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Autore: _Agrifoglio_    02/09/2017    3 recensioni
Questa è una storia molto breve, tutta incentrata su Diane de Soisson. Saranno narrate le cause - vere e presunte - che portarono alla rottura del fidanzamento della giovane, sarà analizzata la personalità dei protagonisti, in un piccolo campionario di ingenuità adolescenziale, di sogni infranti, di pragmatismo quotidiano, di inguaribile goffaggine, di meschinità umana e di grottesco senza tempo. Saranno, infine, esplorati gli stati d'animo dei personaggi e le loro mutevoli reazioni di sconforto, di comprensione, di stizza, di impazienza, di inadeguatezza caratteriale, di livore, fino all'epilogo della vicenda.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, Diane de Soisson, Madame De Soissons, Nuovo Personaggio, Soldati della guardia metropolitana di Parigi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Un principe poco azzurro
 
Diane de Soisson cinguettava come un uccellino, correndo senza posa da una parte all’altra della sua stanza. Quel giorno, ricorreva, infatti, il sesto mese dal fidanzamento di lei con Gustave de Morvan e, presto, si sarebbero sposati. I preparativi fervevano, perché, quel pomeriggio, sarebbero usciti insieme ed ella voleva che tutto fosse impeccabile. Non una piega doveva permettersi di comparire sulle vesti che avrebbe indossato e guai se vi fosse spuntata una macchia! Cosa ben difficile, del resto, dato che quel completo non era mai stato indossato da che la sua destinataria lo aveva confezionato né aveva mai lasciato il baule nel quale era stato riposto con cura, se non le volte, peraltro numerose, in cui la proprietaria lo aveva tirato fuori per rimirarlo e fantasticare. Le vesti erano linde e stirate, i fiori dell’acconciatura erano custoditi in una scatola sul comò, le scarpette erano pulite ed il paniere era come nuovo, con le stecche ed i cerchi tutti sani.
Si guardò allo specchio e, con tono scherzosamente solenne, disse: – Diane de Morvan! – e scoppiò a ridere.
Dove l’avrebbe portata Gustave? Ad una rappresentazione teatrale pomeridiana? Alle corse dei cavalli? A casa sua, per prendere un tè con i suoi genitori? L’avrebbe scoperto fra poche ore.
Uscì dalla sua stanza ed andò nella camera da pranzo, dove era pronta la colazione.
La madre ed il fratello Alain la guardarono perplessi, non riuscendo proprio a condividere l’entusiasmo della congiunta per Monsieur Gustave de Morvan. Non perché il giovanotto, pur essendo nobile, fosse povero, giacché anch’essi lo erano, ma in quanto c’era qualcosa nell’atteggiamento di lui che li contrariava. La scarsa spontaneità ed una certa affettazione nei modi, unite ad un tono di voce mellifluo e, a tratti, metallico oltre che a dei gesti eccessivamente studiati ed un po’ troppo teatrali, restituivano del giovane un’impressione sgradevole, tale da indurre alla diffidenza. Lo sguardo era sfuggente e freddo e, quando la bocca sorrideva, gli occhi restavano seri e duri. Oltre a ciò, il promesso sposo, pur non essendo ricco, era sostanzialmente privo di un’occupazione, poiché, per gli uffici che sarebbero stati adatti ad un nobile, come la carriera militare o un posto nella pubblica amministrazione, egli non si sentiva portato – perché troppo pericolosi, faticosi o impegnativi – aveva malignato Alain mentre le attività come il commercio e l’imprenditoria le disprezzava visceralmente. Per dedicarsi ad una qualsivoglia occupazione, del resto, occorre la preparazione ed Alain aveva sempre sospettato che de Morvan, a dispetto dell’ostentata ricercatezza, fosse ignorante come una capra.
– Soltanto una sprovveduta come la piccola Diane poteva impelagarsi con un simile carciofo! – pensò Alain con uno sbuffo.
