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Autore: whitecoffee    31/08/2017    2 recensioni
❝«Ho sempre pensato che il cuore dell’uomo sia diviso in due metà esatte. Una felice, e l’altra triste. Come se fossero due porte, vicine. Le persone possono entrare e uscire da entrambe, non c’è un ordine prestabilito. Ovviamente, molto dipende dal carattere degli individui e dalle relazioni che vengono instaurate. Mi segui?» Domandò, e lei annuì. «Per TaeHyung, uno di questi usci è sprangato. Non si apre più. Costringendo chiunque a passare solo dalla parte riservata al dolore, non importa il tipo di rapporto che intercorra fra lui e gli altri. Perfino io, sono entrato da quell’unica porta. E mi sono rifiutato di uscirne, sebbene lui avesse più volte provato a sbattermi fuori»❞.
❝Tu devi sopravvivere❞.
- Dove TaeHyung impara che, rischiando, spesso si guadagni più di quanto si possa perdere.
assassin!TaeHyung | artist!JungKook | hitman/mafia!AU | boyxgirl
-
» Storia precedentemente pubblicata sul mio account Wattpad, "taewkward".
» Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=92wl42QGOBA&t=1s
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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I.
BOYMEETSEVIL, pt.I






There are numerous ways in which God can make us lonely, and lead us back to ourselves. This was the way he dealt with me, at that time.





 
 
The light of my future is becoming darker, the path of a dream I lost because of an immature love; the spite of my ambition sharpened its knife every day. But the knife is dulled by the greed that I can’t contain… I know everything.





 
 
나는 감각이있어 척. 이것은 내가 그것에 익숙해에 대한 시간, 나의 처음은 아니다. 나는 그것을 숨기려고하지만, 그럴 수 없어.
I pretend I’m numb. This isn’t my first time, it’s about time I got used to it. I try to hide it, but I can’t. (Young Forever)
 
 
 
“V, il clan del Falco ha bisogno che tu elimini questa ragazza. La sua famiglia ha ignorato i loro avvertimenti, ed è giunto il momento che ne paghino le conseguenze”.
 
 
La guardava, osservandola dal suo mirino. Stava seduta sulla panchina, stringendo un grosso bicchiere cartonato firmato Starbucks. I fili bianchi delle cuffiette spuntavano al di sotto delle sue lunghe ciocche di capelli, le cui estremità si torcevano su loro stesse. Dei meravigliosi boccoli. Di un profondo color zaffiro. Vestita di nero da capo a piedi, lo sguardo perso lungo il marciapiede, le spalle ricurve. Non sembrava molto felice.
Il suo dito indugiò sul grilletto. Cosa gli prendeva? In genere, la sua mano era gelida, ferma e precisa. Un solo colpo, pulito e letale. Spesso, mirando al cuore. Forse, perché egli stesso non ne possedeva uno da molto tempo. Privare i bersagli di quell’organo, sarebbe stata una sorta di rivalsa nei confronti della vita. Tuttavia, quelle vittime non erano nemmeno sue. Si trattava di incarichi, commissionatigli dall’alto. Da fonti che lui non poteva, né doveva conoscere. Egli era un semplice pupazzo nelle mani di un giro infinitamente più grande dei suoi stessi orizzonti. Il quale pensava ed agiva sulla base delle richieste dei committenti. Una pedina.
Prese un profondo respiro e un guizzo della mascella tradì la lieve frustrazione che andava lentamente impadronendosi di lui. “V” era uno dei killers professionisti più qualificati di cui l’intero sistema di malavita asiatica potesse disporre. Rapido, spietato e risoluto, nessuno era mai riuscito a catturarlo, né ad associare un volto al suo soprannome. “Deadshot”. Colpo mortale. Un solo proiettile, era tutto ciò che gli occorresse per portare a termine i propri incarichi. Molti, imbattendosi in lui per affidargli le commissioni, si lasciavano ingannare dalla sua giovane età. E dal volto pulito, o il sinistro silenzio. Per altri, la semplice azione passiva di udire il suo nome, aveva il potere di far scivolare un brivido freddo lungo la loro spina dorsale.
La richiesta del giorno consisteva nel consegnare l’anima di quella ragazza nelle mani di Dio, per conto del clan del Falco. Una delle tre casate di punta della yakuza giapponese. A quanto pareva, la famiglia del suo bersaglio con i capelli blu, doveva essere scappata in Corea del Sud da qualche altro luogo nel mondo. Probabilmente, gli Stati Uniti. Per sfuggire ad un piuttosto ovvio destino. V si chiese per quale ragione una giovane innocente, probabilmente sua coetanea, dovesse pagare per i debiti che qualcun altro avesse contratto a proprie spese. E poi se ne pentì. Perché aveva appena violato una delle sue cinque regole di sopravvivenza basilari. Non farsi domande.
Chiuse gli occhi per un breve tratto di tempo e, quando li riaprì, si accorse della presenza di un’auto sospetta nei pressi del marciapiede. Il finestrino oscurato al posto del guidatore si abbassò lentamente, rivelando un uomo sulla quarantina. Tratti anonimi spezzati dai neri occhiali da sole, espressione impassibile e un costoso completo giacca e cravatta. I raggi solari rilucerono sulla liscia canna d’acciaio della pistola, che egli fece per puntare verso la giovane. Concorrenza, pensò V, scuotendo piano la testa. Cambiò bersaglio, e sparò un colpo al parabrezza dell’auto, facendo sobbalzare il guidatore. L’arma gli cadde dalle mani, probabilmente finendogli fra i pedali della macchina.
Fu allora che il ragazzo mise da parte la sua, di pistola, scaraventandola nel borsone ai propri piedi. Per poi slanciarsi di corsa verso le scalinate, che collegavano la terrazza su cui si era appostato al piano terra dell’edificio. Infrangendo la seconda regola del suo decalogo. Non immischiarsi.
 
