne incontrate era spiritosa come lei. Anzi, in generale nessuna era spiritosa.
Ma amava sentir parlare lei. Era intelligente, divertente, gli parlava spesso di cose importanti e c’era sempre un confronto, una discussione attiva, tra loro due. Su qualsiasi argomento. Scambi di idee e di opinioni che contribuivano a renderla interessante ai suoi occhi. Non si limitava mai a dirgli “Decidi tu, fai come vuoi”, lo contraddiceva per il puro gusto di infastidirlo. E poi gli chiedeva spesso qualcosa sulla boxe e del suo allenamento, pur non capendoci nulla, si interessava a lui e non perché aveva un bel faccino. Forse era poco, ma a Johann sembrava tanto.
Lo faceva ridere quando Frieda, in palestra dopo cena, si metteva sul ring e faceva l’imitazione dei suoi avversari con fare scimmiesco. Lo faceva ridere quando era quasi ubriaca e diceva d’aver parlato con Buddha o qualche divinità induista. Lo faceva ridere quando inciampava sulle briglie dei cavalli e finiva con la faccia nel fango del maneggio. Lo faceva ridere quando lui la prendeva in giro con sguardo serio, e lei ci cascava sempre. Lo faceva ridere quando si sdraiavano nell’erba la sera o nel pomeriggio, guardavano le stelle o le nuvole, e lei vedeva figure stranissime. Nessuna era come Frieda.

La guardò con la testa bassa, da sotto le ciglia. Occhi negli occhi. La notte che abbracciava il giorno. Non erano che questo.
«Mi piaci da matti, Frieda. Te lo giuro».

Un senso di trionfo le riempì il cuore. Tutte quelle donne con cui se ne andava, erano più belle di lei. More, bionde, rosse. Agghindate, profumatissime, le labbra pitturate di rosso. Frieda non era niente di tutto ciò. Niente di particolare, il tipo di ragazza che non ti fermi a guardare per strada perché ordinaria e usuale. Eppure nonostante lui fosse andato a letto e baciato molte di quelle donne bellissime, preferiva sempre Frieda a loro.
Quel ragazzo le era piaciuto da subito. Da quando l’aveva visto entrare nel pub la prima volta. Aveva persino pensato che avrebbero potuto scambiarsi promesse. Poi erano diventati amici, aveva imparato a conoscerlo. A conoscere la sua ironia pungente, era un ottimista, un giocherellone che pensava a divertirsi. Aveva un lato nascosto che mostrava a stento persino a lei: la sensibilità di Johann. Profonda. Era ben celata dietro sorrisi maliziosi e sguardi trionfali, dietro la boria e l’allegria.

«…E non ho capito se per te è lo stesso» proseguì, parlando a raffica, «ma ho questa sensazione nel petto, e dovevo…»
«Stai zitto».
Lo interruppe bruscamente e fu un attimo.

Frieda gli prese il volto tra le mani e lo aveva attirato a sé per fondere le loro labbra e trasformarle in un’unica cosa. Era un bacio leggero, ma al contempo audace e carico di passione. Carico di tutte le parole che non si erano detti, di tutte le emozioni che avevano respinto in due anni per il bene della loro preziosa amicizia. Intensità accorata. Fame insaziabile, sete inestinguibile.
«Mi baci come se fossi un bravo ragazzo, ma sei pieno di cattive intenzioni» sussurrò Frieda, distaccandosi appena.
Johann sorrise, la baciò di nuovo. «E tu mi baci come se volessi essere amata tutta la vita».
La baciò ancora e ancora, con brevi pause in cui prendeva fiato e lo perdeva di nuovo mentre si smarriva nei suoi occhi infiniti, fino a farsi mancare il respiro. Fino ai sospiri, fino alle labbra arrossate, ai capelli scompigliati.


 

Lei vuole un amante guerriero
con occhi selvaggi,
mani forti,
e il cuore di un poeta.

 
 
 
 
 
 

3 giugno 1932

Birreria Bock. L’incontro con Erich Seeling, il campione tedesco dei pesi mediomassimi.
Non era un incontro per spodestarlo, Johann lo vide più come un esame per verificare se avesse la stoffa del campione. Puntava al titolo nazionale di Seeling, lo bramava da quand’era alla Sparta Linden.
Seeling era più basso di Trollmann, nettamente, ma pesava un paio di chili di più. Era più piccolo di due anni, ma sembrava più anziano. Aveva il naso grosso, le orecchie a sventola, i capelli mossi ben gelatinati ai lati della testa. Combatteva onesto, non cadeva alle trappole e trucchetti di Johann, non si lasciava distrarre da quelle sue danze gitane.
Lo guardava passivo, paziente, sferrava colpi pesanti. Qualche round se lo aggiudicò Seeling, altri Trollmann.
Seeling lo doveva inseguire, faceva il suo bravo combattimento, ma non riusciva a inquadrare del tutto lo zingaro: cambiava stile troppo spesso, lo disorientava, l’unico elemento che restava era la distanza che imponeva. Trollmann imponeva al campione il suo stile, lo dominava totalmente.
Durante un round, il campione picchiò duro dimostrando di avere la mano pesante.
Rukeli cedette un po’ di terreno, ma alla fine attaccò Seeling con una sequenza di colpi potenti, che sembravano voler dire: “Con te non ho ancora finito, io voglio vincere”.
Dieci round. Alla fine vinse Seeling per un solo punto.

Johann gli saltellò vicino, un gran sorriso sul viso. «Bel combattimento, mi sono divertito parecchio!»

L’altro gli fece un sorriso pacato, poi si voltò a guardare il pubblico che sfumava. Rukeli sapeva cosa stava guardando il campione. Quella macchia di divise marroni che studiavano l’incontro dalla zona più marginale della sala. Un oscuro presagio.
Li aveva notati anche lui, da qualche tempo si presentavano ai suoi incontri e assistevano in attesa. Non lo avevano turbato molto, ma a quanto pareva Seeling sembrava preoccupato.

«Cambieranno molte cose per quelli come noi, Gipsy».
Il ragazzo prese un asciugamano, passandoselo sulla nuca, seguì il campione giù dal ring. Lui parlava piano, si guardava intorno furtivo come se stesse dicendo una cosa proibita.
«Quelli come noi?»
«I non tedeschi»
Johann alzò un sopracciglio. «Io sono tedesco»
«Sai cosa intendo.» sospirò «Quelli diversi. Siamo gli unici due pugili “non tedeschi”, io ebreo e tu zingaro. Dovresti andartene finché puoi, ci sono tante opportunità anche fuori dalla Germania»
Il sinti si strofinò il naso, largo e all’insù, con l’avambraccio. «Perché?»
Lo sguardo di Johann. Innocente, infantile come quello di un bambino troppo cresciuto.
«L’aria qui sta diventando irrespirabile. Dammi retta, vai via dalla Germania finché puoi».
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: EffyLou