Diane, in realtà, non era stupida e, anzi, si distingueva per intelligenza. Sin da piccola, si era dimostrata docile, buona, giudiziosa ed altruista, tanto da suscitare l’apprezzamento e le lodi del Parroco e della di lui sorella. L’anziana signorina, non avendo alcuno al mondo a parte il fratello, si era affezionata a Diane come ad una figlia, le aveva insegnato a leggere ed a scrivere e le aveva dato lezioni di letteratura, storia, matematica, algebra, musica, danza e belle maniere, infondendole, addirittura, qualche rudimento di latino. Ciò che Diane gradiva di più degli incontri con la sorella del Parroco, però, erano gli interminabili racconti che avevano come protagonisti le dame ed i cavalieri medievali, le loro armi ed i loro amori, abbelliti da particolari sentimentali, edificanti e molto poco realistici. La fanciulla, sin da piccola, aveva passato ore ed ore nella sua camera, a leggere libri ricevuti in dono o in prestito o comprati a poco prezzo e si era formata, negli anni, una cultura a macchia di leopardo e per nulla metodica ed approfondita, ma che era valsa, pur sempre, a differenziarla dalle altre ragazze della zona. Questa scarsa comunanza di interessi aveva indotto Diane ad appartarsi, rifugiandosi sempre più nella lettura e, sebbene questo isolamento l’avesse resa immune alla civetteria ed all’attenzione spasmodica per i pettegolezzi, aveva fatto di lei una creatura ingenua, indifesa, poco avvezza a muoversi nel mondo ed a riconoscerne le insidie e per nulla scaltra. Un’autentica sprovveduta, come l’aveva definita suo fratello.
Madame de Soisson non gradiva affatto la piega che aveva preso sua figlia e, sebbene avesse tentato di stimolarne la concretezza, insegnandole con successo la cucina ed il cucito, aveva sempre nutrito il timore che la fanciulla facesse la fine del padre, un sognatore velleitario che aveva consumato l’esistenza a rimpiangere gli antichi fasti della famiglia, tramontati molti decenni prima che egli nascesse. Lo avevano trovato una mattina, col volto riverso sul tavolo da pranzo, stroncato da un infarto e con la bottiglia ancora in mano.
– Povera Diane – pensava la signora – I sentimentali ed i sognatori, se sopravvivono, sprofondano nel cinismo.
– Ah, non ho controllato i pizzi delle maniche – disse Diane con tono preoccupato e corse di nuovo in camera sua.
– Che i pizzi siano in ordine per il signor fidanzato! – esclamò Alain, imitando il tono impostato e tronfio dell’aspirante cognato ed accompagnando le parole con uno dei gesti istrionici che gli aveva spesso visto fare.
– Silenzio che ora torna! – lo redarguì la madre.
– Che ascolti! E’ ora che qualcuno le faccia capire le cose per come sono.
Dopo che Diane si fu sincerata che anche i pizzi erano in ordine, così come li aveva lasciati a conclusione delle decine di ispezioni che avevano preceduto quella appena terminata, si risolse, finalmente, a sedersi a tavola con la madre ed il fratello.
– Alain, c’è ancora, in caserma, il tuo biondo Comandante?
– E chi la smuove quella! Sempre la prima ad arrivare e l’ultima ad andarsene! E’ severa ed esigente, ma anche giusta. Maneggia spada e pistola con gran naturalezza, quasi fossero un’estensione del suo braccio. Cavalca con sicurezza ed eleganza, neanche ci fosse nata su quel cavallo! Non c’è tattica militare che le sia ignota. Pensa che ha studiato le tecniche di tutti i condottieri della storia, fino ad arrivare a Giulio Cesare e ad Alessandro Magno! Nelle ispezioni, non le sfugge niente, fosse pure un bottone penzolante, uno schizzo di fango sugli stivali o una macchia infinitesimale sulla divisa. Dovresti vedere come le lampeggiano gli occhi quando qualcosa la fa infuriare! Ma la cosa più sorprendente è l’espressione che le illumina il volto quando, all’orizzonte, si intravede una sfida o la possibilità di uno scontro armato. C’è un soldato a cui ha spezzato il cuore e che si è arruolato fra noi appositamente per stare insieme a lei. Non la perde mai di vista, fosse pure per un attimo ed è estasiato qualsiasi cosa ella faccia. E come si arrabbia quando qualcuno ne parla in modo poco rispettoso o fa delle battute! Gli manca un occhio e si vocifera che lo abbia perso per salvarla da non so quale pericolo. Se ci fosse da precipitarsi in un burrone o da gettarsi nel fuoco per lei, quel babbeo lo farebbe e col sorriso sulle labbra pure! Morirebbe col volto di lei impresso nell’anima e col suo nome a fior di labbra! Che, poi, come fa un uomo normale e sano ad infervorarsi pronunciando il nome…. Oscar?! Ci vogliono abitudine ed allenamento….