 


 
이 비를 멈출 경우에도 구름이 멀리 갈 때 ... 난 그냥 같은, 여기 서
Even when this rain stops, when the clouds go away… I stand here, just the same. (Rain)
 
 
Cyane sospirò, seguendo il ritmo della melodia da pianoforte nelle sue orecchie, ondeggiando la testa. Aveva una non poi tanto segreta passione per Mozart, in particolare per il suo Requiem. Ognuno dei brani che costituivano quella messa cantata, era per lei fonte continua di ammirazione ed ispirazione. Non riusciva a capacitarsi di come, nella mente di un solo, piccolo individuo, potessero nascere opere tanto immense, dalla riconosciuta complessità e inestimabile valore. Il suo brano preferito era il Lacrimosa. Il tappeto di prime e seconde voci l’induceva spesso ad immaginarsi un immenso giardino, disseminato di variopinti petali di fiori. Un’immagine che le trasmetteva serenità.
Guardò i passanti sul marciapiede andare e venire, con calma placidità. Si soffermò ad osservare i visi delle persone, trovando raramente dei sorrisi dipinti sui loro volti. Erano tutti perlopiù presi dai cellulari, oppure indossavano delle meravigliose espressioni assenti, dovute probabilmente a degli eventi accaduti nelle proprie vite. Ogni tanto, qualcuno la notava. Occhieggiando i suoi capelli blu con un sopracciglio sollevato, probabilmente chiedendosi perché quella scelta di colore.
In Corea del Sud, e più in generale nell’Asia, confondersi con la massa era buona norma e regola. I giovani con una capigliatura di tinte differenti dal nero, venivano spesso etichettati come non affidabili. Teppisti. Forse a causa del loro desiderio di distinguersi. La popolazione orientale diffidava sempre da ciò che attirasse troppo l’attenzione. E questo lei l’aveva imparato a sue spese. Da dove veniva, l’America, nessuno faceva poi tanto caso al colore di capelli. Rifletté su quanto differenti potessero essere le mentalità delle persone, in base all’area geografica in cui si trovassero.
La ragazza fece per portarsi la cannuccia del suo frappuccino alle labbra, ma sentì qualcosa afferrarle la mano libera e tirarla via, con uno strattone. Il bicchiere le cadde in terra, rovesciandone il contenuto sul marciapiede. Mentre incespicava e cominciava a correre, trascinata da quella che riconobbe come una mano guantata di nero. Sollevò gli occhi, e individuò un ragazzo parecchio più alto di lei. Anch’egli vestito completamente di ombra, che faceva lo slalom fra i passanti, stringendole le dita in una presa ferma. Sfrecciava a perdifiato, senza voltarsi indietro.
Ella non fece in tempo nemmeno ad aprir bocca, che lui s’infilò in un vicoletto e si lasciò andare contro la parete. Prendendo profondi respiri. Non accennando a volerle lasciare la mano. Cyane ansimò, guardandolo in volto. Era davvero giovane come sembrava. Non poteva avere che un paio di anni più di lei. Capelli color noce moscata, che gli ricadevano lisci sulle palpebre superiori, quasi celando quel paio di scuri occhi a mandorla dalle iridi cioccolato. Pelle ambrata, naso proporzionato e labbra carnose, dischiuse nel processo di violenta inspirazione ed espirazione.
«Chi…» disse lei, ma un rumore di freni d’auto distrasse entrambi. Il ragazzo lanciò un’occhiata alla costosa macchina ferma poco lontano da loro, e strinse nuovamente la presa sulla mano di lei.
«Andiamo» le intimò e si lanciarono nuovamente verso la fine del vicoletto, il quale svoltava s’una zona pedonale piuttosto affollata. Cyane non ce la faceva più a tenergli dietro. Non era mai stata brava a correre, e quella situazione cominciava a spaventarla. Perché quello sconosciuto avrebbe dovuto trascinarla via in quel modo, senza nemmeno presentarsi? E dove aveva intenzione di andare?
Sentì un secondo rumore di passi affrettati alle sue spalle e poi uno sparo. Si lasciò sfuggire un’esclamazione, più per la sorpresa che per altro. Poi, una fitta le trafisse la spalla come una freccia arroventata, gettandola in ginocchio. Udì il ragazzo lasciarsi sfuggire un impropero e lo vide voltarsi. Avviandosi nella direzione opposta a quella in cui si stavano dirigendo, lasciandola lì in terra. Da sola. A stringersi un braccio di cui il dolore andava rapidamente impossessandosi. Sentì una sostanza calda e viscosa scivolarle lungo il braccio, e vide delle gocce di sangue colarle giù per le dita eburnee. Un’ombra di panico le strisciò nello stomaco, arrampicandosi fino all’esofago e rendendole difficile la respirazione. Fece del suo meglio per non svenire lì.

 
   
 
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