– Proprio come Lancillotto e Tristano!
– Chi? Sono amici tuoi?
– No, sono due cavalieri del ciclo bretone.
– Ah! Sempre queste leggende e mai un po’ di realtà!
– Proprio come Gustave!
– Va be’, va’, torna al ciclo bretone – bofonchiò impercettibilmente Alain.
– Cos’hai detto?
– Nulla, lascia stare.
Madame de Soisson guardava i suoi figli. Non avrebbero potuto essere più diversi, non solo come età, ma, soprattutto, per temperamento. Alain era così spavaldo, sbruffone, ribelle, insofferente a qualsiasi tipo di disciplina, malgrado fosse da anni un soldato, fin tropo schietto, delicato come un bue e privo del minimo accenno di riservatezza mentre Diane era l’esatto opposto: timida, amorevole, giudiziosa, riflessiva, delicata, riservata, rispettosa, obbediente, arrendevole, una che pensava prima agli altri e poi a se stessa. Nonostante tutto, non era Alain quello che la preoccupava di più, dato che la notevole intelligenza del giovane, la scaltrezza di cui era dotato ed il grande senso pratico lo mettevano sempre al riparo dai pericoli. Alain era uno che sopravviveva sempre mentre Diane le appariva costantemente sull’orlo di un precipizio.
 
********
 
Finita la colazione, Madame de Soisson tirò fuori dalla dispensa alcuni polli che aveva acquistato per il banchetto che, fra due giorni, avrebbe organizzato Madame Clermont, la moglie del Farmacista e che lei, conosciuta nel quartiere per le sue arti culinarie, era stata incaricata di preparare. Li dispose sul tavolo ed iniziò a condirli.
D’un tratto, si sentì un trambusto provenire dal pianerottolo fuori della porta di casa. Alain andò ad aprire e trovò uno dei suoi commilitoni, Gérard Lasalle, carponi, davanti alla porta, mentre raccoglieva la pistola che aveva fatto cadere a terra.
Lasalle abitava qualche via più in là e, ogni tanto, quando, dopo la libera uscita, i due tornavano in caserma, si recava a casa di Alain, per fare il resto della strada insieme a lui e per salutare Madame de Soisson, alla quale era rimasto in perpetuo grato per avere aiutato sua madre a curare i suoi fratelli minori dalla difterite.
– Buongiorno, Madame de Soisson.
– Buongiorno, Soldato Lasalle.
– Madame de Soisson – domandò Lasalle che era un bravo giovane, ma le cui goffaggine e spontaneità lo esponevano spesso ad essere inopportuno oltre che un po’ strano e, sicuramente, molto buffo – C’è molta differenza d’età fra i Vostri figli. Monsieur de Soisson ha, forse, avuto due mogli?
– No, altrimenti non sarebbero entrambi figli miei – rispose, con lapalissiana ovvietà, l’attempata signora – Ci sono quindici anni di differenza fra di loro. Alain è il maggiore e Diane è la minore. In mezzo, ci sono stati diversi aborti, parti prematuri e bambini che non hanno superato i due anni di vita. Mio marito, poi, era soldato come Alain, ma militava nell’esercito vero e proprio e non fra le Guardie Metropolitane e ciò lo portava ad assentarsi da casa per lunghi periodi.
– Ho fatto un gran trambusto là fuori, ma, per bussare, ho urtato la pistola e l’ho fatta cadere in terra. Non avrete temuto un ladro?
– Un ladro molto rumoroso, non trovate? E, poi, qui, non c’è molto da rubare.
– Non abbiate paura, Madame de Soisson, se dovesse venire un ladro, Vi proteggerei io!
Lasalle sguainò la spada e la fece vibrare a pochi millimetri dal naso di un’interdetta Madame de Soisson. Il fendente, sferrato male ed indirizzato ancora peggio, si abbatté su uno dei polli posti sul tavolo da cucina che fu, prima, infilzato e, poi, buttato a terra. Lasalle divenne paonazzo dalla vergogna e rinfoderò la spada, ma non centrò bene il fodero e l’arma cadde a terra con un gran clangore.
– Bene, vecchio mio – disse Alain – Questo pollo non farà più male a nessuno. Andiamo!
Lasalle, al culmine dell’imbarazzo, fece il saluto militare, ma, anziché portare la mano alla fronte, sbagliò di qualche centimetro e colpì il berretto che cadde a terra. Alain lo raccolse, lo incalcò sul capo dell’amico ed uscì di casa insieme a lui.
 
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Era, ormai, pomeriggio e Diane era pronta per uscire col suo fidanzato.
Aveva indossato il bell’abito che aveva confezionato per utilizzarlo nelle occasioni speciali, in luogo dei tre vestiti di cotone, uno giallo, uno rosa ed uno verde, che alternava per la funzione domenicale.
Aveva sgobbato come non mai, fra cucito e rammendi, per guadagnarsi i soldi da impiegare nell’acquisto della stoffa dell’abito da sposa e, tanto alacremente aveva lavorato, da accumulare una somma sufficiente ad acquistare seta pregiata per due vestiti. Si era messa, quindi, a lavorare, non soltanto alacremente, ma, ‘sta volta, pure con gioia, per confezionare i due abiti, ispirandosi ad un modello da sposa e ad un altro da pomeriggio che aveva visto esposti nelle vetrine di Mademoiselle Bertin.
Il risultato era stato più che lusinghiero e, adesso, Diane era incantevole.
Il corpetto ed il soprabito andrienne, aperto davanti e completato da un mantello con strascico dietro, erano di seta damascata color pervinca, con eleganti motivi floreali. Le maniche erano adornate da pizzi di delicata fattura mentre la gonna era di seta semplice, non damascata, di un azzurro più tenue del soprabito. Annodato al collo, vi era un nastro di seta azzurra dello stesso colore dell’andrienne. Aveva acconciato i capelli in uno chignon, arricciandoli a vello di pecora con un ferro caldo che aveva utilizzato anche per modellare due boccoli che le scendevano a destra della nuca. Sulla testa, aveva disseminato, in ordine sparso, dei ciuffetti di nontiscordardime di stoffa. Un mazzetto più grande di nontiscordardime lo aveva appuntato sul corsetto mentre i restanti fiorellini erano stati utilizzati, insieme al pizzo residuo, per adornare le scarpette ed il ventaglio, entrambi in tinta con l’andrienne.
Era stata una gran fatica, ma il risultato la compensava pienamente ed ora era tutta un fremito.
 
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Si sentì bussare alla porta.
Diane si precipitò ad aprire, così da consentire l’ingresso in casa a Monsieur Gustave de Morvan, il promesso sposo.
Il nuovo arrivato era un giovane dall’aspetto, tutto sommato, gradevole anche se non c’era molto di memorabile o di incantevole nei lineamenti di lui. Se Stendhal fosse stato qualcosa di più di un infante e lo avesse rimirato, non sarebbe certo caduto a terra in deliquio, in preda alla nota sindrome che da lui prese il nome.
L’altezza del giovanotto era media e, accanto a Diane, non sfigurava mentre, al cospetto di Alain, pareva un pigmeo. L’abbigliamento aveva delle pretese di ricercatezza anche se era ben chiaro che le magre finanze dell’uomo non gli consentivano il ricorso a sarti rinomati.
– Buongiorno Madame de Soisson – disse l’ospite con ostentata affettazione – Che la Vostra giornata sia ricolma di doni preziosi al pari dei pomi d’oro del giardino custodito dalle Esperidi!
Madame de Soisson restituì il saluto senza entusiasmo, con un cenno del capo.
– Sono venuto per accompagnare Diane a passeggio. E’ mia intenzione effettuare, cum filiam Vestram, una piacevole escursione pomeridiana, garantendo un rientro ante vespertino, come da Vostri accorati auspici.
– Mi raccomando, giudizio ed evitate le strade isolate.
– Che il Vostro animo non tremi, Madame e resti saldo come lo è il mio – declamò il bellimbusto, portandosi una mano sul petto – Ho a cuore il benessere di Diane ut oculos meos.
Gustave de Morvan si profuse in un inchino esagerato ed uscì di casa, portandosi via Diane ed il suo sgangherato latinorum.
 
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La vettura di piazza che avevano preso, essendo fra le più economiche, era molto scomoda e sobbalzava di continuo, ma Diane era entusiasta all’idea di festeggiare il suo sesto mese di fidanzamento e troppo curiosa di scoprire la loro destinazione per dare peso ai disagi.
– Oh! Com’è pittoresco quello scorcio, con quell’albero nodoso e quella casa semidiroccata!
La vettura proseguiva il suo percorso, allontanandosi dalle vie che Diane conosceva.
– Oh! Che deliziosi quei fiori, così delicati e variopinti e sicuramente fragranti per chi ha la ventura di accostarvisi!
Gustave de Morvan era irritato da tutti quegli “Oh!” e da quelle frasi degne dell’ingenua dei romanzi e delle opere teatrali. Era decisamente ora di cambiare personaggio e registro narrativo.
– Oh, Gustave! Siamo entrambi poveri, ma giovani, sani e con l’amore nel cuore!
– Bastasse questo – pensò, sarcastico, l’uomo.
La vettura giunse a destinazione, in una via piuttosto periferica e fuori mano, fermandosi sul retro di un palazzo. Scesi in strada, i due si avviarono oltre un cancello in ferro battuto, lungo un vialetto sapientemente occultato agli occhi dei passanti da alti alberi, da grosse siepi e dal resto della vegetazione. Dopo qualche passo, giunsero di fronte ad una porta, a pian terreno. Gustave de Morvan tirò fuori una chiave dalla tasca e, con gesti sicuri, denotanti un’abitudine consolidata, fece scattare la serratura ed introdusse Diane all’interno.
L’arredamento era piuttosto essenziale, per non dire ridotto all’osso, essendoci soltanto un grande letto, un comodino, un lavabo, un divanetto con due sedie ed un tavolino tondo.
– Oh! La gente che vive qui dev’essere molto povera! – esclamò Diane.
– Al bando i convenevoli e le ingenuità, Diane. Io amo Voi, Voi amate me ed è ora di portare i nostri rapporti su di un piano più concreto.
– Stiamo per sposarci. Io sto terminando il mio corredo e Voi siete in cerca di una conveniente occupazione. Più concreto di così!
– Non fate la bambina, Diane! Siete una donna adulta, sana ed innamorata! Cercate di fare evolvere il Vostro pensiero verso sponde più adatte alla Vostra situazione!
– Non Vi capisco, Gustave, cosa c’è di più adatto, per una giovinetta, che cucire e ricamare il proprio corredo, nell’attesa di congiungersi al proprio amore in una Chiesa?
– Congiungersi e basta.
– Io non Vi capisco.
– Vi desidero, Diane e voglio farvi mia qui, su questo letto, adesso! Spogliatevi, stendetevi, accantonate i discorsi sul pittoresco e sul bucolico e godete dei piaceri della carne, come fanno tutte le persone normali!
– Ma cosa dite, Gustave! Voi sapete che tipo di donna sono e da quale famiglia provengo e, poi, che bisogno c’è? Stiamo per sposarci!
– Tipo di donna, famiglia, matrimonio, levatevi quei vestiti e smettetela di fantasticare!
– Io non disonorerò così me stessa e la mia famiglia, tradendo la fiducia che i miei cari ripongono in me e Voi dovreste soltanto vergognarVi dei Vostri pensieri lascivi!
– Ma cosa credete, sciocca ragazzina, che vostro fratello ed i suoi amici, quando escono di sera, in libera uscita, vadano a recitare il rosario? Che le dame ed i cavalieri medievali che vi piacciono tanto trascorressero davvero il loro tempo a suonare l’arpa e a declamare versi? O che i fidanzati delle vostre amiche, in attesa di cogliere il loro fiore, non si abbandonino a piacevoli diversivi?
– Agli stessi diversivi cui Vi abbandonate Voi, Gustave? E’ così che Vi regolate?
– Ma cosa pretendete di fare? Di conservare intatta la vostra verginità e di rimanerci seduta sopra per, poi, offrirla ad un Marchese o ad un Duca? Ah! Sì! Dimenticavo! C’è proprio la fila di pretendenti nobili e ricchi fuori di casa vostra!
– Veramente, pensavo di offrirla a Voi, nella santità del matrimonio, ma l’uomo che mi trovo, ora, innanzi, è per me uno sconosciuto. Giuro che non Vi riconosco più e stento a capacitarmi di chi ho difronte.
– Adesso basta! Ti ho mica chiesto di sobbarcarti le dieci fatiche di Ercole! Spogliati, sdraiati su quel dannato letto, allarga le gambe, stai ferma e faccio tutto io!
– Gustave, avete oltrepassato la misura! RicomponeteVi, riaccompagnatemi a casa, dimentichiamo l’accaduto e fateVi un bell’esame di coscienza!
Gustave de Morvan, spazientito ed ai limiti dell’ira, afferrò Diane col braccio sinistro e le cinse la vita, allungando, simultaneamente, la mano destra sul corpetto della giovane.
Fu questione di un attimo, di una frazione di secondo ed il giovane satiro si ritrovò con un fulmineo e secco schiaffo ben assestato in pieno viso.
– Ah, è così, piccola selvaggia?! Non meritate uno come me, ma soltanto di morir zitella, rammendando camicie logore insieme a quella vecchia carampana di vostra madre! Fuori di qui e non mi tediate ulteriormente!
De Morvan spinse Diane, in malo modo, fuori dalla stanza, quasi facendola cadere, scaraventandola oltre l’uscio e chiudendole, con un tonfo sordo, la porta dietro le spalle.
La giovane si ritrovò in quello stesso vialetto, nascosto al mondo dalla verzura, che avevano percorso insieme un quarto d’ora prima. Questa volta, però, si trovava sola a fare il tragitto inverso, con l’anima pesante, il cuore a pezzi e gli occhi pieni di lacrime.
 
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Diane rincasò a sera inoltrata, ben oltre il coprifuoco impostole dalla madre.
Dopo che il fidanzato l’aveva gettata fuori, si era ritrovata in quella via fuori mano ed a lei del tutto sconosciuta, senza la possibilità di noleggiare una vettura di piazza, dato che, in quei luoghi periferici, non ne passavano e, quand’anche ce ne fossero state, era uscita di casa senza un soldo.
Aveva sbagliato strada varie volte, finché non aveva raggiunto, dopo innumerevoli tentativi, delle vie a lei note e non era arrivata, stremata, coi piedi doloranti, le dita piene di bolle e sanguinanti, il lembo inferiore della gonna e lo strascico del soprabito infangati e le scarpette semidistrutte, al numero ventisei di Rue Bourbon.
Era entrata dentro casa senza proferir parola, rivolgendo soltanto una fugace occhiata alla madre che, dal canto suo, era rimasta silente, senza fare cenno alcuno al ritardo, all’assenza dell’accompagnatore ed alle condizioni in cui versava l’abito e la persona che lo indossava.
Per fortuna, quella sera, non c’era Alain. Incontrare lo sguardo di un solo familiare era stato, per lei, sufficientemente penoso.
Era sgusciata in camera sua e si era chiusa la porta alle spalle.
Rinchiudersi nel nido non aveva avuto alcuna potenza consolatoria su di lei. Si era tolta il completo e l’aveva gettato, senza alcuna cura, ai piedi del letto ed era rimasta a guardarlo, con aria assente e mente frastornata, ripensando alle lunghe ore di cucito che l’acquisto della stoffa le era costato, agli occhi stanchi, rossi e brucianti, concentrati sull’ago, per non sbagliare un solo punto ed alle spalle curve sul lavoro e doloranti.
Si gettò sul letto, accanto all’abito, col volto sprofondato nelle coltri e pianse amaramente.






Preciso che i colossali errori di italiano, di latino e di cultura generale commessi da Gustave de Morvan sono da me voluti e totalmente ascrivibili alla crassa ignoranza del personaggio e, spero, non dell’autrice. 
   
 
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